Marsabit colpita da una delle peggiori siccità degli ultimi 40 anni

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Domenica 30 luglio 2023
«Faremo del nostro meglio per rialzare le persone, di nuovo, in piedi. Mentre aspettano che i semi che possono piantare nelle loro fattorie crescano, maturino, diventino cibo, avranno comunque bisogno di più sostegno per i prossimi tre o quattro mesi». Parole di monsignor Peter Kihara Kariuki, vescovo di Marsabit, nel Kenya settentrionale colpito da una delle peggiori siccità degli ultimi quarant’anni. [L’Osservatore Romano]

Ad aprile, dopo ben cinque stagioni senza pioggia, l’acqua ha nuovamente bagnato la terra arida e polverosa di questa località che si trova a quasi 500 chilometri dalla capitale Nairobi. In un’area sterminata nella quale vivono quattordici comunità, ognuna con la propria lingua, non c’è un solo fiume a solcare questa regione semi desertica dell’Africa centrale dove la quasi totalità della popolazione vive di pastorizia e la morte del bestiame rappresenta un problema enorme.

Ad aiutare i residenti c’è la Chiesa cattolica, una comunità giovane, attivamente impegnata in progetti di istruzione e di miglioramento del benessere della collettività, grazie all’instancabile opera del vescovo e di padre Isacko Jirma, direttore della Caritas locale. L’emergenza alimentare degli ultimi mesi li ha spinti a compiere un viaggio in Europa, per chiedere e coordinare gli aiuti destinati alle proprie comunità. «Stiamo discutendo con i nostri partner le risorse per ristorare le famiglie che hanno perso tutto ciò che avevano a causa della siccità», afferma Jirma: «Adesso abbiamo più di 300.000 persone che soffrono di insicurezza alimentare. Molti dei loro figli hanno abbandonato gli studi. Devono tornare a scuola». È tanto il lavoro da fare, ma monsignor Kihara Kariuki è pronto a guidare il processo di ricostruzione: «Non conoscono alcuna forma di agricoltura a parte la pastorizia o l’allevamento del bestiame. Avranno bisogno di essere assistiti, di avere alcuni animali come parte del ripopolamento, così potranno iniziare ad allevarli e, a Dio piacendo, si riprodurranno e ne avranno di più. In questo momento — continua il vescovo di Marsabit — il processo di recupero serve a salvare vite umane, come facevamo prima, mentre aspettiamo che gli amici contribuiscano ad aiutarci in questo processo di recupero. Ora non abbiamo molto ed è per questo che siamo usciti per condividere questa situazione con i membri della nostra Caritas e con le altre Chiese, in modo che possano aiutarci ad aiutare i più bisognosi».

Un problema, quello della siccità in Africa, che conoscono bene Caritas Internationalis e Catholic Agency for Overseas Development, l’ente di beneficenza internazionale della Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles, che da oltre trent’anni sostengono e aiutano la Conferenza episcopale keniota. Gli abitanti di Marsabit, che un tempo pascolavano il bestiame, ora sono senza occupazione ed è molto facile che la situazione degeneri in uno scontro per la sopravvivenza in una regione dove le risorse idriche e alimentari scarseggiano. Da qui l’appello ai cattolici di Inghilterra e Galles e a tutta la comunità affinché sia fornito un sostegno immediato per insegnare loro nuovi mestieri e nuove opportunità di sussistenza. Un aiuto immediato ma anche una speranza a lungo termine per assicurare un impegno duraturo per scongiurare l’emigrazione alla ricerca di un posto migliore.

«Sono volenterosi — continua il presule — e se ci saranno centri di formazione in cui possono andare, per essere responsabilizzati, per sviluppare capacità, per apprendere nuove competenze, avranno un’alternativa. Invece di prendere una lancia o un fucile per andare a rubare, avranno un impiego con la loro abilità e il lavoro, anche per impedire loro di emigrare da lì, dove la vita è dura e difficile, per venire a cercare lavoro in Europa. Non vogliamo che ciò accada perché avremmo perso. Abbiamo bisogno di loro per costruire capacità che migliorino il loro standard di vita e quello della società. Questo è il nostro appello. Chiediamo ai cattolici di sostenerci per aiutare questa generazione bisognosa».

[Antonino Iorio – L’Osservatore Romano]