P. Joseph Mumbere Musanga

L’Istituto Comboniano è nato dal progetto di missione ideato da San Daniele Comboni e chiamato Piano per la Rigenerazione dell’Africa. Il Piano è frutto di un’analisi accurata della situazione della missione africana e di una verifica delle esperienze antecedenti.

Questo esposto è parte del Pannello nel Simposio N°2 di Limone (28-31.08.2008)

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Inserito. Roma, 18.08.08

PIANO DEL COMBONI: VERSO LA RECIPROCITÀ AFRICA-EUROPA NELLA FIDUCIA E NELL’INCORAGGIAMENTO

1. INTRODUZIONE:
All’occasione di questo simposio di Limone col tema “IL PIANO ET LA MISSION GLOBALE? Africa-Europa: quale reciprocità?”, vorrei condividere, come missionario africano della RD Congo, alcuni riflessioni che sono la mia lettura del piano di Comboni in confronto alla missione comboniana nella reciprocità Africa-Europa. Innanzitutto vorrei riassumere la mia comprensione del Piano di Comboni.
Personalmente considero che l’Istituto Comboniano è nato dal progetto di missione ideato da San Daniele Comboni e chiamato “Piano per la Rigenerazione dell’Africa”. Daniele Comboni, con l’esperienza delle difficoltà e della complessità del lavoro missionario in Africa, si era reso conto che non si poteva svolgere un lavoro missionario significativo in Africa senza avere delle idee chiare ed una visione progettuale e condivisa con le istituzioni di tutela, e senza un coinvolgimento totale degli Africani nel progetto missionario. Il suo Piano è, dunque, frutto di un’analisi accurata della situazione reale della missione africana e di una verifica delle esperienze missionarie antecedenti caratterizzate dalla constatazione della duplice fallita esperienza del missionario europeo in Africa e dell’Africano in Europa. Per questo Comboni - anche se l’illuminazione mentale del Piano gli è venuto in un modo intuitivo pregando nella Basilica di San Pietro - cogitava già un nuovo progetto missionario che prevedesse una presenza in tutta l’Africa per evitare ciò che di difettoso c’era nelle esperienze passate, e per unire tutte le forze cattoliche interessate al problema africano.
Il Piano di Comboni per la Rigenerazione dell’Africa consisteva in questo: «Si doveva fondare degli istituti, delle scuole d’arti e mestieri, dei seminari e almeno quattro università “teologico-scientifiche”, in regioni periferiche di tutta l’Africa, in zone le più possibili adatte alla penetrazione verso l’interno e dove “l’Africano vive e non si muta e l’Europeo opera e non soccombe”. (…) Come cuore propulsore e centro organizzatore del piano doveva essere un Comitato “composto di abili ed attivi prelati, ecclesiastici e distinti secolari, dipendente della S. Congregazione di Propaganda Fide”, con compiti ben precisi: iniziare una confederazione fra i diversi Istituti che lavorano in Africa, per studiare insieme le esperienze fatte e tentare di rendere sempre più efficiente l’attività missionaria; fondare seminari e scuole d’arti e mestieri in Europa per preparare coloro che, senza voler appartenere a qualche Ordine o Congregazione particolare, volessero darsi all’apostolato in Africa; interessare tutto il mondo cattolico al problema africano».
Questo Piano di Comboni si fondava, a mio avviso, su tre visioni di grandi valori, di cui le due prime erano in anticipo storico in rapporto alla mentalità del suo tempo:

La prima visione rivoluzionaria per il lavoro missionario era quella di “salvare l’Africa con l’Africa”. Il Piano del Comboni è anzitutto un grande atto di fiducia nel destino cristiano degli africani in nome dell’uguaglianza di tutti gli uomini e della loro universale redenzione in Cristo. Il valore di quest’atto di fiducia acquista speciale rilievo, se si pensa che ai tempi del Comboni l’Africano era disprezzato, barbaramente sfruttato come schiavo secondo il manoscritto dalla tratta “orientale”, e qualcuno perfino dubitava della sua appartenenza alla famiglia umana (Ibidem, p. 28).
 La seconda visione di perenne validità è quella della collaborazione di tutte le forze cristiane alla causa della salvezza dell’Africa. Il Comboni auspica il coordinamento organico di tutti gli Istituti missionari che già operano nelle zone costiere dell’Africa per sostenere il massimo sforzo possibile di rigenerazione dell’Africa. Proprio con la difficoltà di coordinare le forze missionarie per l’Africa fu uno dei motivi principali della mancata realizzazione del Piano(Ibidem, p. 28).

La terza visione, che in fondo costituisce l’anima del Piano, è la considerazione da parte del Comboni della vicenda africana nella prospettiva della “historia salutis”. Il Piano per la Rigenerazione dell’Africa, che è un progetto geniale, è soprattutto un grande atto di fede nel mistero della redenzione universale, per cui Gesù Cristo è morto e risorto anche per gli Africani, e un grande atto di amore per la Nigrizia, amore che Comboni vorrebbe comunicare ai «cattolici di tutto il mondo, investiti e compresi dello spirito di quella sovraumana carità, che abbraccia l’immensa vastità dell’universo…» (Ibidem, p. 31).
Il piano per la rigenerazione dell’Africa è dunque un progetto di fiducia e d’amore per gli africani, di collaborazione di tutto, nessuno escluso, per il compito di concretizzazione dell’avvenimento del Regno di Dio in Africa. Il Piano è dunque un atto di fede nel mistero della redenzione universale. È con un progetto del genere che Comboni fondò l’Istituto delle Missioni per la Nigrizia, che si dovrebbe sviluppare come una reciprocità Africa-Europa per la realizzazione del Piano. Vorrei in seguito fare una piccola condivisione del mio vissuto come africano congolese e missionario. Non pretendo fare un lavoro scientifico oggettivo e completo. Infatti, la mia esperienza dell’Africa tocca solo il Congo e la mia esperienza dell’Europa tocca solo l’Austria, la Germania e l’Italia. Per questo sarò sicuramente parziale e soggettivo.

2. IL PIANO DEL COMBONI ED IO AFRICANO DEL CONGO
Quando mi sono messo a riflettere sul Piano di Comboni confrontando le sue inspirazioni con la mia esperienza missionaria come africano del Congo ho scoperto due cose fondamentali:
1. La centralità e priorità dell’azione e della grazia di Dio (esperienza carismatica) versus l’esperienza del limite delle forze e delle possibilità umane (la difficile e complessa realtà) nell’opera missionaria. Tutta l’esperienza del Comboni in Africa fu, a mio avviso, un rendersi conto che il soggetto principale della missione è Dio e la sua grazia. Così le sue esperienze di essere limitato nelle sue forze e nelle sue possibilità umane non l’hanno scoraggiato, al contrario, sono state la spinta ad andare avanti gli occhi fissi su Gesù Cristo, morto sulla croce per amore, amandolo teneramente, per capire cosa significhi un Dio morto sulla croce anche per gli africani. La missione in Congo oggi mi sembra essere un rivissuto di quest’esperienza del Comboni. In Congo, mi rendo conto ogni giorno che tutto quello che sono e faccio non avrebbe senso, se non fosse Dio il primo protagonista di tutto. Sono tornato in Congo nel 2006 dopo aver conseguito a Roma gli studi di psicologia dell’educazione all’università salesiana a Roma. Mi sentivo umanamente preparato a fronteggiare ogni sfida della formazione nel postulato congolese, ma di fronte alla complessità e al mistero della vita umana mi sto rendendo conto che solo Dio con la sua grazia si trova al centro di tutto ed è lui che cambia la vita delle persone. Con tutta l’intelligenza e i mezzi che ho a disposizione mi sento ogni giorno limitato di fronte alla difficile e complessa realtà del giovane congolese. Ma più sperimento il mio limite come persona umana, tanto più mi accorgo che Dio agisce lì dove non riesco più ad andare avanti. Sto dunque sperimentando quanto le parole di San Paolo sono vere: “La forza di Dio si manifesta nella mia debolezza”. Quest’esperienza mi spinge ogni giorno ad essere alla ricerca del nuovo che Dio continuamente rivela agli occhi di fede.

2. Il passaggio dal percepire la missione africana come convertire, cristianizzare o civilizzare la Nigrizia alla sua percezione come rigenerare l’Africa, far nascere e crescere la vita (dono e amore di Dio) e la fede (accoglienza e risposta all’amore di Dio) nell’africano facendo di Dio e gli africani i veri protagonisti della missione. Col Piano, Comboni cambia la sua percezione del suo muoversi come missionario dall’Europa verso l’Africa. All’inizio, egli parla della conversione della Nigrizia. Come africano, sento spesso il termine “conversione” (in questo contesto e non quello evangelico) più come un cristianizzare con violenza eliminando i valori culturali africani, o come un civilizzare l’africano perché diventa come un occidentale. E il termine “Nigrizia” lo sento come una percezione dell’Africa solo dal punto di vista negativo: come il posto dove c’è la misera nera, dove tutto è selvaggio, dove le persone sono solo bisognose perché mancano di tutto, anche l’intelligenza e la capacità di prendere in mano il loro destino. Con il Piano, Comboni parla della “rigenerazione dell’Africa con l’Africa”. Qui tutto cambia. Io sento il termine “rigenerazione” come un credere che la vita e l’amore di Dio sono già presente nell’africano, anche prima che io mi possa muovere come missionario verso di lui, e che il mio lavoro è solo il rispetto di questa vita e contribuire a farla nascere e crescere. E il termine “Africa” lo sento come una percezione dell’Africa dal punto di vista positivo: come il posto dove ci sono fratelli di Gesù, dove ci sono persone adulte da valorizzare perché possano lasciar crescere la vita e l’amore di Dio seminati in loro diventando anche responsabili della crescita del Regno di Dio. Comboni a fatto nel Piano questo cambiamento fondamentale. Oggi ancora ho sensazione che tanti missionari comboniani si muovono verso l’Africa avendo in mente “la conversione della Nigrizia” e che non sono ancora arrivati a pensare la loro missione come un “rigenerare l’Africa con l’Africa”. Nella percezione della missione africana come “conversione della Nigrizia”, il missionario si fa il primo e quasi l’unico protagonista della missione, egli si concepisce come il soggetto che va a fare cristiani, a aiutare i poveri neri insegnando loro cosa sia buona per la loro diventare ricchi come lui. Nella percezione della missione africana come “rigenerazione dell’Africa con l’Africa”, i protagonisti sono Dio e gli africani, il missionario si capisce qui come uno strumento nelle mani di Dio per la nascita e la crescita del suo Regno nella terra africana.

3. CAMMINO VERSO LA RECIPROCITÀ AFRICA-EUROPA NELLA FIDUCIA E NELL’INCORAGGIAMENTO
Adesso, partendo da questo cambiamento in Comboni che succede nel piano, che la missione in Africa non deve più essere “conversione della Nigrizia”, ma “rigenerazione dell’Africa con l’Africa”, quale reciprocità missionaria Africa-Europa potrebbe essere immaginato? Mi pare che abbiamo ancore un lungo cammino da percorrere perché non vi è ancora una parità tra l’Africa e l’Europa, perché storicamente parlando l’Africa si trova ancore in una posizione di debolezza. In fatti, mi pare che il mondo occidentale non sia ancora pronto ad ascoltare il mondo africano in tanti ambiti, particolarmente in quello politico ed economico, ma nell’ambito missionario, penso che siamo vicini e sulla buona via. Tuttavia la reciprocità Africa-Europa s’incrementerà, a mio parere, con queste due condizioni: la fiducia e l’incoraggiamento.
o La fiducia: il missionario che avrà la percezione della sua missione africana come “rigenerare l’Africa con l’Africa” si può fidare dell’africano come una persona matura nella fede. Egli pianificherà l’opera missionaria a lui affidata con fiducia nell’africano. Questa sua fiducia nascerà e crescerà:
Dalla fede: Dio è il primo che si fida di ogni missionario, che lo stima e lo ama malgrado la sua debolezza, i suoi peccati. Mi pare che solo un’esperienza vocazionale della fiducia di Dio può spingere il missionario a fidarsi nell’africano.
Dall’innamorarsi: Comboni si è fidato dell’africano che era ancora schiavo, perché egli si era innamorato con una passione che sgorgava dal cuore trafitto di Cristo. Così egli vede nell’Africano delle capacità da lasciar nascere e crescere.
Dall’esperienza dell’essere limitato: Comboni ha fatto l’esperienza del limite, per questo egli ha pensato di iniziare l’opera missionaria dove “l’Africano vive e non si muta e l’Europeo opera e non soccombe”.
L’incoraggiamento: ciò che è diventato Daniel Sorur, uno schiavo diventato sacerdote, grazie all’incoraggiamento di Comboni, è quello l’africano aspetta del missionario che incontra l’Africa oggi con la percezione della sua opera come “rigenerare l’Africa con l’Africa”. Infatti, nella sua ricerca intitolata “Tra Africa e Europa: Daniele Sorur Pharim Den”, Fulvio di Giorgi segue l’esperienza del vero figlio spirituale di Comboni, nel quale s’incarnò gli ideali e le aspirazioni del suo Piano e lo presenta così: “P. Daniele Sorur Pharim Den fu dunque e in molti sensi un figlio spirituale di Daniele Comboni. Fu forse colui che meglio incarnò gli ideali e le aspirazioni che Comboni aveva consegnato al Piano per la rigenerazione dell'Africa e che aveva coltivato per tutta la vita” (Archivio Comboniano, Anno XLII - 2004 - 1 - n° 82). Con l’opera formativo d’incoraggiamento fatta da Comboni, Daniele Sorur arriva a capirsi, non più come un pagano selvatico, ma come un figlio che ha antenati cristiani: “I negri, almeno in minima parte, ebbero regni e regni cristiani, che si estendevano non poco verso l'interno dell'Africa. Le ruine di Chiese che s'incontrano ad ogni passo sulle rive del Nilo; i ruderi di quelle che si trovano nello Zanzibar, le traccie che sembrano trovarsi nel Congo, per non nominare la già fiorente cristianità dell'Egitto, Algeria, Mauritania, Tripolitania, sono testimonianze storiche certo irrefragabili della estensione e floridezza della religione cristiana nella oggi sì misera e squallida Africa.” (Daniele Sorur, cit. in “Fulvio de Giorgi”, p. 22). Questa rigenerazione di Sorur è stato possibile, perché Comboni lo ha incoraggiato a non capirsi come uno schiavo che rimarrà schiavo, ma come qualcuno di cui Dio ha bisogno per estendere il suo Regno. Il missionario che incontra l’Africa oggi è chiamato dunque anche lui ad incoraggiare l’africano che incontra a:
Non credersi un bambino che deve aspettare tutto dal babbo natale, ma un adulto che sta per sposarsi, per prendere tutta la responsabilità della famiglia.
Non credersi un misero e una vittima da commiserare, ma uomo con ricche potenzialità e capace di creare costruire con responsabilità il suo destino.


4.CONCLUSIONE: PROPOSTE PER UNE RECIPROCITÀ NELLA FAMIGLIA COMBONIANA
Per concludere la mia condivisione, mi pare importante fare proposte concrete per la crescita del cammino di reciprocità Africa-Europa nella famiglia comboniana. Penso particolarmente a due proposte concrete, che sono cammini che si possono già iniziare a percorrere oggi. In fatti, la missione comboniana in Africa riuscirà a fronteggiare le sfide della globalizzazione, se si arrivasse a:
• Credere che l’ora dell’Africa sia arrivata per formare seriamente i confratelli africani e delegare loro certe responsabilità, affinché l’Africa salvi l’Africa.
• Osare l’internazionalizzazione delle province europee, affinché si possa vedere anche sul terreno della missione in Europa quella cattolicità che Comboni si augurava per le sue comunità: “la mia opera non sarà né italiano, né spagnolo, né tedesco, ma cattolico”.

Piano del Comboni: reciprocità Africa- Europa