Giovedì 30 agosto 2018
Il comboniano P. Alessandro Zanotelli ha compiuto 80 anni. Nacque il 26 agosto 1938 a Livo, un piccolo comune della regione italiana di Trentino-Alto Adige. Per l’occasione il direttore responsabile de L’Adige, Pierangelo Giovanetti, lo ha intervistato. Per gentile concessione dell’editore, riprendiamo il testo pubblicato sulla pagina Web del quotidiano L’Adige il 20 agosto 2018.

Gli 80 anni di padre Alex Zanotelli

«Il Trentino ha perso la sua anima»

«Salvini? Non basterà il razzismo a liberarci da chi ha fame»

– Padre Alex, domenica prossima [26 agosto] tu compi 80 anni: che bilancio ti senti di fare della tua vita?

Sono contento. Contento di essermi giocato la vita per gli emarginati, i più poveri, quelli che non contano, memore delle parole di Gesù: se la vita la tieni per te, sei morto. Se sei capace di giocartela per gli altri, allora vivi. Su questo insegnamento di Gesù ho impostato la mia vita. E a 80 anni mi sento quindi più vivo che mai.

– Hai rimpianti? Qualcosa che avresti voluto fare, e non sei riuscito a fare?
Tantissime sono le cose che avrei voluto fare, e non ho fatto. Ma la vita non si vive per fare delle cose. La si spende per una causa giusta: per gli altri.

– Ti sei mai pentito di qualche scelta fatta?

No. Da tante battaglie sono uscito sconfitto, ma seppur se ne esce sconfitti quando si è voce di minoranza, non mi sono mai pentito delle scelte che ho portato avanti, e delle strade che ho imboccato.

– Qual è la sconfitta che senti più pesante?

Non aver vinto la battaglia a favore dei più poveri. Tutt’oggi facciamo parte di un sistema che permette a otto uomini più ricchi al mondo di avere tanto quanto i tre miliardi e 600 milioni di persone più povere di questo mondo. Le statistiche dei summit di Davos affermano che un 1% della popolazione mondiale dispone di più ricchezze del restante 99%. Ho speso la mia vita per gli emarginati, e non sono riuscito a scalfire minimamente le coscienze. Questa è per me una sconfitta pesante.

– Qual è stata la figura più importante della tua vita?

Mio padre. Eravamo sette fratelli e sorelle e ci diceva: figli miei, camminate sempre a testa alta. Io lo posso fare perché non l’ho mai piegata di fronte a nessuno. Era antifascista, e gli squadristi gli spararono, ma riuscì a scappare. Fino alla morte gli è rimasta una pallottola nel braccio destro. E poi mia madre, l’altra figura fondamentale della mia vita. Il suo esempio ha inciso in me nel profondo.

– Tra le persone che hai incontrato sul tuo cammino, chi ricordi?

Noi tutti siamo le persone che incontriamo, io sono stato profondamente influenzato da grandi testimoni. Martin Luther King, per esempio, nei miei anni di studi negli Stati Uniti. Poi Desmond Tutu, nella lotta contro l’apartheid. O in America Latina figure come il vescovo di Recife Helder Camara.

– Padre Alex, perché ti sei fatto prete?

Fin da quando ero ragazzino a Livo, in val di Non, sentivo che la vita è bella se la si dona per qualcosa di grande. Poi un giorno, è passato da Livo un missionario comboniano che mi ha detto: perché non vieni anche tu in Africa? E da lì è partita la mia avventura con Comboni. Gli anni di formazione li ho fatti a Trento, in via Missioni Africane 17, dove oggi c’è la sede dell’Adige.

Livo, comune della regione italiana di Trentino-Alto Adige.

– Il Trentino di 80 anni fa, quando sei nato, oggi non esiste più. Non c’è più quasi nessuno che pensa di farsi missionario, e di spendere la propria vita in Africa per gli emarginati. Le chiese sono vuote, i preti vecchi e stanchi.

Il cuore del problema è il vuoto umano, prima che cristiano. Quando io ero bambino a Livo, sentivo che c’era una comunità. Eravamo tutti poveri, ma quando una famiglia perdeva una mucca, tutti nel paese ne prendevano un pezzo per aiutare quei malcapitati. C’era una solidarietà sociale, che era il terreno su cui è nata la cooperazione (che oggi ha preso altre strade). Oggi giro per le nostre valli trentine, per i miei paesi, e non trovo più comunità.

– Cosa è successo?

Credo, purtroppo, che il Trentino abbia perso la sua anima. Un tempo la sera nei nostri paesi vedevi gente in piazza, insieme, a parlare. Bambini che giocavano per strada. Oggi giro e non vedo nessuno. Tutti chiusi nelle case da soli o davanti al televisore. Se viene meno l’anima umana di una comunità, crolla anche quella cristiana. E l’Europa oggi è pagana. Credo sia tempo di fare missione in Europa. Anche la Chiesa deve farsi un profondo esame di coscienza di ciò che ha fatto, e di ciò che non ha fatto.

– Qualche valore positivo ci sarà ancora, nelle nostre vallate!

Sì, c’è ancora grande generosità della gente. E questo è molto positivo. Ma mi capita di vedere che si è generosi quando si parla di adozioni a distanza, un po’ meno quando c’è bisogno di accogliere i nostri fratelli rifugiati e profughi. Allora, in molti casi, la generosità e l’accoglienza vengono meno.

– Secondo te, c’è ancora fede nelle nostre comunità?

Io sono andato con questo dubbio a Korogocho. Quasi quasi stavo per dar ragione a Marx, sulla religione come oppio dei popoli. In Africa i poveri mi hanno convertito: la loro fede era di gran lunga più grande della mia. In loro c’era la forza della vita, e siccome io credo in un Dio che è il Dio della vita, questo slancio vitale è la vita, che qui da noi in tanti hanno perso.

– Ma la religione serve ancora?

Mai come oggi l’Occidente ha bisogno della religione, cioè di Dio. Se non si mostra loro il volto di Dio, ripiegheranno su dei surrogati. L’uomo è certo un animale politico ed economico, ma è soprattutto un animale religioso. Cerca un senso alle cose.

– Se c’è questo bisogno religioso, perché la Chiesa non riesce a rispondervi?

La Chiesa in Occidente è diventata parte del sistema: questo è il problema. Guardiamo a cosa succede in Polonia dove, rosario in mano, si cerca di respingere ai confini chi bussa per fame alla porta dell’accoglienza. Si è sposato il sistema, che quindi usa la Chiesa. Verranno a convertirci dal Sud del mondo.

– Padre Alex, tu hai paura della morte?

(Qualche attimo di silenzio…) No, mi sento tranquillo. Ho talmente amato la vita, giocandomela per gli altri, che sento che sono vivo, anche se ho 80 anni.

– Come te lo immagini l’Aldilà?

Io credo nel Dio della vita, e so che quello che mi attende è questo.

– Padre Alex, alle ultime elezioni del 4 marzo il primo partito del Trentino e della tua Valle di Non è stata la Lega di Matteo Salvini. Ti ha colpito?

Io dico come la penso: mi vergogno dei miei paesi che hanno votato Salvini. A Livo più del 50% ha votato Lega. Vuol dire che si è sposato il Vangelo dell’odio. Non si può mettere assieme il Vangelo di Gesù e quello dell’odio: o uno o l’altro.

– Esiste ancora profezia, secondo te, nella Chiesa trentina?

No, per me in questo momento la nostra Chiesa è una Chiesa spenta. Tutta la ricchezza straordinaria che avevamo, di pensiero, di testimoni, di figure illuminanti, mi sembra perduta. Incontro preti che sono brave persone, ma non vedo nei loro occhi la speranza. E se la Chiesa non è profetica, non esiste.

– È per questo che incide poco o nulla, la Chiesa, nella cultura politica e civile italiana?

Purtroppo – e qui papa Francesco ha messo il dito nella piaga – si mostra tutta l’incapacità di coniugare fede e vita. Facciamo culto, facciamo messe, ma che non hanno nulla a che fare con la vita concreta. Allora non è esperienza di Dio, è intimismo religioso.

– Cosa ne pensi del governo 5Stelle-Lega?

Il governo 5Stelle-Lega è solo il governo di Salvini. È lui la stella brillante. È lui che detta la politica, specie quella estera. Io conoscevo bene Beppe Grillo e glielo dissi quando decise di buttarsi in politica: non è la via giusta. Da allora ho reciso i ponti con lui. Oggi la politica dei 5Stelle è solo campagna elettorale continua, non sono capaci – e non lo sono mai stati – di governare. Non sanno avere le mani in pasta dentro i problemi. Il passaggio che abbiamo avuto nella politica italiana dalla Dc e dal Pci a questi di oggi è incredibile: quelli avevano una cultura politica e una preparazione, e personale politico. Avranno fatto i loro sbagli, ma non avevano la presunzione di venire dal niente e avere la bacchetta magica per risolvere tutto da soli, in un mondo così complesso. La verità la si cerca, la si cerca insieme. Non si presume di saperla e di imporla agli altri.

– Padre Alex, otto anni trascorsi in Sudan, undici in Kenya: ti manca l’Africa?

Moltissimo. L’umanità che hanno i poveri, qui non sappiamo nemmeno cosa sia. Per questo ho deciso di venire a Napoli, in Italia, nel rione Sanità: perché la missione è qui. Dal lato umano l’Africa mi manca profondamente. I poveri sono capaci di esprimerti, anche con i gesti, il loro sostegno. Qui da noi ognuno pensa e vive per sé. È una società consumista che ci ha ridotti a merci.

Korogocho, slum (baraccopoli) della periferia di Nairobi (Kenya).

– Ma si diventa missionari in seminario o in Africa?

Solo quando si ha lo stesso odore dei poveri, si possono capire i poveri. Un giorno a Korogocho arrivò un giornalista dall’Italia per intervistarmi. Scrisse: padre Zanotelli puzza. È vero, puzzavo. Ma solo se vivi da dentro la povertà vivi la missione. La fai, vivendola.

– Di fronte a tale miseria, ti sei mai chiesto: Dio, dove sei?

Tantissime volte me lo sono chiesto. È stata la tentazione più grossa che ho avuto. Per me era inconcepibile vedere tanta sofferenza. La risposta me l’hanno data i poveri: sono stati loro a convertirmi, a trasmettermi un’altra idea di Dio, non quello tappabuchi a cui pensavo io, che risolve i problemini. I poveri mi hanno rivelato un’immagine diversa di Dio. Come Florence, prostituta a 11 anni per volontà della mamma, che è morta poi a 17 per Aids. Le chiedevo: chi è Dio per te? E lei: Dio è mamma. Le dicevo: per te che volto ha Dio? Lei mi rispondeva: sono io il volto di Dio. E il suo volto era pieno di piaghe e di devastazione. Ecco cosa mi ha insegnato quella ragazza: Dio agisce per mezzo di noi. Dio piange quando vede la sofferenza di questi disastri, e chiede a noi di agire.

– Padre Alex, tu vivi da 14 anni a Napoli tra delinquenza e spaccio di droga. La situazione è peggiorata in questi anni: come fai a parlare di speranza?
La speranza nasce da noi, se noi riusciamo a cambiare. Cominciando dalle periferie. Io mi batto perché a Napoli ci siano scuole, aperte dal mattino alla sera. Solo così si può vincere lo spaccio in una metropoli che è il più grande mercato della droga d’Europa.

Bambino davanti a un murale di Scampia, Napoli.

– Hai parlato di fede e di speranza. Lasciami una domanda sulla carità. Ho letto un tuo scritto nel libro «L’industria della carità», in cui dicevi che «le Ong servono più a noi che agli impoveriti». Sei in piena sintonia con Salvini…

Direi proprio di no. Il libro è stato scritto qualche anno fa. Io le Ong le ho conosciute bene. Ci sono organizzazioni come l’ONU che spendono l’80% di ciò che raccolgono per mantenersi. Ci sono tante Ong che sono solo funzionali a se stesse. Io questo stigmatizzo delle Ong. Non il fatto che salvano dei disperati in mare, cosa che invece fa tanto arrabbiare Salvini. Lui gioca sulla pelle degli altri. L’unica cosa che condivido con la Lega è che tutta l’Europa è responsabile di questo, e deve darsi da fare per salvare vite umane e accogliere questi migranti.

– Padre Alex, perché in Italia è rinato il razzismo?

Quando ho iniziato a fare il missionario, io sono partito per convertire, e sono stato invece convertito. Bisogna mettersi continuamente in discussione, a livello personale, di idee, di atteggiamento verso l’altro. Il razzismo nasce dalla presunzione di superiorità.

– Non è che il razzismo è rinato per paura della globalizzazione e per l’insicurezza economica, oltre al fatto che ci sono partiti e leader che prosperano elettoralmente soffiando sul fuoco delle paure?

È vero, c’è anche questo: abbiamo paura di perdere il nostro benessere. Ma se il nostro benessere è fatto sulla pelle degli altri, lo possiamo accettare? Se è fatto sulla pelle del pianeta, lo possiamo accettare? Se non capiamo che stiamo mettendo seriamente in pericolo il mondo, la vita, perché abbiamo perso il senso del limite, non basterà il razzismo a salvarci. Dobbiamo toglierci dalla testa l’idea che noi siamo Dio, e che nessuno ci deve toccare ciò che riteniamo nostro. Come si può possedere, se nel mondo in questo momento mentre stiamo parlando c’è chi non ha il minimo per sopravvivere e per una dignità umana?

– Padre Alex, tu come ti definiresti? Un pauperista, un radicale, un fondamentalista, un prete di santa romana Chiesa?

Semplicemente un povero discepolo di quel povero Gesù di Nazareth.

Ricchezza e povertà a Bombay.

– Secondo te, nell’epoca di facebook e dei «mi piace» su ogni stupidaggine che qualcuno spara, è possibile ancora concepire una «cultura del noi», o ormai esiste soltanto l’apoteosi dell’«io», esaltato dal narcisismo digitale?

La cultura dell’«io» sta distruggendo l’uomo. Ma non possiamo rassegnarci a questo. Dobbiamo fermarci prima di sprofondare nell’abisso. Se invece proseguiremo in tale «cultura di morte», non ci sarà futuro per tutti noi. Nemmeno per il pianeta, come ci ricorda papa Francesco nella Laudato si’. È tempo di ricostruire una «civiltà dello stare bene», riscoprire la capacità di volersi bene, di darci una mano reciprocamente. È quella che Paolo VI chiamava «la civiltà dell’amore».

– Cosa ne pensi dei social? A volte sembra l’antilingua di cui parlava George Orwell in 1984: si chiamano social, e sono quanto di più antisociale ci possa essere.

A dir la verità è una domanda che andrebbe posta a qualcun altro, perché io i social non li uso, e sono totalmente al di fuori di tali meccanismi. Per me vale più una chiacchierata insieme all’altro, guardandosi nel volto, che tutto questo parlarsi addosso inutile su facebook. Io non voglio demonizzare nulla, ma di ogni cosa dobbiamo sempre domandarci: serve a darci e a trasmettere più umanità, o ci toglie umanità?

– Una curiosità: sono passati 40 anni da quando sei stato nominato direttore di Nigrizia nel 1978. Come andò a finire veramente quella volta che ti hanno rimosso? La Chiesa ti difese?

Avevamo scritto degli editoriali che non sono piaciuti. Uno l’avevo titolato “Il volto italiano della fame africana”. Ponevo delle domande sulla legge che fu finanziata a metà anni Ottanta «per debellare la fame nel mondo», con una montagna di soldi da spendere. Erano 1.900 miliardi delle vecchie lire. Ci chiedevamo se venivano utilizzati per colmare la fame dei poveri, o invece la fame di coloro che gestivano quei miliardi. È venuto fuori il putiferio. Flaminio Piccoli mi fece una telefonata terribile, mi ricoprì di insulti, mi disse che da un trentino, da un suo conterraneo, non si sarebbe mai aspettato una pugnalata del genere. E sbatté giù il telefono. Poi si mossero Craxi, Spadolini, Andreotti. Noi, invece, andammo avanti, con i “Beati i costruttori di pace”, con l’appello firmato dai vescovi del Triveneto di allora. Non l’avessimo mai fatto. Dal governo arrivarono pressioni fortissime in Vaticano. I comboniani mi difesero, il superiore generale respinse le mie dimissioni. Ma quando scrissi che c’era la mano dei socialisti in tutta quella gestione dei fondi, e il rischio era di sperperarli, la reazione fu violenta. Avevamo scritto anche del commercio italiano di armi, e come il nostro Paese prosperava sulla morte di tanti innocenti. Né più né meno che la verità scrivemmo, ma si scatenò la fine del mondo. Il Corriere della Sera e il Giornale lanciarono una campagna di stampa contro di noi, sostenendo che mettevamo a rischio la sicurezza dell’Italia con quelle denunce. Spadolini fece comperare pagine sui grandi giornali nazionali per attaccarci. La goccia che ha fatto traboccare il vaso fu quando scrivemmo un altro editoriale dal titolo: “Date a Cesare quel che è di Cesare…”. Dal governo tornarono alla carica in Vaticano. Fui convocato a Roma, e mi dissero: qui l’hai fatta proprio grossa, non possiamo più difenderti. Devi dimetterti da direttore. I comboniani provarono a difendermi ancora, inutilmente. Dovetti rassegnare le dimissioni».

– Padre Alex, secondo te per l’Africa ci sarà futuro? Cina, India, Russia stanno acquisendo terre e possedimenti, investendo enormi capitali. Cosa ne pensi?

È vero, continua la depredazione. In più c’è il problema enorme dei cambiamenti climatici, e avanza la desertificazione. In Europa non capiamo che entro il 2050 avremo 250 milioni di rifugiati climatici, 50 milioni dalla sola Africa, che per tre quarti diventerà inabitabile a causa del riscaldamento globale. Non lo dico io, lo dicono gli scienziati, e i rapporti ufficiali delle Nazioni Unite. Alla fine del secolo ci sarà un aumento della temperatura di tre gradi e mezzo, se siamo fortunati. Altrimenti l’aumento sarà di cinque gradi. E in Africa si arriverebbe a più 8 gradi, rispetto ad oggi.

– Che politiche occorrerebbero per l’Africa, secondo te?

Aiutarli a casa loro.

– Lo dice anche Salvini, la pensi come lui.

No, io dico aiutarli davvero a casa loro. I nostri governanti in Africa ci vanno solo per trattare il commercio di gas e di petrolio, non per conoscere e capire quali sono i bisogni dell’Africa. Nel frattempo stiamo vendendo armi a tutti, in barba alla legge 185. Dieci miliardi di euro in armi solo lo scorso anno abbiamo commerciato. Come si fa in questo modo ad aiutare gli africani a casa loro? Fornendo loro le armi per uccidersi? E poi ci domandiamo come mai scappano e arrivano sulle nostre coste!

– Domenica compi 80 anni: come lo festeggi il compleanno?

Lo festeggerò con i giovani del quartiere Sanità di Napoli. Facciamo un campo biblico. La speranza viene da loro. Ci sono ancora tantissimi bravi giovani in questo Paese.

– Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Pensi di restare a Napoli per sempre? Tornerai a trascorrere la tua vecchiaia in Trentino, a Livo? O sogni ancora di tornare in Africa, come il tuo confratello comboniano padre Mariano Prandi, che a 75 anni è di nuovo in partenza per il Congo?

No, no, non torno a Livo certamente. Sono tentato di chiedere ai miei superiori di lasciarmi partire di nuovo per l’Africa. È il mio sogno. Anche se so che la priorità della missione è qui, nelle periferie delle nostre città, per testimoniare un modo diverso di vivere e di costruire il domani. Per dare speranza.

– Vuoi dire qualcosa ancora ai trentini?

Dico loro: sono orgoglioso di essere trentino, amo la mia terra. Ma la mia preghiera che rivolgo a tutti i trentini è questa: ritornate ai valori grandi che hanno fatto grande la nostra terra, quelli che mi hanno fatto sognare da bambino, il senso dello stare insieme, del lavorare insieme, di volersi bene, di sentire che siamo un’unica umanità. Allora noi trentini vivremo la felicità.
[L’Adige]