Con la Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa. Ề una domenica ricca di significati: ci ricordiamo il mistero di Cristo salvatore che dona la vita per noi, e approfondiamo normalmente il senso del nostro essere cristiani. La liturgia inizia con la benedizione delle palme o dei rami d’ulivo, per ricordare l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme.
La morte in croce manifesta il figlio di Dio
Is 50,4-7; Salmo 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1- 15,47
Con la Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa. Ề una domenica ricca di significati: ci ricordiamo il mistero di Cristo salvatore che dona la vita per noi, e approfondiamo normalmente il senso del nostro essere cristiani. La liturgia inizia con la benedizione delle palme o dei rami d’ulivo, per ricordare l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. Essi erano segno di gioia, perché il popolo aveva trovato in Gesù il suo re e messia. I cristiani porteranno questi rami benedetti nelle loro case, come ricordo di Cristo vincitore della morte e come segno manifesto della loro volontà di rimanere uniti a lui, per portare frutti di opere buone.
Nella liturgia della Parola, questa domenica è dominata dal racconto della Passione del Signore. La breve lettura dal profeta Isaia crea il clima adatto per l’ascolto di quest’episodio narrato da Luca. Il testo di Isaia riporta il terzo canto del servo del Signore che viene presentato come un “discepolo” del Signore. Si tratta di un personaggio perseguitato, offeso e maltrattato che si trova in prigione in attesa di processo. Ma egli è certo che il Signore lo assisterà come suo avvocato di fronte a quelli che lo accusano. L’unica preoccupazione del servo è di restare fedele al Signore che gli parla e lo istruisce perché egli sappia confortare chi è sfiduciato.
L’altra lezione è quella della non-violenza: non rispondere male al male, insulto ad insulto. Infatti il servo non si ribella al suo destino di flagellazioni, insulti, sputi, di sofferenza e di umiliazione, ma si fida di Dio che lo assiste. Ha la sicurezza di non restare deluso, perché Dio non inganna mai.
Nella prospettiva cristiana, questo destino tragico si concentra in Gesù, il servo fedele a Dio e solidale con tutti gli uomini oppressi e perseguitati. Egli, nonostante la sua uguaglianza a Dio, come dice la seconda lettura, ha scelto di farsi servo e di condividere la sorte di tutti gli esseri umani, rimanendo fedele a Dio anche nella morte infame e dolorosissima sulla croce. Perciò Dio lo ha costituito Signore universale: egli “è il Signore, a gloria di Dio Padre”.
Questa figura del servo-Signore si riscontra nel racconto lucano della Passione. Gesù è il servo in quanto dona il suo corpo e versa il suo sangue. Gesù stesso interpreta la sua morte come un atto di donazione a favore dei discepoli (“per voi”) e fondamento della “nuova alleanza”.
Una delle ultime parole di Gesù prima di morire è una parola di speranza per un peccatore: “Oggi sarai con me in paradiso”. Si tratta di un annuncio di salvezza per tutti i peccatori che si pentono. E con l’ultima sua parola Gesù ci insegna come morire, nella preghiera di fiducia sul modello de salmo 31,6: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Opportunamente, a questa preghiera di fiducia reagisce il centurione glorificando Gesù: “Veramente quest’uomo era giusto”.
Il clima di speranza che avvolge la scena della morte di Gesù dovrebbe animare ogni cristiano in questa Pasqua e per tutta la vita.
Don Joseph Ndoum
Domenica delle Palme e della Passione del Signore
Di fronte a quel Dio “deludente”
inchiodato alla nostra vita per sempre
Mentre tutti si aspettano un Messia forte, trionfante e vittorioso, immagine di un Dio potente, Gesù entra a Gerusalemme cavalcando un puledro, figlio d’asino. Un Dio diverso da come è stato immaginato e da tutte le proiezioni che su di Lui erano state costruite, mentre compiva prodigi per le strade di Galilea.
Al centro del dramma, che si consuma in poche ore a Gerusalemme durante la festa di Pasqua e che oggi riviviamo in questa Domenica delle Palme, c’è la delusione. È deludente il Dio dell’umiltà, che usa la mitezza per disarmare le forze del male; è deludente il Dio fragile, che non interviene con forza e braccio teso per trasformare le cose ma si affida al potere dell’amore e si appella alla mia libertà e al mio desiderio di cambiare; è deludente il Dio che abita le piccole cose nascoste dentro le nostre giornate più grigie, mentre noi lo cerchiamo in segni straordinari del cielo. Questo Dio che ha piantato la sua tenda nella fragilità della carne e delle cose, che sono chiamato a scoprire vivo e presente nel volto dei fratelli e a non rinchiudere nelle mie preghiere, che mi rimanda con coraggio nel mondo e in tutte le situazioni della mia vita senza sostituirsi al posto mio, che mi chiama a essere segno, in tutto, di amore, di accoglienza, di perdono, di povertà, è fondamentalmente un Dio scomodo. Un Dio “deludente”.
Il dramma è questo: una folla che prima lo applaude, lo loda, agita per lui le palme della vittoria e, poche ore dopo, quando comprende che l’unico modo in cui Dio vince è correre il rischio dell’amore, lo abbandona e grida “Crocifiggilo”. E davanti a questo racconto della Passione, forse anche noi oggi siamo chiamati a chiederci: e io, oggi, nella mia vita, dove sono in questo racconto?
Entriamo nella Settimana Santa con questa domanda nel cuore. Contemplando la Croce, il Dio che muore d’amore per noi e ci chiede di spalancare le braccia alla vita come Lui e di essere appassionati come Lui verso noi stessi ma anche verso ogni fratello o sorella che incontriamo nel cammino, possiamo chiederci dove siamo in questo momento. Se nei confronti di Dio abbiamo solo entusiasmi passeggeri ed emotivi, per poi abbandonarlo un attimo dopo; se l’impegno di seguirlo ci spaventa e sotto la croce scappiamo anche noi per paura; se abbiamo elevato a nostro idolo il potere e un Dio umile, povero e fragile ci è di scandalo; oppure se, pur nella fatica quotidiana, accogliamo il mistero che da quella Croce si svela e cioè che il segreto di una vita riuscita e felice è l’amore: l’amore che si dona, che si impegna, che costruisce il bene, che fa la felicità dell’altro, che spezza ogni forma di violenza, che libera e guarisce.
Questo amore possiamo impararlo solo se lo accogliamo dalla Croce. Solo guardando a quel Dio “deludente” inchiodato alla nostra vita per sempre.
[Francesco Cosentino – L’Osservatore Romano]
Il Cireneo, uomo d’Africa: dal rifiuto al servizio
Marco 11,1-10 (processione)
Is 50,4-7: Sl 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
Riflessioni
L’ingresso nella Settimana Santa, la settimana grande dell’amore fino alle estreme conseguenze (Gv 13,1), è segnato quest’anno dal racconto della passione e morte di Cristo narrata dall’evangelista Marco (Vangelo). Quella Passio non è solo storia del passato: gli stessi avvenimenti si ripetono oggi. I personaggi di allora (Caifa, Erode, Pilato, farisei, sacerdoti, Pietro, Giuda, Cireneo, pie donne, soldati, Centurione, Giuseppe d’Arimatea…) sono emblematici di quanto succede oggi nei riguardi di Cristo e dei sofferenti, con i quali Egli si identifica (cfr. Mt 25,35s).
Ogni persona può trovarsi ad essere, nel bene o nel male, l’uno o l’altro dei personaggi della passione di Gesù. Ognuno può essere, per esempio, come il Cireneo, personaggio caro all’evangelista Marco, il quale ne presenta così l’incontro con quello strano Condannato di spicco: “Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo” (v. 15,21; cfr. Rm 16,13). Da allora il Cireneo (uomo della Cirenaica, nell’Africa del nord, attuale Libia) è divenuto un’icona dell’uomo che, per istinto, rifiuta il fardello altrui, tanto più di un condannato; ma, appena scopre il volto e il cuore di quello Sconosciuto, se ne innamorano lui e la sua famiglia.
Il Cireneo diviene, in questo modo, fratello del Buon Samaritano, della Veronica e dei loro seguaci, che, sugli infiniti cammini del dolore umano, si prodigano, per puro amore, accanto alle vittime delle ingiustizie di ogni tempo. Due voci autorevoli e coincidenti giungono dall’Africa, ambedue dal Camerun, a commentare l’icona del Cireneo: sono P. Mveng e Benedetto XVI. La voce di P. Engelbert Mveng, gesuita camerunese, teologo, poeta e artista, assassinato nel 1995, è raccolta nella sua Via Crucis, “Se qualcuno…” (Ed. Nigrizia, Bologna 1963), abbellita con i tipici disegni del suo laboratorio di arte africana. Nella V stazione della Via Crucis, P. Mveng presenta con passione e fraterna ammirazione il Cireneo, “un uomo d’Africa”:
«Un povero uomo stanco; ritorna dai campi; è un uomo d'Africa!
E dentro la sua testa, la stanchezza del giorno imbastisce un lungo ritornello,
l'oppressione del giorno pesa come un bolide sui suoi passi vacillanti,
sulle sue labbra che si agitano, sull'affanno del suo cuore che non ne può più...
Un povero uomo d'Africa…
Non è Deputato; non è Consigliere;
non è un Notabile ascoltato negli ambienti tradizionali,
e i soldati, di fronte a lui, non scatteranno sull'attenti!
Né i passanti gli diranno: «buonasera, Signore!»
È un povero uomo d'Africa, il cui passo è timido,
e che porta su di sé quasi un firmamento di mistero…
Uno di quegli uomini che nessuno capisce, che non si capiscono neppure loro,
che si portano addosso un groppo di silenzio
dove Dio canta melodie sconosciute agli altri uomini…
Ed ecco che gli mettono le mani addosso, che lo scuotono, lo trascinano,
ecco che l'obbligano a portare la Croce del Condannato...
E Gesù, in piedi, l'aspettava come un fratello...
Questo povero uomo d'Africa che non capiva troppo bene,
che era stanco e non voleva saperne della Croce di un condannato...
Gesù l'aspettava come un fratello,
e nel suo cuore tutto sanguinante di fatica e di amore,
la sua mano firmava il grande patto dell'Appello all'incrocio delle loro due vite...
All'orizzonte dello sguardo di Simone, uomo di Cirene, uomo d'Africa,
saliva l'alba della redenzione del mondo.
Mio Gesù, Tu attendi anche me:
con Simone, l'uomo di Cirene, eccomi qui» (E. Mveng).
Benedetto XVI, nel suo viaggio in Africa, incontrò il 19 marzo 2009 a Yaoundé (Camerun), il mondo della sofferenza, davanti al quale si è ampiamente ispirato all’icona del Cireneo:
«La storia ricorda che un africano, un figlio del vostro continente, ha partecipato, con la sua stessa sofferenza, alla pena infinita di Colui che ha redento tutti gli uomini compresi i suoi persecutori. Simone di Cirene non poteva sapere che egli aveva il suo Salvatore davanti agli occhi. Egli è stato “requisito” per aiutarlo (cfr. Mc 15,21); egli fu costretto, forzato a farlo… È solo dopo la risurrezione che egli ha potuto comprendere quello che aveva fatto… Solo la vittoria finale del Signore ci svelerà il senso definitivo delle nostre prove… Prego, cari fratelli e sorelle malati, perché molti ‘Simone di Cirene’ vengano anche al vostro capezzale».
Davanti alle stragi, distruzioni e morti che il violento tifone Yolanda aveva provocato nelle Filippine nel novembre 2014, Papa Francesco decise di andare sul posto, come un cireneo, a portare un po’ di conforto ai superstiti; ma non trovò altro messaggio di sollievo se non lo sguardo a Cristo Crocifisso. (*)
Parola del Papa
(*) «Sono qui per dirvi che Gesù è il Signore, che Gesù non delude… Lo vedo lì inchiodato, e da lì non ci delude! … Gesù è il Signore! Ed è il Signore dalla Croce, là ha regnato! Per questo Egli è capace di comprenderci… abbiamo un Signore che è capace di piangere con noi… Molti di voi hanno perso tutto. Io non so che cosa dirvi. Lui sì, sa che cosa dirvi! Molti di voi hanno perso parte della famiglia. Solamente rimango in silenzio, vi accompagno con il mio cuore in silenzio… Molti di voi si sono domandati guardando Cristo: “Perché Signore?”. E ad ognuno il Signore risponde nel cuore, dal suo cuore. Io non ho altre parole da dirvi. Guardiamo Cristo. E insieme a Lui crocifisso stava la madre… Nei momenti in cui non capiamo niente, nei momenti in cui vogliamo ribellarci, ci viene solo da tendere la mano e aggrapparci alla sua sottana e dirle: “Mamma!”. Come un bambino che quando ha paura dice: Mamma!».
Papa Francesco
Omelia a Tacloban (Filippine), 17-1-2015
Sui passi dei Missionari
28 Domenica delle Palme - Giornata della gioventù, da celebrarsi nelle diocesi.
* Inizio della Settimana santa: celebrazione della Passione, morte e RISURREZIONE di Gesù Cristo, Redentore e Salvatore di tutti i popoli.
28 B. Cristoforo Wharton (c. 1540-1600), sacerdote e martire, consegnato al patibolo durante il regno di Elisabetta I.
29 B. Giovanni Hambley (c. 1560-1587), sacerdote e martire. In un giorno imprecisato di questo mese, intorno a Pasqua, fu condannato al supplizio del patibolo a motivo del suo sacerdozio, sotto il regno di Elisabetta I.
30 S. Ludovico da Casoria (Arcangelo) Palmentieri (1814-1885), francescano napoletano, educatore e fondatore dei Frati della Carità (detti Frati Bigi) e delle Suore Francescane di santa Elisabetta. Operò attivamente per il riscatto dalla schiavitù di ragazze e ragazzi africani.
· S. Leonardo Murialdo (1828-1900), sacerdote di Torino ed educatore. Nel 1867 fondò la confraternita laicale di san Giuseppe (“i Giuseppini”) per aiutare i ragazzi poveri e abbandonati attraverso la scuola, la formazione al lavoro e le case famiglia.
31 B. Cristoforo Robinson (c. 1568-1598), sacerdote e martire. Dopo essere stato testimone del martirio di san Giovanni Boste, fu condotto al patibolo, durante il regno di Elisabetta I, per il solo fatto di essere sacerdote.
· Si ricorda l’espulsione dei Gesuiti (1767) da Spagna, Portogallo e delle rispettive colonie in America Latina. Sei anni più tardi (1773) ci fu la soppressione della Compagnia di Gesù, Ordine grandemente benemerito per l’evangelizzazione nel mondo intero.
1 S. Lodovico Pavoni (1784-1849), sacerdote di Brescia, pioniere nel campo sociale, fondatore, dedito all’educazione umana, cristiana e professionale dei ragazzi.
· B. Anacleto González Flores (1888-1927), martire, ucciso a Guadalajara assieme a tre giovani, durante la persecuzione messicana. Padre di famiglia, pedagogo, catechista, leader sociale, difensore della fede cattolica, fondatore dell’Associazione cattolica della gioventù messicana. Lo chiamarono il “Gandhi messicano”, perché propugnò la pace e la nonviolenza. È il patrono dei laici messicani.
2 S. Francesco da Paola (1416-1507), eremita di vita austera, fondatore dell’Ordine dei Minimi, patrono della Calabria e della gente di mare. Esemplare è il suo messaggio di “continua conversione”, con un amore incondizionato verso Dio, i fratelli e il creato.
· S. Pietro Calungsod (1654-1672), catechista laico, nato nelle Filippine, e il B. Diego Luis de san Vitores (1627-1672), sacerdote gesuita spagnolo. Ambedue furono uccisi in odio alla fede cristiana e precipitati in mare nell’isola di Guam (Isole Marianne, Oceania).
· B. Maria Laura Alvarado (1875-1967), nata e vissuta in Venezuela, fondatrice, dedita alla cura di orfani, anziani e poveri. Morì a Maracaibo.
3 Ven. Jérôme Lejeune (1926-1994), cattolico francese, sposato e padre di cinque figli, medico genetista, che nel 1959 scoprì, assieme ad altri due ricercatori, la causa della Sindrome di Down (prima chiamata ‘mongoloidismo’). Come scienziato e credente, nonostante l’ostilità di altri colleghi, si oppose alle tesi abortiste e difese l’inviolabile dignità della vita umana. Citava spesso la frase del chimico e biologo francese Louis Pasteur († 1895): «Poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui». Fu il primo Presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
· SdD. Bernardo Sartori (1897-1983) sacerdote comboniano italiano, per quasi 50 anni in Uganda, ove morì, con fama di santità per la sua grande devozione eucaristica e mariana, e per il suo zelo missionario.
4 Domenica di Pasqua di RISURREZIONE di Gesù Cristo, Redentore e Salvatore di tutti i popoli. Alleluia!
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A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)
Sito Web: www.comboni.org “Parola per la Missione”
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