Quanta paura ha l’uomo che i suoi errori vengano scoperti! Da Adamo in poi il peccato produce vergogna. Chi può reggere il peso della propria miseria? Siamo nati fragili ed insufficienti e sopravviviamo solo se veniamo accolti, curati, riconosciuti. Per questo il cuore umano è insidiato dal terrore del rifiuto e fa i conti con l’antica paura di Adamo, quella di venire alla luce e rischiare di essere disprezzati.
Di mestiere, l’uomo, con le sue opere, cerca di intrecciare foglie di fico per costruire maschere formali o etiche, per avere una strategia di presentabilità, e così sopravvivere alla luce. Sepolcri imbiancati che vedono con orrore ciò che in realtà è salvezza. La quarta di quaresima, domenica della letizia, celebra uno dei testi più intensi di tutto il Nuovo Testamento, che proclama l’amore infinito del Padre che dà il suo Figlio amato per misericordia degli uomini, perché così si salvino.
Altrimenti? C’è un’alternativa? Esiste un modo per centrare il bersaglio dell’esistenza umana diverso dalla misericordia di Dio? Esiste un’altra strada per sopravvivere alle proprie cantonate se non quello di affrontare lo sguardo di Dio e scoprire che non ferisce, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta?
Sappiamo che la porta della vita nuova e il sentiero maestro per il cielo è il battesimo, che è il perdono dei peccati. Per i sacramenti non c’è altra strada. Nessun neo-pelagianesimo o neo-gnosticismo potranno mai offrirci quel che il perdono può darci. Gli uomini hanno cercato altre salvezze, altre pienezze, altri gaudi. E si sono imbattuti in una serie infinita di illusioni evanescenti, di letizie senza spessore e pienezze carenti. Di questi tempi c’è una pandemia, tanti uomini e donne soffrono e muoiono. Da molto più tempo c’è l’incredulità nel perdono, la vergogna di sé stessi e la sfiducia in Dio; questi mali hanno creato molto più dolore e morte. Un cuore nella tenebra, disperde. Un cuore perdonato ricostruisce.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]
‘Amore-misericordia’:
è l’unico giudizio di Dio sul mondo
2Cronache 36,14-16.19-23; Salmo 136; Efesini 2,4-10; Giovanni 3,14-21
Riflessioni
“Dio ha tanto amato il mondo…” (Vangelo, v. 16). È questa la chiave di lettura che la Parola di Dio ci offre in questa domenica, per entrare fruttuosamente nel mistero della Pasqua, ormai vicina. Amore-misericordia: è la parola d’ordine, l’unico progetto del nostro Dio. Morte e vita, giudizio e salvezza, condanna e fede, tenebre e luce, male e verità... sono alcune espressioni del dualismo caratteristico di Giovanni, che appare anche nel Vangelo di oggi. La storia umana di tutti i tempi è fatta di questi contrasti, tensioni e vittorie parziali: a volte del male, altre del bene, a seconda delle forze e degli avvenimenti che si accavallano e si scontrano. Ciò che maggiormente angustia il cuore umano è sapere chi è più forte, chi prevarrà alla fine, quale sarà la parola definitiva. L’ottimismo o la depressione, la speranza o la disperazione dipendono dalla risposta a questo dilemma.
L’uomo è un essere in continua ricerca di risposte. Lo fu anche Nicodemo, un fariseo dal cuore sincero, che è il simbolo dell’uomo in ricerca. L’evangelista Giovanni - nella conversazione notturna di Gesù con Nicodemo (Gv 3) - ci dà la risposta di speranza: l’amore di Dio prevale sul male del mondo. Il giudizio di Dio sul mondo è la salvezza, offertaci come dono: “per grazia siete salvati” (II lettura, v. 5.8). La parola definitiva di Dio non è la morte, ma la vita: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (v. 3,16). La condanna, eventualmente, è una scelta personale di alcuni: è il retaggio soltanto per chi ama le tenebre e odia la luce (v. 19-20). Il progetto di Dio è tutto e sempre per la vita. «Sul peccato e sul male del mondo risplende sempre la luce dell’amore di Dio» (F. Mauriac).
«Tutte le religioni hanno cercato di staccarsi dal mondo, hanno sottolineato l'infinita distanza tra Creatore e creatura, hanno constatato la pesantezza della vita al punto da proporre un cammino di distacco dalla realtà. Il nostro Dio, invece, si lega al mondo, lo ama. Tanto. Quel ‘tanto’ rivela un aspetto di Dio che troppe volte dimentichiamo: l’amore esagerato di Dio per noi. Gesù ci ricorda che Dio non vuole giudicare il mondo, ma salvarlo (v. 17). Se ci credessimo! Se la smettessimo di credere in un Dio pronto a sottolineare, antipatico preside di scolaresca, le nostre incongruenze per aprirci a quel ‘ha tanto amato il mondo’ che ribalta la prospettiva» (Paolo Curtaz).
La rilettura della storia del Popolo d’Israele, proposta nel libro delle Cronache (I lettura), è fatta in termini di peccato-castigo-salvezza. Il peccato era generale: capi, sacerdoti, popolo... tutti “moltiplicarono le loro infedeltà” (v. 14). Ciononostante il Signore “aveva compassione del suo popolo” e gli mandava premurosamente i suoi messaggeri (v. 15). Dopo sconfitte, deportazione e schiavitù, finalmente si apre al popolo la via del ritorno in patria. La liberazione proclamata da Ciro, re di Persia, è vista come l’intervento finale di Dio, che dà compimento alla sua promessa di salvezza (v. 22).
Per San Paolo (II lettura), all’origine del progetto divino sul mondo, c’è un “Dio, ricco di misericordia”, che ama tutti con “grande amore” (v. 4), che offre la sua grazia sovrabbondante e “la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (v. 7). In Lui abbiamo la salvezza “mediante la fede; e ciò... è dono di Dio” (v. 8). Questo dono non è riservato ad alcuni, ma Dio lo offre a tutti, anche se per cammini diversi e in tempi differenti. Il segno di tale salvezza universale è il Figlio dell’uomo innalzato da terra nel deserto di questo mondo. È Lui il giudizio di amore divino sul mondo: un giudizio di misericordia! (*) Quella “misericordia di generazione in generazione” (Lc 1,50), che anche Maria ha cantato con gioia e passione dopo l’avvenimento dell’Annunciazione del Signore.
Per non chiudere gli occhi alla luce, è sufficiente e necessario guardare a Lui: Egli è il Figlio, il primo di molti figli e fratelli, innalzato alla vista di tutti, “perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Vangelo, v. 14-15). La salvezza è offerta a chi crede, a chiunque eleva lo sguardo verso di Lui, a coloro che “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). Tenere fisso lo sguardo d’amore su di Lui è fonte di salvezza e di missione, come raccomandava San Daniele Comboni ai missionari del suo Istituto per l’Africa: «Il pensiero perpetuamente rivolto al gran fine della loro vocazione apostolica deve ingenerare negli alunni dell’Istituto lo spirito di Sacrifizio. Si formeranno questa disposizione essenzialissima col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime. Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saran beati di offrirsi a perder tutto, e morire per Lui, e con Lui” (Scritti, 2720-2722). La contemplazione di Cristo, innalzato sulla Croce e vivo nell’Eucaristia, è stimolo efficace alla santità di vita e all’impegno missionario, per portare la salvezza di Gesù a tutti i popoli.
Parola del Papa
(*) «Credere nel Figlio crocifisso significa “vedere il Padre”, significa credere che l’amore è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male in cui l’uomo, l’umanità, il mondo sono coinvolti. Credere in tale amore significa credere nella misericordia. Questa infatti è la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome».
San Giovanni Paolo II
Enciclica Dives in Misericordia (1980), n. 7
Sui passi dei Missionari
14 Ven. Vasco de Quiroga (ca. 1470-1565), giurista e avvocato spagnolo, missionario e primo vescovo di Michoacán (Messico), difensore e promotore degli indios, che con affetto ricordano l’amore straordinario del loro “tatá Vasco”, un vero padre nella fede per la Chiesa messicana. Nel suo programma e nella sua prassi pastorale voleva che i nativi fossero uomini e donne liberi, attori del loro benessere, cristiani autentici secondo il Vangelo.
· SdD. Chiara Lubich (1920-2008), laica italiana. Ispirandosi alla preghiera di Gesù – «Perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21) –, fondò il Movimento dei Focolari, per l’unità e la pace nella famiglia, tra le generazioni, tra i popoli e le religioni.
15 S. Luisa de Marillac (1591-1660), vedova francese, fondatrice, assieme a S. Vincenzo de’ Paoli, delle Figlie della carità.
· Compleanno di S. Daniele Comboni (1831-1881), figlio di Luigi e di Caterina-Domenica Pace. Nacque a Limone sul Garda (Brescia) e morì a Khartoum (Sudan), come vescovo vicario apostolico dell’Africa centrale.
· B. Artemide Zatti (1880-1951), laico salesiano italiano, medico missionario in Patagonia (Argentina).
· Ven. Eusebio Francesco Chini (1645-1711), sacerdote gesuita di Trento, detto P. Kino. Dal 1681 fu missionario, esploratore e scienziato nei territori settentrionali del Messico e nel sud degli Usa, cominciando dalla Bassa California, poi Sonora, Arizona..., dove fondò più di 20 missioni e si adoperò per migliorare le condizioni di vita degli indios (nelle coltivazioni, allevamenti, artigianato...). È riconosciuto come “uno dei padri fondatori dell’Arizona”; per questo è onorato con una statua nel Campidoglio di Washington. Morì a Magdalena-Kino (Messico) .
16 S. José Gabriel Brochero (1840-1914), sacerdote argentino, pastore esemplare e viaggiatore instancabile. A dorso di mula (lo chiamavano “el cura gaucho”) visitava casa per casa i suoi fedeli in regioni lontane. Morì cieco e lebbroso.
· SdD. Lazzaro Graziani (1918-1961), cappuccino di Sarcedo (Vicenza), missionario in Angola, martirizzato per ordine di un capo protestante a Pangala, dove Padre Lazzaro stava preparando i fedeli alla Pasqua.
17 S. Patrizio (385-461), nato in Inghilterra, divenne il grande missionario ed evangelizzatore dell’Irlanda. Fu vescovo di Armagh. È patrono dell’Irlanda.
18 S. Cirillo di Gerusalemme (313 o 315-386), vescovo di Gerusalemme, noto per le sue catechesi. Fu spesso perseguitato dagli Ariani.
19 S. Giuseppe, sposo della Vergine Maria, «uomo giusto», si è fidato di Dio (cfr. Mt 1,19). Fu un umile falegname, padre legale di Gesù, testimone oculare della Sua vita, custode della Santa Famiglia di Nàzaret. «Ha amato Gesù con cuore di padre» (Papa Francesco). È “patrono della Chiesa universale” (B. Pio IX, 1870), “patrono dei lavoratori” (Pio XII), patrono della buona morte, invocato da numerosi santi e beati, venerato dal popolo cristiano in moltissime chiese, congregazioni, istituti e associazioni nel mondo intero.
19 Inizio dell’anno di riflessione e di approfondimento (marzo 2021-giugno 2022) sull’Amoris laetitia, esortazione apostolica di Papa Francesco, pubblicata nel 2016, “sull’amore nella famiglia”.
20 B. Francisco Palau y Quer (1811-1872), sacerdote spagnolo dei Carmelitani scalzi. Fondatore, promotore delle missioni popolari, fu vittima di varie persecuzioni.
· Bb. 38 Martiri dell’Albania, uccisi sotto il regime comunista fra 1945 e 1974: Mons. Vinçenc Prennushi (1885-1949), francescano albanese, arcivescovo di Durazzo, e 37 compagni martiri (vescovi, sacerdoti e laici), che furono beatificati a Scutari nel 2016. Oltre a questi 38 beati, varie decine di altri cattolici albanesi subirono prigionia, torture e morte durante la stessa persecuzione: vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e numerosissimi laici.
· Ricordo di Luis Espinal Camps (1932-1980), gesuita spagnolo, missionario in Bolivia, fedele annunciatore del Vangelo. Lavorò a fianco dei minatori e dei poveri per la promozione dei diritti umani e in difesa della democrazia. Rapito dai paramilitari, fu torturato e ucciso.
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A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)
Sito Web: www.comboni.org “Parola per la Missione”
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Il Vangelo ci presenta alcuni segni e simboli da osservare e valutare per la nostra breve riflessione. Prima di tutto il serpente. “Come Mosè – dice Gesù a Nicodemo – come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo”. Gesù si riferisce al libro dei Numeri quando il popolo ebreo si ribellò a Dio che lo punì con la piaga dei serpenti velenosi. Il popolo, pentito, chiese perdono al Signore, il quale disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque lo guarderà, resterà in vita”.
Il serpente, segno di morte e di pericolo, di disgrazia e fallimento, innalzato diventa segno di vita. Come segno di vita diventa la croce sulla quale viene innalzato Cristo. La croce che è sofferenza, supplizio, disperazione e angoscia è stata vinta da quel Gesù ed è diventata per noi ritorno alla vita, risurrezione e rinascita. Cioè, salvezza. Il Padre non ha mandato suo Figlio per giudicarmi e condannarmi. Lo ha mandato perché mi possa salvare attraverso di Lui. Non è venuto per condannare e giudicare, ma a salvare. Una bella bastonata sulla nostra testa! A noi, abituati a giudicare gli altri, a cucire vestiti su misura, a condannare senza appello, a isolare chi non la pensa come me e inchiodarlo sul patibolo della emarginazione. Sempre pronti al risentimento, alla indifferenza e al rancore. Poco inclini alla comprensione e tolleranza, sempre pronti alla vendetta più che al perdono. "Dio non ha mandato suo Figlio a condannare, ma a salvare". Veramente una bella bastonata in testa per noi che ci crediamo e professiamo cristiani.
Don Mauro
Dalla Croce
si irradia la liberazione dal male
2Cr 36,14-16.19-23; Salmo 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21
Le esperienze descritte in termini storici ed esistenziali dalle tre letture di questa domenica non vi sono estranee, anzi sono proprio quelle che frequentemente minacciano il cammino dei credenti: l'infedeltà di Israele, la morte causata dal peccato nei pagani di Efeso, il fare il male e odiare la luce denunciati dal brano di Giovanni. Però, anche di fronte al peccato dell’uomo, Dio sa percorrere strade nuove: su di esso si innalza la croce del figlio, espressione di un amore che perdona e ridona vita (salute/salvezza) al fedele che con fiducia guarda a colui che è stato trafitto.
C'è qui una proposta di conversione, che ha come punto di partenza il riconoscimento del proprio peccato. Non si può capire e gustare il perdono se non si prende lucidamente coscienza della propria colpa. Soltanto accorgendomi del mio peccato come enormità, posso scoprire la grandezza della misericordia e del perdono di Dio. Non mi deve interessare il punto di vista della massa sul male.
A un cristiano deve interessare unicamente il punto di vista di Dio sul peccato. Quando il credente ammette le proprie stupidaggini, non vanta i propri errori come imprese gloriose, allora Dio si rivela come amore e manifesta la sua “debolezza” (nei confronti dell’uomo). Egli accosta i peccatori a uno a uno (samaritana, Zaccheo, adultera, il ladrone...). Il recupero avviene attraverso un rapporto personale fatto di comprensione, fiducia e amore.
Purtroppo, mai come oggi il male viene pubblicizzato, esibito. Non solo giustificato, addirittura esaltato, onorato. Il “Chiunque fa il male odia la luce” non corrisponde più alla realtà. Si esibisce tutto in piena luce, richiamando l'attenzione del pubblico. Il bene è deriso perfino diffamato. E il male glorificato. Difficilmente abbiamo il coraggio di riconoscere i nostri torti e ci si arrabbia soltanto perché “si è saputo” o se ne parla.
L'unico modo per impedire gli scandali o lo scandalismo è quello di scandalizzarci o di vergognarci noi, prima di compiere certe azioni eterodosse. I rimorsi è sempre meglio averli prima, e non saremo più lontani dal regno di Dio.
Don Joseph Ndoum