p. Luigi Penzo, mccj

Il 2009 segnerà una data importante per il nostro Istituto: celebreremo un Capitolo che non sarà soltanto ordinario, ma “speciale”, perché concluderà il lavoro fatto dai confratelli attraverso la Ratio Missionis e affronterà problemi vitali riguardanti la vita, le attività e la formazione dei candidati.

Roma, 23.04.2009
ALLEGATI
Io sono la danza
Signore, donaci il coraggio di osare


Abbiamo iniziato il nostro lavoro “riflettendo” sui problemi che ci assillano; siamo passati poi a un “giudizio” concreto sulla nostra vita e le nostre attività comboniane; tocca ora ai Capitolari prendere le decisioni opportune.

Ci prepariamo a questo Capitolo dando più tempo alla preghiera e alla riflessione sulla Parola del Signore. Lo affidiamo quindi alla guida dello Spirito Santo, nella speranza che prevalga la Sapienza che Egli dona a chi si affida a Lui, e rimuova ciò che è frutto di calcoli troppo terreni e di macchinazioni puramente umane.

1. L’elezione del nuovo Consiglio Generale
Di solito l’elezione del nuovo Consiglio Generale avviene verso la fine del Capitolo, quando cioè i Capitolari hanno preso coscienza dei problemi assillanti l’Istituto, e quindi scelgono persone che danno speranza di essere in grado di trovare le risposte adeguate. Noi esprimiamo la speranza che le persone che saranno scelte per questa responsabilità, in particolare il Superiore Generale, assomiglino alla personalità e alle doti del Fondatore, san Daniele Comboni, cioè vivano il suo grande amore per la causa missionaria, la sua dedizione infaticabile all’apostolato, il suo amore alla croce e il suo spirito di preghiera, e anche la sua accettazione e comunione fraterna con i collaboratori.

2. Dare motivazioni alla nostra speranza
Chiediamo al prossimo Capitolo di dare un nuovo impulso alla nostra speranza. Ho avuto occasione di parlare con diversi confratelli, e spesso mi sono trovato a disagio, perché dalle loro parole ho notato un certo pessimismo e una specie di “previsione piuttosto negativa” a riguardo del futuro del nostro Istituto.
Qualcuno, per esempio, dà importanza alla quasi totale mancanza di vocazioni in Italia e in Europa. Qualche altro è scosso dal fatto che diversi confratelli lasciano l’Istituto. Qualche altro sottolinea la realtà negativa di chi si rifiuta di obbedire ai Superiori o di partire per la missione.
Aggiungo anche il fatto di confratelli che trovano difficile vivere in serenità la vita comunitaria; essi fanno fatica ad inserirsi con gioia nella vita comune, che spesso viene considerata più come un peso che come un dono della grazia.
Ritengo quindi importante che il prossimo Capitolo ci aiuti ad aprire i nostri cuori alla speranza, aiutandoci a riscoprire le ricchezze ed i valori dell’Istituto; ci aiuti a liberarci dal pessimismo che serpeggia tra noi, per aprirci ai valori positivi della nostra speranza comboniana.
Leggo con vivo interesse ciò che viene pubblicato dalla rivista comboniana In Memoriam, che riguarda il ricordo dei nostri confratelli defunti. Ritengo che questa rivista sia tra le più importanti e possibilmente venga letta in comune dalle comunità; essa ci dà una conferma sempre più efficace delle enormi ricchezze che l’Istituto ha posseduto e ancora possiede.
Vorrei anche dare una risposta ai confratelli che soffrono di pessimismo perché esagerano con troppa convinzione la mancanza di vocazioni all’Istituto in Italia e in Europa. Questa constatazione è vera, ma la ritengo inadeguata; occorre infatti ricordare che l’Istituto è stato guidato dallo Spirito del Signore nell’aprirsi sempre più all’America Latina e all’Africa.
Ho voluto controllare il nuovo Annuario Comboniano a riguardo soprattutto della nostra situazione in Africa, perché essa è ancora parte viva del mio cuore e del mio interesse missionario. Invito quindi a controllare il numero degli Scolastici e Fratelli africani, riportati a pagina 28-32 dell’Annuario. Per me è stata una felice sorpresa: se l’Istituto sembra morire in Europa, sta però ricevendo nuova vita in Africa, e credo che colui che gode di più di questa nuova direzione sia proprio san Daniele Comboni, che ha voluto che “l’Africa sia salvata dagli Africani”.

3. Mettere in luce i valori essenziali del nostro Istituto
Il nostro Istituto ha ricevuto “in eredità” dal Fondatore alcuni valori che ne costituiscono l’essenza. Non possiamo ignorarli o sostituirli, ma è necessario che siano riscoperti. Ne accenno soltanto a uno, e temo forse di ripetermi.
Il primo valore essenziale è senz’altro “il mistero del Cuore di Cristo” (RdV 13). Comboni ha vissuto il mistero del Cuore trafitto come frutto di un’esperienza mistica e carismatica. Come risultato di questa esperienza, Egli ha avuto l’intuizione dell’amore salvifico e straordinario del Signore per i popoli africani, delle loro sofferenze, schiavitù, povertà e abbandono. La sua visione carismatica va dunque di là della devozione al Sacro Cuore come ci viene presentata dalle visioni avute da S. Margherita Maria Alacoque e dai testi liturgici.
Per di più, egli si è sentito totalmente conquistato dall’amore per gli Africani perché fortemente convinto che questo amore che ardeva per loro fosse stato messo nel suo cuore dal Cuore stesso del Signore Gesù. In un certo modo, egli poteva rivolgere agli Africani le parole che Paolo scrisse con commozione ai Filippesi: “Il Padre mi è testimone che io vi amo con l’amore stesso del Signore Gesù” (Fil 1,8).
Mi permetto di rilevare soltanto questo valore perché il Capitolo del 2009 dia una risposta chiara e convincente a ciò che fu detto e scritto con superficialità e con una certa arroganza nell’Assemblea Intercapitolare del 2006 a Città del Messico: “Senza dubbio, tra gli elementi irrinunciabili della nostra identità comboniana, quello che riceve un’attenzione marginale sembra essere la spiritualità del Sacro Cuore. Questo si deve al fatto che tale spiritualità sia sorta in un contesto e in tempi che sembrano lontani dall’attualità. Non è quindi da meravigliarsi che questa spiritualità sia oggi come obsoleta: una venerazione individuale e sdolcinata senza alcuna relazione con la realtà... Si ha l’impressione di non essere stati capaci di sviluppare una Cristologia alla luce della compassione e donazione di Gesù. Inoltre, è difficile comprendere cosa significa la devozione al Sacro Cuore per un confratello africano, latino-americano, asiatico e noi occidentali post-moderni”.

p. Luigi Penzo, mccj

L’attesa del Capitolo 2009