Il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale (CICS) della Pontificia Università Gregoriana di Roma offre - ed è la prima volta - un seminario virtuale su giornalismo «on line» per agenti pastorali della comunicazione, associazioni culturali e religiose e, in generale, a quanti, persone e istituzioni sono interessati a conoscere i concetti basici del giornalismo in rete. Il corso è in spagnolo: per conoscerne i dettagli cliccare su ES (lingua spagnola).

( Gli Atti del XVII Capitolo si trovano qui: Area Istituzionale -> XVII Capitolo Generale -> Atti del XVII Capitolo Generale Speciale )

All'evento capitolare, celebrato a Roma, ho preso parte assieme a una settantina di confratelli, sacerdoti e fratelli, di diverse nazionalità e continenti, per la maggior parte appartenenti a una fascia di età relativamente giovane.

Il titolo, o tema, del Capitolo che ci era stato affidato, "Dal Piano di Comboni al piano dei comboniani: riqualificare la missione, la formazione e il governo, riqualificando noi stessi", voleva riportarci alle radici, offrirci una direzione di fondo e indirizzarci all'obiettivo finale.

"Capitolo", un termine che da secoli appartiene alla storia dei molti istituti religiosi che costellano il panorama ecclesiale. Esso rappresenta l'organo supremo di verifica, consultazione, dibattito, discernimento e decisioni riguardanti la vita e le scelte di un istituto. E una struttura di natura democratica, per servirci di un termine moderno, in cui tutti i capitolari, provinciali e delegati – che rappresentano la base che li ha eletti – prendono parte con uguale diritto di parola, d'intervento e di voto. I1 suo svolgimento – noi preferiamo dire "celebrazione" – e un esercizio singolare di corresponsabilità, che riafferma in modo forte la struttura fraterna ed egualitaria di comunità religiose che si riconoscono in una medesima identità e missione. Insomma: una tavola rotonda, non piramidale, caratterizzata da una metodologia di ascolto e di riflessione comune, a partire dalla sua stessa preparazione.

Nel nostro caso, il capitolo e stato il frutto di un lungo e laborioso processo che aveva coinvolto tutti i comboniani, invitati a offrire il proprio contributo sotto forma di suggerimenti e proposte. I1 tutto era stato elaborato in una sintesi, che e servita da instrumentum laboris (documento di lavoro) dell'assise. A questa stessa base di missionari ora ritornano i frutti del lavoro capitolare: le conclusioni raggiunte, le priorità ritenute e il piano d'azione predisposto. Con questi, tutti noi, nelle varie parti del mondo in cui viviamo e operiamo, siamo chiamati a confrontarci, lasciandoci orientare, cambiare e trasformare, per quanto riguarda sia la vita dentro l'istituto, sia le varie forme di azione e di presenza che ci sono proposte per la nostra missione oggi.

Va da se che una parte dei lavori di valutazione svolti dal capitolo si rivolga a questioni cosiddette "interne" (per esempio: stile di governo, formazione, vita spirituale e stato di salute dell'istituto), mentre un'altra parte guardi più all'esterno, alle sfide della missione e del mondo, ai campi di impegno e loro modalità. Sempre, però, nello sforzo di rileggere il presente alla luce della nostra identità e ispirazione di fondo, con uno sguardo rivolto al passato, preparando e accogliendo i1 futuro.

E dato che il documento che solitamente segue la conclusione del capitolo non e ancora pubblicato (richiede sempre una certa mole di lavoro redazionale finale, come pure la traduzione nelle lingue ufficiali dell'istituto), questa mia lettura dell'evento-capitolo non pretende di essere ne unica, ne esaustiva o ufficiale. È piuttosto una lettura a mo' di testimonianza, scandita da alcune parole chiave.

La fatica del nuovo – Cosa ha detto di nuovo il capitolo 2009? La prima novità non riguarda tanto la missione o ciò che si e detto e deciso su di essa, ma la composizione dei partecipanti al capitolo stesso, che, per la prima volta, ha conosciuto numeri ragguardevoli di missionari comboniani provenienti sia dall'Africa che dall' America Latina, oltre al solito gruppo di origine europea. Per un istituto nato e cresciuto per buona parte della sua storia nel "Lombardo - Veneto", questo scivolamento dell'asse dal nord al sud del mondo non e cosa di poco conto ne facile ad attuarsi.

Il pluralismo di lingue, storie, linguaggi culturali ed etnici – cosi spesso decantato come il tessuto caratteristico dell'azione missionaria – lo abbiamo ormai dentro casa. Quello che abbiamo annunciato ad altri come "ricchezza dell'interculturalità" – una sfida da accogliere e gestire, ma anche segno di una umanità nuova – oggi lo dobbiamo annunciare e tradurre iniziando da noi stessi. E ci siamo accorti, ancora una volta, di quanto non sia facile. A cominciare dalla lingua o, meglio, dalle lingue usate nella discussione. Non e solo questione di competenza linguistica, di grammatica o di semantica. E nemmeno di traduzioni più o meno felici. Perfino termini come "legge" o "regola" assumono sfumature e differenze di significato a volte profonde, a seconda delle culture di appartenenza.

Nel corso dei lavori, ci siamo imbattuti in concetti, preconcetti e pre-comprensioni non facilmente traducibili. Abbiamo avuto a che fare con sensibilità e priorità comunicate con parole ed espressioni che nessun dizionario avrebbe saputo rendere. Le conseguenze di tutto ciò sono facili da immaginare, quando si e alla ricerca di un linguaggio comune.

La stessa cosa e avvenuta quando abbiamo voluto tradurre alcuni "valori" (1'ospitalità, per esempio, che assume connotazioni e accenti molto diversi a seconda delle culture) o cercato un accordo su terminologie missionarie ricorrenti ("missione difficile", "missione povera", "missione inserita", "fare causa comune con i poveri") che non hanno suscitato in tutti lo stesso entusiasmo. Perfino i vari comunicati, periodicamente fatti circolare all'esterno del capitolo per informare i confratelli di quanto stava accadendo, ne hanno risentito.

Non è solo un problema di lingua, ma anche di metodologie impiegate nelle discussioni in assemblea plenaria o nei lavori di gruppo. Il modo occidentale di fare analisi e arrivare a delle conclusioni (o di programmare e gestire tempi e tecniche di tali esercizi), non solo non e l'unico metodo esistente al mondo, ma si e anche rivelato poco capace di far emergere e valorizzare in pieno il pensiero e 1'esperienza di coloro che, tra noi, provengono da altri mondi, da altre strutture di pensiero e da altri metodi di partecipazione. Anche qui, la fatica per arrivare a conclusioni condivise da tutti si è fatta sentire, puntualmente accompagnata dal-la chiara sensazione di quanto sia necessario e urgente studiare modalità nuove e più capaci di dare spazio ed espressione alla realtà interculturale in cui viviamo.

Queste constatazioni e prese di coscienza dicono qualcosa non solo a noi e di noi (siamo, in fondo, soltanto una piccola realtà), ma possono anche interrogare la chiesa stessa, che e sempre più sfidata da realtà e linguaggi pluralisti e interculturali, ma che sembra parlare e usare ancora un linguaggio troppo univoco e uniculturale. La cattolicità della chiesa si gioca anche qui.

In viaggio dal Nord al Sud – Durante i lavori e emersa più volte una certa frustrazione nei capitolari provenienti dal sud del mondo. Alcuni di loro avvertono, ad esempio, che non c'e una pari opportunità di specializzazioni per tutti i comboniani indistintamente. 0 che certi ruoli "strategici" sono troppo spesso ancora nelle mani della vecchia guardia dell'istituto (vecchia non solo per età, ma anche per provenienza culturale). Certe affermazioni e richieste in questo senso hanno causato non poca amarezza in chi si è sentito messo ingiustamente in discussione, o in chi ha ritenuto che non fosse riconosciuta a sufficienza una policy che è già in atto da tempo nell'istituto: la scelta di un padre generale, di nazionalità messicana (padre Enrique Sànchez Gonzàlez), e del suo vicario, di nazionalità brasiliana (padre Odelir Magri), ne sono indubbiamente un segnale forte e positivo.

Questa forma di disagio, a torto o a ragione, mette in risalto 1'avvenuto passaggio di consegne, che, benché inevitabile, non e stato del tutto privo di fatiche e sofferenze, avvertite da coloro che si sono sentiti chiamati in causa. Un disagio che, nuovamente, supera la nostra realtà comboniana e si riverbera negli ampi orizzonti di una chiesa chiamata a essere sempre più realmente universale, come ormai lo e da un punto di vista geografico e sociale.

Non deve stupire, perciò, che nel capitolo si sia parlato di "verità e riconciliazione" anche all'interno della storia e della vita del nostro istituto e non solo nella chiesa o nella società, come il recente Sinodo africano ha ricordato. Abbiamo avuto il coraggio di riconoscere che anche noi comboniani non siamo stati indenni da pregiudizi, incomprensioni e ferite, dovuti al non facile incontro tra diverse culture, nazionalità e storie. Solo ciò che viene alla luce può essere perdonato e guarito. E allora, come non ricordarci della verità contenuta nella sentenza, dura e salutare: "medico, cura te stesso".

Continentalità – Non è esattamente una novità per il mondo comboniano. Da tempo, ormai, siamo presenti in quattro continenti. Ogni volta che ci ritroviamo insieme da vane parti del mondo, prendiamo coscienza delle molte cose che ci sono comuni e, allo stesso tempo, di come ci siano cammini e sottolineature che riflettono ed esprimono culture e storie, ecclesiali e sociali, dei popoli e paesi in cui viviamo, di cui siamo parte e da cui riceviamo stimoli e contenuti. Missione, spiritualità, formazione, teologia, percorsi di catecumenato, modelli e cammini di chiesa... sono presenti dappertutto, ma non si esprimono e non si traducono negli stessi modi in Africa, in America Latina, in Asia e in Europa. Non e una novità. E forse per questo non è emersa in modo eclatante durante 1'ultimo capitolo. 0, forse, è emersa poco, perché ancora troppo nuova per riuscire a comprenderla, apprezzarla e gestirla al meglio. Un cantiere tuttora aperto, insomma.

Anche qui, ci vediamo come un piccolo laboratorio ecclesiale, chiamato a tenere viva la tensione tra l'unita e la diversità che percorre la chiesa intera. Siamo invitati a non permettere che la preoccupazione per l'unità vada a scapito delle ricchezze che la diversità dei modi di vivere e di accogliere il Vangelo del Regno porta con se. Coscienti, allo stesso tempo, che identiche sono la chiamata e l'identità nelle quali ci ritroviamo figli dello stesso Padre, fratelli e annunciatori dell'unico Vangelo, sulle orme di san Daniele Comboni.

Una iniziativa della Pontificia Università Gregoriana