Gesù è stato rimproverato di essere un festaiolo un po’ fannullone, che frequentava pure brutta gente: «Ecco un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Lc 7, 34). Gli domandarono anche, perché i suoi discepoli non digiunavano come quelli di Giovanni o i farisei, e Gesù replicò anche Lui con una domanda: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?» (Mc 2, 19).

Matteo 22, 1-14
Lasciarsi conquistare
dalla gioia del Regno

Gesù è stato rimproverato di essere un festaiolo un po’ fannullone, che frequentava pure brutta gente: «Ecco un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Lc 7, 34). Gli domandarono anche, perché i suoi discepoli non digiunavano come quelli di Giovanni o i farisei, e Gesù replicò anche Lui con una domanda: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?» (Mc 2, 19).

Nella Bibbia tantissime volte si parla di festa. La vita cristiana è una grande festa nunziale che anticipa la gioia perenne del Regno; una festa, dove Dio stesso prepara un grande banchetto per tutti i popoli con cibi prelibati e vini di grande qualità (Isaia 25, 6-8). La fede che cammina verso l’incontro definitivo con il Risorto deve lasciarsi conquistare dalla gioia traboccante del regno di Dio.

Purtroppo a volte nella nostra storia cristiana, hanno prevalso il moralismo, la consuetudine e il dovere e così la sala delle nozze si è trasformata in uno spazio triste e severo dove obbedire a un dio cattivo. Festeggiare non è perdere tempo, ma al contrario vivere giorni veramente preziosi, dove non tutto si deve sempre meritare o comprare ma solo contemplare.

Giorni di festa dove la dignità di ogni invitato non si misura sul valore culturale o peggio ancora economico, ma si accoglie semplicemente come un dono. Giorni di speranza e fiducia, perché chi sa fare festa, ha un futuro, una prospettiva, alza lo sguardo e vede più lontano e più in profondità. La vita anche se spesso non è facile, sempre può essere felice, perché nessuno è escluso, tutti siamo invitati alla festa di nozze e il Signore può riempire di gioia anche la sala del nostro cuore quando rimane desolatamente vuota. La Chiesa è una sala piena di amici dello sposo che sanno fare festa e portare i pesi gli uni degli altri, quando necessario.

Non c’è nessuno che, venuto al banchetto, sia costretto a tornarsene a digiuno. Anzi, ci sono dei pani che sono riservati a chi è rimasto fuori dalla sala. Pensiamo, e preghiamo, per tutti i cristiani che vivono in situazione di persecuzione, e non possono celebrare l’eucaristia; preghiamo per chi non può accostarsi ai sacramenti e attende la misericordia del Signore e della Chiesa, non la durezza della legge; preghiamo per le Chiese in terra di missione, dove il sacerdote arriva una volta al mese; preghiamo per tutti quelli che non hanno mai ricevuto l’invito alla festa, e anche per coloro che si sono allontanati dalla sala, per colpa nostra e delle nostre contraddizioni. Preghiamo perché alla festa di Gesù ci sia veramente un posto per tutti, e nessuno venga escluso.

Ci è richiesta una sola condizione, l’abito adatto alle nozze. L’abito non dobbiamo nemmeno compralo ma ce lo regala Gesù stesso: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (Col 3, 12).
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]

Dio apre la sua casa
e tutti sono invitati

Isaia 25,6-10; Salmo 22/23; Filippesi 4,12-14.19-20; Matteo 22,1-14

La parabola del banchetto nuziale fa parte della trilogia di parabole rivolte da Gesù ai «principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» nell’area del tempio di Gerusalemme. Ma essa è un serio appello applicato dall’evangelista ai cristiani della sua comunità, e ora a noi. La narrazione si articola in tre fasi: il duplice invio dei servi da parte del re per far venire gli invitati alle nozze; il rifiuto e la reazione negativa degli invitati i quali maltrattano e addirittura uccidono gli inviati del re; e infine la chiamata di tutti senza distinzioni tra buoni e cattivi, con la menzione che chi non indossava la «veste nuziale» sarebbe stato inesorabilmente estromesso. Il brano si conclude con l'affermazione che: «Molti sono chiamati, ma pochi eletti». Questa frase che chiude la parabola racchiude al proprio interno l’intenzione di essere un serio avvertimento. Riesce difficile ammettere che degli uomini normali possano rifiutare un invito a nozze, non da parte di un individuo qualunque, ma di un re. Tutto era pronto e l'invito era all’ insegna della più assoluta gratuità. Viene richiesta unicamente la presenza, anche a mani vuote. Che banchetto regale è mai questo in cui anche l'invito è differenziato? («Andate ai crocicchi delle strade, e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze»). La convocazione del Signore al banchetto nuziale rimanda alla vita cristiana, il cui ideale non è una morale opprimente, una schiavitù sotto il giogo di un codice, o una condanna, ma è una beatitudine, una festa ed una gioia. «...quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari». Anche noi ci teniamo tanto alle nostre schiavitù quotidiane. I primi invitati rappresentano l'Israele storico e i nuovi chiamati i cristiani. Ma essi corrono il rischio di essere gettati fuori, se non riescono ad attuare la condizione per prendere parte al banchetto escatologico facendo la volontà del Padre. L' abito nuziale indica certo le opere buone e le virtù. Si tratta di un invito a passare dalla situazione di «chiamati» a quella di «eletti». La chiamata di Dio è certo gratuita, come tutti i suoi doni, ma è anche esigente, impegnativa e responsabilizzante. Da parte di Dio l'offerta della salvezza è per «tutti». Sta alla nostra libertà responsabile riconoscerla ed accoglierla. La parabola del banchetto nuziale è quindi una sintesi del disegno salvifico di Dio che ha già tutto predisposto per la grande festa inaugurata da Gesù. Il rischio di essere escluso non dipende dall’ invito, ma dal nostro tipo di risposta.
Don Joseph Ndoum