Lunedì 22 maggio 2023
La Chiesa incoraggia e promuove il dialogo non solo tra se stessa e le altre tradizioni religiose, ma anche quello tra le varie tradizioni religiose stesse. Questa è una via nella quale essa svolge il suo ruolo come un sacramento, vale a dire uno strumento di comunione con Dio e di unità fra tutti i popoli (Lumen Gentium, n° 1). [Foto pixabay]

Essa è esortata dallo Spirito a incoraggiare tutte le istituzioni e i movimenti religiosi a incontrarsi, a entrare in collaborazione e a purificare se stessi al fine di promuovere la verità e la vita, la santità, la giustizia, l’amore e la pace, le dimensioni di quel Regno che, alla fine dei tempi, Cristo riconsegnerà a Suo Padre (1Corinti 15, 24). In questo modo il dialogo interreligioso è veramente parte del dialogo di salvezza iniziato da Dio (Consiglio Pontificio per il dialogo interreligioso, “Il dialogo e l’annuncio”, n° 80, 19 maggio 1991).

Il dialogo è necessario! Il dialogo è missione!

1. Una parola chiara

Cristiani e Musulmani rappresentano più o meno la metà della popolazione mondiale per quel che riguarda la religione. È importante conoscersi dunque. È importante dialogare. Ma sempre nel rispetto della verità. Il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha parlato apertamente a questo proposito. La dichiarazione Nostra Aetate, del 28 ottobre 1965, ha detto testualmente: “La Chiesa guarda con stima… i Musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano anche di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti nascosti di Dio, come si è sottoposto Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano però come profeta; onorano la sua Madre Vergine Maria e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio ricompenserà tutti gli uomini risuscitati” (Nostra aetate n.° 3).

Il primo atteggiamento da avere con i Musulmani è il rispetto, che deve essere reciproco, perché Dio è il Creatore di tutto e di tutti (Genesi 1, 1-31; Corano 2, 21-22). L’arroganza non permette nessun dialogo e soprattutto la verità viene calpestata. Nella sura (= capitolo) terza al versetto 110 si legge: “Voi siete la migliore comunità (= Islam) che sia stata suscitata tra gli uomini, raccomandate le buone consuetudini e proibite ciò che è riprovevole e credete in Allah. Se la gente della Scrittura (= Ebrei e Cristiani) credesse, sarebbe meglio per loro; ce n’è qualcuno che è credente, ma la maggior parte di loro sono empi” (Corano, tradotto da Hamza Roberto Piccardo, pagina 76, Roma, 2016. Le citazioni vengono sempre da questo testo).

I Musulmani sono convinti di far parte di una religione fondata da Maometto, dopo l’Ebraismo e il Cristianesimo e credono pertanto di avere il privilegio della verità e della completezza della rivelazione. Ma l’abbé Kibwila Alphonse Marie de la Croix, un prete congolese, collaboratore della rivista “Afriquespoir” (edita dai Missionari Comboniani a Kinshasa in RD Congo), fa questa riflessione: “Secondo la Bibbia cristiana, inaugurando i tempi messianici previsti da tempo dai profeti d’Israele, l’arcangelo Gabriele annuncia all’Immacolata Vergine Maria l’Incarnazione mistica in lei del Messia, il Figlio unico e beneamato di Dio, Gesù salvatore dell’umanità peccatrice (Luca 1, 26-38). Ora, sette secoli più tardi, lo stesso Dio Unico, che ha creato Adamo e Abramo (personaggi comuni con l’Islam), avrebbe inviato, nel 610 della nostra era, lo stesso arcangelo Gabriele per annunciare a un uomo, Maometto, che Lui, Dio si era in qualche modo sbagliato, perché il vero e unico ‘inviato, investito di una missione divina’, è solo Maometto! (Leggere: Corano 2, 285; 3, 81; ecc.). Dunque, dopo tanti secoli di distrazione divina, di persecuzioni e di martiri inutili (da parte dei Cristiani), Colui che Gesù ha chiamato ‘Mio Padre’ (Giovanni 2, 16) rivela che Gesù figlio di Maria era un impostore, un semplice profeta e non un ‘Dio, Figlio di Dio’ (Giovanni 1, 1-14)”.

La riflessione dell’abbé Kibwila Alphonse Marie de la Croix tocca l’essenziale del problema dei rapporti tra Cristianesimo e Islam. È importante allora cercare di capire e di mettere in chiaro la verità. Perché resta sempre vero che “la verità vi farà liberi” (Giovanni 8, 32), dinanzi a Dio che ha misericordia per tutta l’umanità. San Paolo, in un testo molto importante inviato al suo discepolo Timoteo, afferma: “Raccomando, dunque, prima di tutto, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni e rendimenti di grazie in favore di tutti gli uomini… Questa infatti è una cosa bella e gradita al cospetto del Salvatore, nostro Dio, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Timoteo 2, 1-4). La salvezza (e cioè la comunione con Lui) è per l’umanità intera, e non solo per una parte.

2. Le statistiche: Islam e Cristianesimo a confronto

La popolazione del mondo, alla metà del 2017, si aggirava sui sette miliardi e cinquecento milioni di abitanti. Dal punto di vista religioso, il Cristianesimo continua ad essere la religione più diffusa. L’Islam arriva in seconda posizione. Ma secondo il Pew Research Center (= istituto americano di ricerca, specializzato nel mondo delle religioni, con sede a Washington), tra circa 20 anni, il numero dei figli dei Musulmani sarà leggermente superiore a quello dei Cristiani. Il fattore demografico è importante. Tutti sanno che le donne musulmane considerano la prolificità una benedizione. Non per niente il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan ha invitato le donne musulmane, nell’aprile del 2017, a fare almeno 5 figli: il futuro dell’Europa sarebbe loro assicurato. Del resto lo diceva già Houari Boumédiène (1932-1978), presidente dell’Algeria, alla sede dell’ONU a New York, nel 1974: “Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l’emisfero sud per irrompere nell’emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo. E lo conquisteranno popolandolo con i loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria“.

Questa profezia si sta avverando ai nostri giorni. E buona parte degli immigrati che approdano, soprattutto in Europa, sono musulmani. Questi nuovi arrivati stanno cambiando la geografia umana del vecchio continente. La zona dove il Cristianesimo è in crescita, anche per la prolificità delle donne, è l’Africa sub sahariana. I Cristiani vi passeranno dal 26% al 42% tra meno di vent’anni. A livello del pianeta, la prolificità dei Musulmani cambierà il panorama religioso del mondo. I Cristiani infatti sono attualmente 2,3 miliardi e rappresentano il 31% degli abitanti della terra. I Musulmani invece sono il 24%. Ma tra il 2015 e il 2060 la popolazione mondiale avrà un incremento del 32%, raggiungendo, secondo le previsioni, i 9,6 miliardi di esseri umani. Di questi, il 31% saranno Musulmani e i Cristiani di tutte le Confessioni il 32%. Per quel che riguarda l’Europa (Vittoria Prisciandaro su “Jesus” 2017, n° 5, pagina 9), la popolazione cristiana passerà dal 24% al 14%. Attualmente vi vivono 555 milioni di Cristiani (260 milioni di Cattolici, 200 milioni di Ortodossi, 80 milioni di Protestanti, 30 milioni di Anglicani, circa). Per il momento i Musulmani in Europa sono 32 milioni (in Italia 1,5 milioni, ma con gli ultimi sbarchi di immigrati, ci avviciniamo ai 2 milioni).

Che cosa pensano dell’occidente e del mondo cosiddetto cristiano i Musulmani? Sempre secondo Pew Research Center, i Musulmani pensano che gli “occidentali” sono egoisti (68%), violenti (66%), avidi (64%). E questi sono concetti totalmente negativi. Per la positività, gli occidentali sarebbero onesti (33%), tolleranti (31%), generosi (29). Per quel che riguarda la shari’a o legge islamica, il 99% degli abitanti dell’Afganistan la vorrebbero come legge fondamentale del loro paese, così pure il 91% degli Iracheni. Da notare che Afghanistan e Iraq sono stati “liberati” dagli occidentali. Sono dello stesso parere i Palestinesi (89%), i Marocchini (83%), gli Indonesiani (72%). Fra i popoli musulmani che meno vorrebbero la shari’a: gli Albanesi (12%), i Kosovari (15%) e i Turchi (12%), nonostante che il loro presidente, Recep Tayyip Erdogan, sia dichiaratamente musulmano praticante.

È chiaro che l’Islam è un fenomeno religioso profondamente radicato nel mondo intero, come il Cristianesimo del resto. E il dialogo diventa una necessità. Nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di Papa Francesco, pubblicata il 24 novembre 2013, si legge: “In quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam, oggi particolarmente presenti in molti paesi di tradizione cristiana, dove essi possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Non bisogna mai dimenticare che essi, ‘professando di avere fede in Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale’. Gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani; Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi. Al tempo stesso, molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di Dio e per Lui. Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri” (EG n.° 252).

L’invito del Papa è da accogliere. Ma è anche importante vedere con realismo la situazione e analizzare criticamente i vari punti della fede coranica in rapporto alla fede cristiana. E’ anche quello che suggerisce Samir Khalil Samir, un gesuita egiziano che conosce l’Islam dall’interno ed è uno dei massimi esperti di Islamologia. Terremo presente in questo scritto anche degli apporti di profondi conoscitori dell’Islam come: Giuseppe Scattolin, missionario comboniano, che ha passato la sua vita in Egitto studiando il Sufismo, Cristoforo Veglia, Adel Theodor Khoury, Robert Spencer, Armando Ciappa, missionario comboniano in Sudan, Rodney Stark, americano, specialista delle religioni, François Jourdan, islamologo francese, Alain Bésançon e tanti altri.

3. Dio nella Bibbia

Cominciamo con la presentazione in breve del Dio cristiano, secondo la Bibbia. In questo modo sarà facilitata la comprensione della differenza dell’idea di Dio (= Allah) nel Corano. Dio nella Bibbia è il primo (Isaia 41, 4) ed è anche l’ultimo (Isaia 48, 12). Dio non ha bisogno di presentarsi; non ha origine né divenire. Egli è il creatore di tutto ciò che esiste e la sua esistenza si impone. Ma è chiaro che la conoscenza vera di Dio è opera di Gesù, il figlio di Dio. Infatti: “Nessuno ha mai visto Dio; soltanto il Figlio che è nel seno del Padre lo ha fatto conoscere” (Giovanni 1, 18).

Rivelandosi a Mosè, Dio manifesta il suo interesse per l’uomo e anche il progetto della sua salvezza: “Ho visto l’oppressione del mio popolo che è in Egitto…Voglio scendere a liberarlo” (Esodo 3, 7-8). Mosè disse a Dio, che si manifestava nel roveto ardente: “Chi sono io, perché vada dal Faraone?”. E il Signore di aggiungere: “Io sarò con te”. E Mosè, non pago, aggiunse: “Qual è il tuo nome?”. E la risposta: “Io sono Colui che sono” (Esodo 3, 14). Tutto ciò viene riassunto nel nome Jhwh (in lettere dell’alfabeto ebraico: yod, he, waw, he), che nessuno può pronunciare, tanto che la lettura del sacro tetragramma viene dimenticata (in effetti le vocali, che permetterebbero di pronunciare il nome di Dio, vennero aggiunte dai Masoreti (= da Masorah : tradizione), eruditi ebrei di Tiberiade e di Gerusalemme, che hanno operato dal 1° al 10° secolo dopo Cristo). Solo il sommo sacerdote, entrando nel Santo dei Santi, durante la festa dello Yom kippur (= nel 2017 ricorreva il 29-30 settembre), poteva pronunciare il nome Jhwh e questo una volta all’anno.

La rivelazione piena di Dio è opera di Gesù, sia per i pagani che cercano Dio a tastoni (Atti 17, 27) che per i Giudei, privilegiati a causa dell’elezione, resi capaci di sperimentare Dio come un essere vivente che li chiamava al dialogo (Ebrei 1, 1). Il mistero impenetrabile di Dio è svelato da Gesù: “Tutto ciò che ho inteso dal Padre mio ve l’ho fatto conoscere” (Giovanni 15, 15). Così scopriamo questo segreto, cioè l’amore che Dio ha per noi e che Lo definisce: “Dio è carità” (1° Giovanni 4, 8 e 16). Il Dio di Gesù Cristo è il Padre suo che chiama con tenerezza: “Abbà” (= papà). E questo Dio Padre, possedendo la divinità senza riceverla da nessuno, la dona tutta intera al Figlio che genera da tutta l’eternità e allo Spirito Santo nel quale tutt’è due si uniscono (Xavier Léon-Dufour, “Dizionario di Teologia Biblica”, 1980, p. 274 ss.). L’incontro del Padre e del Figlio avviene nello Spirito Santo e questa unione non significa possesso dell’uno nell’altro, ma donazione. La loro unione è un dono e produce un dono. Per questo il Dio di Gesù Cristo è Trinità (= Padre, Figlio e Spirito Santo), la cui essenza consiste nel donarsi. La salvezza dell’umanità realizzata dal Figlio di Dio è un’opera di amore e di donazione. San Paolo poteva dunque scrivere: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2° Corinzi 13, 13). E cioè la grazia (= salvezza o comunione con Dio che diventa beatitudine nell’eternità) è un dono dato dalla Trinità, concesso dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.

4. Dio (= Allah) nel Corano

Passiamo al Corano e sempre in maniera stringata. Adel Theodor Khoury (islamologo libanese) sostiene giustamente che la fede in Dio è al centro dell’Islam. L’Islam si presenta come un teocentrismo stretto. A Dio bisogna dare una sottomissione totale (= Islam). Egli è il Creatore, ma Egli opera nel mondo raramente e gli uomini pertanto Lo invocano in casi di estrema necessità (Adel Theodor Khoury, “I fondamenti dell’Islam”, 1999, p. 121 ss.). Dice il Corano: “Di’: ‘A chi appartiene la terra e ciò che contiene? Ditelo se lo sapete’. Risponderanno: ‘Allah’… Dì: ‘Non lo temete dunque?’…” (Corano 23, 84 e 87). Questo Dio era già conosciuto dagli Ebrei e dai Cristiani ed Egli era il Signore della Ka’ba (= antica costruzione a forma di cubo, luogo sacro dell’Islam).

Partendo da questo presupposto, il Corano non cerca di provare l’esistenza di Dio, ma di chiarire la natura della sua azione nella creazione e nella vita degli uomini. Dio è dunque creatore del mondo; ha creato la terra in due giorni (Corano 41, 9), e il mondo intero in sei (Corano 11, 7). Egli ha creato l’uomo, formato di polvere (Corano 18, 37) e di argilla. “E quando il tuo Signore disse agli angeli: ‘Creerò l’uomo con argilla secca, tratta da mota impastata; quando poi lo avrò plasmato e avrò insufflato in lui del mio spirito, prosternatevi davanti a lui’. E gli angeli tutti si prosternarono” (Corano 15, 28-30).

L’opera della creazione non è stata completata una volta per sempre, perché Dio continua a creare e sostenere il mondo e l’uomo in ogni momento. Tutta l’umanità dunque nasce per una continua creazione. Dice il Corano: “E’ Lui che vi ha fatto nascere da un solo individuo” (Corano 6, 98). Adamo (Corano 3, 65) ha avuto nello stesso modo la sua prima compagna, Eva (Corano 39, 6). La continua creazione del mondo e degli uomini da parte di Dio fa comprendere che per l’Islam la realtà non ha una continuità interna, ma è solo la composizione infinita di molti momenti. Le leggi naturali sono una serie di fenomeni sempre nuovi. Il valore intrinseco delle cose dipende solo dall’agire divino. Questo si chiama atomismo in filosofia (Khoury, ibidem, p. 125).

Questa concezione di Dio e della creazione, secondo Rodney Stark , sociologo delle religioni presso la Baylor University in Texas (USA), non ha permesso, nelle regioni di cultura islamica, lo sviluppo della scienza, che si è avuto nei paesi di tradizione cristiana. Nel Corano infatti non si afferma mai che Allah, una volta messa in moto la creazione, l’abbia poi lasciata continuare ad esistere autonomamente. Egli interviene continuamente e può cambiare le cose a suo piacimento. Dice il Corano: “Sono stati forse creati dal nulla oppure sono essi stessi i creatori? O hanno creato i cieli e la terra?” (Corano 52, 35-36). E altrove il Corano dice: “Non vedete come Allah vi ha sottomesso quel che è nei cieli e sulla terra e ha diffuso su di voi i Suoi favori, palesi e nascosti? Ciononostante vi è qualcuno fra gli uomini che polemizza a proposito di Allah senza avere né scienza, né guida, né un libro luminoso (= il sublime Corano)” (Corano 31, 20).

Del resto alcuni nomi di Allah, fra i 99 del rosario musulmano, sono indicativi di questa realtà. Il nome numero 12: Allah creatore; il nome numero 18: Allah sostentatore; il nome numero 60: ogni cosa ritorna ad Allah; il nome numero 64: Allah è esistente per sé; il nome numero 76: Allah è invisibile; il nome numero 95: Allah è incomparabile, eccetera.

Allora gli sforzi di formulare le leggi naturali sarebbero blasfemi in quanto sembrerebbero negare la libertà di agire di Allah (Rodney Stark, “Il trionfo del Cristianesimo”, 2012, p. 375). Se invece, come dice Giovanni Keplero (1571-1630), astronomo tedesco, Dio è un Creatore intelligente, autore di un universo razionale, la scienza non fa che scoprire l’ordine che Egli ha imposto nel mondo e lo può esprimere in un linguaggio matematico. Anche Albert Einstein, fisico celeberrimo, inventore della Relatività Generale (1879-1955), ha affermato che la cosa più incomprensibile dell’universo è il fatto che sia comprensibile. E questo dimostra che la creazione è immersa nella razionalità.

Al-Ghazali (1058-1111), il più importante filosofo e teologo dell’Islam, nativo della Persia e studiato anche da san Tommaso d’Aquino (1225-1274), sostenne che in natura non ci sono leggi: crederlo sarebbe blasfemo, perché si negherebbe la libertà di Allah. Secondo Robert Spencer, un professore americano studioso dell’Islam, questo spiegherebbe per quale motivo il Corano non avrebbe favorito la ricerca scientifica e filosofica, perché dipinge Allah come sovrano assoluto, totalmente privo di vincoli (Robert Spencer, “Guida all’Islam e alle Crociate”, 2015, p. 142).

5. Gesù, visita di Dio

Il Cristianesimo viene da Gesù. L’Islam invece è stato fondato da Maometto. Bisogna allora parlare di queste due persone e dei rapporti che sono intercorsi fra questi due fondatori di religioni. Per i Cristiani, parlare di Gesù è sempre definirlo come Gesù Cristo. Il primo nome (Gesù) è il nome della persona, il secondo (Cristo) quello della funzione. La Chiesa associa in un’intima relazione il titolo della funzione (= salvatore, figlio di Dio , mediatore, profeta, parola di Dio, ecc.) e la persona storica e cioè Gesù di Nazareth, figlio di Maria, discendente di Davide, come i Vangeli ne parlano.

Il Corano parla di Gesù, che chiama ‘Isa. Evidentemente quando si parla di ‘Isa, si pensa a Gesù. Infatti secondo il Corano, la sua nascita è stata prevista dai profeti. “Quando gli Angeli dissero a Maria: ‘O Maria, Allah ti annuncia la lieta novella di una Parola da Lui proveniente; il suo nome è il Messia’!” (Corano 3, 45). Gesù è puro, senza peccato, nato da una Vergine. Dice il Corano: “E ricorda colei che ha mantenuto la sua castità. Insufflammo in essa del nostro Spirito e facemmo di lei e di suo figlio un segno per i mondi” (Corano 21, 91). Gesù poi è il Messaggero di Dio: “Il Messia Gesù, figlio di Maria, non è altro che un messaggero di Allah, una sua parola che Egli pose in Maria, uno Spirito da Lui proveniente” (Corano 4, 171).

E’ importante presentare quello che il Corano dice di Gesù: presentare gli aspetti positivi e quelli negativi. Soprattutto se il lettore di queste note è una persona di formazione cristiana. Ci sono delle formulazioni negative nel Corano a riguardo di Gesù: ad esempio la sura 3, 55; la sura 4, 156.171; la sura 5, 72.73.116; la sura 9, 30; la sura 19, 34-35; la sura 43, 49.

Queste formulazioni negative a riguardo di Gesù possono essere riassunte nei cinque punti seguenti.

1°- Gesù non è Dio e Dio non è Gesù. Dice il Corano: “Sono certamente miscredenti quelli che dicono: ‘Allah è il Messia figlio di Maria’” (Corano 5, 17).
2°- Gesù ‘Isa non è una divinità accanto ad Allah. Dice il Corano: “E quando Allah dirà: ‘O Gesù figlio di Maria hai forse detto alla gente: Prendete me e mia madre come due divinità all’infuori di Allah?, risponderà: ‘Gloria a Te! Come potrei dire ciò di cui non ho il diritto? Se lo avessi detto, Tu certamente lo sapresti, ché Tu conosci quello che c’è in me e io non conosco quello che c’è in Te. In verità sei il Supremo conoscitore dell’inconoscibile’!” (Corano 5, 116).
3° - Gesù non è la terza persona di una Trinità che comprende Dio e anche Maria. Dice il Corano: “Sono certamente miscredenti quelli che dicono: ‘In verità Allah è il terzo di tre’. Mentre non c’è Dio all’infuori del Dio Unico” (Corano 5, 73).
4° - Gesù ‘Isa non è figlio di Allah. Dice il Corano: “Dicono i Giudei: ‘Esdra è figlio di Allah’ e i Nazareni (= i Cristiani) dicono: ‘Il Messia è figlio di Allah’. Questo è ciò che esce dalle loro bocche. Ripetono le parole di quanti già prima di loro furono miscredenti. Li annienti Allah. Quanto sono fuorviati!” (Corano 9, 30).
5° - Gesù ‘Isa non è morto in croce. Dice il Corano: “(I Giudei) dissero: ‘Abbiamo ucciso il Messia figlio di Maria, il Messaggero di Allah!’. Invece non l’hanno né ucciso né crocifisso, ma così parve loro… Ma Allah lo ha elevato fino a sé” (Corano 4, 157-158).

Ora presentiamo le Affermazioni positive che ci sono nel Corano a riguardo di Gesù ‘Isa: è Messia, cioè scelto e onorato. E’ figlio di Maria (Corano 21, 91). E’ un messaggero di Allah (Corano 5, 75). Ha la dignità di profeta (Corano 2, 87). Avrebbe anche annunciato la venuta di Maometto.

Esaminiamo allora questa affermazione. Il Corano dice testualmente: “E quando Gesù figlio di Maria disse: ‘O Figli d’Israele, io sono veramente un Messaggero di Allah a voi inviato, per confermare la Torah che mi ha preceduto, e per annunciarvi un Messaggero che verrà dopo di me, il cui nome sarà Ahmad‘. Ma quando questi giunse loro con le prove incontestabili, dissero: ‘Questa è magia evidente’!” (Corano 61, 6).

Fermiamoci ad analizzare questa frase. Davvero Gesù nel Vangelo ha predetto la venuta di Maometto? Si legge infatti nel Corano: “A coloro che seguono il Messaggero, il Profeta illetterato che trovano chiaramente menzionato nella Toràh e nell’Injil…Coloro che crederanno in lui (= Maometto), lo onoreranno, lo assisteranno e seguiranno la luce che è scesa con lui, invero prospereranno ” (Corano 7, 157). Alcuni Musulmani credono che nel Vangelo di Giovanni 16, 7, dove Gesù dice: “Ma io vi dico la verità: è meglio per voi che io parta; perché, se non parto, il Paraclito non verrà a voi”, ci sia il riferimento alla profezia menzionata nel Corano. Si tratta della parola greca paràkletos. Sappiamo che in ebraico e in arabo le vocali sono state aggiunte in seguito e quindi potrebbero anche essere state spostate. Alcuni commentatori pertanto leggerebbero la parola paràkletos, che significa consolatore, come fosse scritto perìklytos, che significa glorioso, in arabo Ahmad, pseudonimo di Maometto. Quindi la predizione del Corano sarebbe esatta. Ma quello che dicono i ricercatori musulmani non è possibile, perché in greco anche le vocali sono sempre state scritte assieme alle consonanti. Difatti abbiamo almeno 70 manoscritti (papiri e pergamene), in lingua greca, del Nuovo Testamento, antecedenti il tempo di Maometto. Tutti quanti scrivono la parola greca paràkletos.

Ma il Gesù, ‘Isa nel Corano, è davvero il Cristo, figlio di Maria? Già a proposito di Maria c’è una certa confusione. A volte si parla di Maria di Nazareth, e a volte di Maria, la sorella di Mosé (Corano 3, 35-37 e 19, 28). Il vero Gesù di Nazareth, della tradizione cristiana, quella del Nuovo Testamento, non è quello del Corano, anche se molti elementi si possono accettare. ‘Isa del Corano non è Gesù Cristo del Vangelo. Difatti i Cristiani di lingua araba hanno tradotto Gesù ebraico (= Yehoshu’a) con Yasu’.

6. ‘Isa non è Gesù

Chi non conosce l’arabo, aprendo il Corano tradotto in italiano, scopre che si parla di Gesù ed è tutto contento, specialmente se è Cristiano. E anche i Musulmani sono d’accordo. Ma è una trappola. Purtroppo i traduttori hanno preso l’abitudine di rendere il nome arabo coranico ‘Isa con Gesù. Ma non è esatto (François Jourdan, “Dio dei Cristiani, Dio dei Musulmani”, 2010, p. 169 ss.). Anche se si legge che ‘Isa è figlio di Maria, vergine e madre, fa miracoli, è definito Messia, è un verbo proveniente da Dio, ecc., ‘Isa non è Gesù. In arabo cristiano Gesù è Yasu’.

Come si può allora chiarire la questione? In ebraico Yeshu’ (o Yeshua’ di Neemia 8, 17) è il diminutivo di Yehoshu’a ossia Giosuè (Esodo 17, 9), che vuol dire: “Il Signore salva”. Nel Vangelo di Matteo si legge il messaggio che san Giuseppe ha ricevuto in sogno da un Angelo del Signore: “Giuseppe, figlio di Davide – gli disse il messaggero celeste – non temere di prendere con te Maria, tua sposa: ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Matteo 1, 20-21). Il nome di Gesù è molto appropriato per il figlio di Maria di Nazareth, perché i Vangeli lo definiscono come Cristo e Figlio di Dio (Marco 1, 1) ed Egli è il Salvatore dell’umanità.

È importante conoscere come si è arrivato al Gesù del Vangelo e a ‘Isa del Corano. Nella Bibbia in arabo Giosué è reso con Yashu’. Nella Bibbia dei “Settanta” (= traduzione greca eseguita ad Alessandria d’Egitto nel terzo secolo prima di Cristo), l’ebraico Yehoshu’a è trascritto con la forma ellenizzata Iesous. Nei Vangeli, prendendo dal greco Iesous, abbiamo Gesù, nella lingua italiana. Sia la forma estesa sia il diminutivo, in ebraico e in greco, lo stesso nome si trascrive alla stessa maniera. Gesù dunque in arabo cristiano si trascrive Yasu’ e non ‘Isa.

Allora perché nel Corano e nel mondo islamico Gesù è chiamato ‘Isa? Sembra che il nome arabo che più si avvicina a ‘Isa, sia ‘Ysu, cioè Esaù. Dei fenomeni fonetici, che qui sarebbe difficile spiegare, giustificano questa ipotesi. Nel Corano si parla di Giacobbe (Corano 19, 49), ma non del suo fratello gemello Esaù, come fa la Bibbia (Genesi 25, 19 ss.). Maometto conosceva la tradizione giudaica, perché a Medina conviveva con la popolazione ebraica dei Banù Quraydha, fino alla scoperta del loro tradimento e alla loro terribile punizione, nel 627 dopo Cristo, anno 5° dell’egira: gli uomini sono stati sgozzati, le donne e i bambini furono fatti schiavi schiavi.

Nella tradizione ebraica si collegavano i popoli vicini geograficamente con legami di parentela simbolici. Nel libro della Genesi, al capitolo 36, Esaù è identificato con Edom e cioè con un nemico di Israele (Salmo 83, 6-7). Secondo François Jourdan, nel periodo postbiblico, la figura di Esaù-Edom è identificata con l’avversario più importante d’Israele, che era l’Impero Romano (François Jourdan, “Dio dei Cristiani, Dio dei Musulmani”, 2010, p. 174). Quando con l’avvento dell’Imperatore Costantino il Grande (274-337), l’Impero Romano è diventato Cristiano, Esaù-Edom diventerà Rumi, nome che da sempre i Musulmani hanno utilizzato per indicare i Cristiani. Non per niente la sura 30 ha come titolo Al-Rum (= i Romani di Bisanzio o Cristiani).

Leggendo il Corano, si capisce subito che Maometto conosceva meglio l’Ebraismo del Cristianesimo, anche se una delle sue tredici donne, si chiamava Maryam bint Shamoon al-Quptiya ed era cristiana, dono del Governatore bizantino di Alessandria d’Egitto, nel 629. Per esempio, il termine coranico Injìl, (= Vangelo), il libro islamico sceso sul profeta ‘Isa è al singolare. I Vangeli cristiani sono notoriamente quattro e i libri del Nuovo Testamento sono 27. Forse Maometto non voleva dare l’impressione di essere simile ai Cristiani, usando il termine Yasu’, per dire Gesù, nome evitato anche dagli Ebrei. Di questo parere è pure Ludovico Marracci (1612-1700), celebre orientalista che ha pubblicato una traduzione in latino del Corano, nel 1698. Anche Theodor Nòldeke (1836-1930), un grande orientalista tedesco e profondo conoscitore delle lingue semitiche, è di questo parere e sosterrebbe che il Corano ha modificato di proposito il nome del Gesù cristiano, per rispecchiare volutamente la mentalità più diffusa al tempo di Maometto. Alain Bésançon, storico francese delle religioni, constata che i Cristiani sono felici di vedere il grande posto che Gesù e Maria hanno nel Corano. Ma si sbagliano. Il Gesù e Maria del Corano sono solo omonimi: hanno in comune cioè il nome e basta.

7. Il Gesù dei Vangeli

Andiamo alla scoperta del vero Gesù. Per conoscerLo veramente bisogna leggere i Vangeli, che sono quattro (e non uno solo, come dice il Corano), e poi anche gli altri libri del Nuovo Testamento, che sono 23. I Vangeli non sono dei libri di storia, ma piuttosto delle catechesi, che non escludono la realtà storica di quello che raccontano. San Luca scrive testualmente: “Molti hanno già cercato di mettere insieme un racconto degli avvenimenti verificatisi tra noi, così come ce li hanno trasmessi coloro che fin dall’inizio furono testimoni oculari e ministri della parola. Tuttavia, anch’io, dopo aver indagato accuratamente ogni cosa fin dall’origine, mi sono deciso a scrivertene con ordine, egregio Teofilo, affinché tu abbia esatta conoscenza di quelle cose intorno alle quali sei stato catechizzato” (Luca 1, 1-4).

Quello che san Luca ha fatto, lo hanno fatto anche gli altri scrittori dei libri del Nuovo Testamento. Conosciamo Gesù, e conosciamo i fatti capitati in un determinato periodo storico (Luca 3, 1-3). Gli scritti che noi abbiamo sono opera di credenti che vogliono suscitare e rafforzare la fede. Illuminati dal mistero pasquale, ci consentono di conoscere con certezza Gesù di Nazareth. “Ma voi chi dite che io sia?” (Luca 9, 20) chiese Gesù ai suoi discepoli. E Pietro a nome del gruppo rispose con fermezza: “Il Cristo di Dio”.

Nel Vangelo di Marco, che è una catechesi rivolta particolarmente a pagani, cioè a non Ebrei, la fede in Gesù si esplicita come Cristo nella bocca di Pietro (Marco 8, 29) e, alla fine, nella bocca del centurione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (Marco 15, 39). Il Gesù quindi, in cui crediamo, è il Cristo ed è il Figlio di Dio (Marco 1, 1 e passi paralleli).

L’insegnamento di questo Gesù è davvero straordinario. Egli è la visita di Dio, inviato dal Padre, affinché: “chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Giovanni 3, 15). Bisogna partire dalla religione al tempo di Gesù, per comprendere meglio la predicazione rivoluzionaria del Cristo. Nel Nuovo Testamento la parola religione è utilizzata una volta sola e per la religione ebraica: “Avevano solo con lui (= Paolo) non so che cosa contro la loro religione, e nei riguardi di Gesù, che è morto, ma che Paolo afferma di essere vivo” (Atti 25, 19).

Nei Vangeli, tutto ciò che riguarda la religione è assente oppure Gesù ne parla in modo negativo. Perché? Perché la religione e le persone che la utilizzano come strumento di dominio sono nemici di Dio e profondamente contrari al suo piano di salvezza per l’umanità. Per questo Gesù è stato condannato a morte. “Noi abbiamo una legge – han detto i capi dei Giudei a Pilato – e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio” (Giovanni 19, 7). La religione è giustificata dalla distanza che deve esistere tra Dio e l’uomo. Questa distanza giustifica il bisogno di rappresentanti (= sacerdoti), di momenti particolari (= feste) e di luoghi appropriati (= templi) per consentire all’uomo di incontrare Dio.

Gesù non ha insegnato nulla di tutto questo. Anzi Gesù vuole liberarci dal potere esercitato in nome di Dio, che è il potere più pericoloso di tutti. Basta guardare a ciò che l’Islam ha fatto nel corso della storia e come agisce ancora oggi. L’Islam infatti, sull’esempio del suo fondatore Maometto, che era nello stesso tempo un profeta, un uomo politico e uno stratega militare, continua sulla strada del dominio assoluto della società (Giuseppe Scattolin, “Islam, realtà e problematiche”, MCCJ Bulletin, n° 264, p. 50 ss.). Del resto l’Ayatollah Rouhollah Khomeiny (1902-1989) diceva: “Se l’Islam non è politico, non è nulla!”.

Nella religione, il Dio che crea e che continua a comunicare la sua vita all’uomo, è stato sostituito da un Dio legislatore. Con il suo insegnamento e con i suoi gesti, Gesù ha operato un radicale cambiamento dei valori della religione e ne ha distrutto anche le radici (Alberto Maggi, “Roba da preti”, 2003, p. 119 ss.). Tutta l’attività di Gesù consisterà nel passaggio dei suoi discepoli e di coloro che vogliono seguirlo, dalla religione alla fede, da quello che l’uomo deve fare, per essere accetto a Dio, all’accoglienza dell’amore di Dio.

Questo è il vero esodo o l’esodo definitivo. Quello vissuto ai tempi di Mosé non era che un preannuncio di questo. Per realizzarlo Gesù ha distrutto tutto ciò che è alla base della religione (= il culto, i riti, i giorni di festa, i sacrifici di animali, gli interdetti, i precetti, ecc.), ma Egli ha cambiato anche l’immagine di Dio, la sua foto, la sua definizione. Gesù sostituisce il Dio della religione, sovrano inaccessibile ed esigente (= leggere per esempio: Esodo 34, 19; Levitico 27, 30), con un Dio che dona gratuitamente e si chiama Abbà, Papà, Padre (Luca 11, 2; Matteo 6, 9). Questo Dio non chiede nulla, ma piuttosto ci dona la sua vita. Non toglie il cibo dalla bocca degli uomini, ma è diventato Egli stesso pane perché gli uomini abbiano la vita (Giovanni 6, 32-33). Non chiede che gli uomini si mettano al suo servizio, ma diventa lui stesso servo del suo popolo: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Matteo 20, 28).

La religione si manifestava in tutto ciò che l’uomo doveva fare per piacere a Dio. Ora il Dio di Gesù Cristo non chiede più nulla. Questo è ciò che san Paolo ha detto agli intellettuali di Atene, riuniti nell’Areopago: “Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che è in esso, Lui, il Signore del cielo e della terra, non abita in templi fatti da mani d’uomo. Non è servito da mani umane come se avesse bisogno di qualcosa, Lui dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa” (Atti 17, 24-25). Con Gesù, Dio abbandona definitivamente il piedistallo dove la religione l’aveva messo (leggi Salmo 11, 4) e diviene l’Emanuele, Dio con noi (Matteo 1, 23). Con Gesù, Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi, “e noi abbiamo contemplato la sua gloria” (Giovanni 1, 14).

Al tempo del Primo Testamento, contemplare il volto del Dio della religione era causa di morte (Esodo 33, 20). Attualmente contemplare la sua gloria è una condizione indispensabile per avere la vita. Il Dio di Gesù, invece di sottolineare la distanza che separa l’uomo da Dio, vuole elevare l’uomo al suo livello. Dice il Vangelo: “A tutti coloro che lo hanno accettato, ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Giovanni 1, 12). Non si tratta di un Dio che esige dei sacrifici e dei doni da parte dell’uomo, ma di un Padre che chiede solo che noi accogliamo il suo amore da condividere con tutta l’umanità.

Dio non ha bisogno delle nostre cerimonie, delle nostre offerte, dei nostri canti, delle nostre danze, come aveva già detto il profeta Isaia: “Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di vitelli pasciuti; del sangue di tori, agnelli e capre non prendo alcun piacere… Potete moltiplicare le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue: lavatevi, purificatevi. Togliete dalla mia vista le vostre cattive azioni! Cessate di fare il male, imparate a fare il bene!” (Isaia 1, 11-17). Secondo san Giacomo, l’unico culto, che Dio approva, è questo: “Avvicinare gli orfani e le vedove nelle loro prove” (Giacomo 1, 27), vale a dire prendersi cura di coloro che sono poveri, indifesi, scartati, abbandonati e senza protezione. Ciò che il Signore ci chiede è di creare rapporti fraterni fra di noi, a imitazione di ciò che fa il Padre per i suoi figli, che “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Matteo 5, 45). Ci si può chiedere perché il Dio di Gesù Cristo si comporti in questo modo. L’unica spiegazione è data da san Giovanni: “O Theòs agàpe estin”, in greco, e cioè: “Dio è amore” (1 Giovanni 4, 8).

8. Maometto: profeta, uomo politico e stratega militare

Di Gesù sappiamo molto e ci sono tanti documenti che sono testimonianze dirette della sua esistenza, del suo insegnamento e della sua azione (= il Nuovo Testamento, gli scritti dei Padri Apostolici e dei Padri della Chiesa, e anche i reperti archeologici). Maometto è storicamente esistito, è nato in Arabia, una regione al margine del mondo che si considerava “sviluppato”, nel 570 dopo Cristo. A nord ovest c’era l’Impero Romano d’Oriente con capitale Costantinopoli (= Bisanzio, odierna Istanbul) e a nord est c’era l’Impero Persiano, che non aveva una capitale, ma la corte imperiale si spostava da una grande città all’altra (= Susa, Ecbatana, Persépoli), secondo le esigenze amministrative o militari. Al tempo di Maometto, nel sesto secolo, questi due Imperi erano in crisi. Le lotte fra di loro, nonostante la pace cinquantennale firmata da Cosroe I° (531-579) con Giustiniano (482-565) non resse e la loro debolezza favorì l’espansione araba.

Il fondatore dell’Islam nacque alla Mecca nel 570 dopo Cristo. Maometto è stato, senza alcun dubbio, un uomo eccezionale, un genio religioso e uno stratega militare, che con le sue gesta ha cambiato la mappa politica e religiosa dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa. In età adulta ha abbracciato la carriera commerciale. Accompagnava le carovane di commercianti in Siria. Entrato al servizio di una ricca vedova di nome Khadija, la sposò e divenne un uomo importante nella sua città, la Mecca. Nel 610, sull’esempio dei monaci cristiani, si ritirò in una grotta e fece una forte esperienza spirituale. Egli ritenne di sentire la voce dell’arcangelo Gabriele (= Jibril in arabo), che gli ordinava di proclamare la parola di Dio, ricevuta in arabo e proveniente direttamente da Dio. Questo è quello che fa con la moglie e con una ristretta cerchia di familiari. Ma la sua predicazione, di un monoteismo puro, non piace agli abitanti della Mecca, che facevano affari con i politeisti che si dirigevano verso la ka’ba in pellegrinaggio. Nel 615, Maometto fu obbligato a rifugiarsi in un territorio controllato dalla cristiana Abissinia (= lo Yemen).

Alla morte della moglie Khadija, egli perse l’appoggio della sua famiglia e fu obbligato alla migrazione (= hijri; in italiano egira) a Medina, il 24 settembre 622: data che il califfo (= successore) ‘Umar (o Omar) ha scelto per segnare l’inizio del calendario musulmano. A Medina, Maometto ha fondato il primo degli stati islamici, modello e riferimento di ogni società musulmana. In questo stato è stata realizzata l’unificazione del mondo: una sola religione (= din), una sola nazione (= umma), una sola guida (= imam). Questa visione era chiara nello spirito di Maometto ed è passata tale e quale nei suoi successori.

Egli era convinto che il suo messaggio religioso e politico, l’Islam, era destinato a diffondersi dappertutto e a dominare il mondo. Il Corano dice: “Voi siete la migliore comunità che sia stata suscitata tra gli uomini… Se la gente della Scrittura (= Giudei e Cristiani) credesse, sarebbe meglio per loro; ce n’è qualcuno che è credente, ma la maggior parte di loro sono empi” (Corano 3, 110). A questo scopo inviò otto ambasciate ai potenti dell’epoca per invitarli a convertirsi all’Islam; fra di essi c’era il negus dell’Abissinia, il capo dei Copti dell’Egitto, l’imperatore Eraclio di Costantinopoli e Cosroe, re di Persia. Il risultato non fu incoraggiante. Ma per Maometto le idee erano chiare. Il Mondo era diviso in due. C’è il mondo dell’Islam (= dar al-islam), dove regna la pace (= dar al-salam). E c’è il mondo dei miscredenti (= dar al-kufr), che non accetta l’ordine islamico e quindi deve subire la guerra (= dar al-harb). Questa guerra, fatta in nome di Allah, si chiama jihad (Bat Ye’or, “Il declino della cristianità sotto l’Islam”, 2016, p. 85 ss.). Maometto ha diretto personalmente 27 spedizioni militari e per altre 59 ha dato i suoi consigli.

Nel 623, in seguito a una visione, ha invitato i suoi fedeli a non pregare più diretti verso Gerusalemme, ma verso la Mecca. Infatti in ogni moschea c’è il mihrab (= nicchia), che indica la quibla (= direzione della ka’ba alla Mecca). Questo ha significato due cose: l’arabizzazione dell’Islam e l’unificazione della penisola araba in un movimento religioso monoteista. Nel 632, Maometto ha fatto il suo unico pellegrinaggio alla Mecca, determinando i rituali che devono essere eseguiti da tutti i Musulmani. Questo pellegrinaggio (= hajj) deve essere fatto almeno una volta in vita. Pochi mesi dopo, l’otto giugno dello stesso anno, 632, Maometto morì e venne sepolto nella città di Medina.

La sua predicazione, trasmessa soprattutto per via orale, venne raccolta e messa per iscritto, aggiungendovi anche le vocali, dal terzo califfo, Uthman ibn Affan (al potere dal 644 al 656), in un solo libro, il Corano (da Al Qu’ran = recitazione), perché il testo della predicazione di Maometto deve essere imparato a memoria e ripetuto senza sosta da tutti i Musulmani devoti.

9. Il Corano, testo dettato da Dio

Boualem Sansal, celebre intellettuale e scrittore algerino, sostiene che il testo del Corano, scritto in arabo, ha una musicalità che entra nel più profondo dell’anima. Ascoltandolo, a volte si entra come in trance (= estasi). Questa bellezza eccezionale è una delle cause della sua diffusione. Il Corano è diventato un classico della letteratura araba e ha contribuito alla formazione della lingua degli abitanti della penisola arabica, favorendone la loro unità culturale e politica. Maometto era un illetterato, un analfabeta (Corano 7, 157), ma ha ascoltato il messaggio trasmesso da Jibril (= arcangelo Gabriele) e proveniente direttamente da Dio e lo ha ripetuto con fedeltà ai suoi ascoltatori.

Secondo la concezione islamica della rivelazione, in cielo, sulla “Tavola ben protetta”, esiste un solo libro, (Umm al-kitab: cfr.: Corano 3, 7) e cioè la “Madre del Libro” (François Jourdan, “Dio dei Cristiani, Dio dei Musulmani”, 2010, p. 109 ss.). E questo Libro è sceso più volte dal cielo. E’ stato rivelato oralmente ad Adamo, a Noé, ad Abramo, a Mosé, a Davide, a ‘Isa (= Gesù) e infine a Maometto. Leggiamo il Corano: “Crediamo in Allah e in quello che ha fatto scendere su di noi e in quello che ha fatto scendere su Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe e le Tribù, e in ciò che, da parte del Signore è stato dato a Mosé, a Gesù (‘Isa) e ai Profeti: non facciamo alcuna differenza tra di loro e a Lui siamo sottomessi” (Corano 3, 84).

Secondo il Corano quindi le rivelazioni fatte agli uomini di Dio prima di Maometto, sarebbero parola di Dio al pari del testo del Corano. Ma purtroppo le Scritture Ebraiche e Cristiane sono state falsificate (= tahrif). Dice il Corano: “O gente della Scrittura, perché avvolgete di falso il vero e lo nascondete, mentre ben lo conoscete?” (Corano 3, 70 e inoltre 4, 46; 5, 13; 6, 91; ecc.). Secondo il Corano, la rivelazione inizia con Adamo e finisce con Maometto, il”sigillo dei profeti” (Corano 33, 40). I profeti per il Corano sono solo dei trasmettitori passivi di un messaggio unico: annunciano il patto primordiale (= mithaq) inaugurato da Dio con tutta l’umanità in Adamo (Corano 7, 172-206). Abramo quindi non è il principio della storia della salvezza. Giustamente il padre Michel Hayek (1928-2005), teologo libanese, diceva: “L’islam è una religione adamitica” e non abramitica.

Ma la Bibbia che cosa dice della relazione di Dio con l’uomo? Si tratta essenzialmente dell’alleanza. Secondo André Neher (1914-1988), scrittore e sociologo ebreo, “l’idea di un’alleanza… è il contributo più originale del pensiero ebraico alla storia religiosa dell’umanità”. Gesù disse alla donna samaritana: “La salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Giovanni 4, 22-23). Gesù intendeva portare a compimento questa Alleanza, che da Abramo è arrivata al Cristo ed è poi stata estesa a tutte le nazioni del mondo. Nell’Islam, niente di tutto questo. Non c’è Alleanza, né Redenzione, né Messia. C’è solo Maometto, che, come profeta, chiude e mette il sigillo alla Rivelazione. La chahada (o professione di fede del Musulmano) dice esattamente: “Allah è Dio e Maometto è il suo profeta”. Il celebre romanzo dello scrittore francese Michel Houellebecq, dal titolo significativo “Soumission” (= sottomissione), del 2015, finisce appunto con questa professione di fede. Il protagonista, dopo tante vicissitudini e tanti interrogativi, trova finalmente la pace nell’Islam. È proprio il nostro destino? Non è possibile nessun dialogo? Non è possibile nessun arricchimento reciproco? Gesù non è il Salvatore dell’umanità e quindi anche dei nostri fratelli Musulmani? Evidentemente nei modi e nei tempi che Dio solo conosce.

10. Alla scuola di san Giovanni Damasceno e di altri due

San Giovanni Damasceno (676-749), figlio di Sarjun ibn Mansur, era un cristiano di famiglia araba. Ha collaborato nell’amministrazione del califfo omayyade Mu’awiya di Damasco (Siria). Caduto in disgrazia, si ritirò nel monastero di Mar Saba tra Gerusalemme e Betlemme. Lottò contro l’iconoclastia imposta nel 726 dall’imperatore di Costantinopoli Leone III. Ma ha scritto anche sull’Islam e lo mette al numero 100 nella sua lista delle eresie. Egli pensava che forse l’Islam era una eresia cristiana e non una nuova religione. Questa idea gli era venuta per il posto importante che il testo del Corano ha nell’Islam. Sarebbe, secondo san Giovanni Damasceno, come il Logos (= parola) del vangelo di san Giovanni. Ma l’Islam si è dimostrato subito una religione onnicomprensiva, capace e vogliosa di sostituire tutte le altre. Questo è il primo tentativo di approccio, di qualcuno che conosceva l’Islam anche dall’interno.

Il secondo tentativo si ha nel 1390, in occasione di un dialogo tra il futuro imperatore Manuele II Paleologo (1350-1425) con un saggio musulmano. Anche il Papa Benedetto XVI si è interessato a questa diatriba, nella famosa conferenza di Ratisbona, tenuta il 12 settembre 2006. Si trattava di stabilire un ordine di superiorità tra la Legge di Mosè, quella di Gesù e quella di Maometto. Manuele Paleologo affermava che la Legge musulmana è inferiore a quella ebraica a causa del Jihad, (= guerra), per cui gli uomini erano obbligati a scegliere tra la conversione o la morte (oppure vivere nella situazione di dhimmi = protetti, mediante il pagamento di una tassa, per restare Cristiani). Ora Dio non vuole la violenza. A maggior ragione la legge musulmana è inferiore a quella di Cristo. Ma il saggio musulmano obiettò che la legge di Cristo è effettivamente migliore di quella di Mosè, però è impraticabile, perché troppo elevata. Amare i nemici, ricercare la povertà, vivere la castità e la verginità sono atteggiamenti eccessivi. Il Corano invece si pone in una posizione intermedia tra la legge mosaica e quella di Cristo. Quindi il giusto mezzo è sinonimo di virtù. Ma Manuele Paleologo controbatté dicendo che i comandamenti di Mosé sono una cosa, i consigli evangelici sono un’altra. Inoltre la legge musulmana è un ritorno a quella di Mosé; per di più l’Islam l’ha corrotta.

Il terzo tentativo di approccio all’Islam è opera del Cardinale Niccolò da Cusa o Niccolò Cusano, teologo e filosofo tedesco (1401-1464). Egli ha scritto “De pace fidei” (= intorno alla pace della fede) nel 1452, alla vigilia della conquista di Costantinopoli ad opera del sultano turco Maometto II, avvenuta il 28 maggio 1453. Per farsi capire dall’Islam, Niccolò Cusano utilizzò solo argomenti filosofici cari ad Avicenna, filosofo e medico persiano (980-1037). Ma ciò lo obbligò ad abbandonare il tema della salvezza come opera di Dio (che si realizza nella storia e descritta nei due Testamenti della Bibbia), e a cercare nella sapienza religiosa la soluzione dei conflitti e la possibilità di un dialogo.

11. L’Islam è una rivelazione o una religione naturale?

Questi tre tentativi di approccio all’Islam, per non citare che i più significativi, ci obbligano a porci una domanda: l’Islam è una religione rivelata oppure una religione naturale? Secondo Alain Bésançon, un francese sociologo delle religioni, dalla risposta a questa domanda derivano le possibili condizioni per un dialogo nella verità. Per noi Cristiani l’umanità sta vivendo l’Alleanza di Noé (o alleanza noatica), grazie alla quale è possibile conoscere la legge naturale, vissuta dalle religioni cosiddette “pagane”. All’interno di questa umanità, Dio ha scelto Abramo, con il quale ha stipulato un’Alleanza, sviluppata in seguito da Mosè ai piedi del monte Sinai.

Lo stesso Dio poi, nel suo Verbo Incarnato, Gesù Cristo, venuto come Messia di Israele, ha stabilito una “Nuova Alleanza”, che è estesa all’umanità intera. Qual è il posto dell’Islam in questa visione del mondo? L’Islam è vicino agli insegnamenti di Mosè, perché crede nel Dio Unico, Creatore e Misericordioso. Ma questo Dio non è Liberatore, come si legge nella Bibbia: “Ed Egli (il Signore) ascoltò la nostra voce, vide la nostra miseria e la nostra oppressione e ci fece uscire dall’Egitto, con mano forte, con braccio teso, operando segni e prodigi” (Deuteronomio 26, 7-8). Nel Corano non si parla mai di storia della salvezza. Anche nel Cristianesimo ci sono delle similitudini con l’Islam. Nel credo cristiano, infatti, si afferma: “Credo in un solo Dio”. E questo va bene anche per l’Islam. Ma questo Dio per noi Cristiani è Padre, ha cioè una relazione personale con gli uomini, che, grazie a Gesù, diventano suoi figli, come dice san Paolo: “Tutti infatti siete figli di Dio in Cristo Gesù, mediante la fede” (Galati 3, 26).

Per il Corano invece l’umanità è divisa in due. Da una parte si trovano i “pagani” (= kafir) e dall’altra coloro che hanno ricevuto una rivelazione (= Ebrei, Cristiani e Musulmani). Il rapporto tra questi due gruppi non è basato sulla storia, ma sulla rivelazione di un messaggio. Questa rivelazione è la trasmissione di un testo che viene dalla “Madre dei Libri“, che si trova presso Dio. Ci sono stati degli inviati per trasmettere questo testo, come Adamo, Noé, Mosé, Davide, Gesù (‘Isa), che sono stati mandati a popoli particolari. Ma questi inviati sono stati superati. Infatti Maometto è il “sigillo dei profeti” (Corano 33, 40), perché è l’ultimo dei profeti e ha anche ricevuto una missione universale. Ebrei e Cristiani hanno prodotto dei libri, come la Torah, i Salmi e il Vangelo (= Injil, al singolare, nel Corano), ma questi libri per il Corano non sono considerati veridici, perché il loro testo è stato manipolato. Solo il Corano contiene tutta la verità e quindi la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) deve essere letta solo con la visione del Corano. La vera Torah (= la legge di Mosé), il Vangelo autentico, devono essere cercati solo nel Corano. I veri discepoli di Gesù, conoscitori del suo messaggio autentico, pertanto, sono solo i Musulmani. Con queste idee, che sono nella testa dei nostri amici Musulmani, è piuttosto difficile dialogare. Il dialogo presuppone la ricerca comune di ciò che unisce.

12. Ostacoli al dialogo nella verità

Ci sono alcuni punti nell’Islam che hanno bisogno di una maggiore chiarificazione, per permettere un dialogo tra Cristiani e Musulmani nella verità.

12.1 Taqiyya

Questa parola indica, soprattutto nella tradizione sciita, la possibilità di nascondere esteriormente la propria fede, in caso di grave pericolo o di una persecuzione a motivo della fede islamica. Storicamente la taqiyya è stata praticata dai Moriscos, al tempo della “reconquista spagnola” del 16° secolo. Attualmente è stata praticata dagli Yazidi nell’Iraq. Anche coloro che preparavano attentati (come quello dell’undici settembre 2001 alle torri gemelle di New York, oppure quelli che hanno investito la folla con una camionetta a Barcellona, il17 agosto 2017, ecc.) avevano l’obbligo di non farsi notare, di vestirsi all’occidentale, di bere alcolici, di frequentare locali per giovani normali, ecc. Era la taqiyya o dissimulazione, per meglio riuscire nei loro progetti sanguinari contro i miscredenti e in favore dell‘Isis (= organizzazione fondamentalista che si propone di diffondere lo stato islamico nel medio oriente e in tutto il mondo)). Taqiyya può significare in italiano: paura, circospezione, timore di Dio, ambiguità, dissimulazione o menzogna. Se il Musulmano che parla con me cristiano non racconta la verità, che dialogo è possibile fare?

12.2 Dhimmi

I dhimmi erano i protetti che pagavano la jizya (= tassa, tributo) per poter conservare la loro religione. Si basava sul Corano che diceva: “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati” (Corano 9, 29). Questo regime ha incoraggiato la conversione all’Islam, soprattutto di Cristiani (Bat Ye’or, “Il declino della cristianità sotto l’Islam”, 2016, p. 85 ss.).

12.3 La Bibbia manomessa

Dice il Corano: “Alcuni tra i Giudei stravolgono il senso delle parole e dicono: ‘Abbiamo inteso, ma abbiamo disobbedito’. Oppure: ‘Ascolta senza che nessuno ti faccia ascoltare’ e ‘rà’na’, contorcendo la lingua e ingiuriando la religione” (Corano 4, 46; leggere inoltre questi testi: Corano 5, 41-45 e sura 2, 75 e anche 3, 78). Per i Cristiani, e cioè per il Vangelo (= injil), vale lo stesso discorso. Quattro libri, secondo il Corano, sarebbero scesi dal cielo, attraverso l’azione di Jibril (= Gabriele arcangelo) su Ibrahim (Abramo), Musa (Mosè), Dawud (Davide) e ‘Isa (Gesù), ma sarebbero scomparsi. I testi che esistono oggi sarebbero solo delle falsificazioni (Corano 3, 84-91). Pertanto Bibbia e Vangelo non sono riconosciuti dall’Islam, come gli Ebrei e i Cristiani li conservano ancora attualmente.

Questa pretesa dell’Islam però non ha fondamento storico. I manoscritti del Nuovo Testamento, datati prima del 400, che sono pervenuti fino a noi sono più di 24.000. Per confutare questa teoria della manomissione, è sufficiente citare le scoperte archeologiche più recenti. I manoscritti di Qumran (dal 1947 in poi) e almeno 70 testi (= pergamene e papiri), che tutti possono consultare nelle principali Biblioteche del Mondo, scritti prima della rivelazione del Corano, provano che il testo che abbiamo non è stato manipolato ed è identico a quello che è stato tramandato dalla prima Comunità Cristiana e dai nostri fratelli Ebrei.

Maometto invece aveva una concezione del testo rivelato che era propria dei Manichei. E cioè: il testo viene prima di tutto. Si trova presso Dio. E’ immutabile e si deve accettare così com’è. Ma chi era Mani, fondatore del Manicheismo? Mani era nato nel 216 della nostra era, a Seleucia, vicino a Babilonia. Visse fino al 276. A 24 anni, ricevette una rivelazione dal suo gemello divino (Syzygos o angelo della luce), che lo convinse di essere l’ultimo dei profeti, dopo Buddha, Zarathustra e Gesù. La sua predicazione fece nascere il Manicheismo, una religione che si diffuse in occidente e, attraverso la via della seta, fino in Cina. Manicheo fu anche sant’Agostino di Ippona (354-430) per alcuni anni.

Mani stette molto attento ai contenuti della sua rivelazione, perché fosse conservata tale e quale in tutti i paesi dove fosse stata diffusa. Per questo Mani mise per iscritto con cura il suo messaggio. Maometto fece lo stesso. Per evitare eresie e scismi, che laceravano le altre religioni, specialmente i Cristiani, Maometto controllò la trasmissione orale del messaggio ricevuto da Jibril (= Gabriele arcangelo) e vegliò sui segretari che trascrivevano il Corano (François Jourdan, “Dio dei Cristiani, Dio dei Musulmani”, 2010, p. 118 ss.). Il terzo Califfo, successore di Maometto, Uthman ibn Affan poi impose l’unico testo del Corano, aggiungendo anche le vocali, eliminando tutte le possibili differenze. Questo testo doveva essere diffuso in tutto il mondo musulmano.

Nella tradizione biblica invece il lavoro redazionale si protrae per generazioni. E il testo viene fissato in seguito. Il Corano è l’ultima versione del “Libro Madre” esistente presso Dio e rivelata a Maometto dall’arcangelo Gabriele. La prova che il Corano è parola di Dio? Semplice: Maometto era un analfabeta (= ummi) e un illetterato. Era solo un altoparlante di quello che riceveva come rivelazione da Jibril(Corano 7, 157). Nel Corano si trovano molti insegnamenti che sono discutibili; ma ce ne sono anche altri che sono accettabili e positivi.

12.4 Islam razionale – Cristianesimo irrazionale?

Per un musulmano diventare cristiano è assurdo, prima di tutto perché il Cristianesimo è una religione del passato. Il meglio del Cristianesimo è entrato nell’Islam. Ma più fondamentalmente il Cristianesimo appare innaturale a un musulmano. Il dogma trinitario è tacciato di associativismo e quindi definito shirk (= idolatria): dare al Dio unico degli associati è il massimo dei peccati. Per i Cristiani il Dio Trino è un mistero, per i Musulmani questo dato della fede è irrazionale. Inoltre le esigenze morali del Cristianesimo sorpassano le capacità umane. Il paradiso dei Musulmani è descritto dalla sura 56 del Corano, dove si descrive il pieno appagamento dei desideri umani. All’inizio dell’umanità Adamo viveva nel paradiso terrestre; alla fine della vita si va di nuovo nel Paradiso dove tutti i piaceri sono soddisfatti: fanciulle dai grandi occhi neri (= le houri), efebi di eterna giovinezza, recanti coppe di vino e cibo d’ogni genere, in abbondanza…. Ma c’è anche un’interpretazione spirituale del Paradiso, soprattutto da parte del Sufismo (= dimensione mistica dell’Islam).

12.5 L’Islam nega la storia

La Bibbia parla di una storia. La rivelazione si realizza per tappe. L’intervento di Dio si manifesta con parole e con atti. Il loro ricordo è conservato dalla tradizione e poi da un libro ispirato. Il Corano invece è increato ed esiste presso Dio. Viene rivelato dall’arcangelo Gabriele al profeta Maometto, che è il sigillo dei profeti (Corano 33, 40). Il Corano evidentemente è stato rivelato in arabo (Corano 12, 2 e 20, 113). I veri Musulmani pregano in arabo, si vestono e si comportano esteriormente secondo le prescrizioni del Corano e degli hadith (= insegnamento orale o detti del profeta Maometto non raccolti nel libro sacro). In questo modo l’islamizzazione diventa un’arabizzazione e quindi una colonizzazione. Dove arriva l’Islam infatti le tracce del passato scompaiono. Il Cristianesimo invece, per il principio dell’Incarnazione, si adatta ad ogni popolo e ad ogni cultura e si arriva al fenomeno dell’inculturazione. Il Corano trasmesso da Jibril in arabo a Maometto, se è tradotto non è più un libro sacro. La Bibbia invece, grazie al principio dell’ispirazione, conserva il suo carattere di Parola di Dio in tutte le lingue e in tutte le culture del mondo.

13. Condizioni per un dialogo nella verità, secondo Papa Francesco

Il dialogo è l’atteggiamento privilegiato del Cristiano. Gesù ha condannato la violenza senza tentennamenti. Nell’orto del Getsemani, rivolgendosi agli Apostoli, e particolarmente a Pietro che aveva tagliato l’orecchio a Malco, servo del sommo sacerdote, ha detto: “Rimetti la tua spada al suo posto, poiché tutti quelli che mettono mano alla spada, di spada periranno” (Matteo 26, 52). Di fronte alla violenza che regna nel mondo, Gesù esige il perdono (Marco 11, 25). “Amate i vostri nemici – dice Gesù – e pregate per coloro che vi perseguitano” (Matteo 5, 44). Solo in questo modo si può spezzare la spirale della violenza.

E’ l’insegnamento che Papa Francesco ha cercato di spiegare ai partecipanti alla Conferenza internazionale per la Pace, il 28 aprile 2017, all’Università al-Azhar, al Cairo in Egitto. “Proprio nel campo del dialogo – ha detto Papa Francesco – e specialmente quello interreligioso, siamo chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture”.

Ci sono tre orientamenti fondamentali, perché il dialogo sia sincero: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Non si costruisce dialogo autentico nell’ambiguità. Non si può trattare come un nemico da temere colui che è differente da sé. La sincerità delle intenzioni è necessaria, perché il dialogo “non è una strategia per realizzare secondi fini – dice il Papa, – ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione”. L’unica alternativa alla civiltà dell’incontro, che bisogna sostenere, “è l’inciviltà dello scontro – sostiene Papa Francesco. – E per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene: giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia e, crescendo verso l’Alto e accanto agli altri, trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità“.

14. La parola agli specialisti

Gli insegnamenti di Gesù sulla violenza sono chiari e fondamentali. I consigli di Papa Francesco sono da tener presenti. Comunque la via del dialogo, particolarmente con l’Islam, è necessaria. Ma sempre nella verità.

14.1 Primo specialista del dialogo con l’Islam: Alain Bésançon

Secondo Alain Bésançon, francese, specialista della storia delle religioni, il Corano non è una preparazione al Vangelo, come gli autori pagani della prima predicazione cristiana (= Omero, Platone, Aristotele, Plotino, Virgilio, Cicerone, ecc.). Per noi Cristiani, nella conoscenza e nel dialogo con l’Islam, grande importanza ha avuto Louis Massignon (1883-1962), islamologo francese e promotore del dialogo con l’Islam. Egli ha inculcato negli specialisti cristiani dell’Islam che il Corano è una rivelazione come la Bibbia e che l’Islam è di filiazione abramitica. Ciò non è vero. Abbiamo risposto a queste asserzioni di Massignon a pagina 43-44. Seguendo Massignon, si rischia di confondere fede e religione. Inoltre tanti Cristiani sono impressionati dal posto che Gesù (‘Isa) e Maria hanno nel Corano. Si arriva a dire che l’Islam sarebbe migliore dell’Ebraismo, perché onora Gesù e Maria, cosa che l’Ebraismo non fa. Ma abbiamo già detto che Gesù e Maria del Corano sono solo omonimi; non hanno niente in comune con il Gesù del Vangelo e con sua Madre Maria.

Bisogna stare attenti inoltre a non utilizzare queste espressioni come: le tre religioni adamitiche, le tre religioni rivelate, le tre religioni monoteiste. Abbiamo spiegato il perché a pagina 44. Anche l’espressione “le genti del libro” (Corano 5, 15) esige una chiarificazione. Ma di che libro si tratta? Non del Corano, né della Bibbia, ma del Libro-Madre, o libro celeste e increato. Il Corano ha semplicemente previsto per i Cristiani, per gli Ebrei, per i Sabelliani e per gli Zoroastriani una categoria giuridica. Essendo genti del “libro”, perché depositari di una rivelazione, possono rivendicare lo statuto di dhimmi e, pagando una tassa (= jiziya), salvare la loro vita, invece di conoscere la sorte dei kafir (= pagani).

Comunque l’Islam non è una religione semplicistica, una religione “dei cammellieri”. E’ una perfetta cristallizzazione del rapporto dell’uomo con Dio. Per questo il dialogo con l’Islam è difficile. Bisogna forse appoggiarsi su ciò che permane in esso della religione naturale e vedere come si può camminare insieme. Soprattutto cercare il bene dell’umanità, escludendo ogni violenza.

14.2 Secondo specialista del dialogo con l’islam: François Jourdan

Per François Jourdan, prete francese (François Jourdan, “Dio dei Cristiani, Dio dei Musulmani”, 2010, p. 211 ss.), per un dialogo veramente proficuo, bisogna tener conto delle differenze, conoscere veramente l’altro, sottolineare ciò che è buono. Per esempio, in occasioni di feste cristiane, invitare i nostri vicini Musulmani. E reciprocamente, specialmente alla fine del mese sacro del Ramadan. Le liturgie cristiane impressionano fortemente i nostri amici Musulmani. Il patrimonio artistico che abbiamo ereditato dai tempi passati li lascia stupefatti. L’amore di Dio manifestato da Gesù, per tutti senza preferenze, li turba.

Il clima che deve esistere tra Cristiani e Musulmani deve essere quello del rispetto e dell’amicizia (Cristoforo Veglia, “Islam, nostro vicino di casa”, 2001, p. 17 ss.). Bisogna anche avere il coraggio di parlare delle dottrine che plasmano la nostra identità cristiana. Non aver paura di spiegare le catechesi della prima generazione cristiana. I nostri fratelli Musulmani, se cercano Dio con sincerità e rifiutano la violenza praticando la carità, meritano ciò che il Concilio Vaticano II ha detto: “Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e, con l’aiuto della grazia, si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna” (Lumen Gentium, & 16). Resta sempre vero che la chiave della comprensione e del dialogo sincero, tra Cristiani e Musulmani, consiste nell’amore di Dio e del prossimo, senza escludere nessuno.

14.3 Terzo specialista del dialogo con l’Islam: Giuseppe Scattolin

Giuseppe Scattolin è un missionario comboniano. Padre Scattolin ha passato la sua vita in Egitto e ha consacrato la sua intelligenza alla comprensione del mondo dell’Islam. Secondo lui, premessa per ogni vero dialogo è il principio della verità. Solo in questo modo il dialogo, soprattutto interreligioso, potrà essere sincero e vero (Giuseppe Scattolin, “MCCJ BULLETIN”, n° 264. p. 53 ss.). Nella fede islamica, per esempio, la vera affermazione dell’unità di Dio (= tawhid) non è un’affermazione matematica, ma un mistero esistenziale, di fronte al quale la mente umana resta perplessa. Per i Cristiani la Trinità è un mistero che supera la ragione umana.

Il dialogo deve favorire un approccio rispettoso della fede dell’altro. Nell’Islam, tutta la vita umana deve essere regolata dalla shari’a (= legge di Dio). Ma nelle società moderne la shari’a si mostra inadeguata. L’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini, in particolare la libertà di coscienza, interpella la shari’a. Molti sono i Musulmani che chiedono la riapertura della “porta dell’interpretazione” (= ijtihad), per dare alla giurisprudenza islamica un nuovo respiro che la metta all’altezza dei tempi moderni.

Ormai l’Islam non è più confinato in una regione precisa del mondo, ma è presente in tutti i continenti. Il dialogo quindi è estremamente necessario, anche all’interno dell’Islam. Infatti all’interno dell’Islam è in corso una lotta fra due tendenze di base, quella tradizionalista (= salafiyya), che guarda al passato come a un modello valido per sempre, e quella riformatrice (= islahiyya), che guarda al presente e al futuro e accetta lo sviluppo sociale e scientifico dell’umanità. E quindi si pone ora una domanda importante: è possibile una conciliazione fra civiltà islamica e mondo moderno? Il rapporto tra Cristianesimo e Islam si gioca anche nella risposta a questa domanda importante.

L’Islam non è solo un messaggio religioso e morale. Tutti gli aspetti della vita umana sono influenzati dal suo insegnamento, anche l’aspetto politico. L’Islam infatti è una religione totale, è religione e stato (= din wa-dawla). Molti oggi, specialmente fra gli uomini politici occidentali, tendono a dimenticare questa realtà. A Medina, Maometto ha fondato, nel 622 in occasione dell’egira, il primo stato islamico, che resta ancora oggi modello e punto di riferimento per ogni società islamica. Maometto aveva una chiara coscienza della missione universale dell’Islam. E su queste convinzioni che si può parlare ancora oggi di un vero imperialismo religioso islamico. Questo connubio fra religione e politica è l’aspetto più pericoloso (e stranamente ancora molto ignorato) della realtà storica dell’Islam. Questo connubio, sempre secondo Scattolin, fra religione e politica ha portato e porta a una sacralizzazione della politica o a una politicizzazione del sacro. Tale miscela pericolosa deve essere disinnescata dall’interno dell’Islam stesso, mediante i suoi movimenti riformatori.

Il dialogo interreligioso deve aiutare i nostri fratelli Musulmani a fare chiarezza sui molti equivoci dell’Islam politico. Bisogna liberare la mente islamica dal sogno di un imperialismo islamico storico, per aprirlo a una vera e positiva convivenza con l’altro, non più “dar al-kufr” (= casa della miscredenza), ma parte del villaggio globale nel quale vive l’umanità intera.

Un grande passo in avanti è stato fatto dal Consiglio superiore degli Ulema (= teologi e giureconsulti dell’Islam) del Marocco, secondo quanto pubblicato dalla stampa il 6 febbraio 2017. Hanno manifestato la loro decisione di non condannare a morte nessun apostata musulmano e hanno concesso finalmente la libertà religiosa. La loro decisione merita di essere trascritta per intero. Eccola: “La comprensione più accurata, e la più coerente, con la legislazione islamica e la Sunna del Profeta, è che l’uccisione dell’apostata significava l’uccisione del traditore del gruppo, l’equivalente di tradimento nel diritto internazionale, gli apostati in quell’epoca rappresentavano i nemici dell’Umma, proprio perché potevano rivelare segreti agli avversari”.

Secondo Karima Moual, giornalista marocchina al quotidiano “La Stampa“, la condanna a morte dell’apostata era giustificata da un contesto bellico e politico, al tempo di Maometto. “Se l’Islam – continua questa donna musulmana aperta al dialogo, – in tutti gli angoli del mondo, procedesse nell’analisi e nell’interpretazione (dell’Islam) su questa linea, si farebbero molti passi in avanti, di cui i Musulmani hanno urgente bisogno, oggi più che mai”.

15. Islam monolitico?

L’Islam è ancora un blocco monolitico? Non c’è nessuno fra i Musulmani che si decida di cambiare religione? Secondo il Pew Research Center di Washington (USA), l’Islam è destinato a crescere e a raggiungere, come diffusione, il Cristianesimo, prima della fine di questo secolo, e in seguito anche a sorpassarlo. Ma ci sono anche altre analisi della situazione, soprattutto nel rapporto tra Islam e Cristianesimo. Il battesimo di Cristiano Magdi Allam, il 22 marzo 2008, da parte di Papa Benedetto XVI, ha fatto notizia, ma sarebbe solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che allarma anche le autorità di alcuni paesi musulmani. Secondo il “London Times“, giornale inglese, questo fenomeno sta sempre crescendo in Europa e nel resto del mondo. Il 15% dei Musulmani residenti in Europa hanno lasciato l’Islam.

Lo sceicco Ahmad al-Qataani, intervistato nel 2006 dalla televisione Al-Jazeera del Qatar, ha affermato quanto segue: “L’Islam è sempre stato la principale religione dell’Africa… Il numero dei Musulmani africani è attualmente di 316 milioni… Quando si pensa che l’intera popolazione dell’Africa supera un miliardo di persone, il numero dei Musulmani è diminuito notevolmente rispetto all’inizio del secolo… I Cristiani invece da un milione che erano nel 1902 sono passati a 516 milioni. Ogni anno milioni di Musulmani si convertono al Cristianesimo”. Anche il “New York Times“, quotidiano USA, si è occupato di questo fenomeno, che sembra ormai una tendenza confermata. La crescita numerica dell’Islam è dovuta principalmente all’alta natalità dei paesi musulmani. Per la crescita del Cristianesimo invece si parla piuttosto di conversioni di adulti.

16. Zakaria Botros e altri

Zakaria Botros è un sacerdote cristiano copto dell’Egitto, che conosce alla perfezione la lingua araba e le fonti islamiche. Egli produce dei programmi che sono trasmessi via satellite a partire dagli Stati Uniti e sono seguiti da milioni di spettatori, particolarmente nei paesi del Medio Oriente. Il giornale arabo “Al-Insan al-Jadid” lo definisce: “Il nemico pubblico numero uno dell’Islam”. Sulla sua testa pesa una taglia di 60 milioni di dollari. Che cosa ha di speciale padre Zakaria? Niente. Spesso egli afferma: “Non odio i Musulmani. E’ che non amo l’Islam“.

In un’intervista apparsa il 10 ottobre 2009, padre Zakaria riassume le sue critiche all’Islam in questo modo: “1°- Eliminare o correggere i versetti del Corano che negano la divinità di Gesù. 2°- Eliminare o correggere i versetti coranici che incitano a uccidere i Cristiani e gli Ebrei. 3°- Eliminare o correggere i versetti coranici che incitano al terrorismo. 4°- Smettere di attaccare ancora oggi Gesù e il Vangelo nelle moschee e nei media. 5°- Concedere la libertà di religione. 6°- Scuse per i Cristiani martirizzati, uccisi in tanti paesi del mondo”.

Padre Zakaria nei suoi programmi televisivi critica tutti gli aspetti dell’Islam e della vita di Maometto che sono inaccettabili per un Cristiano. Maometto, per esempio, ha avuto ufficialmente 11 donne e 2 concubine, più le occasionali. Dice allora padre Zakaria: “Il profeta Maometto era fatto di una materia differente rispetto agli altri uomini?”. La sua vita sessuale era senza regole? E’ normale per un profeta e uomo di Dio?

Raymond Ibrahim, di origine egiziana, specialista di arabo per conto del Governo Usa, afferma: “Molti critici occidentali non capiscono che per disinnescare l’islamismo radicale occorre proporre al suo posto qualcosa di teocentrico e di spiritualmente soddisfacente; non il secolarismo, non la democrazia, né il capitalismo, né il materialismo o il femminismo. Le Verità di una religione possono essere sfidate solo dalle Verità di un’altra religione. Padre Zakaria Botros combatte il fuoco con il fuoco. Ed è il metodo corretto”.

Sono soprattutto i Cristiani delle Chiese evangeliche che fanno evangelizzazione in mezzo ai Musulmani. Basti consultare il sito answeringislam. com; oppure conoscere la storia di Backtojerusalem movement. Backtojerusalem è un movimento sorto in Cina ad opera di una Chiesa evangelica negli anni 1920, nella provincia di Shandong. Il leader principale ne era Simon Zhao, che ha passato 31 anni in prigione sotto il regime comunista. Lo scopo era quello di inviare missionari in tutti i paesi che esistono tra la Cina e Gerusalemme e proporre quindi il Vangelo di Gesù ai Buddisti, agli Indù e ai Musulmani. Nonostante le persecuzioni e gli imprigionamenti, il lavoro di questo movimento continua. Da che cosa sono colpiti i Musulmani che hanno il coraggio di diventare Cristiani?

Prima di tutto, la maggior parte dei Musulmani non accetta più la violenza. Inoltre i Musulmani sono attirati dalla bellezza della liturgia ortodossa e cattolica.

17. L’atteggiamento dei Cattolici

Sono sempre più numerosi i Musulmani che arrivano come immigrati nei paesi dell’Europa. Padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam e consigliere del Papa Benedetto XVI, dice che di fronte al fenomeno dell’immigrazione sono possibili per i Cristiani due atteggiamenti. Il primo: gli immigrati, specialmente i Musulmani, ci stanno invadendo. Non è un atteggiamento evangelico. Essi vengono da situazioni tragiche, fuggono dalla guerra e dalla povertà.

Il secondo atteggiamento è la Missione. Il Vangelo di Matteo finisce con queste parole di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28, 19-20). Non si tratta di fare propaganda, bisogna semplicemente essere fraterni, testimoniare affetto e amicizia, esercitare amore e carità.

Nell’esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii Gaudium” del 2013, citando Papa Benedetto XVI, si dice: “Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I Cristiani hanno il dovere di annunciarlo, senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione” (EG n°14). Già san Francesco d’Assisi (1182-1226) diceva ai suoi “frati minori“: “Predicate il Vangelo sempre e, se è necessario, usate anche le parole“. Con chi è ben disposto, non esitare a parlare di Gesù, a fornire Bibbie e Vangeli e altro materiale per la catechesi, in arabo. Bisogna accogliere i Musulmani nelle parrocchie, nei vari gruppi cristiani, nelle scuole, nelle attività sportive, ecc. I Musulmani non sono i nostri nemici, ma, come dice Papa Francesco, citando Giovanni Paolo II, sono nostri fratelli, “perché viviamo sotto il sole di un unico Dio misericordioso”.

18. Dialogo nella verità

Papa Francesco, rivolgendosi ai partecipanti alla Conferenza internazionale per la pace, tenutasi all’Università Al-Azhar, al Cairo (Egitto), il 28 aprile 2017, ha detto, tra l’altro (e queste parole servono come conclusione di questo scritto): “La luce policromatica delle religioni ha illuminato questa terra (= Egitto): qui, lungo i secoli, ‘le differenze di religione hanno costituito una forma di arricchimento reciproco al servizio dell’unica comunità nazionale’. Fedi diverse si sono incontrate e varie culture si sono mescolate, senza confondersi, ma riconoscendo l’importanza di allearsi per il bene comune. Alleanze di questo tipo sono quanto mai urgenti oggi. Nel parlarne, vorrei utilizzare come simbolo il ‘Monte dell’Alleanza’ che si innalza in questa terra. Il Sinai ci ricorda anzitutto che un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo, che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte, e nemmeno può salire sul monte per impadronirsi di Dio (Esodo 19, 12). Si tratta di un messaggio attuale, di fronte all’odierno perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società, dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica. Esiste il rischio che la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano. In un mondo che ha globalizzato molti strumenti tecnici utili, ma al contempo tanta indifferenza e negligenze, e che corre a una velocità frenetica, difficilmente sostenibile, si avverte la nostalgia delle grandi domande di senso, che le religioni fanno affiorare e che suscitano la memoria delle proprie origini: la vocazione dell’uomo, non fatto per esaurirsi nella precarietà degli affari terreni, ma per incamminarsi verso l’Assoluto a cui tende. Per queste ragioni, oggi specialmente, la religione non è un problema, ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini. In questo senso, volgendo ancora idealmente lo sguardo al Monte Sinai, vorrei riferirmi a quei comandamenti, là promulgati, prima di essere scritti sulla pietra. Al centro delle ‘dieci parole’ risuona, rivolto agli uomini e ai popoli di ogni tempo, il comando: ‘Non uccidere’ (Esodo 20, 13). Dio, amante della vita, non cessa di amare l’uomo e per questo lo esorta a contrastare la via della violenza, quale presupposto fondamentale di ogni alleanza sulla terra. Ad attuare questo imperativo sono chiamate, anzitutto e oggi in particolare, le religioni, perché, mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza. La violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità”. Non è possibile ogni dialogo, se non si guarda verso l’Alto, verso Dio. E questo Dio, come ci spiega Gesù, si interessa dell’umanità. “Dio ha tanto amato il mondo – ha detto Gesù a Nicodemo – che ha dato il Figlio suo Unigenito, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (Giovanni 3, 16). Dio ha amato e ama tutta l’umanità: Cristiani, Musulmani e tutti gli altri, nessuno escluso.

“O Theòs agape estin”, che, tradotto in italiano dal greco, significa: Dio è amore (1 Giovanni 4, 8), come ha detto Papa Benedetto XVI nella sua enciclica, pubblicata il 25 gennaio 2006, dal titolo significativo: “Deus caritas est“. Appunto: Dio è amore!

Tonino Falaguasta
Missionari Comboniani – Cordenons (PN)