Siamo sotto pandemia, e aspettiamo di guarire, ma: perché guarire? A che scopo stare bene? La salute per la salute è solo sopravvivenza. Gesù esce dalla Sinagoga e va a casa di Simone, passaggio simbolico dell’inizio della Chiesa: dal sacro al domestico, ovunque siano adoratori in spirito e verità, poiché non ci sono più luoghi specifici per la salvezza. (...)

Dal sacro al domestico

Siamo sotto pandemia, e aspettiamo di guarire, ma: perché guarire? A che scopo stare bene? La salute per la salute è solo sopravvivenza. Gesù esce dalla Sinagoga e va a casa di Simone, passaggio simbolico dell’inizio della Chiesa: dal sacro al domestico, ovunque siano adoratori in spirito e verità, poiché non ci sono più luoghi specifici per la salvezza.

In quella casa Gesù trova l’umanità sofferente: la suocera di Simone viene guarita dalla sua febbre, e il segno della salute è che inizia a servire. Cosa era dunque quella febbre? Era ciò che teneva questa donna lontana dal servizio. Ossia dall’amore. Il racconto procede, finisce il coprifuoco dello Shabbat, e una folla si riversa in quella casa. È sempre così: quando la Chiesa da segni di vita nuova, arriva tanta gente. La salvezza che questa gente viene a cercare inizia oltre il sabato, che nel computo ebraico finisce col tramonto, oltre le regole religiose, oltre l’impotenza della legge che non sa guarire. È il tempo nuovo di Gesù, il giorno dopo il sabato, quello in cui si risorge. E avvengono tante liberazioni e guarigioni.

Eppure, ancora una volta: guarire perché?

Il Signore Gesù si alza prima dell’alba, si nasconde e prega. Sta con il Padre, vive in Lui il segreto di quel che succede. Tutti lo cercano, ed è ovvio: con tanto esito, ci si dovrebbe godere il successo. La sua risposta è: «Andiamo altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». Nell’intimità col Padre, dove risiede la nostra vera identità, si ritrova quel che conta veramente e ci si smarca dalla trappola delle aspettative altrui. A pensarci: se Gesù fosse rimasto li, a raccogliere il successo, non sarebbe arrivato fino a noi. Di villaggio in villaggio è giunto al fondo della sua missione: salvare ogni uomo. Non solo Cafarnao. Installarsi e sopravvivere o andare oltre? La guarigione è acquisizione o chiamata alla grandezza?

A partire dal Padre, tutto può diventare missione, tutto può diventare un “oltre” benedetto.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]

Dio opera nel mondo con mano misericordiosa

Gb 7,1-4.6-7; Salmo 146/147; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

La pagina del vangelo di Marco di questa domenica fa parte di una unità più ampia, conosciuta come “giornata di Cafarnao”. Gesù, in compagnia dei primi quattro discepoli, in un giorno di sabato, insegna al mattino nella sinagoga e libera un ossesso (il brano che abbiamo commentato domenica scorsa). Al termine di questa riunione liturgica egli si reca nella casa di Simon Pietro e guarisce sua suocera. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, egli guarisce molte persone davanti alla porta della casa di Pietro. Poi, si rifugia a pregare in un luogo solitario.

Abbiamo la sinagoga come luogo della preghiera pubblica; la casa come luogo della vita privata, e la piazza (lo spazio esterno della casa di Pietro) come luogo della vita pubblica. Quindi l’azione di Gesù non si limita allo spazio religioso, ma investe la sfera dell’amicizia e si spinge ad incontrare la folla. Abbiamo insieme tutto lo spazio immaginabile, religioso e profano, privato e pubblico: un modo di mostrare che l’’azione di Gesù, come pure tutta la nostra vita cristiana, interessi l’essere umano nella sua totalità, in tutte le sue dimensioni.

In questo cosiddetto “diario della giornata di Cafarnao”, l’accento sembra più posto sull’attenzione di Gesù al Padre e alla miseria umana. Le guarigioni sono segni e prodigi che dimostrano Gesù Figlio di Dio e annunciano la venuta del suo regno, ma prima ancora sono gesti di amore. Ha ragione Paolo quando afferma che: “E’ apparsa in mezzo a noi la bontà di Dio e il suo amore verso gli uomini”. Infatti, il comportamento di Gesù è un segno visibile dell’amore misericordioso di Gesù e della sua azione efficace e sovrana in mezzo a noi. È una conferma della vicinanza e della solidarietà di Dio nei confronti dell’umanità sofferente.

Questo dovrebbe assicurarci. Basta pensare alla reale povertà della condizione umana (nonostante le illusioni del benessere e delle pubblicità), al dramma reale della sofferenza, che spesso mette a dura prova la fede di chi ne è vittima, e che per quanto ci sforziamo, come Giobbe, non riusciamo a capire nulla. La sofferenza è un mistero incomprensibile che bussa a tutte le porte, presto o tardi; le malattie vengono anche se non si cercano e raggiungono tutti. In altre parole, “ogni cuore ha il suo dolore”, come dice un proverbio, ma soprattutto, solo chi soffre sa il dolore che ha nel cuore. Per fortuna Gesù è venuto, non per sopprimere neppure spiegare la sofferenza, ma per colmare con la sua presenza tutte le sofferenze. Egli inaugura in mezzo all’umanità il regno di Dio. Il suo non è regno di orgoglio, di dominazione e di guerre, ma un regno di giustizia, di pace e di amore. “Egli risana i cuori affranti e fascia le loro ferite”.

Quindi la sua azione terapeutica, esorcista e di liberazione è ancora efficace ed in opera oggi, lui, l’ “uomo dei dolori”, che ha preso con sé il dolore del mondo e lo ha inchiodato con sé sulla croce. Per questo tutti i dolori si aprono alla luce pasquale del Figlio di Dio crocifisso e risorto. Col suo esempio, Gesù vuole dirci che, come membra del suo regno e del suo corpo, dobbiamo anche noi fare la nostra parte presso i sofferenti, stando loro vicini e confortandoli con le parole di fede e con la preghiera; invitandoli inoltre a distinguere nella vita le penultime cose dalle ultime. E il dolore fa veramente parte delle penultime.

L’ultima cosa è la vittoria di Cristo su tutto, l’ultima cosa è la vita eterna per, con e in Cristo. Nella giornata-tipo di Gesù a Cafarnao, la solitudine e la preghiera rientrano anche nell’agenda dei suoi impegni. La sua giornata si apre e si chiude con la preghiera solitaria. Quest’attitudine del Figlio stesso di Dio ci vuole insegnare come, in realtà, la giornata diventi completa soltanto quando si apre e si chiude con la preghiera. Infatti, la relazione col Padre, a cui rendiamo conti e grazie, dovrebbe essere la sorgente e il culmine delle nostre attività. Come Gesù, uno che prega scopre sempre nuovi itinerari nella vita, perché c’è un Altro che gli indica dove andare e che l’accompagna. 

Inoltre, la preghiera di Gesù non è soltanto il momento culminante del suo essere-con-il-Padre, ma anche e soprattutto del suo essere-per-gli-uomini, poiché nella preghiera Gesù continua il servizio, iniziato nella sinagoga e dalla suocera di Pietro, a favore degli uomini, che Egli porta al Padre. Egli prolunga il proprio servizio per tutti. In questo atteggiamento di Gesù scopriamo il modo adeguato per lodare e pregare Dio.
Don Joseph Ndoum

Annuncio del Vangelo: risposta al dolore umano

Giobbe 7,1-4.6-7; Salmo 146; 1Corinzi 9,16-19.22-23; Marco 1,29-39

Riflessioni
La vita è “un duro servizio” sulla terra, afferma Giobbe (I lettura). Il personaggio e il libro appartengono, da sempre, alla letteratura mondiale. La storia di Giobbe, infatti, è una sfida permanente per tutti, perché induce necessariamente a riflettere sul problema del dolore e del male nel mondo; sul rapporto fra male fisico e male morale; sulla fede in Dio e la sua apparente distanza o addirittura impotenza di fronte al male, soprattutto davanti alla sofferenza delle persone innocenti. La vita umana sulla terra è, per Giobbe, un duro lavoro da schiavi (v. 1-2), tra “illusione e notti di affanno” (v. 3), senza speranza, perché “un soffio è la mia vita” (v. 7).

Le tre letture di questa domenica sono una risposta di Dio al dolore umano. L’innegabile durezza della vita umana - descritta nella vicenda di Giobbe - trova spiragli di sollievo e speranza solo nella fede in Dio, il quale è sempre Dio della vita (Salmo responsoriale). Nel Vangelo odierno, Gesù mostra con gesti concreti qual è la risposta di Dio di fronte al dolore umano: risposta di vicinanza, solidarietà, condivisione, missione. Lo vediamo nei quattro momenti di quella giornata di Gesù.

1. Gesù guarisce la suocera di Pietro. Osserviamo i dettagli della scena: i discepoli ne parlano a Gesù, lo pregano; Egli si avvicina, si fa prossimo, la prende per mano, la solleva (Marco usa il verbo greco ‘egeiro’, proprio della risurrezione), la cura nel corpo e nello spirito, “ed ella li serviva” (v. 31). La salute recuperata è in vista del servizio da rendere. Tutta la scena sfocia nel servizio agli altri. Perché il servizio da senso ed è l’espressione più alta della vita!

2. Gesù guarisce “molti che erano affetti da varie malattie, scaccia demoni, ecc., ma non vuole pubblicità (v. 34). Queste scene, che si ripetono spesso nei Vangeli, invitano a riflettere su come Dio reagisce davanti al dolore: ascolta i lamenti, si fa vicino, soffre, si commuove, piange, interviene, risolve alcuni casi... Ma non elimina tutto il male dal mondo, anzi Gesù stesso ne sarà vittima innocente. Perché? Perché c’è il male nel mondo? Finché siamo sulla terra, le risposte, anche quelle della fede, saranno solo parziali. Non ci resta che guardare il Crocifisso, fidarsi di Dio Padre. Lui sa perché! È stata questa anche la forte testimonianza di Papa Francesco accanto ai sofferenti per il tifone che nel 2013 causò migliaia di vittime e distrusse intere regioni nelle Filippine. (*)

3. Dopo una giornata faticosa, Gesù si concede solo poche ore di riposo, si alza presto e si ritira in un luogo deserto a pregare (v. 35). Al mattino del sabato Gesù aveva già pregato nella sinagoga (v. 29) con la comunità; ora prega da solo. Sente il bisogno intimo di parlare con suo Padre, capirne la volontà, per essergli fedele. Per amore! Nella preghiera Gesù, il missionario del Padre, capisce sempre meglio qual è la sua missione e come portarla a compimento.

4. Tutti cercano Gesù, se lo vogliono accaparrare. Egli non cede a queste richieste interessate e risponde mostrando l’ampiezza universale della sua missione: “Andiamocene altrove... perché io predichi anche là” (v. 38). La missione di Gesù - e quindi quella della Chiesa - è sempre un uscire, andare oltre, andare avanti, superare frontiere, senza limitarsi alle richieste di alcuni pochi, senza installarsi nelle posizioni acquisite, né accontentarsi dei risultati. Perché la missione ha come campo specifico il mondo intero. Nel Vangelo di oggi appaiono almeno sei volte gli aggettivi: tutti, molti... È vero che il dolore è retaggio per tutta la famiglia umana, ma ancor più certa e universale è la salvezza di Dio per tutti!

L’apostolo Paolo (II lettura) l’aveva capito bene e fece dell’annuncio del Vangelo ai pagani la ragione della sua vita. Ne sentiva l’urgenza e il dovere: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (v. 16). Egli predica nella più piena gratuità, si fa “servo di tutti… tutto per tutti” (v. 19.22), ha come unica passione il Vangelo da annunciare (v. 23). Ricordando il fatto della conversione di Paolo (celebrata recentemente), si constata che sulla strada di Damasco non è nato soltanto il cristiano Paolo, ma anche il Paolo missionario, anzi il più grande apostolo dei popoli non cristiani.

Dopo secoli, la testimonianza di Paolo ci raggiunge e ci stimola: il Battesimo fa di ogni cristiano un missionario. Per tutta la vita! Ognuno, secondo la sua condizione, diviene uomo/donna della carità, della missione. L’annuncio del Vangelo ai popoli è un servizio squisito di carità; è la risposta più completa al dolore e ai bisogni dell’uomo. Anzi è il miglior servizio integrale che, come cristiani, possiamo offrire al mondo.

Parola del Papa

(*) «Sono qui per dirvi che Gesù è il Signore, che Gesù non delude… Lo vedo lì inchiodato, e da lì non ci delude!... Lì è passato per tutte le calamità che noi abbiamo… Per questo Egli è capace di comprenderci... è capace di piangere con noi, è capace di accompagnarci nei momenti più difficili della vita. Molti di voi hanno perso tutto, anche parte della famiglia. Io non so che cosa dirvi. Lui sì, sa che cosa dirvi!... Solamente rimango in silenzio, vi accompagno con il mio cuore in silenzio… Io non ho altre parole da dirvi. Guardiamo Cristo: Lui è il Signore, e Lui ci comprende… E insieme a Lui crocifisso stava la madre… Guardiamo al Signore… e guardiamo a nostra Madre».
Papa Francesco
Omelia a Tacloban, Filippine, 17.1.2015

Sui passi dei Missionari

7     B. Pio IX (1792-1878), Papa per 31 anni (1846-1878), durante i quali ci furono importanti avvenimenti: il Concilio Ecumenico Vaticano I, la fine dello Stato Pontificio, la definizione dei dogmi dell’Immacolata Concezione (1854) e dell’infallibilità del Papa (1870).

·     B. Alfredo Cremonesi (1902-1953), martire, missionario italiano del Pime. Lavorò per 28 anni in Birmania (oggi Myanmar), dove fu ucciso durante i conflitti fra l’esercito regolare e gruppi tribali. Era chiamato “moto perpetuo”, perché voleva raggiungere sempre tutti e subito.

·     Ricordo del medico Li Wenliang (1985-2020), oculista cinese, che per primo dette l’allarme sulla nuova epidemia del Covid-19 (dicembre 2019), ma le autorità cinesi gli imposero il silenzio. Morì nell’ospedale centrale di Wuhan, vittima del virus; dopo la morte fu riabilitato come un eroe nazionale. È una cosa giusta e lodevole riconoscere il valore umano (e cristiano) del suo coraggioso gesto di serietà professionale e di libertà. Aveva scritto prima di morire: “Credo che in una società sana ci dovrebbe essere più di una voce”.

8     S. Giuseppina Bakhita (Darfur, Sudan 1869-1947 Schio, Vicenza). Da bambina, fu venduta cinque volte come schiava sui mercati sudanesi. Liberata e portata in Italia da una famiglia protettrice, ricevette il battesimo e divenne religiosa canossiana. Diede testimonianza di umiltà, riconciliazione e perdono. Giovanni Paolo II l’ha definita «sorella universale».

* Giornata mondiale (dal 2014) di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umai.

9     S. Marone († 410 c.), monaco eremita in Siria, dedito ad assidue preghiere e penitenze. Esperto consigliere e guida spirituale, esortava tutti alla preghiera e operava spesso guarigioni fisiche e psicologiche. Accanto alla sua tomba sui monti di Apamea, sorse un celebre monastero, dove, nei secoli successivi, numerosi cristiani si stabilirono durante le invasioni arabe. Nacque così la Chiesa che da lui prese il nome di ‘maronita’. Nel Medio Evo un buon numero di maroniti aderì alla comunione piena con la Chiesa di Roma.

·     S. Miguel Febres Cordero (1854-1910), religioso ecuadoriano dei Fratelli delle Scuole cristiane. Per quasi 40 anni si dedicò alla formazione dei ragazzi e dei maestri a Quito, divenendo un leader culturale per l’intera nazione. Morì poi di polmonite a Barcellona.

10   S. José Sánchez del Rio (Sahuayo, Messico 1913-1928), adolescente e martire. Amante di Cristo Re e della Madonna, fu torturato e ucciso durante la persecuzione anti-cattolica.

·     B. Luigi Stepinac (1898-1960), arcivescovo di Zagabria (Croazia), difensore della fede, della libertà religiosa e della dignità umana, sotto il regime comunista in Jugoslavia.

·     Ricordo di Papa Pio XI (Achille Ratti, 1857-1939). Diede grande impulso all’attività missionaria, con importanti documenti e numerose iniziative, come l’ordinazione episcopale in S. Pietro dei primi sei vescovi cinesi (1926) e l’istituzione della Giornata missionaria mondiale (1926).

11   Festa della B.V. Maria di Lourdes (Francia). L’11 febbraio 1858 la Madonna apparve per la prima volta a Bernardetta Soubirous nella grotta di Massabielle, tra i Pirenei francesi.

* Giornata mondiale del Malato. Messaggio del Papa per il 2021: «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8). - La relazione di fiducia alla base della cura dei malati».

·     Anniversario della creazione dello Stato della Città del Vaticano (1929).

·     Papa Benedetto XVI comunicò (2013) ai cardinali e a tutta la Chiesa la sua decisione di rinunciare al Pontificato, con decorrenza della sede vacante dal 28 febbraio.

12   Ss. Saturnino e compagni, martiri di Abitine, (nell’attuale Tunisia). Nel 304, il sacerdote Saturnino e 48 laici (tra cui 19 donne) non aderirono al comando imperiale che vietava le riunioni dei cristiani. Furono condotti a Cartagine e dichiararono al proconsole romano Anulino: «Senza la celebrazione domenicale non possiamo vivere».

·     Ricordo di Dorothy Stang (1931-2005), religiosa e missionaria brasiliana, di origine statunitense, appartenente alla congregazione delle Suore di Nostra Signora di Namur. Interamente dedita alla formazione umana e cristiana dei campesinos dell’Amazzonia, li difese dalle ingiustizie e dai crimini ambientali dei latifondisti. Fu uccisa ad Anapu (Parà – Brasile). Fa parte della crescente schiera dei “nuovi martiri” dei diritti umani, della terra, ecologia e ambiente, in Brasile e altrove.

·     Ricordo di Vittorio Bachelet (Roma, 1926-1980), laico sposato, professore, giurista, presidente dell’Azione cattolica, vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, sempre animato da profonde convinzioni cristiane. Fu ucciso dalle Brigate rosse all’uscita dell’Università La Sapienza. Ai funerali, il figlio Giovanni perdonò pubblicamente gli assassini del padre.

13        B. Giacomo Alfredo Miller (1944-1982), religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane e martire. Nato nel Wisconsin (Usa), divenne un abile insegnante e un esemplare educatore di giovani. Lavorò dapprima in Nicaragua, poi in Guatemala, dove fu ucciso a Huehuetenango, in odio alla fede, durante la guerra civile, come tanti altri.

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A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)

Sito Web:   www.comboni.org    “Parola per la Missione”

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