Domenica 29 ottobre 2023
La Relazione di Sintesi approvata e pubblicata ieri dalla XVI Assemblea generale del Sinodo sulla sinodalità è un documento di circa 40 pagine suddiviso in tre parti, che traccia la strada per il lavoro da svolgere nella seconda sessione del 2024 e dalle quali emerge un rinnovato sguardo al mondo e alla Chiesa e alle loro istanze. [Foto Vatican Media/SIR]
“La nostra Assemblea si è svolta mentre nel mondo infuriano vecchie e nuove guerre. Il grido dei poveri, di chi è costretto a migrare, di chi subisce violenza o soffre le devastanti conseguenze dei cambiamenti climatici e tutti, abbiamo portato in ogni momento, nel cuore e nella preghiera, chiedendoci in che modo le nostre Chiese possano favorire cammini di riconciliazione, di speranza, di giustizia e di pace”. Si apre con queste parole la Relazione di Sintesi approvata e pubblicata ieri dalla XVI Assemblea generale del Sinodo sulla sinodalità. Un documento di circa 40 pagine suddiviso in tre parti, che traccia la strada per il lavoro da svolgere nella seconda sessione del 2024 e dalle quali emerge un rinnovato sguardo al mondo e alla Chiesa e alle loro istanze.
Tutto parte dall’arte dell’ascolto, tema centrale del sinodo, che anziché suscitare confusione o preoccupazione, apre alla sinodalità cioè a quella capacità “di essere Chiesa che articola comunione, missione e partecipazione”. Ed è appunto la sinodalità il tema della prima parte del documento, nella quale oltre a descrivere l’esperienza vissuta dai padri sinodali, vengono toccati temi importanti e cruciali per la vita della Chiesa. A cominciare dal servizio al mondo senza limiti di sorta, e poi l’iniziazione cristiana ma soprattutto i poveri.
L’opzione per i poveri e gli scartati è per la Chiesa una “categoria teologica”. Essi infatti “chiedono alla Chiesa “amore” inteso come “rispetto, accoglienza e riconoscimento”, ribadisce il documento, che identifica come poveri anche migranti, indigeni, vittime di violenza, abuso (in particolare donne), razzismo e tratta, persone con dipendenze, minoranze, anziani abbandonati, lavoratori sfruttati. Il testo si concentra ancora su migranti e rifugiati indicandoli quale “fonte di rinnovamento e arricchimento per le comunità che li accolgono e un’occasione per stabilire un legame diretto con Chiese geograficamente lontane”.
Per questo, di fronte agli atteggiamenti sempre più ostili nei loro confronti, il Sinodo invita “a praticare un’accoglienza aperta, ad accompagnarli nella costruzione di un nuovo progetto di vita e a costruire una vera comunione interculturale tra i popoli”. Il tutto nel rispetto “per le tradizioni liturgiche e le pratiche religiose”, come pure per il linguaggio. Ed è in questo contesto che i padri sinodali sottolineano la necessità di combattere razzismo e xenofobia attraverso specifici programmi di formazione pastorale basati “sull’educazione alla cultura del dialogo e dell’incontro”.
Sempre facendo riferimento al tema, il documento si sofferma quindi sui recenti conflitti che hanno causato il flusso di numerosi fedeli dell’Oriente cattolico sull’Est Europa e, “in nome della sinodalità” lancia alle Chiese locali di rito latino l’appello affinché queste “aiutino i fedeli orientali emigrati a preservare la loro identità”, senza subire “processi di assimilazione” (6 c). Sul fronte dell’ecumenismo il testo parla di “processi di pentimento” e “guarigione della memoria” (7 c), e si rilancia la proposta di un martirologio ecumenico (7 o).
Alla sinodalità si affianca la “Missione”, argomento della seconda parte che si sofferma su aspetti più “ad intra” della vita della Chiesa ”. Temi di grande rilievo e importanza e per i quali è necessario che “le comunità cristiane condividano la fraternità con uomini e donne di altre religioni, convinzioni e culture, evitando da una parte il rischio dell’autoreferenzialità e dell’autoconservazione e dall’altra quello della perdita di identità”. Temi che richiedono l’avvento di un nuovo “stile pastorale”, indispensabile, a parere di molti, per rendere “il linguaggio liturgico più accessibile ai fedeli e più incarnato nella diversità delle culture”.
Nel testo si guarda con stupore poi alla ricchezza e alla varietà delle diverse forme di vita consacrata mettendo allo stesso tempo in guardia i figli della Chiesa dal pericolo legato al “perdurare di uno stile autoritario, che non fa spazio al dialogo fraterno” spesso fonte di casi di abuso e violenza e che “richiede interventi decisi e appropriati”. Dai padri sinodali poi la gratitudine ai diaconi “chiamati a vivere il loro servizio al Popolo di Dio in un atteggiamento di vicinanza alle persone, di accoglienza e di ascolto di tutti”, ma anche l’invito a non cadere nel clericalismo che rappresenta la “deformazione del sacerdozio”.
Un atteggiamento da contrastare “fin dalle prime fasi della formazione” puntando su “un contatto vivo” con il popolo e i bisognosi. Nel documento si accenna anche all’annoso tema del celibato accompagnato, nel corso dell’assemblea, da valutazioni diverse. Un tema non nuovo – ricorda il testo – di cui “tutti ne apprezzano il valore carico di profezia e la testimonianza di conformazione a Cristo, ma che richiede di essere ulteriormente ripreso”.
Ampia infine la la riflessione sulla figura e sul ruolo del vescovo, chiamato a esercitare la “corresponsabilità”, intesa come il coinvolgimento di tutte le altre componenti interne alla diocesi e al clero. Una partecipazione al ministero episcopale che permetta di alleggerire il “sovraccarico di impegni amministrativi e giuridici” che rischiano di limitare la missione del vescovo che “non sempre trova sostegno umano e supporto spirituale” e per questo “non è rara l’esperienza sofferta di una certa solitudine”.
La terza parte punta sulla formazione. “Il Santo Popolo di Dio – si legge nel testo – non è solo oggetto, ma è prima di tutto soggetto corresponsabile della formazione” e “la prima formazione, di fatto, avviene in famiglia”. Ed è probabilmente sulla base di uno stile familiare che i padri sinodali invitano coloro che hanno un ministero nella Chiesa, a svolgerlo “con la sapienza dei semplici in un’alleanza educativa indispensabile alla comunità. È questo il primo segno di una formazione intesa in senso sinodale”. Una formazione che tenga conto in primis delle esigenze dei giovani, in particolare nella necessità di “approfondire il tema dell’educazione affettiva e sessuale, per accompagnarli nel loro cammino di crescita”, ma anche “per sostenere la maturazione affettiva di coloro che sono chiamati al celibato e alla castità consacrata”.
Nel documento si chiede anche di approfondire il dialogo con le scienze umane. Una collaborazione che permetta di sviluppare tutte quelle “questioni che risultano controverse anche all’interno della Chiesa”: dall’identità di genere e all’orientamento sessuale al fine vita; dalle situazioni matrimoniali difficili alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale”. Realtà sempre più presenti che pongono alla Chiesa “domande nuove”, per questo, aggiungono i padri sinodali, “è importante prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che rischiano di ferire le persone e il Corpo della Chiesa”. A tal proposito però, ricordano al tempo stesso che “molte indicazioni sono già offerte dal magistero e che attendono solo di essere tradotte in iniziative pastorali appropriate”.
Su questi presupposti giunge quindi dall’Assemblea del sinodo l’invito ad un rinnovato ed “autentico” ascolto nei confronti delle “persone che si sentono emarginate o escluse dalla Chiesa, a causa della loro situazione matrimoniale e dell’identità e sessualità”. Persone che “chiedono di essere ascoltate, accompagnate e rispettate, senza temere di sentirsi giudicate” e nei confronti delle quali ” i cristiani non possono mancare di rispetto per la dignità di nessuna persona.
Dai padri sinodali infine un affondo anche sull’attualità e la diffusione della Cultura digitale. Nella Relazione si incoraggia il popolo di Dio a “raggiungere la cultura attuale in tutti gli spazi in cui le persone cercano senso e amore, compresi i loro telefoni cellulari e tablet”. Un monito dai padri anche sui pericoli presenti nel web, perché internet “può anche causare danni e ferite, ad esempio attraverso bullismo, disinformazione, sfruttamento sessuale e dipendenza”. Per questo, secondo l’Assemblea è importante “riflettere su come la comunità cristiana possa sostenere le famiglie nel garantire che lo spazio online sia non solo sicuro, ma anche spiritualmente vivificante”.
[Amerigo Vecchiarelli – SIR]
«Piuttosto che dire che la Chiesa ha una missione, affermiamo che la Chiesa è missione. “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20,21)». Inizia così l’ottavo Capitolo della “Relazione di Sintesi” approvata e pubblicata nella serata di ieri, sabato 28 ottobre, a conclusione della prima Sessione della XVI Assemblea generale dei Sinodo dei Vescovi, dedicata al tema “Per una Chiesa sinodale:comunione, partecipazione e missione”.
Il documento rappresenta un approdo provvisorio del cammino sinodale, in vista della seconda Sessione dell’Assemblea, in programma per l’ottobre 2024. Tutto il testo è attraversato da continui richiami alla missione di annunciare il Vangelo come unica ragion d’essere della Chiesa e criterio guida per mettere mano a riforme e cambiamenti nelle istituzioni e nelle dinamiche ecclesiali. In particolare, il dinamismo missionario della Chiesa sinodale è riproposto nelle sue linee essenziali nel Capitolo ottavo, intitolato “la Chiesa è missione”, che apre la II Parte della Relazione, dall’eloquente titolo “Tutti discepoli, tutti missionari”.
Tutti i paragrafi del capitolo 8 sono stati approvati dai membri dell’Assemblea sinodale con consensi che nella maggior parte dei casi hanno quasi sfiorato l’unanimità.
La missione di Gesù
«La Chiesa» si legge nel primo paragrafo del Capitolo 8 «riceve da Cristo, l’Inviato del Padre, la propria missione. Sorretta e guidata dallo Spirito Santo, essa annuncia e testimonia il Vangelo a quanti non lo conoscono o non lo accolgono, con quell’opzione preferenziale per i poveri che è radicata nella missione di Gesù. In questo modo concorre all’avvento del Regno di Dio, di cui «costituisce il germe e l’inizio» (cfr. LG 5)».
La sorgente sacramentale della missione
I primi sacramenti della vita cristiana - ricorda il paragrafo b dell’ottavo Capitolo «conferiscono a tutti i discepoli di Gesù la responsabilità della missione della Chiesa. Laici e laiche, consacrate e consacrati, e ministri ordinati hanno pari dignità. Hanno ricevuto carismi e vocazioni diversi ed esercitano ruoli e funzioni differenti, tutti chiamati e nutriti dallo Spirito Santo per formare un solo corpo in Cristo. Tutti discepoli, tutti missionari, nella vitalità fraterna di comunità locali che sperimentano la dolce e confortante gioia di evangelizzare».
In tale cornice - rimarca la Relazione approvata dall’Assemblea - «L’esercizio della corresponsabilità è essenziale per la sinodalità ed è necessario a tutti i livelli della Chiesa. Ogni cristiano è una missione in questo mondo».
I doni dei laici e delle famiglie
«I genitori, i nonni e tutti coloro che vivono e condividono la loro fede in famiglia sono i primi missionari», si legge nel paragrafo della Relazione in cui si ricorda che «la famiglia, in quanto comunità di vita e di amore, è un luogo privilegiato di educazione alla fede e alla pratica cristiana, che necessita di un particolare accompagnamento all’interno delle comunità». E « se la missione è grazia che impegna tutta la Chiesa, i fedeli laici contribuiscono in modo vitale a realizzarla in tutti gli ambienti e nelle situazioni più ordinarie di ogni giorno. Sono loro soprattutto» riconosce la Relazione «a rendere presente la Chiesa e ad annunciare il Vangelo nella cultura dell’ambiente digitale, che ha un impatto così forte in tutto il mondo, nelle culture giovanili, nel mondo del lavoro, dell’economia e della politica, delle arti e della cultura, della ricerca scientifica, dell’educazione e della formazione, nella cura della casa comune e, in modo particolare, nella partecipazione alla vita pubblica. Là dove sono presenti, essi sono chiamati a testimoniare Gesù Cristo nella vita quotidiana e a condividere esplicitamente la fede con altri. In particolare i giovani, con i loro doni e le loro fragilità, mentre crescono nell’amicizia con Gesù, si fanno apostoli del Vangelo tra i loro coetanei» (paragrafo d).
La relazione sottolinea che laici e laiche «sono sempre più presenti e attivi anche nel servizio all’interno delle comunità cristiane. Molti di loro organizzano e animano comunità pastorali, prestano servizio come educatori alla fede, teologi e formatori, animatori spirituali e catechisti, e partecipano a vari organismi parrocchiali e diocesani. In molte regioni la vita delle comunità cristiane e la missione della Chiesa sono imperniate sulla figura dei catechisti» (paragrafo e). La Relazione chiede che i carismi dei laici, «doni dello Spirito Santo alla Chiesa», siano «fatti emergere, riconosciuti e valorizzati a pieno titolo».
In alcune situazioni «può capitare che i laici siano chiamati a supplire alla carenza di sacerdoti, con il rischio che il carattere propriamente laicale del loro apostolato risulti sminuito». Mentre «In altri contesti, può accadere che i presbiteri facciano tutto e i carismi e i ministeri dei laici vengano ignorati o sottoutilizzati».
Nel testo approvato si fa esplicito riferimento al «pericolo, espresso da molti all'Assemblea, di “clericalizzare” i laici, creando una sorta di élite laicale che perpetua le disuguaglianze e le divisioni nel Popolo di Dio» (paragrafo f).
La missione “ad Gentes” come scambio di doni
La pratica della missione “ad gentes”, compiuta da missionari e missionarie che lasciano la propria terra d’origine per compiere la loro opera apostolica in altre terre, viene riproposta nella Relazione di sintesi sinodale come «un arricchimento reciproco delle Chiese, perché non coinvolge solo i missionari, ma l’intera comunità, che viene stimolata alla preghiera, alla condivisione dei beni e alla testimonianza». Tale offerta - si legge nel testo - non deve essere abbandonata o archiviata come una prassi del passato neanche dalle «Chiese povere di clero», mentre «quelle in cui c’è maggiore fioritura di vocazioni al ministero ordinato possono aprirsi alla cooperazione pastorale, in una logica genuinamente evangelica. Tutti i missionari – laici e laiche, consacrate e consacrati, diaconi e presbiteri, in particolare i membri di istituti missionari e i missionari fidei donum» rimarca il testo approvato dall’Assemblea sinodale « in forza della loro vocazione propria, sono una risorsa importante per creare legami di conoscenza e scambio di doni» (paragrafo g).
Nodi da sciogliere, proposte da sperimentare
Tra le “questioni da affrontare” per facilitare e non frenare il dinamismo missionario della Chiesa, la Relazione segnala anche quelle connesse proprio a nuovi compiti e ruoli assunti da laici e laiche nelle dinamiche ecclesiali e pastorali. Il Concilio Vaticano II e il magistero ecclesiale successivo - ricorda la Relazione - hanno presentato la «missione distintiva dei laici in termini di santificazione delle realtà temporali o secolari». Adesso, «nella concretezza della pratica pastorale, a livello parrocchiale, diocesano e, recentemente, anche universale, sono sempre più spesso affidati a laici incarichi e ministeri all'interno della Chiesa. La riflessione teologica e le disposizioni canoniche» sottolinea al riguardo la Relazione «devono essere conciliate con questi importanti sviluppi e impegnarsi a evitare dualismi che potrebbero compromettere la percezione dell’unità della missione della Chiesa» (paragrafo j).
Nella promozione della corresponsabilità per la missione di tutti i battezzati, vanno riconosciute anche le potenzialità apostoliche delle persone con disabilità (paragrafo k) . Mentre le strutture pastorali «vanno riorganizzate in modo da aiutare le comunità a far emergere, riconoscere e animare i carismi e i ministeri» dei laici. Nel contempo, per evitare i rischi dell’auto-referenzialità, le comunità ecclesiali, in tutte le loro istanze, sono chiamate a porsi «principalmente a servizio della missione che i fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle attività che si svolgono al loro interno e sulle loro necessità organizzative». (Paragrafo l).
Nuovi ministeri ecclesiali per i laici
Tra le proposte delineate nella parte conclusiva del Capitolo 8, la Relazione richiama «la necessità di una maggiore creatività nell'istituzione di ministeri in base alle esigenze delle Chiese locali, con un particolare coinvolgimento dei giovani». In particolare, si accenna alla possibilità di configurare per i laici «un vero e proprio ministero della Parola di Dio, che in contesti appropriati potrebbe includere anche la predicazione», e anche «un ministero da conferire a coppie sposate impegnate a sostenere la vita familiare e ad accompagnare le persone che si preparano al sacramento del matrimonio» (paragrafo n).
[GV – Fides]