Sabato 6 settembre 2014
Alle porte di Juba nasce un Centro dove si ritroveranno Dinka e Nuer, i gruppi etnici che si combattono. La formazione spirituale per uno sviluppo duraturo. P. Daniele Moschetti, comboniano e rappresentante dei superiori di tutti gli istituti religiosi presenti in Sud Sudan, è il promotore di un progetto impegnativo e originale per il Paese. Obiettivo: guarire i traumi di guerra.

 

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P. Daniele Moschetti, coordinatore e provinciale dei missionari comboniani
in Sud Sudan, parla di un importante progetto per la nazione più giovane
del mondo: la realizzazione di un centro di Peace buiding, a Juba, nel quale i diversi gruppi etnici, in primis Dinka e Nuer,
possano riconciliarsi e condividere
momenti di crescita umana e spirituale.

 

“Noi eravamo qui prima della guerra, siamo rimasti prima e durante i quarant’anni di conflitto e non ce ne andremo neanche dopo. Ecco perché dobbiamo guardare lontano, non possiamo aspettare. Dobbiamo agire, ora, per andare oltre la guerra!”.
I missionari sono così. P. Daniele Moschetti, comboniano e rappresentante dei superiori di tutti gli istituti religiosi presenti in Sud Sudan (RSASS), è il promotore di un progetto impegnativo e originale per il Paese. Obiettivo: guarire i traumi di guerra.

No, non è un ospedale, ma un centro di “Peace building”, un luogo dove i diversi gruppi etnici possano ritrovarsi, dialogare e condividere momenti di crescita umana e spirituale. In una parola: costruire la pace, insieme. Dinka e Nuer alla fine dell’anno scorso sono tornati a scontrarsi, dopo aver fondato insieme lo Stato più giovane del mondo, tre anni fa. Come sempre, chi paga le conseguenze di questi conflitti, è soprattutto la società civile: migliaia di vittime, fra cui molti civili e oltre un milione di persone costrette ad abbandonare le loro case, i villaggi, il raccolto. L’economia è precipitata. “Le quaranta congregazioni religiose cattoliche e le diocesi locali giocano un ruolo decisivo in questa situazione, ecco perché non si può temporeggiare in attesa di tempi migliori: bisogna assicurare fin da ora una formazione spirituale e umana a tutti i sudanesi, così come al personale ecclesiastico”.

Padre Daniele Moschetti è impegnato in un tour negli Stati Uniti. Sta cercando i 2 milioni di dollari necessari per la costruzione del Centro, che sorgerà alle porte della capitale, Juba. Una struttura che potrà ospitare fino a cento persone. L’11 ottobre sarà l’arcivescovo di Juba, monsignor Paolino Lukudu Loro, a posare la prima pietra: “Abbiamo un grande bisogno di guarire i traumi prodotti dalla guerra. Dobbiamo imparare a risolvere i conflitti. Per questo è importante mettere a disposizione un luogo di incontro dove i diversi gruppi etnici possano condividere le sofferenze, le paure ma anche le loro potenzialità e ricchezze culturali, senza pregiudizi”.

“Dei bisogni materiali della gente si prendono cura molte organizzazioni umanitarie, mentre poca attenzione viene dedicata alla formazione spirituale. Noi però siamo convinti che la formazione spirituale possa garantire la pace e anche uno sviluppo sostenibile e duraturo”, sostiene Padre Moschetti. La soluzione dei conflitti, le cure dei traumi di guerra, la costruzione della pace in una società più umana passano anche attraverso la comprensione profonda del significato della fede, in una società in continua trasformazione.

“Il futuro ci appare incerto e fosco, non prevedibile. Tuttavia noi siamo determinati a continuare a lavorare con la gente per costruire una società più umana dove i valori del Regno di Dio, il rispetto, la riconciliazione, la comprensione l’accettazione dell’altro e quindi la guarigione, diventino patrimonio comune di conoscenze e di vita”. Padre Daniele Moschetti spera che l’anno prossimo possano già iniziare i primi incontri. C’è tanto da fare, dopo quarant’anni di guerra.
Davide Demichelis