Un tema unitario percorre le letture di questa domenica. Tutte e tre contengono racconti di vocazione. Il racconto della vocazione o chiamata di Pietro e dei suoi compagni da parte di Gesù, nel Vangelo, è anticipato dalla chiamata del profeta Isaia nel tempio di Gerusalemme (prima lettura) e dal racconto di alcuni aspetti significativi della chiamata dell’apostolo Paolo (2a lettura). (...)

“In mare aperto”: ampiezza e profondità della Missione

Isaia  6,1-8; Salmo  137; 1Corinzi  15,1-11; Luca  5,1-11

Riflessioni
Prendi il largo e gettate le vostre reti… Lasciarono tutto e lo seguirono”. (Vangelo, v. 4.11). Cosi Pietro e i suoi compagni. Come Isaia, Paolo... e tutti coloro che, lungo i secoli, hanno accolto l’invito-comando del medesimo Signore di partire in missione. Molteplici sono le vocazioni e le missioni, diverse nelle forme, percorsi e circostanze, ma identiche nella loro origine e finalità. Le tre letture di questa domenica presentano tre vocazioni tipiche: Isaia, Paolo, Pietro, le quali, pur essendo vocazioni personali e specifiche, hanno molteplici elementi comuni, fra i quali i cinque seguenti.

- 1. L’iniziativa di Dio è il punto di partenza di ogni vocazione-missione. È Lui che chiama e manda. Isaia, in mezzo ad una straordinaria manifestazione divina (I lettura), percepisce l’appello di Dio che cerca qualcuno da mandare (v. 8). A Paolo appare lo stesso Cristo risorto (II lettura) e gli rivela quello che deve annunciare (v. 3.8). Gesù predica dalla barca di Pietro (Vangelo), lo invita a prendere il largo, a calare le reti, e ne fa un pescatore di uomini (v. 4.10).

- 2. L’esperienza di Dio, percepito come grande e santo rispetto alla povertà e indegnità dell’apostolo, è fondamentale nell’avventura della vocazione-missione. Non si tratta di avere visioni, ma esperienze interiori, che sono diverse per ciascuno, ma necessarie per tutti. Davanti a Colui che è il Tre-volte-Santo, Isaia si sente perduto, uomo dalle labbra impure, poi purificato (v. 3.5.7). Da parte sua, Paolo si dichiara ultimo, indegno e persecutore (v. 8.9). E Pietro, toccato dalla parola di Gesù (v. 3) e dalla sorprendente pesca miracolosa, si riconosce peccatore, si getta alle ginocchia di Gesù e lo prega di allontanarsi (v. 8.9).  Quindi è chiaro che Dio ha deciso di servirsi di strumenti fragili per realizzare la sua salvezza: li purifica, li incoraggia, li abilita ad esserne messaggeri e operatori (v. 10).

- 3. Il Signore chiama per una missione. Può succedere che all’inizio il compito non sia chiaro, si farà concreto in seguito. Ciò che importa è la disponibilità senza condizioni da parte della persona chiamata; occorre una firma in bianco! È il caso di Isaia (v. 8). Per Paolo c’è un Vangelo da predicare: Cristo morto e risorto (v. 3.4.11). Pietro e i suoi compagni sono chiamati a prendere il largo, a pescare uomini in un mondo vasto e complesso (v. 4.10).

- 4. La risposta è la sequela: una risposta che cambia la vita dell’apostolo chiamato alla missione. “Eccomi, manda me!” risponde Isaia (v. 8). Paolo è contento di essere quello che è, e di aver faticato e predicato (v. 10.11). Pietro e i suoi colleghi lasciano tutto e seguono il nuovo Rabbi (v. 11). L’incontro con un avvenimento, con una Persona, è indispensabile per ogni vocazione-missione. (*) 

- 5. La forza della missione viene da Dio, non dall’apostolo. Il fuoco purificatore ha bruciato ogni resistenza ed Isaia si fa coraggio e va, inviato dal Signore (v. 8). Paolo riconosce che agisce “per grazia di Dio” (v. 10). A Pietro non importa di esporsi al rischio di un’altra pesca infruttuosa, o al ridicolo di pescare in pieno giorno, contro ogni logica umana. Si fida di Cristo: “sulla tua parola...” (v. 5).

Il “duc in altum” (prendi il largo, v. 4) è il comando audace di Gesù a Pietro: immergiti nel vasto mare del mondo, affronta il potere del male e le sue forze mortifere. Un comando che esige coraggio, perché spesso nel linguaggio biblico il mare è anche il luogo del ‘male’, del nulla, del caos, delle potenze avverse; per cui risulta più patente la signoria divina di Gesù che si impone alla tempesta, la placa, minaccia il mare (cfr. Lc 8,22-25). L’invito a diventare ‘pescatori di persone’ significa incontrare le persone dovunque siano, portare loro un messaggio di salvezza, tirarle fuori dal male, riportarle alla vita, come già spiegava S. Ambrogio: “Gli strumenti della pesca apostolica sono come le reti: infatti le reti non fanno morire chi vi è preso, ma lo conservano in vita, lo traggono dagli abissi alla luce”.

Mentre le reti della pesca fanno morire il pesce fuori dall’acqua, la rete del Vangelo salva e fa vivere. Però ‘pescare persone’ esclude ogni tipo di violenza, anche solo psicologica; non significa far abboccare qualcuno, neppure per farne dei proseliti. L’invito di Gesù è di tirar fuori dal mare (=male) persone vive. Il progetto di Dio è sempre per la vita e per la libertà. Gesù non toglie i suoi pescatori dal mare, dal mondo, li vuole presenti in esso, ma li custodisce dal Maligno (cfr. Gv 17,15) e li manda a salvare, a far vivere le persone. Questa era per Lui la priorità: salvare le persone da emarginazione, esclusione, morte…, ridare a tutti vita e speranza. Così Egli ha fatto con lebbrosi, posseduti, adulteri, samaritani, peccatori, malati di ogni genere.

L’operazione del “Duc in altum” (gr. ‘eis to bathos’) indica la vastità, la dispersione per le vie del mondo, ma soprattutto la profondità a cui è chiamata la missione. Gesù non affida a Pietro e ai suoi amici un lavoro semplice, di superficie, ma da alto mare. Si indica qui l’opera dell’evangelizzazione nella sua complessità, che comprende mete vitali, quali: annuncio di Cristo, avvio della comunità, inculturazione, promozione umana, ecc. Una missione esigente, aperta ad ogni popolo e cultura. Il “duc in altum” è uno stimolo ad imprese coraggiose. Sul “duc in altum” San Giovanni Paolo II ha impostato il programma missionario della Chiesa per il Terzo Millennio, come si legge nella Lettera apostolica Novo Millennio ineunte (6.1.2001). Un programma da realizzare con “occhi penetranti” e “cuore grande”! (n. 58). Se si vuole arrivare lontano, bisogna mirare in alto. Senza paure, né mediocrità. Lo Spirito spinge la Chiesa missionaria ad andare sempre oltre! A tutti!

Parola del Papa

(*)  “Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva»… Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?”
Papa Francesco
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013), n. 7-8

P. Romeo Ballan, mccj

L’irruzione di Dio nella storia dell’uomo

Is 6,1-2a.3-8; Salmo 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11

Un tema unitario percorre le letture di questa domenica. Tutte e tre contengono racconti di vocazione. Il racconto della vocazione o chiamata di Pietro e dei suoi compagni da parte di Gesù sulla riva del largo di Gennezaret, nel Vangelo, è anticipato dalla chiamata del profeta Isaia nel tempio di Gerusalemme (prima lettura) e dal racconto di alcuni aspetti significativi della chiamata dell’apostolo Paolo (2a lettura), cioè della sua trasformazione da persecutore della Chiesa a discepolo appassionato del Signore e apostolo delle Genti. La chiamata di Isaia avviene nel 740 a.C. Nella sala centrale del tempio egli vede «il Signore seduto su un trono alto ed elevato», attorno al trono di Dio il profeta vede i serafini alati che rappresentano la corte divina e stanno al suo servizio.

Ma l'attenzione viene più concentrata nelle parole dell'inno di matrice liturgica proclamato dai serafini: «santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria». Di fronte all'esperienza della santità di Dio il profeta esclama: «Ohime! Io sono perduto, perché sono un uomo dalle labbra impure». Ma nonostante questo limite, il profeta è stato ammesso alla presenza di Dio, e abilitato a parlare del suo nome. La purificazione viene indicata da un gesto simbolico: con un carbone ardente, uno dei serafini tocca le labbra di Isaia. In questa investitura profetica, l'accento è posto sull'iniziativa divina. Questo orientamento si trova anche nelle altre due letture. Paolo per questo, parla dell'efficacia salvifica del Vangelo, a condizione che venga accolto.

Nel Vangelo il protagonista è Gesù, che opera mediante la sua parola. Ci sono tre scene distinte. La prima presenta Gesù come maestro delle folle che fanno ressa attorno a lui. La seconda riguarda la pesca «insolita»: «Disse a Simone: «prendi il largo e calate le reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla: ma sulla tua parola getterò le reti». E, avendo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Nella terza scena, Gesù compie una radicale trasformazione nella vita dei discepoli. Non più pescatori di pesci, ma pescatori di uomini. Gesù si serve del loro mestiere, ma per cambiarlo, per dargli un orientamento diverso. Di fronte all'esperienza della pesca straordinaria, Pietro reagisce come Isaia che vede la gloria del Signore nel tempio, cioè riconosce il limite della sua condizione umana: «Signore» (non più «Maestro» come le aveva chiamato prima), allontanati da me che sono un peccatore. Questa reazione è tipica di chi viene a contatto con la potenza di Dio, cioè la manifestazione di una potenza sovrumana, eccita sempre un sentimento di timore. Tuttavia, al di là degli elementi appariscenti, c'è un elemento comune fondamentale in queste tre scene del Vangelo: la parola, o meglio, la potenza della parola.

Il protagonista, Cristo, è forte soltanto della sua parola efficace, trasformante. Per la mentalità ebraica si pesca con successo di notte, non di giorno. Sulla parola di Gesù non solo la barca di Simone si riempie di pesci, ma anche quella dei compagni chiamati ad aiutarlo, al punto che «quasi affondavano». Questi particolari narrativi non solo sottolineano l'efficacia straordinaria della parola di Gesù, ma mettono anche in evidenza la collaborazione tra i pescatori. Questa pesca, quindi, prefigura la missione cristiana dove Simon Pietro può contare sulla collaborazione dei suoi compagni. La parola si rivela qui come qualcosa di più che veicolo di idee. Essa è anche e soprattutto veicolo di forza. Quindi il termine ebraico «dabar» non sta a indicare «parola – pensiero», ma «parola – azione», cioè parola che è «avvenimento», «accadimento». Infatti, la parola è una liberazione di energia psichica, e quando viene pronunciata con potenza genera la realtà che significa (cf. benedizioni e maledizioni). Gesù parla, ed ecco che la sua parola fa guarire i malati, cessare le tempeste, il pane si moltiplica, le reti si gonfiano di pesci. La parola di Dio è sempre efficace, produce immancabilmente qualcosa, non va mai a vuoto a condizione che venga accolta (cf. Is 55, 10-11). Infine, questa parola non è solo insegnamento, è anche ordine, imperativo: «Ma sulla tua parola getteremo le reti». Fidarsi totalmente di questa parola e aggrapparcisi è sempre fonte o sorgente di miracoli e di salvezza.
Don Joseph Ndoum

La misura dell’oltre

Il lago che fa da sfondo a questa scena evangelica sembra mosso da onde d’urto. È come se vi si sentisse l’eco di impercettibili suoni ad alta intensità, provenienti da parole nascoste. Tra queste parole una in particolare sembra ritornare con insistenza: oltre. La si riconosce nello sguardo lungo di Gesù: i suoi occhi si spingono più avanti della folla che gli sta intorno e si posano su due barche sistemate sulla riva, ora vuote perché i pescatori sono scesi a lavare le reti. Gesù sale su una delle due. È la barca di Simone ed è a lui che Gesù chiede di rimetterla in acqua per poter insegnare dal mare. Un piccolo spostamento che poi si fa più impegnativo: «prendi il largo». Anche la parola di Gesù si spinge dunque oltre e si trasforma in un coraggioso invito plurale: «gettate le reti per la pesca». Invito scomodo e inatteso per uomini stremati dopo una notte infruttuosa in mare, durante la quale non hanno preso nulla.

Su questa parola è Pietro a superare la stanchezza e la propria rassegnazione: si fida e fa bene, perché i pesci sono così tanti che rompono le reti e occorre chiamare quelli dell’altra barca. Però al contempo si spaventa per questo eccesso di cui non si sente degno. Da peccatore, sente il bisogno di ripristinare la distanza tra sé e quell’uomo dall’amore sconfinato. Gesù però è di nuovo oltre e guarisce quel sentimento di inadeguatezza dilatando ancora di più la sua promessa: sarete pescatori di umanità. Per seguire Gesù, notiamo, le barche sono lasciate sulla spiaggia.

Viene qui in mente un libro della scrittrice Andrea Marcolongo, La misura eroica, un commento alla storia degli Argonauti. Argo è il nome di una nave diversa dalle altre perché, contrariamente alle ventinove di cui racconta Omero, è legata a un’impresa d’amore e non di guerra. In questo senso, scrive l’autrice, un tempo eravamo tutte e tutti Argonauti, quando per amore non avevamo paura di salpare, non ci lasciavamo addomesticare dalle raccomandazioni e non avremmo mai dato retta a chi scoraggiava i nostri sogni chiamandoli impossibili. Ora invece abbiamo il terrore dei viaggi, non viviamo più i porti come passaggi, ci resta incomprensibile la legge di Zeus secondo la quale il cammino dell’andata non può coincidere con quello del ritorno. Abbiamo conosciuto i naufragi della vita e della storia, abbiamo imparato che le navi sono vulnerabili e che è meglio tenerle al sicuro nei porti chiusi che paralizzano la politica, la religione, la cultura, gli affetti personali.

Ora occorre discernimento. A volte dovremmo fare come gli Argonauti che hanno attraversato il deserto portando la loro nave sulle spalle per dodici giorni, pur di salvarla: un gesto di gratitudine. Altre volte, invece, dovremmo avere il coraggio di abbandonare la nave ferita che mette in pericolo l’equipaggio: «lasciarla andare per lasciarsi andare alla vita che verrà», scrive Marcolongo ispirata da un libro del 1942, How to Abandon Ship. È questo che hanno fatto i discepoli e le discepole di Gesù: hanno abbandonato le loro barche sulla spiaggia, per il forte desiderio di salpare verso il mare dell’umanità.
[Lucia Vantini - L'Osservatore Romano]

V Domenica del Tempo Ordinario (C)
Lectio

Parola della Domenica 
Luca 5,1-11

Profondità

La Parola che oggi ci raggiunge compone, con modulazioni diverse, un unico tema “musicale”: Dio è Colui che irrompe nella vita dell’uomo con una Parola che lo fa vivere; e la vita dell’uomo è apertura sempre più profonda alla relazione con Lui e con i fratelli.

L’evangelista Luca colloca la “vocazione” di Pietro e dei suoi compagni a questo punto del suo vangelo, dopo aver già presentato l’inizio del ministero di Gesù nella sinagoga di Nazareth e le sue prime guarigioni accompagnate dall’annuncio della Parola (cfr. Lc 4,16-44). Da un punto di vista puramente cronologico, l’incontro di Gesù con Pietro e gli altri sulle rive del lago avrebbe dovuto precedere gli eventi del cap. 4 (tanto più che in Lc 4,38-39 Gesù era entrato nella casa di Simone e ne aveva guarito la suocera… quindi si suppone che Pietro e Gesù già si fossero incontrati!).

Ma nel vangelo di oggi Luca ci sta dicendo che c’è una chiamata che avviene continuamente nella vita quotidiana, nelle situazioni di fallimento e di crisi che la vita ci pone. Non si tratta quindi della “prima chiamata” di Pietro (episodio isolato), ma del modo in cui Gesù sempre chiama Pietro, il pescatore pescato per altre pèsche.

In questo racconto quindi scorgiamo la “chiamata permanente” dell’uomo ad entrare sempre più in profondità nella sua relazione con Dio (e di qui a porsi in un rapporto nuovo con i fratelli!).

La situazione iniziale di Simone e dei suoi compagni è quella di uomini affaticati e delusi che, dopo una nottata di duro lavoro, si ritrovano a reti vuote sulla riva del lago di Galilea.

Simone e gli altri sono pescatori

E il vangelo si sofferma a descriverli a confronto con la loro fatica quotidiana (non sarà stata né la prima né l’ultima pesca infruttuosa!). Si tratta della fatica di cercare nelle profondità del mare ciò che li può far vivere. Si pesca per vivere. Per non morire di fame. Con tutta la loro perizia, Pietro e gli altri non hanno pescato nulla.

Ed eppure questi uomini non sono inerti di fronte al loro insuccesso: accanto alle loro barche accostate a riva, “i pescatori erano scesi e lavavano le reti”. Non hanno abbandonato il luogo della loro fatica (il lago), né gli strumenti della loro ricerca (le reti), ma stanno preparandoli per pesche future e così stanno predisponendo se stessi per ricominciare. Sanno che pescare chiede la fatica di una fedeltà quotidiana che sempre si rimette in gioco là dove ha sperimentato il fallimento.

Qui arriva Gesù

Potremmo dire che questa è la “situazione ideale” perché avvenga l’incontro con Lui!

Nella quotidiana ricerca di ciò che ci fa vivere, sul crinale delle nostre attese deluse, nell’apertura invincibile del nostro cuore a ricerche ulteriori.

In questo brano potremmo riconoscere tre “chiamate” che Gesù rivolge a Pietro, o meglio una chiamata a tre livelli, sempre più profondi.

Inizialmente Gesù, circondato da folle affamate di ascoltare la sua parola, sale sulla barca di Simone e “lo pregò di scostarsi un poco da terra” per “insegnare dalla barca”. La barca di Simone, che non era servita a raccogliere pesce, appare a Gesù come il luogo ideale dal quale annunciare la Parola. Il Signore Gesù chiama Pietro a spostare lo sguardo dalle sue reti e dalla sua barca vuota, alle folle bisognose dell’insegnamento di Lui. La disponibilità di Pietro all’invito del Maestro trasforma la barca del suo insuccesso nel “pulpito” di una Parola che “trae” le folle alla vita.

Il Signore doni anche a ciascuno di noi la prontezza di Pietro nel lasciare che sia Lui ad indicarci come utilizzare gli strumenti che abbiamo per vivere, le nostre reti e le nostre barche vuote, strappandoci dal tentativo di raccogliere per noi, per mettere ciò che abbiamo a servizio del bisogno degli altri!

Avendo acconsentito alla prima chiamata di Gesù, Pietro si trova anche lui ad ascoltare la Parola che Gesù sta rivolgendo alle folle. Anche lui destinatario di una Parola che fa vivere. E Pietro non sarà rimasto indifferente alla Parola di Gesù, se subito dopo avrà il coraggio di affidarsi ad essa, al di là di ogni logica evidenza: “sulla tua parola, getterò le reti”.

Non conosciamo il contenuto della parola di Gesù alla folla, ma l’evangelista annota che “quando ebbe finito di parlare”, Gesù si rivolge a Simone. Possiamo pensare che quella parola rivolta in modo indiscriminato ad una folla anonima, sia ora declinata in modo personale per Simone e i suoi compagni: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Una chiamata personale (“Prendi il largo”) unita ad una chiamata comunitaria (“e gettate le vostre reti per la pesca”).

E Pietro non permette alle sue obiezioni di prevalere sulla Parola di Gesù. Pietro infatti presenta a Gesù la realtà del loro fallimento (“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”), ma si affida alla Parola di Gesù più che alla logica della sua esperienza (non si pesca di giorno…).

Il Signore doni anche a noi la fede di Pietro, capace di lasciarsi condurre oltre l’evidenza e l’esperienza che abbiamo delle cose della vita. Una fede che osa scommettere su ciò che ancora non c’è, pronta a giocarsi secondo quello che Gesù vede possibile, mentre rimane ancora invisibile ai nostri occhi. Sì, una fede che vede l’invisibile (cfr. Rm 4,17 e Eb 11,27)!

La fede di Pietro mette in movimento non solo se stesso, ma tutti i compagni della sua barca (“Fecero così e presero una quantità enorme di pesci”) fino a coinvolgere anche gli altri della barca vicina (“fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli). Le reti piene di cui Pietro e gli altri fanno esperienza sono la conseguenza diretta dell’aver assunto la parola di Gesù come guida del loro agire. C’è sempre un dono di Dio pronto a riempire la barca della nostra vita, ma che rimane sconosciuto finché non ci affidiamo a Lui.

La parola di Gesù invitava Pietro a “prendere il largo” (secondo la traduzione della CEI), ma letteralmente ad “andare nel profondo”, a cercare la vita non nella superficie delle cose, ma nella profondità degli eventi, delle relazioni, delle situazioni che la vita pone. “Mare profondo è la relazione con Te”, scriveva in modo lapidario il beato Christophe Lebreton, monaco trappista martire in Algeria. Sì, le profondità del mare nelle quali Pietro getta le reti sono la “profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio” (Rm 11,33) dalle quali Pietro trae Vita abbondante, la Vita di Dio.

Ed ecco che qui la chiamata di Pietro si fa ancora più profonda. L’aver attinto dalle “profondità” del mare tanta abbondanza, mette in luce la smisurata piccolezza di Pietro, la sua fragilità, il suo peccato. C’è una sproporzione che getta l’uomo a terra, nel riconoscimento di essere “poco più di un nulla” (cfr. Sal 8) e che chiede di mettere ancora più distanza fra Dio/Santo e l’uomo/peccatore: “Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”.

Ed eppure Dio, misteriosamente, non ci misura a partire dalla distanza in cui ci pone il nostro peccato, la nostra sproporzione.

Là dove l’uomo dice: “allontanati da me” (come Pietro nel Vangelo), Dio dice: “segui me” (come fa Gesù nel racconto della vocazione di Pietro in Mc 1,17).

Là dove l’uomo dice: “sono un peccatore” (come Pietro, Isaia e Paolo), Dio dice: “sarai…” altro, cioè pone l’inizio di una identità che non si misura sul limite e sul peccato, ma sulla promessa di Dio.

Dio così chiama Pietro ad assumere uno sguardo nuovo sul suo peccato. Non è l’ostacolo per la relazione con Dio, ma il “punto di partenza” da cui sempre può ripartire per una relazione nuova con Lui, una relazione dove il senso della distanza da Lui non ci allontana, ma ci fa progredire in un cammino inesausto di sequela.

E Pietro ne farà concretamente esperienza nei momenti più importanti della sua vita!

Questa chiamata a non temere l’abisso del suo peccato si apre per Pietro a un altro orizzonte ancora più vasto: i fratelli. Gesù lo invia ai fratelli proprio a partire dal riconoscimento della propria debolezza perché risplenda in lui quella parola di Paolo: “mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze perché dimori in me la potenza di Cristo” (cfr. 2Cor 12,9-10).

Gesù ha “pescato” Pietro dall’abisso della sua debolezza.

Ora Pietro è pronto ad andare ai fratelli per lasciare che Cristo, in lui, li tragga alla medesima Vita.
Sorelle Povere di Santa Chiara