La Chiesa Locale ci parla. Gli indirizzi missionari di Daniele Comboni sono ancora oggi parte di una storia di grazia che si aggiunge alle grazie che noi riceviamo per fronteggiare le nuove sfide e le nuove situazioni missionarie. I suoi scritti hanno un profondo e permanente significato spirituale e apostolico.

Ho riletto in spirito di umiltà e di preghiera il suo «Piano per la rigenerazione dell’Africa con l’Africa». Ho così potuto capire meglio non soltanto il contenuto dei suoi scritti, ma anche e soprattutto il suo zelo ardente per la redenzione degli africani, il suo grido martiriale e la sua vita che egli ha voluto riassumere nel dilemma: «O Nigrizia o morte». Mi sono lasciato questionare dai suoi indirizzi, che suscitano nel mio cuore tante risonanze e mi fanno ripensare e ridimensionare le mie esperienze di pastore in una chiesa locale africana.

Vorrei dire con parole semplici che gli indirizzi profetici di Daniele Comboni possono suscitare oggi nuovi missionari, africani e non africani, che fronteggino coraggiosamente le grandi sfide e le nuove situazioni rimanendo fedeli alle nuove grazie che lo Spirito Santo comunica oggi alla sua Chiesa.

Le linee missionarie di Comboni hanno fatto crescere delle Chiese locali, non soltanto con i suoi apostoli indigeni (sacerdoti, religiosi, laici), ma anche con delle espressioni originali (culturali e sociologiche) dell’unico Vangelo che Gesù ha predicato e che ci ha affidato per annunciarlo a tutta la famiglia umana.

I ‘semi del Verbo’, seminati dallo Spirito Santo durante secoli in tutti i popoli dell’Africa e del mondo, sono una ‘preparazione evangelica’, che li spinge a maturare fino all’incontro esplicito con Cristo risorto[1].

Gli indirizzi del Comboni, tracciati nel suo Piano missionario, sono stati un mezzo provvidenziale per raggiungere questo scopo. La realtà di grazia, che si trova in tante chiese particolari dell’Africa, è anche merito di tanti missionari che hanno speso la loro vita per costruire delle Chiese pienamente cristiane e quindi perfettamente africane[2].

Il mio cuore di pastore, ricordando la mia esperienza pastorale in Africa, mi fa capire le conseguenze odierne del grido di Daniele Comboni: «O Nigrizia o morte»[3]. La ‘Nigrizia’ viene scelta e amata da lui, poiché era (nel secolo XIX) la più povera e abbandonata tra le genti[4].

Oggi la situazione dell’Africa è peggiorata! Sul piano delle nuove politiche economiche mondiali, l’Africa è stata emarginata ed è diventata una vera e propria appendice, senza alcuna importanza. In un mondo totalmente controllato e dominato dalle nazioni ricche e potenti, l’Africa è un continente sempre meno importante, il più tartassato dalla miseria e dalla sofferenza, un continente dimenticato e abbandonato. Memori delle parole recentemente pronunciate sull‘Africa da Papa Giovanni Paolo II, il continente africano potrebbe essere paragonato alI ‘uomo della parabola evangelica che scendeva da Gerusalemme a Gerico, e che incappò nelle mani dei briganti. Essi lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto (cf. Lc 10,30-37).

Eppure, nonostante questa situazione di estrema miseria e sofferenza, il cristianesimo si è inserito in tutti i paesi africani con grande successo. Tuttavia le nuove povertà, materiali e morali, sono aumentate. Basta ricordare le nuove malattie, le guerre con milioni di morti, la migrazione continua anche verso i paesi più ricchi per poter sopravvivere, la perdita dei valori morali tradizionali. ..

«La Chiesa in Africa, fedele alla sua vocazione, si colloca con decisione al fianco degli oppressi, dei popoli senza voce ed emarginati» (EAf 44). «Essi hanno un bisogno estremo di buoni Samaritani che vengano loro in aiuto» (EAf 41 ).

Ma oggi il raggio d’azione della Chiesa è globale, in tutto il pianeta: le razze, le culture e le religioni, i poveri e sofferenti, si incrociano in tutti gli angoli del pianeta.

 

1. CHE’ COSA E’ LA MISSIONE

 

La missione nasce dall‘incontro con Dio Amore

Il Signore vede un popolo povero e nella sofferenza e il suo cuore si commuove: “Ho visto le disgrazie del mio popolo in Egitto, ho ascoltato il suo lamento a causa della durezza dei sorveglianti e ho preso a cuore la sua sofferenza” (Es 3,7). Ma, alla luce dell’Incarnazione del Figlio di Dio, queste espressioni di amore prendono la figura di un cuore di carne, il cuore compassionevole di Cristo: “Sento compassione di questa folla” (M t 15,32); “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò... imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime” (M t 11,28-28).

Tutti i temi si possono spiegare a partire dalle idee che in essi sono contenute. Il tema ‘missione’ indica invio da parte di Dio, per mezzo di Gesù, con la forza dello Spirito, presente nella Chiesa, per la salvezza di tutta l’umanità. Il tema ha quindi dimensione trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiologica e antropologica-sociologica.

Noi cristiani, però, dobbiamo prendere i temi in stretto rapporto a Dio Amore, un Dio compassionevole che ci ama senza limiti. La missione non è un’idea o una cosa, ma ‘qualcuno’ che ama. Rileggendo la biografia e gli scritti di Daniele Comboni, appare con chiarezza che la sorgente della missione e dell’entusiasmo apostolico sgorga dalla scoperta e dall’incontro dell’Amore di Dio per gli uomini. La missione che svolge il Comboni nasce dall’incontro personale con Dio Amore, un amore che sgorga come un fiume impetuoso dal cuore trafitto di Gesù e che «riempie e inonda il fondo delle nostre anime, dei nostri cuori e delle nostre menti, tutto quello che trova» [5].

Si potrebbe dire che la sua esperienza dell’amore di Dio, manifestato per mezzo di Gesù, è simile a quella di Santa Teresa di Lisieux: «Capii che la Chiesa aveva un Cuore e che questo Cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa... Capii che l’Amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’Amore era tutto»[6].

I santi missionari sono esperti nella scienza dell’amore, perché hanno una profonda esperienza di incontro con Dio Amore. La teologia sulla missione s’impara, senza dimenticare la teologia sistematica, «da quel grande patrimonio che è la ‘teologia vissuta’ dei Santi» (NMi 27).

Mettendo in rapporto due testi biblici sull’epifania di Dio, possiamo capire meglio l’esperienza del Comboni, simile a quella di Mosè davanti a una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto, che però non si consumava: “Voglio recarmi a contemplare questo grande spettacolo. Perché mai non brucia il roveto?” (Es 3,3). Alla luce del Verbo fatto uomo, come epifania personale di Dio Amore, appare in tutta la sua profondità la rivelazione su Dio Amore: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui ed esperimenta personalmente il suo amore non muoia, ma abbia la vita eterna (cf. Gv 3,16).

E’ proprio nel triduo di speciali preghiere, in preparazione alla Beatificazione della visitandina francese Margherita Maria Alacoque, che è nato il progetto missionario del Comboni. Precisamente durante la preghiera, cioè nell’incontro intimo con l’ Amore di Dio espresso nel sacro Cuore di Gesù, che sono nati questi pensieri missionari sull’ Africa. Così scrive il Comboni: «Questo progetto credo sia di Dio, perché mi è balenato in mente il giorno 15 settembre mentre facevo il triduo alla Beata Alacoque; e il giorno 18 settembre in cui quella serva di Dio venne beatificata, il cardinale Barnabò compiva di leggere il mio piano. Vi lavorai 60 ore continue»[7].

Nessuno può andare in missione se non ha incontrato personalmente Dio-Amore che lo ama come un padre ama il suo figlio, e se l’Amore del Cristo non lo “spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti.. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e resuscitato per loro” (2 Co 5,14-15).

Questa è la novità della rivelazione cristiana: «Se Dio va in cerca dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza sua, lo fa perché lo ama eternamente nel Verbo e in Cristo lo vuole elevare alla dignità di figlio adottivo» (TMA 7). Dio si rivela come Amore nell’Incarnazione del Verbo, come Parola definitiva per tutta l’umanità: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui” (l Gv 4,9).

 

La missione nasce dall’incontro personale col Santo

La missione di Gesù, comunicata alla Chiesa, è di annunciare questo amore di Dio per tutti i popoli. I santi missionari, come il Comboni, hanno sperimentato la missione a partire dall’incontro con il fulgore della santità di Dio e la visione del Santo: “I miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti... sentii il Signore che mi diceva: ‘chi manderò? chi sarà il nostro messaggero?’ Io risposi: ‘sono pronto! Manda me’!” (Is 6,1.5.7-8; Lv 19,1). Nel Nuovo Testamento, la missione scaturisce dall’esperienza di incontro con Cristo ‘il Santo di Dio’ (M c 1,24): “Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato...noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (lGv 1,1-4).

Nell’incontro di Mosè con Dio, ‘faccia a faccia’ (Es 33,11), il suo volto è rimasto radiante di gloria, come riflesso della gloria di Dio, per poter comunicare al popolo la parola piena di luce (cfr. Es 34,29). L’apostolo è toccato dall’esperienza di incontro con Cristo risorto, che perciò diventa il suo ‘splendore’ (Gv 17,10). Abbiamo bisogno di pastori secondo il cuore di Dio: “Vi darò pastori secondo il mio cuore” (Ger 3, 15), che abbiano «un crescente e appassionato amore all’uomo» (PDV 73) e ci ricordino con l‘esempio della loro vita che “Dio ci ha scelti in Cristo Gesù prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nell‘amore, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà” (Ef 1,4-5).

Una delle affermazioni più profonde dell’enciclica Redemptoris missio sulla missione, a mio avviso, è questa: «La missione della Chiesa, come quella di Gesù, è opera di Dio o -come spesso dice Luca -opera dello Spirito. Dopo la resurrezione e l’Ascensione di Gesù gli Apostoli vivono una esperienza forte che li trasforma: la Pentecoste. La venuta dello Spirito Santo fa di essi dei testimoni e dei profeti ( cfr .At 8; 2, 17 -18), infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima» (RMi 24)[8].

In questa prospettiva è urgente ricordare che «il futuro della missione dipende in gran parte dalla contemplazione. Il missionario, se non è un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone dell’esperienza di Dio e deve poter dire come gli Apostoli: ‘Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita .’., noi lo annunzi amo a voi’ (1 Gv 1, 1-3) (RMi 91).

Ho l’impressione, leggendo queste affermazioni del magistero, che veramente esse ci offrano una ‘teologia vissuta dei santi’, come quella del Comboni. Non si potrebbe capire il suo ‘Piano’ sull’Africa senza questa esperienza dell’amore di Dio manifestato in Gesù specialmente per i più poveri e dimenticati.

La canonizzazione di Daniele Comboni mette in evidenza che il vero missionario è il santo. Soltanto i santi possono assicurare la santità del popolo e l’educazione della gioventù nel vero incontro col vangelo. In questo senso, la ‘santità’ è quell’approccio alla realtà di Dio che è Amore. Senza quest’esperienza di incontro con l’ Amore, non c’è missione. «La chiamata alla missione deriva di per se dalla chiamata alla santità. Ogni missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella via della santità. La santità deve dirsi un presupposto fondamentale ed una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione di salvezza della Chiesa. L‘universale vocazione alla santità è strettamente collegata all’universale vocazione alla missione: ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione» (RMi 90).

Questo brano dell’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II viene citato con insistenza nell’esortazione apostolica Ecclesia in Africa come rivolto ‘a tutti i cristiani d’Africa’, poiché «tutti i figli e le figlie dell’Africa sono chiamati alla santità» (EAf 136). L’esortazione apostolica sottolinea che la santità è un presupposto per il rinnovamento dell’azione missionaria oggi: «La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, ne organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, ne esplorare con maggior accuratezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo ‘ardore di santità’ fra i missionari e in tutta la comunità cristiana» (RMi 90; EAf 136).

Quindi la conseguenza pastorale della proclamazione trinitaria della salvezza è la vigilanza e, in essa, la purificazione e la santificazione: “ ‘Non conformatevi ai desideri di un tempo’, non lasciatevi modellare dalla mentalità mondana, ma ‘diventate santi’, modellatevi ‘a immagine di colui che vi ha chiamato’ per “rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera’ “ (Ef 4,24).

L’urgenza di formare alla santità diventa un’urgenza pastorale: «La prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità... additare la santità resta più che mai un’urgenza della pastorale» (NMi 30).

Evangelizzare in Africa significa presentare una nuova esperienza di Dio. La persona africana ha un profondo senso di Dio, tutta aperta al Vangelo e a quei valori e tradizioni religiosi che pongono Dio al centro della vita e del mondo. Dio diventa familiare, anche se nascosto nel suo mistero infinito [9].

Solo quelli che hanno visto Dio con i propri occhi, quelli che l’hanno toccato, quelli che hanno fatto l’esperienza personale di Dio Amore in Cristo, possono essere mandati come missionari in Africa. Abbiamo bisogno di missionari che abbiano il coraggio di annunciare l’avvento salvifico e definitivo di Cristo: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11 ).

La sorgente della missione sgorga dalla contemplazione del Crocifisso. Così lo capì Daniele Comboni quando in un momento di notte della fede, alla luce del costato squarciato di Cristo, ha avuto l’illuminazione sul modo di evangelizzare l’Africa per mezzo dell’Africa[10].

 

II. CHI E’ IL MISSIONARIO

 

Il missionario: uomo di Dio e per Dio e uomo di Chiesa

Il missionario è un uomo di Dio, un uo

Mons. Robert Sarah, Segretario C.E.P.