Riduzione dalla parte terza del libro di Jonathan J. Bonk, capitolo settimo.
(Missions and Money – Affluence as a Western Missionary Problem)
4. LA SFIDA DELLA RICCHEZZA DEL MISSIONARIO OCCIDENTALE
C’è un sentire profondo in cui questa sezione conclusiva non possa mai essere finita, almeno nelle pagine di un libro. La maggior parte di ciò che è necessario dire rimane da scrivere nella carne e nel sangue della vita quotidiana. Alcuni lettori senza dubbio rimarranno delusi scoprendo che non ho esplicitato i dettagli precisi di quel pentimento che conduce alla conversione ed a ciò a cui la Scrittura ci conduce chiaramente. Una piccola riflessione comunque mostrerà che nessuno può scrivere un’agenda di discepolato per qualcun altro. Ogni discepolo è chiamato da un posto particolare, in un tempo particolare, ad una obbedienza particolare, da un personale Salvatore e Signore.
Alle prese con l’abbondanza.
Siamo arrivati alla parte più difficile del libro. Fin qui l’argomentazione ha seguito le linee seguenti: nel primo capitolo è stato esposto il fatto dell’abbondanza del Missionario occidentale. Nel secondo capitolo è stato esaminato l’ambiente culturale e sociale che ha reso possibile per il missionario occidentale di accettare pacificamente le proprie aspettative materiali e standard di vita in un mondo abitato da una maggioranza crescente di abitanti impoveriti. Il capitolo terzo ha messo a fuoco la spiegazione razionale del missionario occidentale per mantenere e magari aumentare la disparità tra lui ed i poveri. Questi tre capitoli assieme sono serviti come introduzione alla comprensione dle contesto in cui è stata concepita e realizzata la teoria e la pratica della missione cristiana occidentale. Dal quarto al sesto capitolo, l’attenzione è stata posta sulle conseguenze ignorate ed a volte negate, dell’agiatezza missionaria in un mondo sempre più polarizzato tra pochi ricchi e molto impoveriti. La qualità delle sue relazioni con i poveri, la chiarezza della comunicazione della Buona Notizia ai poveri, e la credibilità della sua teologia, è stato detto, è stata e continua ad essere profondamente e negativamente influenzata dalla crescente agiatezza del missionario cristiano dall’occidente.
Tentativo di guadagnare una prospettiva
Che cosa si può fare? È sempre stato più facile per un povero che per un ricco di entrare nel regno dei cieli. Ma tra i primi discepoli di Cristo non c’era qualcuno di ricco? Levi doveva essere un uomo con dei mezzi considerevoli, e si pentì (Lc. 5,27-30).
In un tempo più innocente era possibile che i missionari credessero che la loro vita confortevole fosse la conclusione inevitabile di una vita nazionale organizzata in modo cristiano e che, con tempo e conversione sufficienti, i popoli più poveri avrebbero goduto di una buona vita. Non soltanto la cristianità e la civilizzazione erano inseparabili, ma nella mentalità dei migliori cristiani del 19.mo secolo, nessuno poteva diventare cristiano nel vero senso della parola, senza essere civilizzato. Non crediamo più che questo possa esser vero.
Un altro punto: non crediamo più che sia necessario essere ricchi per fare il lavoro del Signore. L’esperienza di nazioni benestanti è breve. Quasi tutti, attraverso la storia, sono stati poveri. L’eccezione, quasi insignificante in tutto lo spazio dell’esistenza umana, è stata quella delle ultime generazioni nel relativo piccolo angolo di mondo popolato dagli europei.
Alla conclusione del 19.o secolo il prodotto nazionale pro capite del mondo sviluppato e non sviluppato era separato da un fattore inferiore a due; nel 1913 il rapporto è diventato di tre a uno, allargandosi a sette a uno nel 1970. Ora è sempre più chiaro che il compito missionario è intrapreso dalle chiese più povere.
In conclusione, quelli tra di noi, impegnati a portare avanti con fedeltà ed integrità la missione affidata alla Chiesa, possono e devono aiutarsi reciprocamente, incoraggiandosi all’amore e ad opere buone (Eb. 10,24-25).
Ormeggio teologico
Tra i motivi teologici che provengono dalle pagine del Nuovo Testamento, tre hanno una grande importanza per la fede e la pratica cristiana: l’Incarnazione, la Croce e la debolezza come potere.
L’Incarnazione
L’incarnazione è il vero cuore della fede cristiana. “All’inizio era il Verbo.” scrive Giovanni; e “il Verbo è diventato carne e visse per un tempo in mezzo a noi” (Gv,. 1,1;14)
I missionari occidentali sono stati tra i più impegnati nel proclamare questa buona notizia. Crescendo in ricchezza personale e sicurezza temporale hanno reso sempre più difficile guardare l’Incarnazione come modella personale di azione. È dall’Incarnazione che i comunicatori missionari imparano che “il mezzo è il messaggio”. La Parola Viva deve sempre farsi carne vulnerabile.
Il fatto è che il modus operandi messianico non è accidentale, ma deliberato. La tentazione di provare la sua figliolanza e compiere la sua missione con dimostrazioni e in relazione al potere era deliberatamente rifiutata (Mt. 4,1-11; Lc. 4,1-13). La sua missione voleva – perché doveva – svolgersi in povertà. debolezza e oscurità. L’ispirazione, dietro il suggerimento di Pietro, che la missione di Cristo sarebbe dovuta essere portata avanti con mezzi più attraenti, è stata identificata a Satana stesso (Mc. 8,31-33).
Gli istituti missionari occidentali – se desiderano essere veramente cristiani – devono ritornare a questa “follia” del loro Signore. Non importa quanto illuminata sia la tecnica, quanto importante il preventivo, quanto sofisticata la tecnologia o quanto numeroso sia il personale ben qualificato; nient’altro che la strategia di Dio rivelata nell’Incarnazione prevarrà sia contro “i poteri di questo mondo oscuro”, che contro “i reami delle forze spirituali di peccato”. Comunque strane e inappropriate possano sembrare all’uomo naturale le nostre armi spirituali, sono le sole che siano efficaci nella battaglia spirituale.
La Croce
La Croce non è soltanto un simbolo di stupore, ma una prescrizione per l’unica via di vita promessa a chi vuol seguire Cristo. La morte del nostro Salvatore in questo diabolico strumento di sofferenza era l’atto centrale nel dramma che ha portato la salvezza all’umanità. Questa è realmente la buona notizia. Gesù deliberatamente ha scelto di fare del discepolato della croce una parte integrale di ciò che offre a chi vuol essere discepolo. “Ognuno, “ disse, “ che non prende la sua croce e mi segue non è degno di me” (Mt. 10,38).
Queste parole non costituiscono una seria sfida al modo occidentale di fare missione? La Croce non solo dà la vita, ma la prende anche. Per i discepoli di Cristo, la Croce non è soltanto il potere di Dio fino alla salvezza; è anche garanzia di incomprensione, persecuzione e sofferenza. (1Cor. 1,17-18; Gal. 6,12-14). Non c’è niente di attraente, facile, sicuro, confortevole, conveniente, strategicamente efficiente, economico o realizzante nel prendere la Croce.
La Chiesa occidentale è chiamata ad abbracciare la Croce. Le strutture missionarie occidentali, le politiche, le strategie e il personale ha bisogno di riflettere la Via Crucis. Per la missione o il missionario che è cristiano nel senso più profondo del termine, il rinnegamento di sé non è soltanto una necessità periodica, ma una strategia radicale che marca tutti coloro che sono in cammino con Cristo. Poiché noi non combattiamo contro la carne ed il sangue, le armi della nostra guerra non sono carnali, ma spirituali. (2 Cor. 10,3-4).
La Debolezza
Il terzo elemento paradossale che caratterizza la missione realizzata nel modo del Nuovo Testamento, è la debolezza. Noi occidentali siamo un popolo privilegiato; i privilegi richiedono protezione; la protezione esige potere, nel caso della missione, il potere del denaro, organizzazione eccellente. missionari ben formati, ed ottime strategie.
Il Potere di Dio per la salvezza è iniziato nell’impotenza di un povero bambino, alla presenza di una sorta di contadini, pastori e animali domestici. La battaglia mortale contro le terribili forze del male nell’universo (Ef. 6,12) provocò tutto il potere violento di cui Satana era capace contro la debolezza patetica di un neonato.
La conversione sulla strada di Damasco dell’apostolo Paolo – dal potere alla debolezza - lo ha reso il più efficace dei primi missionari.
Qual è il significato di questi tre temi per la missione occidentale oggi? Ogni strategia missionaria degna di essere chiamata cristiana deve essere coerente con l’insegnamento biblico sull’Incarnazione, la Croce e la debolezza. Per le missioni cristiane occidentali alle prese con il loro potere economico a livello teologico, significa assoggettare tutto il personale, la famiglia, i piani ecclesiali e strategici, le politiche e le pratiche o considerazioni a queste tre considerazioni:
(1) Riflette l’Incarnazione o è essenzialmente auto-referente?
(2) La Croce è sia il messaggio che il metodo?
(3) La gente è più impressionata dalla stabilità e forza o dalla debolezza?
La risposta a ciascuna di queste domande determinerà la “cristianità” sia della missione che dei missionari delle chiese occidentali.
Cercando la direzione
Avendo sottolineato quegli elementi – con limiti di tempo ed impliciti appelli alla conversione – che da sempre distinguono la missione cristiana dalla semplice missione, rimane da esplorare la natura di quel frutto tangibile che la vera conversione produce. (Mt. 3,8). La conversione è sempre provata dai fatti (At. 26,20). Conversione è un termine di speranza, perché – diversamente da rivoluzione - non suggerisce che cambiamento e trasformazione succedano simultaneamente. Un cambiamento di direzione non è sinonimo di arrivo a destinazione. Cambiare direzione è semplicemente un inizio essenziale.
Ostacoli alla Conversione
A livello istituzionale, l’inerzia stabilizzante che è costituita tra politiche può essere difficilmente evitata. I non conformisti in ogni organizzazione sono giustamente percepiti come pericolosi centrifughi. È eccessivamente difficile per una istituzione impegnarsi in una sorta di auto-criticismo che conduce alla conversione. Neppure può un’istituzione convertirsi al posto dei suoi membri. Il meccanismo di auto-giustificazione che è un attributo di ogni istituzione sarà una delle sfide più difficili a cui una persona o una famiglia deve far fronte volendo affrontare la sfida della ricchezza missionaria occidentale.
Poco c’è qui da dire riguardante gli ostacoli familiari e personali ad una vita missionaria più semplice. Come è stato detto nei capitoli precedenti, umanamente parlando c’è molto da perdere e poco da guadagnare nel perseguire una politica deliberata di austerità economica.
Da dove iniziare
I suggerimenti seguenti sono solo questo: suggerimenti. Il discepolo non è chiamato ad apparire buono, ma ad essere buono. L’obbedienza è un problema di cuore, ed i suoi parametri esterni non possono essere dettati da leggi o istituzionalizzati.
L’individuo. Mentre la chiamata a seguire Gesù nel rinnegare se stessi è un aspetto profondamente personale, il fatto che il rinnegare se stesi non possa mai essere vissuto in modo isolato dagli altri significa che può facilmente degenerare in un’apparenza di auto-giustificazione, o in un’insistenza che gli altri dovrebbero conformarsi agli stessi standard esterni. L’individuo che sente l’urgenza dello Spirito ad una conversione personal deve diligentemente stare in guardia dal peccato dell’orgoglio, e deve essere pronto all’incomprensione dei suoi pari.
Uno stile di vita personale più semplice è necessario. Il missionario non è, dopo tutto, un santo che vive nel Secolo, ma un soldato impegnato in un conflitto cosmico, nel quale non è possibile nessuna tregua – solo sconfitta o vittoria. Il discepolo non è il proprietario, ma il servo di ciò che possiede materialmente e dei talenti personali additati a lui o a lei. Questi talenti non devono essere sciupati seppellendoli nella terra dell’auto-indulgenza.
L’Istituto missionario. I Consigli direttivi e gli istituti non possono insistere che i membri missionari abbassino il loro standard di vita. Ma possono tentare di provvedere un ambiente in cui chi sceglie di fare ciò possa trovare comprensione, accoglienza ed incoraggiamento. L’innocenza con cui gli istituti condividono i loro bisogni per avere più denaro è ben conosciuta. Non si potrebbe d’altro lato aver degli incontri in cui i poveri stessi potessero condividere le loro percezioni dell’economia missionaria occidentale? Può darsi che sia necessario dare inizio a società di nuovo tipo. I Protestanti possono imparare molto dagli ordini missionari Cattolici, che – come il nostro Salvatore - hanno scelto povertà o parità più che la ricchezza come base per il servizio missionario.
Istituzioni formative e Chiese di invio. È possibile che Istituti che si sono deliberatamente spostate in aeree confortevoli per evitare l’inconveniente, la frustrazione e la disperazione di essere circondati dai poveri delle nostre più profonde città, insistano che i loro missionari seguano uno stile biblico più radicale? Penso di no. La Chiesa di Laodicea non può ispirare ai suoi membri un grande sacrificio per la salvezza di Cristo. Soltanto una comunità di credenti, che hanno scelto di rifiutare lo spirito materialista del tempo, può chiedere ai suoi membri di perseguire un genuino sacrificio di sé all’estero. Ma un inizio può essere fatto. Un certo numero di seminari e collegi offrono corsi per trattare la difficoltà di essere cristiani ricchi in un tempo di fame. Alcuni stanno diventando più criticamente coscienti del pericolo che è santificato e legittimato con il termine di “consumismo” nella società occidentale. Non c’è bisogno di dire che insegnanti e responsabili dovrebbero essere modelli di semplicità nello stile di cita e moderazione nelle ambizioni personali se vogliono aiutare i solo studenti nel fare lo stesso.
Conclusione
In ultima analisi, il servizio cristiano non è qualcosa che facciamo, ma qualcosa che diventiamo. Non una tecnica, ma un modo di vivere. Come missionari evangelici possiamo scegliere di rispondere alla chiamata di mammona in tre modi:
(1) possiamo buttarci dentro alla sua chiamata di morte;
(2) possiamo limitarci con leggi e regole che ci rendono impossibile di rispondere come vorremmo;
(3) oppure possiamo ritirarci dall’invito delle Sirene di morte ascoltando invece la musica dello Spirito ed imparando a cantare il suo canto.
da Jonathan J. Bonk