In Pace Christi

Soldà Antonio

Soldà Antonio
Data di nascita : 08/11/1935
Luogo di nascita : Asola/MN/Italia
Voti temporanei : 09/09/1956
Voti perpetui : 09/09/1962
Data ordinazione : 30/03/1963
Data decesso : 13/07/2010
Luogo decesso : Verona/I

P. Antonio Soldà era nato ad Asola, provincia di Mantova, l’8 novembre 1935. “Con P. Antonio sono cugino due volte – scrive Don Tarcisio Soldà – i nostri papà sono fratelli e le nostre mamme sono sorelle. Abbiamo un altro cugino due volte, P. Ottorino Soldà, della Compagnia di Gesù. P. Antonio l’ho conosciuto sempre come un uomo dalla fede semplice e forte. Così era la fede di sua madre, Anna, e di suo padre, Gelindo. La loro casa, piccola e dispersa in mezzo alla campagna, ha saputo aprirsi al mondo. Ricordo che quando da ragazzo incontravo la zia Anna, mi leggeva e mi mostrava le foto di una rivista missionaria che portava con sé (probabilmente ‘Nigrizia’). La fede e la preghiera in quella famiglia erano legate e intessute con i ritmi e le vicende della vita quotidiana”.

Ammesso dai Missionari Comboniani da ragazzo, Antonio frequentò le scuole medie e il ginnasio nella scuola apostolica di Crema, provincia di Cremona. Entrato nel noviziato di Gozzano nel 1954, emise i primi voti il 9 settembre 1956. Proseguì gli studi dello scolasticato a Verona e Venegono, assistendo allo stesso tempo i ragazzi delle scuole apostoliche. Fu ordinato sacerdote il 30 marzo 1963. Dopo l’ordinazione fu mandato a Sunningdale, Inghilterra, dove rimase fino al 1967 come insegnante.

In Uganda
Fu assegnato alla provincia dell’Uganda nel 1967, nella missione di Aliwang, diocesi di Lira, e al seminario di Lacor, a Gulu, come insegnante per quattro anni. Per cinque anni fu parroco nella missione di Opit, sempre della diocesi di Gulu. Fu poi addetto alla formazione dell’Istituto missionario e africano degli Apostoli di Gesù a Moroto, in Karamoja (1978-1982).

A proposito di questo periodo, riportiamo alcuni brani tratti da un’intervista fattagli da P. Cirillo Tescaroli nel 1980. Alla domanda su quali fossero le sue esperienze missionarie più rilevanti, P. Antonio rispondeva: “Sono stato per cinque anni parroco nella missione di Opit, diocesi di Gulu. È una parrocchia piuttosto vasta, con molti centri di preghiera abbastanza lontani gli uni dagli altri e dove non ci sono né scuole né cappelle. Ho cercato nella mia azione pastorale di far crescere dei gruppi di comunità cristiane locali visitando le famiglie, dando la possibilità alla gente di ricevere i sacramenti, ma mi sono accorto che queste visite, generalmente mensili, non bastavano. Per la crescita di comunità cristiane ho cercato dei leader nella zona e dei capi famiglia impegnati. Dove non c’era una casa del Signore, li ho incoraggiati a costruirne una che, durante la settimana, veniva utilizzata come scuoletta del villaggio. Ho cercato anche di far capire loro che prendersi cura degli ammalati e anziani era uno dei principali doveri di una comunità cristiana”.

E sulla formazione del clero locale, diceva “Per me questo è un compito fondamentale del missionario. Perché la nostra presenza qui diventa sempre più difficile e sempre più precaria ed è quindi essenziale dedicare le nostre migliori energie alla formazione di sacerdoti locali. Non nascondo che è anche una delle cose più impegnative che possiamo fare. È più facile fare opere esteriori o lavorare in una parrocchia, mentre lavorare in un seminario è un’impresa piuttosto ingrata, ma dobbiamo renderci conto che, se falliamo in questo, abbiamo fallito nel nostro impegno primario. Sono stato per quattro anni nel seminario di Lacor come insegnante. Non avevo responsabilità dirette di formazione, però nei colloqui privati coi ragazzi, nel contatto quotidiano, ho cercato di far capire loro chi è il sacerdote e quali sono gli ideali e la dedizione che deve avere nei riguardi del suo popolo”.

In Kenya
Quando l’Istituto degli Apostoli di Gesù si trasferì a Langata, Nairobi, in Kenya, P. Antonio lo seguì e lavorò con loro per altri tre anni (1983-1986). Dopo quasi un anno di specializzazione a Londra, venne mandato nel postulato comboniano di Ongata Rongai, sempre in Kenya. Qui passò tre anni come formatore (1987-1990) e poi tredici anni come direttore spirituale e professore nel nuovo Istituto dei Contemplativi Evangelizzatori (1990-2003).

Seguiamo ancora la testimonianza di Don Tarcisio Soldà: “Così ho sempre visto P. Antonio: un uomo con una fede semplice, forte ed entusiasta, un dono prezioso ricevuto per passarlo ad altri. Così l’ho incontrato anche in Kenya, a Langata, nel seminario degli Apostoli di Gesù. Mi sembrava infaticabile, molto esigente con se stesso, ma misericordioso con gli altri”.

Riportiamo alcune parti di un articolo comparso venerdì 16 luglio 2010, sul settimanale La cittadella, dal titolo Una missione che continua in cielo: “P. Antonio dal Kenya scriveva lunghe lettere agli amici di Asola, nelle quali raccontava, con animo di pastore, delle situazioni di sofferenza di quelle popolazioni: parlava di siccità, magri raccolti, carestia, turbolenze sociali. Parlava della comunità dei Contemplativi, famiglia religiosa fondata dal comboniano P. Giovanni Marengoni, composta soltanto di africani. Con immensa gioia riferiva delle prime ordinazioni sacerdotali, delle vocazioni che crescevano, mentre la comunità comboniana diminuiva. ‘L’Africa deve essere salvata dagli africani’, era solito ripetere. E poi si rivolgeva a quanti avevano a cuore la missione per metterli al corrente del fenomeno dei ragazzi di strada in Kenya. Chiedeva aiuti per Fr. Francis dei Lasalliani di Rongai che aveva iniziato a prendersi cura dei bambini abbandonati di Lanet, una zona periferica a est di Nakuru. Minori che venivano da esperienze d’inimmaginabile povertà. Nella maggior parte dei casi senza una famiglia. Quasi sempre i loro genitori erano morti di Aids. P. Antonio nei soggiorni asolani organizzava incontri di preghiera alla ‘Casellina’, dove abitava la mamma Annetta, una santa donna che aveva cresciuto nella fede otto figli, di cui due donati al Signore, P. Antonio e Sr. Teresina pure comboniana”.

In Italia per cure
Nei primi mesi del 2003 dovette rientrare in Italia per cure, prima a Milano e poi, verso la fine del 2004, a Verona al Centro Ammalati, a causa del Parkinson. Ancora dal giornale La Cittadella: “P. Antonio, piegato dalla malattia, ma solo nel fisico, continuava con lo stesso zelo il suo apostolato missionario, offrendo al Signore le sofferenze perché non facesse mancare il suo aiuto provvidente alle popolazioni del Kenya e dell’Uganda e vocazioni generose alla Famiglia dei Contemplativi del Sacro Cuore di Gesù”.

A proposito di questo periodo, Don Tarcisio Soldà dice: “In questi anni della sua malattia, quando andavo a trovarlo (sempre troppo poco!), ricordava con soddisfazione tante persone e fatti accaduti ai parenti. Capivo che era un uomo di preghiera, di molta preghiera. Con la preghiera chiedeva al Signore di fare quello che lui non poteva più fare, in Africa e qui.

Durante il funerale in Casa Madre, dall’altare guardavo i molti missionari ammalati che hanno concelebrato. Fisicamente debilitati da varie malattie, non erano un esercito sconfitto, ma soldati e ufficiali vincitori che hanno dato tutto per il Regno di Dio; testimoni fedeli del Vangelo annunciato con passione, senza risparmio di energie, per far crescere la Chiesa tra le genti”.

P. Antonio è morto a Verona il mattino del 13 luglio 2010, circondato dall’affetto delle sorelle, ed è stato sepolto ad Asola, suo paese natale.

Ricordi di P. Roberto Zordan
27 novembre 2008 - Questa sera, dopo la celebrazione dell’Eucaristia, mentre portavo alcuni ammalati in refettorio per la cena, ho visto che P. Antonio era immobile vicino alla sua sedia a rotelle, fuori dal refettorio. A causa della sua malattia in questi giorni è molto lento nei movimenti e molto curvo. Così sono andato verso di lui e gli ho preso le mani per accompagnarlo al suo posto in refettorio. L’ho salutato e gli ho chiesto: “Antonio, come stai?”. Mi ha risposto: “Sto con il Signore”. E sono stato colto da stupore nell’udire questa sua risposta inaspettata.

10 gennaio 2009 - P. Antonio è sempre più affaticato, nello stesso tempo mi fermo per ascoltarlo. Mi parla di casa sua, della sua famiglia, della città di Mantova con il castello dei Gonzaga che non ho mai visto. I ricordi lo mantengono vivace. Qualche volta si parla anche dell’Africa, dei luoghi in cui ha lavorato come missionario.

25 marzo 2010 - P. Antonio è sempre più stanco. Fa sempre più fatica a parlare. È cosciente della difficoltà dei suoi movimenti. Mi dice: “Questo corpo non mi obbedisce”. Quando vengono i suoi a trovarlo è contento. Spesso andiamo alla grotta della Madonna a pregare e, con fatica, dice le preghiere e canta con noi.

Testimonianza di P. Aleardo De Berti
La mia testimonianza è incentrata sulla preghiera sacerdotale di Gesù, ritenendo che anche P. Antonio, presentandosi al Padre, poteva giustamente far sue le parole di Gesù: “Padre, è giunta l’ora. Ti ho glorificato sulla terra portando a termine l’opera che mi desti da compiere…”.

Dei quarantasette anni di sacerdozio missionario, la maggior parte sono stati spesi nell’educazione e formazione di giovani africani alla vita religiosa e missionaria. Come Gesù che spese i suoi anni di vita apostolica nel formare i suoi apostoli.

Come uomo, ho avuto sempre l’impressione che avesse un carattere buono, modesto e veramente nobile, perché guidato da profonde convinzioni e valori spirituali ben radicati.

Penso davvero che P. Antonio abbia fatto onore al Sacro Cuore, meritando il titolo di “Missionario Comboniano del Cuore di Gesù”, e a san Daniele Comboni, implementando il programma: “Salvare l’Africa con l’Africa”.
Da Mccj Bulletin n. 247 suppl. In Memoriam, gennaio 2011, pp. 29-34.