“Siamo mercanti del tempio se, usciti di Chiesa, continuiamo a calunniare, sfruttare, derubare il nostro fratello. Siamo mercanti del tempio se, usciti di Chiesa, calpestiamo la giustizia, ricerchiamo guadagni, titoli, privilegi con inganno e imbrogli. E siamo ancora mercanti del tempio se, usciti di Chiesa, non siamo capaci di imboccare la strada della pulizia interiore, di onestà, di giustizia, di attenzione al prossimo, di rispetto agli altri. (Papa Francesco)
Gesù e il tempio
Ascoltando il Vangelo di questa domenica, vien voglia di compiacersi e felicitarsi con Cristo per il gesto che sta facendo. Finalmente, finalmente Gesù ci insegna a fare piazza pulita di tutte le storture e deformazioni che si fanno in nome della fede e della carità. Magari riferendosi a tariffe per servizi religiosi, matrimoni, funerali, celebrazione di Messe, vendita di medaglie, candele e roba varia. “Dio non ha nulla a che vedere con i soldi”, ha detto Papa Francesco denunciando la deriva affaristica della Chiesa. Ma se ci fermassimo solo a questo avremmo una visione riduttiva e strumentale del gesto di Gesù. C’è anche e soprattutto il mercanteggiare e il negoziare con il Signore. E questo riguarda tutti e ognuno di noi. Venire al Tempio per sentirsi a posto in coscienza, ascoltare la Messa perché c’è un preciso comandamento, credere di sistemare le nostre cose poco buone con la santa Comunione, questo, questo non è altro che mercanteggiare con Dio. Siamo mercanti del tempio se, usciti di Chiesa, continuiamo a calunniare, sfruttare, derubare il nostro fratello. Siamo mercanti del tempio se, usciti di Chiesa, calpestiamo la giustizia, ricerchiamo guadagni, titoli, privilegi con inganno e imbrogli. E siamo ancora mercanti del tempio se, usciti di Chiesa, non siamo capaci di imboccare la strada della pulizia interiore, di onestà, di giustizia, di attenzione al prossimo, di rispetto agli altri.
Se non è così, vuol dire che si è frequentata la Chiesa sbagliata, o meglio, non si è neppure entrati in Chiesa. E allora, “la Messa è cominciata, andate in pace”, dovremmo dire alla fine di questa celebrazione eucaristica.
La chiesa e i credenti: segno dell’amore di Dio
Es 20,1-17; Sl 18/19; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
Il vangelo di questa domenica ci parla dei mercanti nel tempio: «portate via queste cose e non fate della casa del padre mio un luogo di mercato». Il gesto compiuto da Gesù è stato, probabilmente, meno spettacolare di quanto abitualmente si creda. L'incidente deve essere stato più che altro un’azione simbolica. Un fatto storico, certo, ma più importante per il significato che per le dimensioni, soprattutto nei confronti dei frequentatori abusivi del tempio.
L'atteggiamento che Gesù sconfessa la si può ricavare dal brano di Geremia (7, 2-11). Non si va al tempio per ottenere una specie di impunità, per sentirsi a posto a buon mercato: bisogna piuttosto convertirsi. Non si può frequentare il tempio, la chiesa, e poi continuare a rubare, sfruttare, calunniare... Dio non accetta il culto di chi calpesta la giustizia, inganna i propri simili. Si va proprio in chiesa per prendere coscienza delle sue responsabilità.
In altre parole, le cose che vengono condannate, denunciate e sconfessate sono: la frequentazione della chiesa come rifugio ("caverna", covo che mette al riparo), l'aspetto sicurizzante delle pratiche religiose, la pietà come alibi per cui uno può illudersi di andare nella casa del signore a riciclare con preghiere o/e offerte, una condotta fondamentalmente cattiva.
Questo tipo di culto è menzognero e la sicurezza che ci si spera è falsa. Quindi Gesù lascia intuire, riferendosi al profeta Geremia, che la religiosità autentica consiste nel modificare la condotta, e non nel moltiplicare le invocazioni e aumentare le offerte. L'alternativa al tempio "covo di briganti" è la chiesa aperta, non certo a persone perfette, ma a persone che desiderano vivere nella fedeltà, nella coerenza e nella semplicità, e che non ricercano un Dio "complice" disposto a chiudere gli occhi su certe faccende, ma uno che guida, orienta su una strada di rettitudine e di giustizia.
Don Joseph Ndoum
Un invito alla purificazione,
non al perfezionismo
«Egli infatti conosceva quello che c’è nel cuore dell’uomo» (Gv 2, 25). Queste parole del Vangelo di Giovanni concludono il racconto della cacciata dei mercanti dal tempio, e mostrano perché il passo ci viene riproposto nel percorso della Quaresima. Si tratta infatti di una purificazione spirituale che ognuno di noi è chiamato a compiere.
Nel ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni, Giotto rappresenta Gesù che sferza i mercanti nel tempio con gesto solenne e imperioso, e viene guardato con sospetto dai sacerdoti. In realtà la presenza dei venditori di animali e dei cambiavalute non era di per sé un abuso, perché essi svolgevano un compito che era necessario proprio per il culto nel tempio. Un dettaglio della rappresentazione di Giotto è a questo proposito illuminante: sul lato sinistro dell’affresco si vedono due bambini che sono spaventati dalla severità del Signore e si rifugiano tra le braccia di Pietro e di un altro apostolo, che li accolgono teneramente. Uno dei due bambini, in particolare, stringe tra le mani una colomba, cioè proprio uno degli animali che erano in vendita nel tempio.
Gesù non condanna l’azione umana in sé (in questo caso il commercio), ma la pretesa di autonomia da Dio, la centralità che l’uomo nel suo agire dà all’aspetto solo umano, mettendo in secondo piano Dio e l’adorazione a lui dovuta. E Gesù stesso, proprio nel momento in cui esprime con forza quasi violenta la radicalità della chiamata evangelica a dare priorità a Dio, affida agli apostoli il compito di accogliere con tenerezza ogni umana debolezza.
La Quaresima è un invito alla purificazione ma non al perfezionismo. Dio sa bene cosa c’è nel cuore di ognuno di noi, e conosce di prima mano i grovigli che noi uomini e donne di ogni tempo siamo in grado di creare con le nostre fragilità e incoerenze, e con la tanta rumorosa confusione. Per questo ci promette che avremo sempre accanto la compagnia affettuosa e misericordiosa della Chiesa, che ha il compito di accogliere e valorizzare tutto ciò che è umano: «Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza» (Papa Francesco). Una debolezza che la Chiesa accoglie e perdona in particolare nella celebrazione del sacramento della riconciliazione, momento speciale del percorso della Quaresima.
Dio conosce il cuore di ognuno, «con tante cose che vanno e vengono dentro di noi, con tanto movimento e nel contempo con tanta quiete; con tanto disordine e con tanto ordine; con tanto rumore e con tanto silenzio; con tanta guerra e con tanta pace» (san Josemaría Escrivá). E Gesù ci incoraggia a credere che è sempre possibile ricominciare, nonostante e attraverso le tante mercanzie buone e meno buone che ognuno di noi si ritrova nel cuore. Il Maestro che ci insegna il rifiuto radicale all’egoismo e al disordine, allo stesso tempo ci promette che «in tre giorni farà risorgere» tutto il bene che c’è nel nostro cuore che, anche se a volte è un mercato, resta sempre la «casa del Padre mio» (Gv 2, 16).
[Carlo De Marchi – L’Osservatore Romano]
Il “cuore sincero”: culla del culto vero
Èsodo 20,1-17; Salmo 18; 1Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25
Riflessioni
I 10 Comandamenti (I lettura) erano già scritti nella coscienza degli uomini e delle donne prima ancora che Dio li proclamasse tali e li affidasse a Mosè. I 10 Comandamenti hanno le loro radici nella natura stessa dell’essere umano,. Non sono un’invenzione della Chiesa, ma il risultato di una riflessione puramente umana. E quindi sono vincolanti, fortunatamente, per ogni persona, popolo e istituzione. Si deve dire ‘fortunatamente’, poiché essi costituiscono la base dell’etica umana universale. Sono un patrimonio comune condiviso fra le nazioni. Una piattaforma comune per l’incontro di tutti i popoli a qualunque credo o religione appartengano. La coscienza morale e lo stato laico trovano legittimità e contenuti basilari nella prima lettura di oggi. Finalmente, i Comandamenti sono un dono d’amore di Dio per tutti i popoli, vie sicure alla vita e alla felicità.
Culto ed etica, credo religioso e pratica morale sono due elementi costitutivi del ritratto spirituale di ogni persona umana, che emergono dalla Parola di Dio proclamata oggi. Per quanto riguarda il culto, la venuta di Gesù ha portato cambiamenti radicali rispetto all’Antico Testamento. Chiunque riflette con realismo sul fatto di Gesù che scaccia dal tempio, a sferzate, mercanti e cambisti, buoi, pecore e colombe (Vangelo), rimane sorpreso dall’energia e dal coraggio con cui Egli osa affrontare categorie di persone legate più ai soldi e agli interessi che al culto e alla religione. Un intervento di Gesù che sarà uno dei capi di accusa nel giudizio che lo porterà alla morte.
Il significato di questo gesto insolito (diremmo ‘scomposto’) in un Gesù “mite e umile di cuore” (Mt 11,29), va ben oltre l’irritazione di un momento per l’indecenza di aver fatto “della casa del Padre mio un mercato!” (v. 16). Quel gesto è un segno che ormai è finito il tempo di un culto legato al sacrificio degli animali e all’offerta di cose per placare Dio. Quel gesto e il fatto che “il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo” (Mc 15,38) sono segni del definitivo superamento della religione giudaica. Da allora in poi, l’unico tempio è il corpo di Cristo, crocifisso e risorto: infatti, “Egli parlava del tempio del suo corpo” (v. 21).
Il contatto con Lui - l’unico Salvatore! - avviene non più attraverso le strettoie di muri, sangue di animali, adempimento meccanico, quasi magico, di riti esterni, ma nell’intimo di ogni persona, “in spirito e verità” (Gv 4,23). Per il cristiano, in modo particolare, il contatto con Dio ha luogo nella fede e nei segni sacramentali. L’unico culto gradito a Dio parte dal cuore contrito, come nel pubblicano (Lc 18,13-14), e da un cuore riconciliato: “va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5,24). A ragione, quindi, Paolo esorta i cristiani “a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). Questo messaggio apre fruttuose prospettive per la Missione, per il dialogo interreligioso e per l’inculturazione del Vangelo. Le vie al contatto salvifico con Cristo Salvatore non sono riservate soltanto ad alcuni, ma sono aperte a tutte le genti: a chiunque cerca Dio con cuore sincero. (*)
Oltre alla fede e al culto, possiamo leggere, in prospettiva missionaria universale, anche gli impegni della vita morale. I 10 Comandamenti hanno il loro fondamento nella legge naturale, che è anteriore alla rivelazione di Dio nella Bibbia e nella Chiesa. Questa verità ha un’importanza straordinaria per il dialogo tra i popoli e per il lavoro quotidiano dei missionari e dei catechisti impegnati nel primo annuncio. I Comandamenti sono patrimonio spirituale ed etico di tutta l’umanità, anche se la Rivelazione cristiana viene a darci una maggiore certezza, chiarezza e completezza nella comprensione della legge naturale stessa.
È quanto insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: «I 10 Comandamenti appartengono alla Rivelazione di Dio. Al tempo stesso ci insegnano la vera umanità dell'uomo. Mettono in luce i doveri essenziali e, quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla natura della persona umana. Il Decalogo contiene una espressione privilegiata della legge naturale: “Fin dalle origini, Dio aveva radicato nel cuore degli uomini i precetti della legge naturale. Poi si limitò a richiamarli alla loro mente. Fu il Decalogo” (Sant’Ireneo di Lione). Quantunque accessibili alla sola ragione, i precetti del Decalogo sono stati rivelati. Per giungere ad una conoscenza completa e certa delle esigenze della legge naturale, l'umanità peccatrice aveva bisogno di questa rivelazione: “Una completa esposizione dei comandamenti del Decalogo si rese necessaria nella condizione di peccato, perché la luce della ragione si era ottenebrata e la volontà si era sviata” (San Bonaventura). Noi conosciamo i comandamenti di Dio attraverso la Rivelazione divina che ci è proposta nella Chiesa, e per mezzo della voce della coscienza morale» (CCC, nn. 2070-2071).
San Giuseppe di Nàzaret (siamo nel mese di marzo a lui dedicato e vicini alla sua festa) è entrato in modo singolare nel mistero pasquale di Cristo, di Maria e della Chiesa, della quale è Patrono universale. Egli è modello insigne di ricerca, ascolto e fedeltà a Dio, al quale ha offerto il culto del suo cuore sincero con una vita esemplare. Quest’anno, che Papa Francesco ha voluto dedicargli, è una bella opportunità per approfondire la grandezza e la santità dello sposo di Maria e padre legale di Gesù.
Parola del Papa
(*) «In questo tempo di Quaresima ci stiamo preparando alla celebrazione della Pasqua, quando rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo... Ma ci domandiamo: permettiamo a Gesù di fare “pulizia” nel nostro cuore e di scacciare gli idoli, cioè quegli atteggiamenti di cupidigia, gelosia, mondanità, invidia, odio, quell’abitudine di chiacchierare e “spellare” gli altri?... Gesù farà pulizia con tenerezza, con misericordia, con amore. La misericordia è il suo modo di fare pulizia. Lasciamo - ognuno di noi - lasciamo che il Signore entri con la sua misericordia - non con la frusta, no, con la sua misericordia - a fare pulizia nei nostri cuori. La frusta di Gesù con noi è la sua misericordia. Apriamogli la porta perché faccia un po’ di pulizia».
Papa Francesco
Angelus domenica 8.3.2015
7 Ss. Perpetua e Felicita, martiri a Cartagine assieme ad altri cristiani e catecumeni nordafricani († 203), sotto l’imperatore Settimio Severo. La nobile Perpetua e la schiava Felicita, ambedue giovani madri, vissero insieme la passione, unite nella fede e nell’effusione del sangue.
· B. Maria Antonia Paz Figueroa (Argentina, 1730-1799), conosciuta come “Mamá Antula”, a 15 anni si consacrò alla preghiera e all’apostolato con i gesuiti di Santiago del Estero; assieme ad altre laiche consacrate, aiutava i Padri nei servizi ausiliari della casa di Esercizi Spirituali. Quando i gesuiti furono espulsi dall’America (1767), Maria ottenne che un padre mercedario li sostituisse, mentre lei continuava ad occuparsi degli alloggi e le provviste. Prima di morire, riuscì a creare una casa propria per Esercizi a Buenos Aires.
· B. Giuseppe Olallo Valdés (1820-1889), cubano, religioso dell’Ordine ospedaliero di S. Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), sempre attento ai sofferenti e bisognosi.
· Ricordo di Pedro de la Peña (c. 1520-1583), domenicano spagnolo, missionario in Messico e poi vescovo di Quito (Ecuador) per quasi 20 anni. Scelse di stare al fianco degli ultimi e realizzare riforme sociali per loro, senza badare a critiche e opposizioni, «perché gli ultimi vivano», diceva.
8 S. Giovanni di Dio (1495-1550), religioso portoghese, fondatore dell’Ordine dei Fratelli ospedalieri (i Fatebenefratelli), protettore degli ospedali, patrono dei malati e degli infermieri.
· Giornata internazionale della Donna, istituita nel 1910, adottata anche dall’Onu nel 1975.
9 Ss. 40 soldati cappàdoci, martiri a Sebaste, Armenia († 320). Nonostante le torture, tra cui il dover rimanere nudi in pieno inverno su uno stagno ghiacciato, rimasero forti nella fede e nel martirio.
· S. Domenico Savio (1842-1857), ragazzo educato da S. Giovanni Bosco e morto a 14 anni, fedele al suo proposito: «La morte, ma non peccati».
10 S. John Ogilvie (1579-1615), sacerdote gesuita scozzese, martire. Fu il primo scozzese canonizzato dopo la Riforma protestante.
· B. Elia del Soccorso (Matteo Elia Nieves del Castillo), martire, sacerdote agostiniano, ucciso a Cortázar (Messico), assieme ad altri, durante la persecuzione.
11 S. Eulogio di Córdoba († 859) sacerdote, il più noto dei Martiri di Cordoba, assieme a Rodrigo e Salomone. Nominato vescovo di Toledo, fu un grande apologeta. Subì il martirio durante l’occupazione araba musulmana. I governanti lo fecero decapitare per aver proclamato apertamente la sua fede in Cristo.
12 S. Luigi Orione (1872-1940), sacerdote italiano, fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza e di alcune congregazioni religiose per l’assistenza ai più bisognosi. Animato da spirito missionario, inviò sacerdoti e suore in Brasile (1913), Argentina e Uruguay (1921), Palestina (1921), Polonia (1923), Stati Uniti (1934), Inghilterra (1935) e Albania (1936). Egli stesso si recò per alcuni anni in visita missionaria nell’America Latina, organizzando scuole, parrocchie, colonie agricole, orfanotrofi.
· SdD. Francesco Saverio Truong Buu Diep (1897-1946), sacerdote del Vietnam meridionale, ucciso in connivenza con i guerriglieri comunisti a Tac Say, insieme a 30 parrocchiani. Invitato dai superiori a lasciare la parrocchia per salvarsi, rispose: «Vivo con la mia gente e morirò con essa».
· SsdD. Rutilio Grande García (1928–1977), sacerdote gesuita, Manuel Solórzano, catechista, Nelson Rutilio Lemus, adolescente, martiri, uccisi in El Salvador dal governo militare, che opprimeva quanti rivendicavano i diritti umani. L’opzione per i poveri, fatta da Padre Rutilio, e il suo martirio furono fonti d’inspirazione preziosa per l’amico arcivescovo san Oscar Arnulfo Romero († 1980). Sono prossimi alla beatificazione.
· Ricordo di Grégoire Ahongbonon (nato il 12 marzo 952), laico cattolico del Benin, padre di famiglia, meccanico gommista, filantropo. Nel 1994 fondò l’Associazione S. Camillo, che, in 25 anni, ha accolto 60mila malati di mente in Benin, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Togo. Collaborano con lui medici e volontari, che operano a domicilio e in una sessantina di centri.
13 Anniversario dell’elezione di Papa Francesco (2013), cardinale Jorge Mario Bergoglio, nato nella capitale argentina (17-12-1936), figlio di emigranti piemontesi, gesuita e arcivescovo di Buenos Aires dal 1998. - Iniziò solennemente il Pontificato il 19 marzo, festa di san Giuseppe.
· S. Dulce Lopes Pontes (Salvador de Bahía, 1914-1992), religiosa brasiliana, conosciuta come “Irmã Dulce” (Sorella Dolce), consacrò la sua vita al servizio dei poveri e degli operai.
· Ricordo di padre Nicolas Kluiters (1940-1985), gesuita olandese, missionario in Libano, ucciso nella Valle della Bekaa, dove svolse per dieci anni un fecondo apostolato. Fattosi “pastore di pastori”, si impegnò nella catechesi e la formazione delle comunità cristiane nei poveri villaggi della zona, integrando assieme il “servizio della fede e la promozione della giustizia sociale”. È in cammino la sua causa di beatificazione ‘per martirio’.
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A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)
Sito Web: www.comboni.org “Parola per la Missione”
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