Due miracoli compongono il lungo racconto evangelico di questa domenica: la guarigione della donna, che da dodici anni, soffre di emorragia e la risurrezione della figlia di Giairo. I punti di contatto tra questi due miracoli sono rilevanti: si tratta di due donne; c’è il numero ‘’dodici’’ che ricorre in ambedue i casi (la donna è malata da dodici anni quando la bambina dodicenne è venuta al mondo); il duplice miracolo avviene per contatto fisico, la folla è estranea ai due prodigi e l’intervento di Gesù è all’insegna della sua sensibilità di fronte alle miserie umane, senza distinzione di persone. (...)

Fede necessaria
per essere Missionari per la Vita

Sapienza 1,13-15; 2,23-24; Salmo 29; 2Corinzi 8,7.9.13-15; Marco 5,21-43

Riflessioni
Torna con forza il tema della Vita, nelle tre letture di questa domenica: la vita come progetto iniziale e definivo di Dio (I lettura); la vita che, grazie alla fede, vince la malattia e la morte (Vangelo); e la vita condivisa nella carità (II lettura). Nel Primo Testamento, il credente biblico aveva, in generale, una conoscenza e un rapporto molto nebulosi riguardo alla morte e alla vita ultraterrena. Fanno eccezione alcuni testi prossimi al Nuovo Testamento, come il libro della Sapienza (I lettura), che appare determinato nel darci una delle più belle definizioni di Dio, come “Signore, amante della vita” (11,26). Il testo odierno afferma che “Dio non ha creato la morte… ha creato l’uomo per l’incorruttibilità” (v. 13.23). Le cose della creazione sono buone, sono fatte per esistere, sono portatrici di salvezza, perché provengono dal Dio della vita.

Con il suo progetto di vita, Dio non intendeva esimere le sue creature dalla fine naturale che è retaggio di ogni essere limitato. Purtroppo il piano divino è stato rovinato, sia pure parzialmente: “per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo” (v. 24). Infatti, il peccato, che è la morte spirituale, a cui l’uomo si abbandona liberamente, ha stravolto anche l’ordine naturale e continua ad aggravare nella sofferenza i passi cadenti dell’esistenza umana. Non ha molto senso (sarebbe solo uno sterile rimbalzare di ipotesi teoriche!) domandarsi se la morte naturale ci sarebbe stata senza il peccato di Adamo. È meglio prendere atto della nostra realtà attuale, l’unica che abbiamo.

Dio ha messo in atto per noi la rivincita sulla sofferenza e sulla morte per mezzo della fede, alla quale Gesù invita i personaggi dei due miracoli che l’evangelista Marco racconta con abbondanti dettagli (Vangelo). La donna che perde sangue da dodici anni, dilapidata da medici e cure, ritenuta legalmente impura per contatto con il sangue, ora è del tutto spacciata. Le resta solo la scorciatoia della fede, nascosta e segreta: toccare il lembo del vestito di Gesù. Le basta raggiungerlo, toccarlo, e il miracolo è fatto: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita” (v. 34). Ormai è salva, in pace, sana: è figlia, perché Gesù le ha dato la vita. È il miracolo della fede! La stessa fede alla quale Gesù invita Giàiro, il papà della bambina dodicenne appena morta: “Non temere, soltanto abbi fede!” (v. 36). A Gesù basta prendere la fanciulla per mano e dirle: “alzati!” E lei si alza, cammina e riprende a mangiare (v. 41-42). Nei due interventi miracolosi di Gesù - sulla donna inferma e sulla bambina morta - l’evangelista Marco mette in evidenza la cifra di dodici anni (un tempo lungo e completo), ma insiste soprattutto sul fatto che Gesù si lascia toccare dalla donna legalmente impura per il sangue e tocca la carne morta della bambina. Gesù non ha paura di andare oltre la l’impurità legale, perché Dio è “una mano che ti prende per mano” (E. Ronchi).

San Paolo invita i cristiani di Corinto (II lettura) a scoprire nella fede il valore evangelico della condivisione dei beni a favore di chi è nel bisogno. Nel caso specifico, l’appello paolino è a favore dei poveri nella comunità di Gerusalemme, ma le tre motivazioni teologiche su cui l’apostolo si basa sono valide per ogni tempo e situazione. Anzitutto, l’esempio di Cristo, che ha scelto di farsi povero per noi (v. 9), è un invito ad assumerne i sentimenti di condivisione e di gratuità. Inoltre, Paolo sottolinea il valore dell’uguaglianza (v. 13-14) come esigenza della vera fraternità che si ispira al Vangelo. Infine, alludendo all’esperienza degli israeliti con la manna nel deserto, Paolo mette in guardia i cristiani dalla tentazione di accumulare i beni per sé dimenticando gli altri (v. 15).

Sono indicazioni preziose anche oggi per motivare e sostenere le iniziative di cooperazione missionaria, come pure i grandi progetti e le campagne di sviluppo e di promozione umana a favore degli affamati e di altri gruppi di persone indigenti. Nella vicinanza degli incontri annuali fra gli uomini di governo più potenti della terra, associati nei vari G7, G20, Ue, Nato, Onu…, è doveroso ricordare il messaggio della Chiesa e del Papa, che reclamano soluzioni efficaci, rapide e generose a beneficio degli ultimi della terra. Papa Francesco lo ha fatto in modo ampio e autorevole con l’Enciclica Laudato Si’, “sulla cura della casa comune”. (*)

Nelle tre letture di oggi, la fede appare come la risposta capace di generare soluzioni globali a realtà basiche come la salute, la vita, la fraternità… La fede, infatti, è capace di dare consolazione nella sofferenza e speranza anche davanti alla morte; è capace di creare e sostenere una fraternità nuova, una vita di condivisione nella carità. Una vita di fratelli, uguali e solidali, è possibile! È l’utopia del Vangelo? Sia benvenuta, anche se esigente! Rimane sempre come un ideale davanti a noi. È questo - e non può essere un altro - il programma di quanti sono chiamati e optano per essere missionari per la Vita! Come Gesù, come Paolo…

Parola del Papa

(*) «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare… Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale… Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità. Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta».
Papa Francesco
Lettera enciclica Laudato Si’ (2015) n. 13-15

Sui passi dei Missionari

27   Domenica per la Carità del Papa.

27   Festa della Madonna del Perpetuo Soccorso. L’antica icona (proveniente da Creta) si conserva nella chiesa romana di sant’Alfonso de’ Liguori, affidata ai Redentoristi, sull’Esquilino. Con questo titolo la Madonna è venerata in molte parti del mondo, dove i devoti hanno costruito altari e santuari in suo onore.

·     S. Margherita Bays (1815-1879), laica svizzera, sarta, terziaria francescana, favorita dal Cielo con il dono delle stimmate, impegnata nel servire i malati e nell’insegnare il catechismo ai ragazzi, preparandoli a ricevere i sacramenti.

28   S. Ireneo (135-202 c.), martire, nato a Smirne (odierna Turchia), discepolo di S. Policarpo. Divenne vescovo di Lione e grande evangelizzatore della Gallia. È uno dei Padri della Chiesa.

·     Compleanno di Muhammad Yunus, nato nel 1940 in Bangladesh, imprenditore sociale, banchiere, economista, leader della società civile. A lui e alla sua Grameen Bank fu attribuito il Premio Nobel per la Pace 2006, «per i loro sforzi diretti a promuovere lo sviluppo economico e sociale dal basso».

29   Ss. Pietro e Paolo, apostoli, martiri, missionari e fondatori della Chiesa di Roma e di altre località nel mondo ellenistico di allora. Furono uccisi a Roma sotto l’imperatore Nerone (64-67 c.). Fin dai primi secoli, la storia e la liturgia della Chiesa li ricordano, li venerano e li invocano assieme.

30   B. Basilio Velyckovskyj (1903-1973), martirizzato dal regime comunista dell’Ucraina. Zelante sacerdote redentorista, godeva di grande fama tra il popolo; nel 1945 fu condannato a dieci anni in un campo di concentramento, dopo i quali tornò a Leopoli e continuò a operare in clandestinità. Nel 1963 fu ordinato vescovo greco-cattolico in una camera d’albergo a Mosca; in seguito fu nuovamente imprigionato (1969) ed espulso. Morì in esilio a Winnipeg (Canada), per una dose di veleno a lento effetto, somministratagli prima della partenza per l’esilio nel 1972.

·     Ven. Pierre Toussaint (Haiti 1766-1853 Usa), nato ad Haiti da una famiglia di schiavi africani a servizio di una famiglia francese, che lo educò e lo fece battezzare. Trasferitosi negli Stati Uniti e divenuto un noto barbiere di qualità, si arricchì e aiutò la famiglia francese caduta in disgrazia. Acquistò la libertà per la sorella e la futura moglie, e soccorse orfani e appestati.

1     S. Oliviero Plunkett (1625-1681), martire irlandese, studiò a Roma e insegnò teologia nel Collegio romano di Propaganda Fide. Fu nominato arcivescovo di Armagh (Irlanda) e, accusato falsanente di tradimento, fu arrestato e ucciso a Londra.

·     B. Antonio Rosmini (1797-1855), sacerdote, teologo e filosofo italiano. Nel 1828 fondò al Sacro Monte Calvario di Domodossola l’Istituto della Carità (detto poi Rosminiani). Fu uomo di straordinaria profondità di pensiero e di vita cristiana. Per alcuni scritti fu incompreso e ingiustamente condannato dalla gerarchia della Chiesa, verso la quale, però, egli serbò sempre obbedienza e amore.

·     B. Assunta Marchetti (1871-1948), missionaria italiana in Brasile, religiosa esemplare nel servizio agli orfani degli emigrati. In questa missione poté contare anche con l’aiuto di suo fratello sacerdote, della sua stessa mamma e del B. Giovanni Battista Scalabrini. Fu cofondatrice delle Suore missionarie di San Carlo (Scalabriniane). (Vedi 1/6).

·     Bb. Tullio Maruzzo (1929-1981), francescano di Vicenza, e Luis Obdulio Arroyo, suo catechista, ambedue martirizzati in Guatemala, mentre una sera ritornavano in auto da un incontro pastorale con laici. Maruzzo fu uomo mite, ma deciso nella formazione e promozione dei campesinos. In quegli anni molte persone caddero vittime della violenza del regime in Guatemala, tra cui il vescovo Gerardi, sacerdoti, suore, numerosi catechisti e altri laici. (Vedi 13/2; 26/4; 4/6; 28/7).

3     S. Tommaso, apostolo, professò la sua fede in Cristo risorto (Gv 20,24-29). Secondo la tradizione, dopo la Pentecoste, annunciò il Vangelo in Mesopotamia e dopo l’anno 50 arrivò in India, dando vita alle ferventi comunità dei cosiddetti “cristiani di san Tommaso”. Distribuiti nel sud-ovest dell’India, specialmente nello stato del Kerala, rimasero uniti nella fede e nella comunione con Roma, fino al sec. XVII, quando alcuni gruppi passarono a Chiese cristiane ortodosse o evangeliche, mentre molti altri perseverarono nella fede delle origini.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)

Sito Web:   www.comboni.org    “Parola per la Missione”

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Il Dio d’amore che ci prende per mano

Sap 1,13-15; 2,23-24; Salmo 29/30; 2Cor 8,9.13-15; Mc 5,21-43

Due miracoli compongono il lungo racconto evangelico di questa domenica: la guarigione della donna, che da dodici anni, soffre di emorragia e la risurrezione della figlia di Giairo. I punti di contatto tra questi due miracoli sono rilevanti: si tratta di due donne; c’è il numero ‘’dodici’’ che ricorre in ambedue i casi (la donna è malata da dodici anni quando la bambina dodicenne è venuta al mondo); il duplice miracolo avviene per contatto fisico, la folla è estranea ai due prodigi e l’intervento di Gesù è all’insegna della sua sensibilità di fronte alle miserie umane, senza distinzione di persone. Egli si muove, certo, per un personaggio importante (Giairo), ma si ferma anche per una donna anonima. In realtà la fede costituisce il vero centro che unisce tra loro i due episodi.

La donna si era già rivoltata a parecchi medici, i cui interventi prolungati hanno dato esiti piuttosto deludenti. La duplice insistenza su ‘’dodici anni’’ sembra un’ironia nei confronti dei medici e un sospetto sul fallimento e sui limiti delle cure mediche. Comunque, lo scopo di Marco è di mettere in evidenza la gravità della malattia e l’efficacia istantanea dell’intervento di Gesù contrapposto all’ impotenza delle scienze, dei mezzi umani.

La donna che soffre di perdite di sangue, secondo le prescrizioni del Levitico, è in uno stato di impurità che le impedisce qualche contatto e incontro con altre persone. Dunque, toccando il mantello di Gesù, ella ha trasgredito la legge sulla purità rituale. Si comprende allora il suo timore, dovuto anche al sospetto che il maestro si riprenda il beneficio che lei gli ha ‘’rubato’’. Però Gesù inizia, invece, un’opera di chiarificazione. Egli fa evolvere la fede iniziale della donna, impregnata ancora di elementi magici, fino alla fede matura, quella che fa passare dalla guarigione alla salvezza. Egli vuole inoltre che la donna conosca la vera causa della sua guarigione: La sua fede!

È la fede che rende possibile il miracolo. Gesù scambia per fede ciò che per noi è soltanto superstizione. Quel Maestro si accontenta anche di una fede semplice, non matura, mescolata a qualche elemento di superstizione. È spesso più concreta o autentica una fede un po’ sporca di terra che una fede intellettualistica qualche volta costruita artificialmente in certi centri o istituzioni specializzati con la pretensione di ortodossia (che non garantisce sempre l’ortoprassia) e di essere talmente sicura da non risultare più contagiosa.
Don Joseph Ndoum

Guarire,
per diventare il mantello di Cristo

Una bimba di dodici anni che sta morendo e una donna che da altrettanto tempo perde sangue. L’Evangelista Marco incrocia due storie: quella di una bambina che sta naufragando prima di diventare adulta e quella di una donna che ha una femminilità sanguinante; e nel frattempo appare un padre, capo di Sinagoga, che non riesce a tenere in vita la figlia che ha generato, in parallelo con dei medici che hanno torturato la loro povera paziente, «senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando».

Donne che soffrono e uomini che non le sanno aiutare... eppure il discorso è ancora più esteso: quanti adolescenti che sembrano irretiti nelle grinfie del nulla prima di divenire adulti, e quante donne e uomini che non riescono a vivere la loro maternità o paternità... e tanta vita sprecata, tanta bellezza che non sboccia e non arriva al suo frutto.

C’è bisogno di padri che sappiano chiedere aiuto sperando contro ogni speranza, e di donne e uomini che non si rassegnino al dolore interiore, a quella ferita nascosta che sanguina in tanti di noi. Quella donna torturata inutilmente dalle terapie del mondo è l’umanità, e ha bisogno di sentir parlare di Gesù, ha necessità di qualcuno che gli racconti la potenza di Cristo.

Questa umanità, poi, ha bisogno di trovarlo dove Lui ha scelto di farsi incontrare, in mezzo a quella folla che lo circonda che è la Chiesa, e ha urgenza di toccarlo. Tutti noi, per il nulla che ci insidia, abbiamo bisogno di toccare mille volte Cristo, e guarire. Ma c’è un altro livello: guarire, sì, ma per diventare il mantello di Cristo. Come potranno, infatti, i giovani toccare il Verbo della vita se non perché si imbattono in uomini e donne che vivono questa Sua vita?

Abbiamo tante cose da fare, ciascuno nella propria missione, ma, sempre e comunque, la cosa più importante è di essere una frangia del Suo mantello, ossia vivere ogni aspetto della nostra fragile umanità come qualcuno che sta con un Altro, fa le cose con Lui, cammina con Lui. Allora Lo troveranno dalle nostre parti.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]

Due vite ricuperate

Commentario a Mc 5, 21-43

Marco continua a presentare Gesù che agisce sulle due rive del lago di Galilea, con un messaggio chiaro di vicinanza divina ai poveri ai cuori “rotti”; un messaggio che si esprime, non soltanto in parole ispiratrici, ma anche in gesti concreti che confermano le parole e li danno una consistenza quasi “fisica”. Gesù mette in atto quello che possiamo chiamare “segni messianici”, cioè, azioni concrete che diventano manifestazioni della presenza di Dio in mezzo al suo popolo siano loro gli abitanti di Gerassa (“nell’altra riva”), siano quelli di Cafarnao.

Da “impure” a figlie

Nella lettura d’oggi si racconta la storia di due donne (una bambina di dodici anni e un’adulta malata anche da dodici anni); donne che, essendo “impure” (una perché cadavere e l’altra perché perde sangue-vita), sono “toccate” da Gesù e ricuperano, non soltanto la vita, ma anche la loro dignità di “figlie”, capaci di alzarsi, di credere (“la tua fede ti ha salvato”) e di condividere il banchetto della vita (“fatela mangiare”).

Alcuni sembrano leggere questi gesti di Gesù, come se Lui fosse un mago che con poteri speciali produce effetti appunto magici… Certamente, non c’è da dubitare dal grande potere di guarigione di Gesù, Ma mi sembra che questa non sia la prospettiva adeguata per capire quello che è successo sulla riva del lago di Galilea neanche quello che continua a succedere oggi tra tanti veri credenti. La prospettiva adeguata è quella del “segno messianico”, cioè, un’azione, un gesto che nasce dalla confluenza di due elementi fondamentali:

L’estraordinaria capacità di Gesù di amare e di entrare in comunione con le persone nella loro concreta situazione di vita, anche se erano condannate dalla tradizione; la sua profonda sintonia affettiva che, prendendo molto sul serio la realtà delle persone, riesce a trasmettere la sua esperienza della radicale vicinanza dell’amore del Padre. Come dice Benedetto XVI, soltanto l’amore salva. Quando qualcuno si sa amato, ricupera la sua dignità, diventa capace di alzarsi e di vivere una vita piena.

La fede di persone umili, che, minacciate dalla malattia e dalla morte, aprono i loro cuori e la loro speranza a Dio come unica roccia di rifugio. Nella mia vita missionaria in Africa, Europa e America ho trovato parecchie persone che sono come il papà della bambina moribonda o la donna disperata da una malattia che la umilia e la distrugge come donna e persona.

Davanti a una simile situazione, queste persone cercano una via d’uscita: nella medicina, nella preghiera, nel buon consiglio…, ovunque ci sia un’opportunità di ricuperare la vita minacciata o perduta. Molti li dicono che non c’è niente da fare, che accettino la realtà; si beffano di loro e della loro fede… Ma questa sua ricerca va rispettata e presa sul serio. Ed è questo che fa Gesù: a partire dalla sua estraordinaria esperienza della comunione con il Padre della Vita è capace d’entrare anche in comunione con i suoi figli e figlie che passano per momenti di speciale difficoltà, fino a rischiare di dubitare della propria dignità e di essere amati.

Parole e azioni

Tutti gli esseri umani, inclusi quelli più sicuri e prepotenti siamo delle creature deboli, esposte a malattie, sofferenze, disprezzi, pericolo e, per ultimo, la morte, anche se a volte qualche miracolo allontana per un po’ questo finale previsto, com’è successo alla figlia di Gairo, l’emorroissa o Lazaro. Ma io non credo che l’obiettivo dei miracoli di Gesù fosse di prolungare una vita che comunque deve finire, ma quello di dare una vita differente, una vita vissuta nell’amore e nella dignità, come figli e figlie di un Padre amoroso, che prende sul serio ognuno di noi. Le due donne, dopo quel “segno messianico” di Gesù, possono dichiarare con verità: “Io sono importante per Dio, sono importante per Gesù, sono importante per la comunità degli amici di Gesù. Non sono una malata o una moribonda. Sono FIGLIA”.

Questo è il messaggio centrale di Gesù. Per farlo capire usa parole, ma anche “segni” che nei vangeli hanno una doppia condizione:

Sono concreti e pratici, legati alla vita della gente; aiutano le persone in un modo “fisico”, risolvono un problema reale della vita reale.

trascendono la materialità, per trasmettere qualcosa che va aldilà del gesto concreto nella sua stretta materialità. Non si riducono a un “aiuto materiale”, senza anima, senza amore; comunicano una fiducia nella persona e la spingono a superare se stessa, alzarsi e mettersi al servizio di altri.
Così, anche la missione cristiana, sull’esempio di Gesù, cammina sempre su questo binario di parola e azione, di fede e di carità, di materia e di spirito. Le due dimensioni sono essenziali e si esigono a vicenda: la parola senza azione diventa bugiarda; l’azione senza parola perde il suo senso.
P. Antonio Villarino
Bogotá