La parabola dei lavoratori chiamati a diverse ore del giorno a lavorare nella vigna dà l’intonazione tematica alla liturgia della parola di questa domenica. Viene messo in risalto l’iniziativa gratuita e libera di Dio. Questa è rappresentata dalle diverse uscite e chiamate del padrone della vigna, scandite dalle diverse ore del giorno: all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio.

L’economia di Dio

La paga giornaliera di un operaio al tempo dei Vangeli era di un denaro, e questo corrispondeva al fabbisogno di un padre di famiglia perché i suoi figli avessero di che vivere. Essere presi a giornata da un padrone non era un optional, ma una questione vitale. Se leggiamo in questa luce la parabola dei lavoratori nella vigna presi nelle diverse ore, allora intendiamo meglio la scelta del padrone: lui non conta le ore ma la necessità di questi uomini, e non lascia senza pane le loro famiglie.

Infatti è illuminante il dialogo fra il padrone e gli operai delle cinque del pomeriggio, in cui l’indagine sul motivo del loro ozio si risolve nella risposta: «Nessuno ci ha presi a giornata». Questo è il vero motivo del vuoto umano: quando la vita è tenuta in ostaggio dal nulla, quando non c’è quel Qualcuno che solo sa dare pienezza. Così possiamo guardare a tante persone, soprattutto giovani, che sono nel loop dell’inconsistenza.

Il padrone non ha una mentalità economica. Questa è una parabola sul Regno dei Cieli, non è un sistema aziendale da yuppies degli anni ’80. Proviamo a pensare a qualcuno a cui vogliamo bene che solo alla fine della vita trova la strada della fede, fosse anche l’ultimissimo tratto della sua esistenza: l’amore ci porta a desiderare di arrivare insieme alla stessa méta, alla stessa paga, ritrovandoci uniti nel Cielo alla fine della nostra giornata su questa terra.

È questa la logica del padrone. Questa è l’economia di Dio. E c’è ancora da dire che gli operai della prima ora, anche se brontolano, hanno invece passato un giorno intero pensando: “è fatta, oggi ho trovato il pane!”.

Che sorte benedetta è lavorare nella vigna! Che grazia poter spendere quanto più tempo possibile nel compito che il Signore ci assegna! Egli è quel Qualcuno che ci ha “presi”, non ci ha lasciati senza pane, e quando capiamo quale grazia sia “lavorare” per Lui, viviamo in una fatica felice, e non possiamo che sperare che tutti i “disoccupati” di ogni tipo trovino la Sua paga generosa.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]

Chi ama non è invidioso

Isaia 55,6-9; Salmo 144/145; Filippesi 1,20c-27; Matteo 20,1-16

La parabola dei lavoratori chiamati a diverse ore del giorno a lavorare nella vigna dà l’intonazione tematica alla liturgia della parola di questa domenica. Viene messo in risalto l’iniziativa gratuita e libera di Dio. Questa è rappresentata dalle diverse uscite e chiamate del padrone della vigna, scandite dalle diverse ore del giorno: all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio. La constatazione più immediata è il fatto che il padrone dà a tutti la stessa paga, anche agli ultimi. Una sola ora di lavoro non merita normalmente la stessa paga di un’intera giornata. Il racconto parabolico di Matteo propone in modo esplicito il confronto tra il principio della giustizia retributiva e il nuovo criterio della bontà di Dio. In verità si tratta della proclamazione della misericordia di Dio, la proclamazione della grazia. È questa la novità sconvolgente del vangelo.

Allo stile di agire di Dio, che obbedisce ad una logica diversa da quella umana, rimanda anche il brano della prima lettura. I suoi pensieri non sono i nostri pensieri, e le sue vie non sono le nostre. Questo tema ha un prolungamento nel salmo responsoriale, dove risuona una grande professione di fede: “Paziente e misericordioso è il Signore, la sua tenerezza si estende su tutte le creature”. Siamo così invitati a metterci in sintonia con lui, per capire meglio il suo progetto e vivere secondo il suo cuore.

Il brano di Paolo nella seconda lettura non si lascia integrare in questa tematica. Egli, invece, comunica ai Filippesi la sua gioia di appartenere a Cristo e di essere suo testimone. Sia che muoia, sia che continui a vivere, Cristo costituisce per Paolo il senso ultimo ed assoluto. Egli dice con un’espressione forte: “per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno”. Nel primo caso si predica il vangelo di Cristo, e nel secondo ci si unisce a lui.

La parabola di questa domenica richiede molta attenzione. Il suo tema centrale sembra costituito dalla chiamata: Dio chiama a lavorare nella sua vigna che è il mondo, per il suo Regno, ad ogni ora, quando e come crede. Presto o tardi non importa, l’importante è essere pronti a rispondere. L’essere chiamati a servizio del Cristo è una grazia. Non esiste un primato di anzianità nella Chiesa. Gli operai della undicesima ora possono essere considerati da Dio allo stesso modo (e perfino meglio) di quelli della prima. Ognuno ha la sua ora, ed è fondamentale afferrare la propria occasione. Non è questione di anni di servizio, ma di intensità, di disponibilità. Dio è un padrone insolito, per lui è sempre ora. Nei rapporti con Lui, bisogna solo fidarsi, ed evitare di mercanteggiare. Chi mercanteggia mette al primo posto la propria opera. Piuttosto, il vero operaio, secondo il cuore di Dio, trova la propria gioia nel poter lavorare per il Regno. Il modo di agire di Dio corrisponde ad un altro criterio di giustizia che va oltre quella del diritto-dovere.

Il versetto: “Molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti” suggerisce che vi è sempre la possibilità del rifiuto anche per chi è stato chiamato alla prima ora e ha lavorato nella vigna del signore un’intera giornata o vita. Lo conferma il “Prendi il tuo e vattene” del versetto 14. Si può quindi perdere la salvezza a causa di autosufficienza e ribellione, anche all’ultima ora dopo aver lavorato un’intera vita.

Non si deve essere invidiosi vedendo come Dio elargisce i suoi doni secondo la sua generosità o bontà, e secondo il suo gratuito disegno di salvezza, al di là da ogni merito. Nessuno ha meriti da vantare, ma solo motivo per lodare la misericordia di Dio.
Don Joseph Ndoum