di Alessandro Guarda

“Ai più poveri, con la passione di Comboni nel cuore” (AC.’03, cap. 2°.B)

- Ripartire dal Vangelo di Cristo e dalla Regola di Vita come fonte di ispirazione delle nostre scelte- (AC’03, n.52.1)

1° incontro

Introduzione

La scelta del presente tema è data da alcuni elementi che compongono la nostra attualità:
- La riflessione sulla missione suggerita dal processo di maturazione della Ratio Missionis, assunto anche dal nostro Progetto Comunitario 2004-05;
- La mia funzione istituzionale di “animazione spirituale della comunità per mezzo di una riflessione sul tema della povertà e della solidarietà”, come è stato sottolineato dal recente Capitolo (AC’03 n. 104.2)
- Dalle indicazioni capitolari sulla Formazione Permanente, che invita principalmente a “ripartire dal Vangelo di Cristo e dalla Regola di Vita come fonti di ispirazione delle nostre scelte.” (AC’03, n.52.1)
- La festa di oggi, la presentazione di Gesù al Tempio, e la conseguente giornata dedicata alla vita religiosa, invitano a cercare degli spunti per la nostra meditazione dai documenti del Magistero, ultimo (forse) in ordine cronologico l’Esortazione Apostolica “Vita Consecrata”. Significativo comunque perché documento che sorge dal Sinodo dei Vescovi sulla Vita consacrata, dove emergono le attese della chiesa d’oggi nei confronti dei consacrati.

Il ministero di Gesù

Nel Vangelo possiamo trovare molti elementi che identificano la missione di Gesù: le Tentazioni, le beatitudini, il Discorso della montagna, in Matteo cap.5.
Se è difficile per noi fare una sintesi della missione di Gesù in poche righe, possiamo affidarci alla scelta fatta da Luca nel suo Vangelo: Lc. 4,16-19, dove si mostra che Gesù realizza le attese profetiche e si identifica con quanto detto da Isaia. Con una certa metodologia si può dire che innanzitutto si mette davanti “la missione”, poi saranno indicate le modalità
Il ministero di Gesù è prioritario nei confronti delle modalità di realizzazione della sua stessa missione, anche nei confronti della sua povertà dunque.

Lc. 4, 16-19 – All’inizio del suo ministero, nella sinagoga di Nazareth, Gesù proclama che lo Spirito lo ha consacrato per portare ai poveri il lieto messaggio, per proclamare la liberazione dei prigionieri e il dono della vista ai ciechi, per liberare gli oppressi.
Con questo proclama, messo all’inizio del suo vangelo, Luca ci vuole indicare le linee maggiori del programma di Gesù. Di fatto rimarrà aperto a tutte le persone, ricchi e poveri, ebrei, romani e pagani, andrà anche al di là delle attese della gente, ma conserverà un atteggiamento particolare verso la categoria dei poveri, al punto che sarà chiamato “Maestro buono”.
Il soccorso a queste persone provate dalla vita e dalla società sarà fisico per alcuni che si rivolgeranno a lui con fiducia ed avranno la fortuna di incontrarlo, ma non sarà sistematico, nel senso che Gesù non apre un ospedale o una istituzione di soccorso. Rimane un “maestro”, vuole insegnare una via valida per tutti ed innovativa per la trasformazione del mondo: agisce personalmente, ma pensa ai suoi discepoli: che cosa e come potranno continuare la sua opera. Preferisce ciò che può fare l’esempio e un nuovo atteggiamento seguito da molti, più che un lavoro fatto in modo isolato.
Gli oppressi sono nel suo cuore, vive coerentemente una vita che non sia un’offesa alla loro povertà, se deve scegliere sta dalla loro parte, vive prima degli apostoli ciò che dirà Pietro in seguito “Non ho né oro né argento, ma ciò che ho te lo do”… e Gesù può aggiungere “la mia vita”.

La scelta preferenziale per i poveri

Il Vecchio testamento presenta Dio come l’amico e il protettore dei poveri, il difensore dell’orfano, dello straniero, della vedova. Quando sulla terra si stabilirà il Regno, i poveri non potranno che essere i prediletti.
E Gesù è sulla stessa linea. L’annuncio kerigmatico nella sinagoga di Cafarnao parte dal noto testo di Isaia che prevede il Messia annunciatore del lieto messaggio ai poveri. Anche le beatitudini di Luca sono da leggersi in questo contesto: Beati voi poveri, non perché siete poveri, ma perché essendo venuto il regno, la vostra povertà sta per finire.
Che cosa significa il termine “povero”?
Se il termine non si riferisce solo a una carenza economica, non gli si può però attribuire per questo un significato puramente spirituale. Povertà significa in questo senso una condizione di reale indigenza, la condizione di colui che è prostrato a terra perché privo di qualcuno dei beni essenziali. La definizione marxista è superata, senza cadere però nell’eccesso dello spiritualismo.
Così si comprende il tentativo fatto dalla Chiesa italiana e da altri ambienti religiosi sensibili a questo tema, di sostituire il termine “poveri” con un altro più vicino al linguaggio della Bibbia e alla realtà attuale: gli ultimi, marginali, emarginati.
Le nuove povertà, quelle cosiddette post-industriali o post-materiali (gli anziani, gli handicappati, i tossicodipendenti, i dimessi dalle carceri o dagli ospedali psichiatrici), non hanno eliminato le povertà tradizionali. C’è ancora gente priva dell’essenziale, cioè della salute, della casa, del lavoro, del salario familiare, dell’accesso alla cultura, della partecipazione. E la nostra esperienza missionaria nel mondo ci permette di approfondire questo concetto anche a livello di Popoli e gruppi umani, messi da parte nel consesso nazionale ed internazionale.

L’esortazione apostolica “Vita Consecrata” dichiara che la Chiesa fa sua la missione del Signore, annuncia il Vangelo a tutte le persone, uomini e donne, e si impegna per la loro salvezza integrale, ma ha un’attenzione speciale, una vera “opzione preferenziale” verso coloro che si trovano in una situazione di più grande bisogno. I “poveri” nelle molteplici dimensioni della povertà, sono gli oppressi, i marginalizzati, le persone anziane, gli ammalati, i piccoli, tutti coloro che sono considerati come “gli ultimi” nella società. (cf. VC, 82).

L’opzione per i poveri si situa nella logica stessa dell’amore vissuto secondo il Cristo, Tutti i cristiani devono farla, ma color che vogliono seguire il Signore più da vicino, imitandone il suo comportamento, (i religiosi) non possono non sentirsi impegnati in un modo tutto particolare. La sincerità della loro risposta all’amore di Cristo li conduce a vivere da poveri e ad abbracciare la causa dei poveri. Ciò comporta per ogni istituto, secondo il proprio carisma specifico, l’adozione di uno stile di vita, sia personale che comunitario, umile ed austero. (cf. VC, 82).

Il nostro Capitolo Generale ha riconosciuto delle sfide attuali per l’Istituto comboniano: “Oggi più che mai ci sentiamo chiamati a solidarizzare con gli emarginati, promovendo i diritti umani fondamentali e rimettendo la persona, non il profitto, al centro del progetto sociale”. (AC’03, n.29), ed ha confermato la missione comboniana oggi, riaffermando che “siamo inviati ai popoli e ai gruppi umani più poveri ed emarginati: realtà di minoranze non raggiunte (dal resto) della Chiesa e trascurate dalla società; gruppi non ancora e non sufficientemente evangelizzati che vivono alle frontiere della povertà, per cause storiche e per gli effetti negativi della globalizzazione e dell’economia di mercato.” (AC’03, n.36), in pieno sviluppo con quanto affermato dalla Regola di Vita fin dal 1988, e riferentesi all’Ad Gentes, all’Evangelii Nuntiandi ed al Codice di Diritto Canonico, che afferma che “l’Istituto ha come fine di attuare la missione evangelizzatrice della Chiesa (affermata da Vita Consecrata), tra quei popoli o gruppi umani non ancora o non sufficientemente evangelizzati”. (RV.13)

Gesù povero

La scelta di una vita “povera ed austera” da parte di Gesù è la conseguenza della missione stessa accettata dalle mani del Padre, per la l’evangelizzazione dei poveri (“Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc.6,20). Stranamente non tira le conseguenze che noi tiriamo così spontaneamente: per aiutare i poveri bisogna avere tanti soldi da distribuire! Non così per Gesù.
Gesù con la sua scelta di povertà accusa il sistema: i poveri sono amati da Dio e rifiutati dalla società!
- al banchetto sono invitati “poveri, storpi, ciechi e zoppi” (Lc.14,21); “Io ti rendo lode, Padre, - dice Gesù - perché hai rivelato queste cose ai piccoli” (Lc.10,21); “Chi si umilia sarà esaltato” (Lc.14,11).
- “I capi delle nazioni voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere” (Mt.20,25). “Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali? (Gc.2,6) “Un mendicante di nome Lazzaro giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco.” (Lc.16,20)
L’ingiustizia, l’egoismo e l’avidità sono alla base della sofferenza nel mondo. Innanzitutto è necessario un “uomo nuovo”, libero da tutte queste pecche e peccati. Questa libertà interiore deve estendersi alla maggioranza, a tutti gli uomini dell’universo, per eliminare realmente la causa del male.
Questa è la vera soluzione della povertà nel mondo. Tutti vivano concretamente, quotidianamente la solidarietà, l’amore, la sensibilità verso l’altro.

Gesù non si appropria dei beni materiali né per sé, né per gli altri. Ciò che ha lo condivide, ed accetta di vivere di condivisione. I buoni propositi di Zaccheo ci dicono molto di quanto Gesù predicava concretamente alla gente: “Restituirò quanto ho rubato quattro volte tanto e la metà dei miei beni la darò ai poveri.” (Lc. 19,8): quindi giustizia e condivisione!
“Chi non rinunzia a tutto quel che possiede non può essere mio discepolo” (Lc. 14,33). Gesù chiama a sé non per accumulare ciò che i discepoli lasciano, ma perché lo seguano sulla stessa strada. “Vendi tutto quello che possiedi e i soldi che ricavi distribuiscili ai poveri. Allora avrai un tesoro in cielo. Poi vieni e seguimi.” (Lc. 18,22) E manda i suoi senza contare su strutture materiali, evidentemente seguendo il suo stile: “Non portate né, borsa né sacco, né sandali.” (Lc. 10,4) Gli insegnamenti su questa libertà interiore con la conseguente coerenza di vita, si ripetono a bizzeffe nel vangelo, soprattutto quello di Luca. “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.” (Lc. 9,58).

Gesù ha scelto di essere povero nella sua vita terrena e storica ed è ancora presente nel mondo come povero nella persona dei poveri, in chi ha fame, chi ha sete, chi è nudo. (Mt. 25,31-46).
Il Concilio Vaticano II sottolinea una dimensione specifica della carità che ci guida, sull’esempio di Gesù, ad andare particolarmente incontro ai poveri “Come Cristo… è stato inviato dal Padre “per portare la buona notizia ai poveri, guarire i cuori feriti” (Lc.4,18), cercare di salvare chi era perduto (Lc.19,10): nello stesso modo la Chiesa avvolge del suo amore tutti coloro che la debolezza umana affligge; di più, nei poveri e sofferenti riconosce l’immagine del suo fondatore povero e sofferente, si sforza di sollevare la loro miseria, ed in essi è il Cristo che vuole servire.” (LG n.8)

Il Capitolo del 2003 indica ai Comboniani qual è la via di imitazione di Cristo: “Troviamo nel Cuore trafitto di Cristo, Buon Pastore, il modello, la sorgente e la forza per donare la nostra vita ai più poveri.” (AC’03, n.53)
Questa imitazione di Cristo ci interpella:
- “ad assumere nuovi stili di vita, nell’opzione per l’austerità e la solidarietà;” (AC’03, n.54.3)
- “a stare con e tra i poveri, facendo con loro causa comune e imparando a leggere insieme la Parola e la realtà” (AC’03, n.54.4)
“Di fronte al consumismo della società – ma ricordiamo anche i tempi di Gesù che diceva “Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re!” – rinnoviamo la nostra opzione per l’autolimitazione dei beni economici (RV 164), come un’espressione della sequela di Cristo. Essa si traduce in un’educazione alla sobrietà e alla semplicità volontaria”. (AC’03, n.103) Questo poi a conferma della RV. 27 che afferma “Il missionario sceglie volontariamente la povertà di Cristo… e segue uno stile semplice di vita per essere libero di portare il messaggio evangelico ai più poveri e abbandonati e vivere in solidarietà con loro”. Condivisione dei beni sì, ma soprattutto condivisione della povertà! E con questa affermazione la RV raggiunge le scelte fatte da Cristo: povertà per la missione di annuncio del Vangelo ai poveri!

Testimoni del Cristo nel mondo

Il senso missionario trova nella vita consacrata una realizzazione specifica. Il senso missionario si situa nel cuore stesso di tutte le forme di vita consacrata. La persona consacrata coopera efficacemente alla missione del Signore (Come il Padre ha mandato me, così io mando voi – Gv.20,21) contribuendo in modo particolare al rinnovo del mondo. La scelta di vita stessa del religioso è un annuncio dei valori del Vangelo. Il loro stile di vita deve riflettere l’ideale che professano, presentandosi come segni viventi di Dio e dei predicatori convincenti del Vangelo. (VC n. 25)

Alla vigilia del Giubileo, il 27/10/99, il Papa diceva “ Non posso mancare di far notare ancora una volta, che i poveri costituiscono la sfida di oggi, in particolare per i popoli sviluppati del nostro pianeta, dove milioni di persone vivono in condizioni inumane e muoiono letteralmente di fame. Annunciare Dio Padre a questi fratelli non è possibile senza l’impegno a collaborare in nome di Cristo alla costruzione di una società più giusta.” (Udienza generale)

2° incontro

Nel primo incontro abbiamo riflettuto partendo da Cristo, la sua missione e le sue scelte di vita. Una seconda riflessione, parallela alla prima, la possiamo fare partendo dalle scelte della prima Chiesa apostolica.

Immagine della comunità apostolica

Posando il nostro sguardo sulla comunità di Gerusalemme possiamo convenire con l’Esortazione Apostolica Vita Consacrata (n.45) che afferma:
“La vita fraterna è un elemento fondamentale del cammino spirituale delle persone consacrate, sull’esempio dei primi cristiani di Gerusalemme, che erano assidui nell’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, alla preghiera comune, alla partecipazione all’Eucaristia, nella condivisione dei beni materiali e spirituali (At. 2,42-47).”
Ciò che gli Apostoli avevano vissuto e ricevuto come insegnamento da Gesù lo vogliono mettere in pratica nell’attesa del ritorno del Signore. La condivisione dei beni è un elemento chiaro e costante nell’insegnamento di Gesù: vedi per esempio ciò che Gesù aveva chiesto al giovane ricco. “Vendi tutto, dallo ai poveri e seguimi”. E Pietro in seguito chiederà a Gesù: “E noi che abbiamo lasciato tutto, cosa avremo?”
La Chiesa primitiva sottolinea: distacco dai beni della terra, attenzione ai meno favoriti nella società ad imitazione di Cristo. L’obbiettivo da raggiungere è che “nessuno di loro fosse (era) bisognoso”. (At. 4,34)
Tornano alla mente le parole di Giovanni il Battista: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto!” (Lc.3,11). E Gesù: “Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio.” (Lc.6, 38).
La Chiesa apostolica vuol realizzare la comunione dei beni e togliere il bisogno dal suo seno, … in attesa del ritorno del Signore. Paolo, in una prospettiva temporale ed escatologica più realistica, inviterà a continuare a lavorare, ma a condividere con chi è povero, anche per il servizio del Regno e nella fraternità della fede. “Chi non vuol lavorare non mangi neppure… A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace. Voi fratelli, non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene.” (2 Ts. 3,13).
La chiesa apostolica è rimasta un punto di riferimento nella storia della Chiesa ed anche per il nostro ideale missionario.

La tentazione rimane, quella di entrare nel novero dei potenti della terra, senza schierarsi chiaramente contro l’ingiustizia per non perdere i propri beni “che serviranno ai poveri”, diremo come scusa: complici dell’ingiustizia per curare le vittime dell’ingiustizia.

La fraternità in un mondo di divisioni e di ingiustizia

La chiesa affida alle comunità di vita consacrata il dovere particolare di sviluppare la spiritualità della comunione innanzitutto all’interno di se stesse, in una comunione fraterna nelle comunità e nell’Istituto, nella comunità ecclesiale e al di là dei suoi limiti, continuando costantemente il dialogo della carità (VC n.51).
“La testimonianza di povertà dell’Istituto comboniano si esprime nella comunione, condivisione e autolimitazione dei beni economici, secondo lo spirito e la pratica delle prime comunità cristiane”, afferma la RV al n. 164.
Il Fondo Comune è una scelta e un atteggiamento di vita che, ispirandosi alla prima comunità cristiana (RV 27.3), esige la conversione del cuore e dello stile di vita, conferma il Capitolo. (AC’03, n.102.2)

Una forte provocazione attuale proviene da un materialismo avido di possesso, indifferente ai bisogni e alle sofferenze dei più deboli e anche sprovvisto di ogni considerazione per l’equilibrio delle risorse naturali. La risposta della vita consacrata, in controcorrente, si trova nella povertà evangelica, vissuta con forme diverse e spesso accompagnata da un impegno attivo nella promozione della solidarietà e della carità. (VC.89)

Il povero diventa l’oggetto di un’attenzione particolare in quanto vittima di un’ingiustizia perversa. Le invettive dei profeti contro lo sfruttamento dei poveri sono celebri. Difendere il povero è onorare Dio, padre dei poveri. (Hanno venduto come schiavi uomini onesti, costringono il povero a strisciare nella polvere e rendono la vita difficile al debole – dice Amos (2,6) con parole sempre attuali. E’ questo il motivo per cui la generosità verso di loro è giustificata e raccomandata (Udienza generale del Papa il 27/10/99).

Forti della testimonianza vissuta le persone consacrate potranno denunciare le ingiustizie commesse contro i figli e le figlie di Dio e impegnarsi per la promozione della giustizia nel campo sociale dove lavorano. (VC n.82) E’ importante questo invito della Chiesa nelle parole del Papa. Innanzitutto autorizza ed invita i religiosi ad occuparsi della promozione della giustizia nel campo sociale, li invita a scendere in piazza; in secondo luogo pone il giusto contesto: “forti della testimonianza vissuta”. Non slogan composti a tavolino, o iniziative emotive ed ideologiche, ma esigenza della vita evangelica vissuta tra e con i poveri.

La vita consacrata a servizio dei poveri

Per la vita consacrata il servizio dei poveri è un atto di evangelizzazione. (VC.82)

Profetismo della vita consacrata

La testimonianza della vita consacrata al Vangelo andrà di pari passo naturalmente con l’amore preferenziale per i poveri e si manifesterà specialmente nella condivisione delle condizioni di vita dei più abbandonati. Molte comunità vivono e lavorano in mezzo ai poveri e agli emarginati, adattano le loro condizioni di vita e condividono le loro sofferenze, i problemi ed i pericoli.
E’ chiesto alle persone consacrate di dare una testimonianza evangelica rinnovata e vigorosa di abnegazione e sobrietà, con uno stile di vita fraterno caratterizzato dalla semplicità e dall’ospitalità, se non altro come esempio per coloro che restano indifferenti ai bisogni del loro prossimo. (VC.90)

La comunità comboniana

Da parte comboniana, la missione, l’uso dei beni, la povertà e la comunità, sono tradizionalmente elementi di uno stesso stile di vita missionaria.
Il Capitolo del 1997 ha ripreso l’espressione di Comboni “Povero per vocazione e per necessità, sacrifico tutta la mia esistenza per soccorrere i miei fratelli in Cristo” (S.1769), e l’ha applicata alla nostra realtà attuale: “Sulla scia del nostro fondatore riteniamo che la povertà che professiamo come religiosi è condizione della missione, perché essa ci permette di essere più vicini, come persone e come strutture, alla vita della gente a cui siamo mandati, facendo causa comune con essa.” (AC’97, n.179)

Già la Regola di Vita afferma che “la testimonianza di povertà è più credibile quando la comunità come tale vive secondo uno stile evangelico di vita.” (n.29), nel contesto concreto del popolo col quale vivono, si riflette nello stile di vita, nell’abitazione, nell’ospitalità e nella scelta dei mezzi e programmi adatti all’ambiente.” (n.29.1)
Al n. 162 professa la comunione dei beni, principio ripreso dai Capitoli sotto diverse forme: nel ’97 invitando la comunione nelle comunità, nelle province e nell’Istituto. L’invito programmatico più appariscente è quello di accedere alla forma di Fondo Provinciale Comune; dopo sei anni di esperienza il Capitolo del 2003 sottolinea che l’adozione del Fondo comune “esige la conversione del cuore e dello stile di vita, ispirandosi alla prima comunità cristiana” (AC’03, n.102.2).
Però una visione meramente economica del problema ne falsifica la portata; è importante tenerlo sempre collegato con la missione. Il recente Capitolo, nel contesto della missione comboniana oggi, lo dice: “Operando sempre in modo comunitario nel rendere presente Gesù Cristo ed il suo regno… condividiamo la vita dei poveri usando il denaro per una solidarietà efficace e rispettosa della loro dignità.” (AC.’03, n.42.8). Invitando a fare progetti di promozione umana ricorda che siano “impegni che fanno parte della programmazione provinciale.” (n.50.1). E descrivendo la comunità dice che “è il luogo dove si compie il discernimento, la scelta, la realizzazione e la valutazione del lavoro e del servizio missionario.” (n.85). “La condivisione dei beni e dei mezzi materiali in comunità esprime il dono di noi stessi a Cristo. Diventa a sua volta proposta alternativa e denuncia profetica del materialismo e consumismo dominanti in un mondo globalizzato” (n.86).
Ritiro della Comunità della Curia – Eur<br> 02/02/2005</br>