Martedì 6 marzo 2018
P. Hans Maneschg, missionario comboniano, ha presentato una ricerca sull’importanza dell’incontro con l’altro dal titolo “L’incontro con l’altro nella Bibbia. Tre icone bibliche” alla riunione del Gruppo Europeo di Riflessione Teologica (GERT) che ha avuto luogo a Sunningdale (Inglilterra) nel mese di settembre 2017. Le tre icone bibliche sono quelle dell’incontro di Abramo e Sara con i tre visitatori, l’esperienza del Profeta Giona e, infine, l’icona biblica di Noemi e Ruth. P. Hans conclude la sua presentazione sottolineando come “I tre testi biblici […] contengono nel contesto migratorio di un mondo lacerato tra ricchi e poveri, tra sfruttatori e sfruttati un triplice pressante appello all’ospitalità, all’universalità e alla solidarietà. E` un invito che nasce dalla consapevolezza di un mondo e universo interdipendente nel quale uno vive grazie all’altro. Il rifiuto di vivere in conformità con detta realtà disumanizza e distrugge la casa comune”.

L’incontro con l’altro nella Bibbia
Tre icone bibliche

 

P. Hans Maneschg,
missionario comboniano.

 

L’argomento di questa presentazione che mi fu proposto all’ultimo incontro GERT (ottobre 2016) presuppone riflessioni sulla categoria dell’alterità fatte durante gli ultimi simposi di Limone e gli incontri GERT.

1. Richiami preliminari

1.1 La prima premessa riguarda la categoria di alterità nel contesto attuale delle migrazione a livello globale ed europeo. “L’altro” si riferisce sia all’uomo sia a Dio. Il rapporto con l’altro costruisce identità del nostro vero ed autentico “Io” oppure la riduce al livello di un falso “Io”.[1] Osserviamo che la fisionomia “dell’altro” è molte volte il “costrutto” delle nostre paure ed insicurezze, delle nostre proiezioni consce o inconsce a difesa ed espansione del proprio “Io”.[2]

Questa ambivalenza occorre anche nei nostri rapporti con Dio. Ideologie e sistemi totalitari si sono avvalsi di Dio, nascondendo dietro la maschera di fittizia pietà il loro vero volto segnato dalla ossessione del potere, dello sfruttamento e delle ricchezze, e così difatti negano Dio e allo stesso tempo la dignità e libertà della persona umana. [3] Tutto ciò avviene quando l’altro non é più “terra santa” (Esodo 3:5), persona umana creata all’immagine e somiglianza di un Dio (Gen 1:26s) che ci interpella a sviluppare l’umanità autentica, il “vero IO” di ogni uomo.

1.2 Per quanto riguarda l’importanza di una riflessione basata su una ermeneutica e metodologia critica di testi biblici mi riferisco al documento comprensivo e complesso ma allo stesso tempo sempre ancora attuale della Pontificia Commissione Biblica (PCB), L’Interpretazione della Bibbia nella Chiesa, del 15 aprile 1993. E’ un importante documento ecclesiale del periodo del dopo-Vaticano II che con la Costituzione Dogmatica Dei Verbum diede inizio a una riforma della Chiesa basata sulla Parola di Dio. Ebbene il documento della PCB (III C 1) richiama all’attenzione degli interpreti (“esegeti”) il loro compito di “prendere in considerazione le diverse perspettive ermeneutiche che aiutano a cogliere l’attualità del messaggio biblico e che permettono di rispondere ai bisogni dei lettori moderni delle Scritture.” Parlando poi di attualizzazione che compete a tutto il Popolo di Dio il Documento (III A 2 fine) mette in risalto la necessità di essere attenti “ai valori sempre più sentiti dalla coscienza moderna, come i diritti della persona, la protezione della vita umana, la preservazione dell’ambiente naturale, l’aspirazione alla pace universale.” Fondamentale dunque per il confronto con i testi biblici è il nostro rapporto vitale con la realtà di cui ne parlano. L’interprete non è osservatore indifferente dal di fuori della realtà ma, facendo parte di essa, gli/le tocca fare delle scelte.

1.3 Come terzo bisogna tener conto della diversità delle Scritture.[4] Come è già indicato nel suddetto documento (III A 3), ci sono testi della Scrittura che “hanno talvolta rapporti di tensione fra di loro”; di conseguenza necessariamente si deve aspettare un pluralismo di interpretazioni – ciò che però costituisce allo stesso tempo una sfida per un discernimento da parte dell’interprete.[5] La Bibbia resiste una “sistematizzazione” (cioè una riduzione ad un sistema coerente) di questa diversità.

2. Tre Icone Bibliche

Però anche elaborare una dettagliata sintesi riguardo al nostro tema ci porterebbe su un percorso troppo lungo e complesso. Per questo preferisco presentare un quadro sebbene limitato di tale diversità alla luce di tre icone bibliche, le prime due presentate piuttosto brevemente (l’ospitalità di Abramo e il rifiuto di Giona), e la terza (il Libro di Ruth) più a lungo.

2.1 L’ospitalità di Abramo e Sara (Gen 18:1-16)

Abramo nel quadro biblico dell’Antico e Nuovo Testamento appare come capostipite di un popolo (Gen 18:18s) che fa l’esperienza di „essere straniero“ sulla terra.  Questo fa parte della sua identità (vedi Ebrei 11:9-10). Il brano che ci presenta l’incontro con i tre personaggi anonimi (Gen 18:2) parla di “tre uomini” e va letto come parte di una più lunga  composizione letteraria (Gen 18-19) che in due scene mette in risalto il contrasto abissale tra l’ospitalità di Abramo e Sara da una parte (18:1-16) e la violazione dell’ospitalità che diventa manifesta nell’eruzione di soprusi da parte degli abitanti di Sodoma. La prima scena culmina nell’annuncio della nascita di un figlio ad Abramo e Sara, la seconda scena nella distruzione della città violenta, una scena che mostra il volto violento della “misoxenia” con le sue conseguenze.

Il racconto della visita dei tre alla tenda di Abramo e Sara riflette un tema che occorre nella storia delle religioni, cioè quello della visita inaspettata di divinità ignote presso determinate persone e gruppi che come norma le accolgono e che poi per la loro ospitalità saranno rimunerati con favori divini.  È quanto avviene ad Abramo: dietro i personaggi, almeno per l’editore finale, sta il Signore (YHWH) (18:1a). Ed è in questo contesto di una teofania che avviene l’annuncio della nascita di un figlio, espressione di un favore di Dio, ad Abramo, uomo di avanzata età, e a Sara, donna sterile.

Il racconto è un elogio dell’ospitalità dall’inizio alla fine come appare dai tanti dettagli narrativi che coinvolgono non soltanto Abramo e Sara ma tutti i membri della famiglia. L’incontro avviene “alle Querce di Mamre”, forse luogo di culto pre-esistente visitato dalla popolazione indigena/nativa che in questo luogo adorava il dio EL. Ci immaginiamo in questa fase della storia degli antenati d’Israele l’esistenza di una osmosi religiosa.

2.2 “E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città?” (4:11). Giona.

Il Libro di Giona è l’unico libro della Bibbia che conclude con una domanda tipicamente retorica. Appare come lo sforzo finale da parte di Dio di convincere Giona e tramite Giona il lettore del modo di rapportarsi ed agire di YHWH. Il Libro si distingue dagli altri libri della collezione dei Dodici Profeti (‘Minori’), in quanto non contiene una collezione di oracoli e racconti profetici. Si tratta piuttosto di un tipo letterario di narrativa didattica, un capolavoro letterario che trasmette un messaggio di salvezza universale.

L’autore presenta il messaggio tracciando un contrasto tra Dio e Giona che non lascia spazio per qualsiasi compromesso tra il personaggio principale con la sua risolutezza di salvare Ninive da un lato e dall’ altro lato la resistenza fino alla fine di Giona, personaggio subordinato, ma allo stesso tempo mandato da Dio come suo messaggero per realizzare un progetto di salvezza. Mentre Dio rimane fedele al suo carattere (misericordia), il profeta si manifesta come anti-profeta che resiste alla volontà di colui che lo ha inviato. Certo per Giona, la grande Città Imperiale, è simbolo del potere oppressivo sulla cui sconfitta secoli prima di Giona il profeta Naum aveva intonato un oracolo di gioia (maligna).

Nella ‘fossa’ del pesce nella profondità del mare Giona in un salmo (2:2-9) riconosce la generosità di YHWH nei suoi confronti. Lo stesso profeta alla fine, mosso da rancore e risentimento, negherà Dio col suo carattere generoso quando lo vede applicare la stessa misericordia a Ninive che per Giona rimane l’irreconciliabile nemico (4:2): “So che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato.”

YHWH è il Dio che Giona fugge fino alla fine. Un Dio che salva il nemico, un Dio che ‘ritorna sulla sua decisione´ (3:10), vedendo la conversione dei Niniviti che Giona mai si sarebbe aspettata. Ci troviamo di fronte ad una collisione di due immagini contrarie di Dio. Il Libro di Giona mette in discussione un erroneo senso di elezione che, compresa correttamente, non dovrebbe mai portare alla negazione di un Dio che è libero nelle sue decisioni. È lo stesso Paolo che, riflettendo sul corso preso dal suo popolo (Rom 9-11), con riferimento ad “un disegno fondato sull’elezione” (9:11), difende la libertà di Dio di manifestare la sua misericordia ai pagani, citando dal Libro dell’ Esodo (33:19): “Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla” (9:15).

Tale presa di posizione introversa da parte di Giona si inquadra bene nel periodo Persiano del post-esilio Babilonico. In questo periodo appaiono nella comunità giudaica atteggiamenti ben differenti riguardo ai rapporti con le nazioni e i popoli stranieri. Nell’era della restaurazione della società nel dopo-esilio si distinguono per il loro impegno le figure di Esdra il Sacerdote e di Neemia, leader laico e politico. Parte importante di questo programma era la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme con il sostegno da parte del Governo Persiano (Esd 1:1-3; 6:14). Un progetto di questo genere era visto anche da parte dei Persiani come fattore di promozione di un ordine sociale stabile e di una identità come popolo. A questo scopo servivano anche le iniziative coraggiose di una riforma sociale a favore degli espropriati ed impoveriti da parte di detti personaggi (Ne 5). Dall’altra parte queste riforme erano limitate al popolo definito secondo il criterio delle categorie di “sangue e carne”. A tale obiettivo servivano poi le misure restrittive che escludevano matrimoni con delle donne straniere (Esd 9:1-10.44; Ne 9:1-18).

Un approccio ben differente nei riguardi dello straniero, risalente allo stesso periodo, si trova nel Trito-Isaia (56-66). Forse non è diametralmente opposto alle riforme di Esdra e Neemia, come sostiene Paul Hanson, celebre professore alla Harvard University, ma certamente l’orientamento è differente. Gerusalemme con il suo Tempio costituisce un centro spirituale per entrambi, però mentre per il Terzo Isaia, con la sua insistenza sulla giustizia (vedi Isa 58) e per la sua apertura allo straniero (57:1-8), l’interesse è nettamente etico, per Esdra e Neemia, con la loro fissazione sulla discendenza fisica e sul sacerdozio zadokita, la perspettiva è chiaramente rituale ed etnica. Il lettore, alla luce del Libro di Giona, farà un discernimento riguardo a tali proposizioni così differenti.[6]

In questo contesto tocca riflettere sull’immagine di Dio e l’impatto di essa sul rapporto con l’altro umano e in modo particolare sul monoteismo biblico e sulle accuse o critiche rivolte contro di esso come promotore di intolleranza ed esclusività. Alla ricerca di una risposta bisogna tener conto delle varie sfumature bibliche e dello sviluppo della fede con le sue varie manifestazioni nel corso della storia. C’è una forma di monoteismo chiaramente inclusivo come quello del Libro di Giona, ma c’è poi anche un’altra forma più esclusivista come appare anzitutto in Dt e nella letteratura deuteronomica. Coloro che seguono YHWH che è l’unico Dio di Israele non devono seguire „altri“ (aherim) dei (Es 20:3; Dt 5:7; 6:14; Gdc 2:12.17.19), chiamati anche dei “stranieri” (zarim). (Isa 17:10: Ps 44:21). Più universale è l’orizzonte del Secondo Isaia: YHWH, mentre mantiene un rapporto speciale con Israele, è il Dio che tiene rapporti con tutte le genti.  Israele, servo di YHWH, è chiamato da Dio ad una missione definita “come alleanza del popolo e luce delle nazioni” (42:6; cf. 49:6!).

Soffocante invece è la religione di coloro che a nome di un Dio unico si fanno promotori di società omogenee che non lasciano spazio per la costruzione di una società basata sull’uso responsabile della libertà del cittadino. A loro si devono opporre quanti credono in un Dio non della uniformità ma in un Dio che è l’origine di vita nella sua pluralità e varietà. 

2.3 “Il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio.” Il Libro di Rut

2.3.1 Nella Versione dei Settanta (Septuaginta), traduzione in Greco fatta da Ebrei ad Alessandria in Egitto, il Libro di Rut segue il Libro dei Giudici e precede i Libri di Samuele (o 1-4 Re nella LXX). In questo ordine canonico seguito dalla maggioranza delle edizioni cristiane della Bibbia, il Libro fa da ponte tra il Libro dei Giudici, con la sua presentazione (agli occhi del narratore) di una società anarchica (Gdc 21:24), e 1 2 Samuele che narra l’arrivo di un Regno stabile coll’ascesa al potere del re Davide. Il Libro sfocia in una breve genealogia che ci porta a Davide (ultima parola del Libro di Rut!), personaggio modello del re-pastore e allo stesso tempo recipiente di promesse divine (2 Sam 7). In questo periodo significativo di transizione sociale due donne, Noemi e Rut, appaiono come protagoniste di un progetto divino.

Nella Tanakh, la Bibbia Ebraica, invece il Libro di Rut è collocato fra le cinque Megillot (rotoli), che nella tradizione ebraica si recitano durante cinque grandi festività o Giorni di Memoria del Calendario Ebraico: il Cantico a Pasqua, Rut a Pentecoste, Lamentazioni il Giorno di Digiuno (nove del mese di Ab), Qohelet a Sukkot, e Ester a Purim. L’assegnazione di Rut alla Festa delle Settimane colloca il racconto nel tempo della mietitura dell’orzo, la stagione nella quale si celebrava questa festa, nella quale in tempo post-esilico si celebrava il dono dell’Alleanza e della Tora. Per gli interpreti ebraici del tardo post-esilio Rut fu presentata come modello del ger zedeq, dello straniero residente che con grande sacrificio, lasciando indietro la previa vita, si è convertito alla fede di Abramo e Sara.

2.3.2 Erich Zenger, noto biblista cattolico del Primo Testamento ed ebraista, nella sua Introduzione all’Antico Testamento definisce il Libro di Rut come “il libro della donna nel Primo Testamento”. Non per caso ha ricevuto un’attenzione del tutto speciale da parte di bibliste che ne sono diventate competenti interpreti.

Per questa presentazione mi rifaccio anzitutto al libro di Tea Frigerio, missionaria saveriana in Brasile sin dal 1974, Sfida al patriarcato. Lettura femminista del Libro di Rut. (Bologna: EMI 2011). Il titolo scelto dalla biblista italo-brasiliana indica chiaramente l’orientamento e l’obiettivo della ricerca. Lasciandoci coinvolgere “nella narrazione della novella del Libro di Rut”, dichiara Frigerio, “sentiamo fluire sentimenti di amore tra donne, di complicità, alleanza, intesa, sororità e solidarietà.”  Frigerio (45) assume che “Rut è parola di donna, scritto da donna che conserva viva la memoria di una cultura femminile.” Ad una simile conclusione giunge Irmtraud Fischer, biblista austriaca (cattedra di Antico Testamento all’Università di Graz) che ha scritto un commentario dettagliato sul Libro di Rut. Dunque non sorprende che tra i migliori interpreti di questo Libro sono donne bibliste.[7] È tempo di ascoltare la loro voce.

È chiaro che una perspettiva femminile caratterizza il Libro stesso. Seguendo il genere letterario dell’opera che è quello di  una ‘storia’ o di una ‘novella’ quello che conta è lasciarsi coinvolgere dall’intreccio (Inglese “plot”) del racconto con i suoi personaggi nei loro rapporti interpersonali.

Per quanto riguarda questa dimensione ermeneutica (che sempre contiene una scelta) è sempre valido l’approccio di Frigerio che si svolge sulla pista del ben noto schema a tre livelli: vedere – giudicare – agire.  È un modello di interpretazione basato sull’esperienza della donna nella società di oggi, per Frigerio anzitutto nella società brasiliana. Questo primo passo che copre la prima parte del suo libro è intitolato: dalla rivalità all’amicizia. Con queste parole la Frigerio indica l’obiettivo che consiste nel decostruire la rivalità imposta da una cultura patriarcale e nel costruire al suo posto un patto di sororità e un cammino di solidarietà. La seconda parte che è più concentrata sul testo biblico è intitolata: tessere alleanze. Ci fermeremo più a lungo su questa parte della ricerca. Finalmente nella terza parte Frigerio procede alla prassi di “costruire solidarietà” con iniziative concrete (lavori in gruppi, condividere testi biblici, canti e riti, scambi di esperienze).

Frigerio richiama un fatto che non può sfuggire alla nostra attenzione nella lettura della Bibbia vale a dire la preponderanza della visione patriarcale e androcentrica. Ma è proprio il Libro di Rut che costituisce un’eccezione!

2.3.3 Lettura del testo (analisi narrativa)

Per quanto riguarda l’approccio al testo ritengo molto utile gli orientamenti indicati dal suddetto documento della PCB (I B 2): Particolarmente attenta agli elementi del testo che riguardano l’intreccio, i personaggi e il punto di vista del narratore, l’analisi narrativa studia il modo in cui la storia viene raccontata così da coinvolgere il lettore nel “mondo del racconto” e nel suo sistema di valori.

Ci troviamo di fronte a una storia che si svolge in quattro atti di pressappoco la stessa lunghezza che coincidono con i nostri quattro capitoli in cui il libro è diviso. Il primo e l’ultimo atto si corrispondono anche dal punto di vista geografico: nel primo atto avviene un movimento migratorio da Betlemme alle contrade di Moab e da lì di ritorno a Betlemme. Nelle scene 2 e 3 ci troviamo nel campo di Booz nei dintorni di Betlemme dove avviene un andirivieni tra villaggio e campagna. Il movimento sempre esprime un cammino vitale che coinvolge i personaggi e in modo particolare le protagoniste della storia.

Come già detto sopra importante per noi è il lasciarsi coinvolgere nell’intreccio (in Inglese plot, in Francese l’intrigue, Tedesco der Spannungsbogen) della novella, per così dire percorrere il cammino che si svolge davanti ai nostri occhi. Comincia con una migrazione a causa di una carestia in terra di Giuda, a Betlemme, “casa del pane”, che costringe una famiglia a lasciare la loro terra e a recarsi nel paese di Moab all’est del Mar Morto. Dopo una decina di anni l’unica superstite, Noemi, diventata vedova dopo aver perduto in Moab marito ed entrambi suoi figli, alla notizia che, passata la carestia, Betlemme è di nuovo quanto dice il nome, decide di ritornare. Ma ora la vita è cambiata per lei. Così si presenta alle donne di Betlemme: “Non mi chiamate Noemi, chiamatemi Mara, perché l’Onnipotente mi ha tanto amareggiata” (1:20).

Nell’intreccio della storia il rapporto tra personaggi assume una funzione ancora più significativa alla luce del valore simbolico dei nomi. Abbiamo già notato che Noemi (l’Amabile, la Graziosa) si fa chiamare Mara (l’Amareggiata); i nomi del suo marito Elimelech (“il mio Dio è re”)[8] e poi delle nuore Orpa (“quella che volge le spalle”) e Rut (significato meno sicuro) e finalmente Booz (“Potente”), nome del futuro marito di Rut. È un movimento che porta da un “punto basso”: la carestia, la migrazione e poi la morte in terra straniera come pure il ritorno che avviene a mani vuote come Noemi lo percepisce: “Io ero partita piena e il Signore mi fa ritornare vuota” (1:21).

La svolta avverrà negli atti 2 e 3 quando Rut appare in “prima fila” prendendo delle iniziative che poi fruttificheranno. Sul campo di un parente del marito di Noemi, “uomo potente e ricco della famiglia di Elimelech” (2:1), ella infilerà un rapporto con Booz, nome del parente, che trasformerà la vita sia di Ruth che di Noemi. Tutto succede nella campagna (sade in Ebraico) a Betlemme. Sembra come se il narratore volesse mettere in evidenza un rapporto tra la campagna di Betlemme e le campagne di Moab dove Noemi con famiglia aveva trovato accoglienza ed ospitalità che rese possibili ai suoi due figli di sposare donne Moabite e la campagna nei pressi di Betlemme: la campagna si rivela come luogo di accoglienza e sopravvivenza.

Rut, come straniera, al tempo della mietitura dell’orzo e del frumento (2:23), fa uso della spigolatura per mantenersi in vita. Ma non sfugge al lettore sin dall’inizio l’attenzione, la premura e la protezione accordata a Rut da Booz che la riconosce come donna di grande valore:

“Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso un popolo, che prima non conoscevi” (2:11s).

In queste parole rivolte da Booz a Rut riecheggiano passi biblici che inseriscono la scena in un orizzonte più largo, direi universale: Gen 2:24f (creazione di uomo e donna) e Gen 12:1ss (parole di Dio ad Abramo).

Il campo di Booz e poi l’aia diventano luogo di un incontro che porta gradualmente ad una sempre più profonda ed intima condivisione di vita che alla fine sarà pienamente realizzata nel matrimonio tra Rut e Booz e nella nascita di un figlio a cui Noemi la suocera darà il nome di Obed.

2.3.4 La perspettiva femminista

(a) Riflettiamo ora su un testo che a me sembra fondamentale dal punto di vista femminista. L’abbiamo scelto come titolo di questa presentazione del Libro di Rut. Sono i versetti 16-17 del primo capitolo:

16“Ma Rut rispose: ‘Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà anche il mio Dio; 17 dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te’.”

Frigerio sottolinea il carattere di alleanza che sta dietro la dichiarazione rivolta da Rut a sua suocera. In questo testo Rut ci viene presentata come una donna capace di fare una sua decisione – certo indipendente da un personaggio maschile come sarebbe consueto in una società patriarcale. Ma questo vale non soltanto per Rut ma anche per Noemi e per Orpa, cognata di Rut. Noemi ha risolto di ritornare al suo paese di origine, ma con una libertà e con uno spirito di distacco che rispetta la libertà delle nuore. Orpa, congedandosi dalla suocera, ritorna dal suo popolo, mentre Rut è risoluta a rimanere con la suocera (1:14). È bene notare la connessione tra Rut 1:14 e Gen 2:24, dove in entrambi i passi occorre la parola dbq, “stringersi”, “aderire strettamente”.  Come l’uomo abbandona padre e madre per unirsi alla donna, così Rut lascia la “casa della madre” (1:8) per unirsi alla suocera.

Anche se la parola stessa non appare nel testo, si tratta di una alleanza, Ebraico berit, come nell’Antico Medio Oriente si concludeva sia tra persone alla pari o tra un sovrano e un vassallo (dunque patti di sovranità, suzerain treaties). L’alleanza tra YHWH e il popolo d’Israele è presentata con la struttura (pattern) di quest’secondo tipo ed è sempre iniziata da Dio.

Interpreti di Rut (e.g. Frigerio 56) fanno riferimento al patto fatto con giuramento tra Davide e Gionata (1 Sam 20). Nel caso di Davide e Gionata si tratta di un patto fra amici che si vogliono bene (1 Sam 20:17) che rese possibile l’ascesa di Davide al potere regale. In ogni caso la parola berit esprime un impegno e una responsabilità reciproca.

Il rapporto tra i contraenti in entrambi i tipi di alleanza è caratterizzato da hesed, una parola che esprime l’idea di lealtà, fedeltà, bontà e benevolenza, solidarietà (frequente traduzione in Inglese loving kindness), con un significato simile alla parola amore nel linguaggio deuteronomico. Nel Libro di Ruth hesed occorre soltanto due volte. L’idea di solidarietà è espressa da Noemi nelle sue parole di benedizione divina implorata da lei sulle due nuore in 1:8b: “Il Signore usi bontà (hesed) con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me.”

Queste parole poi riecheggiano più tardi nella benedizione che Booz invoca su Rut dopo la sua unione con lei di notte (3:10): “Sii benedetta dal Signore, figlia mia! Questo tuo secondo atto di bontà (hesed) è migliore anche del primo, perché non sei andata in cerca di uomini giovani, poveri o ricchi.”

Anche in questo ultimo passo la parola hesed esprime l’amore solidale ora tra uomo e donna.

(b) La dichiarazione risoluta di Rut è preceduta dall’insistenza da parte di Noemi nei confronti delle due nuore: “Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre” (1:8). Come nota Frigerio (45-52), di consueto la Bibbia parla della “casa del padre”, una dicitura in linea con la perspettiva patriarcale della Tanakh. A parte Rut 1:8 occorre soltanto altre due volte nella Bibbia Ebraica, cioè in Gen 24:28 e in Cant 3:4[9]. Con riferimento a questa frase Cynthia Ruth Chapman[10] sottolinea che l’Antico Israele era una società patrilineare: l’eredità passava da padre al figlio, mentre donne rimanevano escluse ed il loro valore era ridotto alla loro abilità di dare vita ad un erede che perpetui la patrilinea. Però Chapman (87) ci avverte che tale presentazione è troppo riduttiva se si tiene conto della vita sociale come era realmente vissuta  in Israele. Parlando della “casa del padre” non bisogna mai dimenticare il coinvolgimento di quanti fanno parte della “bet”: donne, figli non eredi, schiavi, molte volte erasi dalla memoria biblica ma da ricuperare.[11]

In questo contesto potremo richiamare alla nostra attenzione l’adattamento dell’ ordinamento sociale-giuridico a favore della donna Rut: la legge del levirato (Dt 25:5-10; vedi Rut 4) ora si applica anche ad una donna Moabita precedentemente esclusa, similarmente la legge del Goel, del riscattatore (Lev 25:23ff; Ruth 2:20).

(c) Il Libro di Rut culmina in una celebrazione di vita alla quale tutto il popolo della “Città del pane” partecipa. La gioia risuona nella benedizione (4:11-12) pronunciata dagli anziani che richiamano i favori divini accordati a Rachele e Lia, “le due donne che fondarono la casa di Israele”, e Tamar che partorì Perez a Giuda, antenato di Booz. Una simile gioia poi risuona dalla bocca delle donne di Betlemme alla nascita del figlio nella loro lode (benedizione) di Dio che “non ha fatto mancare un riscattatore per perpetuare il nome del defunto in Israele” (4:14). La storia si conclude dunque con un felice esito, il rovescio del punto di partenza. Noemi, la vedova infelice (1:11-13), è diventata ‘madre’ nel figlio partorito dalla nuora che la ama: “È nato un figlio a Noemi”(4:17) che vale per lei più di sette figli (4:16). La scena poi sfocia in un albero di vita – la genealogia che ancora una volta rende visibili due donne in un mondo prevalentemente androcentrico della storia di un popolo nella quale luccica la figura maschile di Davide eroe e re.

2.3.5 Rut la donna straniera

Premetto quanto scrive il biblista Jürgen Ebach nel suo articolo “Fremde in Moab – Fremde aus Moab. Das Buch Rut als politische Literatur” in Ebach/R. Faber (Hg.), Bibel und Literatur 1995, p. 278: „È in gioco la lotta per la sopravvivenza di due (o tre) donne in un mondo patriarcale, anzitutto minaccioso per donne impoverite... è in gioco la donna come vittima, come oggetto di tratta; è in gioco la solidarietà e la rivalità fra le donne.“ Sono questi punti fatti anche da Frigerio nella prima parte del suo libro dove ella perora una patto di amicizia e sororità al posto di rivalità promossa e incoraggiata dal sistema androcentrico e patriarcale.

Abbiamo già messo in risalto il contesto di migrazione che fa da arco dall’inizio alla fine della storia. Non può sfuggire al lettore il grande valore della “terra” e dei “campi” che provvedono sostegno all’uomo. Costretti da una carestia a lasciare il loro paese la famiglia trova accoglienza in terra straniera. Fondamentale per la sopravvivenza è l’ospitalità che nel mondo antico si praticava verso stranieri (Gen 18). In Moab, come gerim, la famiglia di Noemi avrà goduto diritti sebbene limitati (vedi Es 22:20; 21:9; Lev 19:33ff), ottenendo un diritto di sostentamento di base (Dt 24:19-21). In 2:10 Rut si presenta a Booz come nokria, vale a dire come donna straniera di passaggio, non residente. Ad ogni modo Booz non la tratta come tale ma le accorda una cura speciale. La legislazione deuteronomica (Dt 23:4-7), con riferimento al rifiuto di ospitalità da parte dei Moabiti nel passato (23:5!), trasmette un messaggio totalmente opposto all’accoglienza di stranieri provenienti da Moab. Il Libro di Rut dall’altro canto ci presenta un quadro ben differente di un’accoglienza ospitale per stranieri disposti ad inserirsi in una nuova società. Ci offre un messaggio di una donna straniera che vive della bontà, hesed, del Dio di Israele (1:16; 2:12; 4:11-14).

Gli interpreti del Libro di Rut, alla ricerca del Sitz-im-Leben, vale a dire del "contesto, ambiente vitale", oggidì puntano generalmente sull’era Persiana del dopo-esilio babilonico in una società che era polarizzata da prese di posizione ben divergenti riguardo ai rapporti con la società non-giudaica e la sua cultura e religione. Si fa riferimento alle riforme di Ezra e di Neemia nel periodo del ritorno dall’esilio. Accanto alle riforme sociali per la liberazione del popolo dall’indebitamento e dalla povertà (Ne 5,1-5), del resto riservate alla comunità giudaica, i leaders ricorrono a delle iniziative che impongono la dissoluzione dei matrimoni con donne straniere perseguendo l’obiettivo di salvaguardare la purezza della religione e della razza (Esd 9:1-10.44; Ne 9:1-18; 13:23-27). Ebbene il Libro di Rut come il Libro di Giona propone una visione alternativa.

La ricerca dell’origine del Libro fa parte del metodo storico-critico per cui il testo è considerato come “finestra” al passato. Però bisogna andare oltre fissando lo sguardo sul presente e il futuro. In questo sforzo ci aiuta l’analisi narrativa per la quale il testo funziona come “specchio”, “nel senso che presenta una certa immagine della realtà di mondo, il ‘mondo del racconto’, che esercita la sua influenza sui modi di vedere del lettore e lo porta ad adottare certi valori piuttosto che altri” (PCB I B 2).

Senza il passaggio dalla lettura del testo ad una ermeneutica di tipo pratico e pastorale, rimaniamo a metà strada. All’occhio cieco persino lo specchio non può giovare. Lo si vede nella storia della recezione di un Libro che delle volte è stato frainteso come una novella idillica.[12]

2.4 Attualità

A valutare una storia come quella di Rut come “specchio” ci aiutano anche le scienze umane in quanto contribuiscono ad una migliore conoscenza della condizione umana di se stessi e delle società di cui facciamo parte.[13] Così facilitano un passaggio verso una riflessione teologica non teorica ma teologale innestata nel tessuto della vita.

Un interprete della Bibbia che segue un approccio psicologico-psicoanalitico è Eugen Drewermann in un libro col titolo Il messaggio delle donne. [14] Commentando le parole sulle labbra di Rut (1:16) “Il tuo Dio è il mio Dio” Drewermann (50) ragiona:  “Se vale questa parola della Moabita Rut, l’incontro immediato tra esseri umani è l’unico vero e decisivo luogo della rivelazione di Dio, allora l’amore fra gli uomini è il fondamento e la misura della fede in Dio.. Allora Dio è il fine e la meta di un cammino che soltanto nella comunione dell’amore si può percorrere.” L’autore sottolinea il linguaggio dell’amore presente nelle parole di Rut, commentando: “Per l’amore non esiste altro Dio fuori della forza che unisce i cuori degli uomini” (51). Fino alla conclusione del libro Drewermann scopre nella storia di Rut un movimento contrario a tentativi disumani di forzare la venuta sulla terra della salvezza di Dio per mezzo dell’emarginazione di persone e la erezione di muri e confini.

Dalla riflessione bisogna passare all’azione – nel nostro caso a “costruire solidarietà”. Cammini concreti ci vengono presentati dalla Frigerio nella terza parte del suo libro. Di recente, durante Giornate per agenti di pastorale, un sacerdote, dal 1977 missionario nel Brasile, prese la parola e disse con grande convinzione: “Oggidì ci vuole un eco-femminismo”. Si stava discutendo sull’enciclica di Papa Francesco Laudato Sí. Sulla cura della casa comune – che è un appello ad una conversione ecologica contro l’indifferenza al livello globale nella consapevolezza di un mondo interdipendente (LS 164). Detto missionario ci informava della frequenza con la quale in Brasile una donna viene stuprata (e il Brasile non sarà molto differente da tanti altri paesi) e allo stesso tempo richiamava la nostra madre terra anche essa vittima di soprusi e di stupro. Così voleva sottolineare la realtà di un reale rapporto tra questi due tipi di violenza.

Conclusione

I tre testi biblici condivisi in questa presentazione contengono nel contesto migratorio in un mondo lacerato tra ricchi e poveri, tra sfruttatori e sfruttati un triplice pressante appello all’ospitalità, all’universalità e alla solidarietà. E` un invito che nasce dalla consapevolezza di un mondo e universo interdipendente nel quale uno vive grazie all’altro. Il rifiuto di vivere in conformità con detta realtà disumanizza e distrugge la casa comune. I testi studiati riflettono allo stesso tempo una dimensione trascendentale. Ci fanno riflettere che l’incontro con Dio avviene nell’incontro con il mondo umano e tutto il creato, nell’incontro con l’altro sconosciuto che però fa parte di me, che come i tre personaggi chiede accoglienza, che come gli abitanti di Ninive può essere persino mio nemico ma sempre perdonato da un Dio misericordioso. Lo si incontra nelle persone  che come Rut e Noemi percorrono la via della solidarietà alla ricerca di sopravvivenza nella “casa della madre (terra)”.
P. Hans Maneschg


[1] Il “falso IO’ e il “vero IO” sono categorie sviluppate da Thomas Merton (+ 1968). Riguardo al “falso IO” Merton nel suo libro New Seeds of Contemplation (2007) scrive: “My false and private self is the one who wants to exist outside the reach of God’s will and God’s love – outside of reality and outside life. And such a self cannot help but be an illusion.” Per il “vero IO” vale quanto Gesù dice in Giov 8:32  “La verità vi farà liberi.”

[2] Molto illuminante a riguardo ho trovato l’analisi fatta dal filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman ( + 09-01-2017) in uno dei suoi ultimi libri Stranieri alle porte (Bari, Laterza, 2016). Con riferimento agli stranieri Bauman osserva che “questi tendono a dare ansia proprio perché strani.. a differenza delle persone con cui interagiamo tutti i giorni” (8).

[3] Spontaneamente ci viene in mente il motto nazionale degli USA “In God We Trust” (che poi appare sulle banconote) o il motto nazionalista “Per Dio e Popolo/Patria”. Interessante in questo riguardo è il libro “God in South Africa” (1988), scritto da A. Nolan durante il conflitto Apartheid tra Governo e movimenti contro il sistema razzista.

[4] Vedi a riguardo Paul Hanson, The Diversity of Scripture: A Theological Interpretation. Philadelphia (Augsburg Fortress Press) 1982.

[5] Vedi con riferimento a testi “migrazione” gli ultimi Quaderni di Limone (65f).

[6] Su questo argomento vedi l’articolo recente di U. Berges, “Trito-Isaiah and the Reforms of Ezra/Nehemiah: Consent or Conflict”, in Biblica 98/2 (2017) 173-190.

[7] Vedi i frequenti riferimenti a donne interpreti nel libro di Frigerio, e.g. all biblista israeliana Atalya Brenner e ad altre come E. Schüssler-Fiorenza e Phyllis Trible.

[8] Eppure Dio si „è dichiarato“contro la famiglia (1:21), togliendo a Noemi marito e i due figli Maclon (malaticcio) e Chilion (languido) e rendendola una vedova emarginata.

[9] In Cant 3:4 mai occorre la figura del padre, sette volte invece la madre è menzionata!

[10] „Modern Terms and their Ancient Non-Equivalents. Patrilinear and Gender in the Historical Study of the Bible”, in Hebrew Bible and Ancient Israel, vol. 5/2, 2016, 79-93).

[11] Per uno studio più dettagliato vedi della stessa biblista, The House of the Mother: The Social Roles of maternal Kin in Biblical Hebrew Narrative and Poetry (The Anchor Yale Bible Reference Libarary). New Haven: Yale Univ. Res. 2016.

[12] Famosa la caratterizzazione di J.W. von Goethe come “una breve amabile storia che ci  è stata trasmessa come un’opera epica ed idillica” (West-Östlicher Divan, ed. 1986, 129).

[13] Il documento della PCB, L’Interpretazione (I D) presenta approcci sociologici, antropologia culturale, e approcci psicologici e psicoanalitici.

[14] Die Botschaft der Frauen. Das Wesen der Liebe. Olten-Freiburg i.Br. (Walter Verlag), 21992. Drewermann offre una presentazione di figure femminili nell’Antico e Nuovo Testamento. Il commento sulla figura di Rut (47-64) è intitolato “Rut. 'Dein Gott ist mein Gott'“.