Nel Vangelo di questa domenica continua la serie di epifanie, cioè le manifestazioni di Gesù. Dopo la stella dei magi e il battesimo al Giordano, è ancora Giovanni Battista a segnalare con insistenza la presenza di Gesù come “l’agnello di Dio” (v. 36). Gradualmente, Giovanni è cresciuto nella sua conoscenza di Gesù: dapprima non lo conosceva (Gv 1,31.33), o lo conosceva probabilmente solo come parente, ma ora lo proclama agnello, cioè servo sofferente, Messia e lo dichiara presente: ‘eccolo’, dice due volte (v. 29.36).

Giovanni 1, 35-42
Il coraggio di porre domande

Dopo aver ricevuto il battesimo nel fiume Giordano, Gesù inizia il suo ministero e incontra i primi discepoli. Questo primo incontro, secondo l’evangelista Giovanni, inizia con una domanda che Gesù rivolge ad Andrea e all’altro “che cercate?”.

L’inizio della fede, cioè della nostra relazione con Cristo, non è una legge a cui obbedire, un dovere religioso da portare a termine o una risposta consolante, ma una domanda che ci rimanda a noi stessi, che ci scava dentro, che ci chiede il coraggio e la fatica di scoprire la verità di chi siamo e i nostri desideri più profondi. Spesso cadiamo nella tentazione di cercare una fede “facile”, che attutisce gli enigmi della vita con facili risposte. Gesù, invece, ci presenta un Dio appassionato di domande, che si fa interprete del nostro più profondo desiderio di vita, di gioia e di amore, per suscitare la nostra ricerca di Lui.

Le domande hanno il potere di disarmarci e di mettere in crisi quelle sicurezze e quegli schemi in cui spesso abbiamo racchiuso la nostra vita, trascinandola nell’abitudine e costringendola alla prigione dell’immobilità. Dio, come un “incendiario” (Papa Francesco) ci chiede di non vivere in superficie, ma di ritornare al cuore, fermando la nostra corsa e interrogandoci sul senso del nostro cammino: che cosa stai cercando davvero? Cosa desidera il tuo cuore? Qual è la sete che ti porti dentro? Cosa ti appassiona? Cosa ti muove? La nostra società dei consumi e la dittatura dell’esteriorità in cui siamo immersi, ci convincono che basta poco: presentarci con una certa immagine, avere successo, vincere, guadagnare, e così via. Ma su questa strada, i nostri veri bisogni e il desiderio di vita che Dio ha messo da sempre nel nostro cuore vengono tacitati, mentre le seducenti risposte della pubblicità spengono la nostra immaginazione.

E, invece, Gesù chiede anzitutto di non mortificare ciò che siamo e di avere il coraggio di porre quelle domande che non ci parcheggiano in piccoli appagamenti terreni. Gesù dice: tu sei di più, tu desideri altro, tu sei affamato di vita, di senso, di amore. E Dio vuole essere per te l’infinito orizzonte della tua sete di felicità.

I discepoli chiedono allora “dove abiti?”. Non cercano evidentemente un luogo fisico — Gesù era in realtà un “senza fissa dimora” — ma, piuttosto, gli chiedono: dove sei? Dove possiamo trovarti per saziare e dissetare questa nostra ricerca? E Gesù propone loro un’esperienza, un incontro, uno “stare” con Lui che è un “rimanere” nel suo amore: venite e vedrete. Vanno e si fermano presso di Lui. Poi, lo annunciano ad altri discepoli.

Così, il Vangelo ci presenta in una scena un vero e proprio itinerario di fede: guardarsi dentro per scoprire il desiderio di vita che Dio ha seminato in noi, fare il cammino della vita con il cuore in ricerca e accompagnati dalle domande giuste, vivere la gioia dell’incontro e della relazione con Lui perché senza esperienza non c’è fede vera e, infine, portarlo e annunciarlo agli altri.
[Francesco Cosentino – L’Osservatore Romano]

Un impegno gioioso e totale per Dio

1Sam 3,3-10.19; 1Cor 6,13-15.17-20; Gv 1,35-42

Nelle settimane scorse abbiamo meditato a lungo sul mistero del Verbo di Dio, l’Emmanuele (Dio-con-noi e come-noi), nato a Betlemme per noi e per la nostra salvezza. Da questa domenica, dopo il suo battesimo, la liturgia presenta le sue vicende nei tre anni della sua vita pubblica. Questo tempo è chiamato “ordinario”, oppure “tempo della Chiesa”, o “tempo per annum”, cioè durante l’anno, perché non ricorrono particolari misteri come a Natale o a Pasqua.

E’ la scena evangelica dell’incontro tra i discepoli di Giovanni e Gesù, interpellato come “Agnello di Dio”, che suggerisce il tema conduttore di riflessione per questa seconda domenica ordinaria. L’episodio presentato si pone in continuità col momento del battesimo di Gesù, e ha anche un valore “epifanico”, perché manifesta o rivela la personalità di Gesù: L’Agnello di Dio. Agli Ebrei che ascoltavano, questa qualifica richiamava tanti ricordi legati alla loro storia religiosa. L’agnello era l’offerta che di solito presentavano in sacrificio a Dio, secondo la Legge di Mosè, come espiazione dei peccati. Soprattutto, l’agnello era legato alla Pasqua: ogni anno, per ricordare la loro liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, le famiglie si riunivano, immolavano l’agnello, lo consumavano in una scena rituale, il rito della Pasqua.

Quindi il Battista veniva a dire ai suoi discepoli che l’Agnello che salva, l’Agnello di Dio, non è più quello di Mosè; ma d’ora innanzi l’Agnello vero è Gesù, l’autore della nuova e definitiva liberazione. Il Battista serve di mediazione tra i suoi discepoli e Gesù, per la scoperta dell’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.

Questa pagina del quarto vangelo è preparata dalla prima lettura che narra la chiamata del giovane Samuele. Anche in questo caso, risulta importante la mediazione, quella del vecchio Elia che predispone Samuele all’incontro diretto col Signore. Forse, ogni vero incontro con il Signore necessita o passa attraverso una mediazione, che non è sempre clamorosa. Bisogna solo essere, in ogni momento, attenti alle persone e agli eventi, gioiosi o tristi, che ci circondano. La vocazione di Samuele è il modello delle chiamate del Signore, quando il giovane dorme e non fa nessuno sforzo. L’investitura profetica che ne segue è il risultato dell’iniziativa divina, ma anche della piena disponibilità, del pieno consenso di Samuele che l’accoglie: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”. L’ascolto disponibile, dopo la chiamata, si rivela l’atteggiamento profondo e fondamentale che dovrebbe stare alla base del comportamento e della spiritualità dell’uomo di Dio, del credente.

Quest’atteggiamento accogliente e consensuale nei confronti della chiamata del Signore trova una bellissima risonanza nelle strofe del salmo 39: “Ecco, vengo. Sul rotolo del libro, di me è scritto di compiere il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore”.

Non rientra direttamente in questa prospettiva il brano della seconda lettura, che affronta piuttosto la questione del significato della sessualità e della corporeità alla luce della comunione vitale che ogni battezzato trattiene con Gesù. Paolo presenta ai Corinzi la visione cristiana del corpo, cioè la sua grande dignità. Il nostro corpo è tempio dello Spirito, cioè il santuario di Dio. Quindi è santo. Non possiamo usarlo a nostro piacimento, con disinvoltura, come strumento permanente del peccato. Un cristiano è puro e glorifica così il Signore nel suo corpo.

Andrea e Giovanni lasciano il Battista per mettersi alla sequela di Cristo, l’Agnello di Dio. La sequela, qui, significa assumere gli atteggiamenti di Gesù, vivere come lui, legarsi a lui, obbedire alla sua parola. Tutto quanto equivale, secondo Giovanni, al credere.

Seguire Gesù significa allora accettare la sua offerta, attuare la sua volontà, credere ed entrare nel regno di Dio che è già presente, diventare suo discepolo, legarsi alla sua sorte, e in modo particolare alla sua croce e alla sua gloria. Si tratta inoltre di vivere insieme a Cristo, di essere membra di Cristo, anche col compito di presentarlo agli altri, come l’ha fatto il Battista a Giovanni e Andrea, o come Andrea che lo presenta a Simone, suo fratello. Cioè, bisogna diventare, ovunque, testimoni, prima con le parole.

E’ compito esplicito di alcune persone nella Chiesa (presbiteri, catechisti, animatori di gruppi, insegnanti di religione…); ma ancora prima è compito dei genitori che dovrebbero parlare di Dio ai figli e figlioli; è anche compito di ogni fedele che dovrebbe parlare di Cristo al suo ambiente. Bisogna poi essere testimoni di Cristo con la vita, senza distinzione di luogo né di tempo, e in ogni istante della vita.

Il cristiano non dovrebbe essere un tale anonimo. Dobbiamo costituire dappertutto un argomento pro Cristo. E quando arriveremo alla meta della nostra vita, la domanda non sarà “Sei stato credente?”, ma invece “Sei stato credibile (attuando la volontà del Padre)?”, “Il tuo comportamento, la tua maniera di vivere ha reso credibile a tutti i tuoi vicini che Dio esiste e li ama?” In altre parole, noi cristiani alla sequela dell’Agnello di Dio, siamo chiamati ad una testimonianza cristiana autentica, non mediocre ma permanente, convincente e trascinante.
Don Joseph Ndoum

La vocazione come "innamoramento"

1Samuele 3,3-10.19; Salmo 39; 1Corinzi 6,13-15.17-20; Giovanni 1,35-42

Riflessioni
Nel Vangelo di questa domenica continua la serie di epifanie, cioè le manifestazioni di Gesù. Dopo la stella dei magi e il battesimo al Giordano, è ancora Giovanni Battista a segnalare con insistenza la presenza di Gesù come l’agnello di Dio (v. 36). Gradualmente, Giovanni è cresciuto nella sua conoscenza di Gesù: dapprima non lo conosceva (Gv 1,31.33), o lo conosceva probabilmente solo come parente, ma ora lo proclama agnello, cioè servo sofferente, Messia e lo dichiara presente: ‘eccolo’, dice due volte (v. 29.36).

Il testo del Vangelo odierno ha un duplice insegnamento e finalità: anzitutto l’invito a fare un cammino all’incontro di Cristo, per scoprirne l’identità; da qui sorgono subito le applicazioni vocazionali.

Giovanni Battista fissa lo sguardo su Gesù (v. 36), lo guarda dentro (dice il verbo greco), ne scopre l’intimità e lo proclama “agnello di Dio”. Si tratta di un’identità carica di significati, che richiama: l’agnello pasquale della notte dell’Esodo (Es 12,13); il Servo di Yahve sacrificato come agnello condotto al macello (Is 53,7.12); l’agnello sacrificato in sostituzione, associato al sacrificio di Abramo (Gn 22). Oltre all’identità di agnello, il brano del Vangelo odierno presenta un altro titolo di Gesù: Rabbì (maestro), con il quale i due candidati discepoli, Andrea e Giovanni, desiderano fermarsi. Seguono i passi di Gesù, e, sollecitati da Lui (“Che cosa cercate?” v. 38), gli rispondono: “dove dimori?” (v. 38), che è molto di più che la richiesta di un indirizzo, sapere dove abita; piuttosto desiderano capire chi è lui veramente: cosa pensa, fa, dice, quali sono i suoi progetti… 

Gesù li invita ad andare e stare con Lui: “venite e vedrete” (v. 39). Cioè a entrare in relazione personale con Lui, a farne esperienza, scoprire il Suo volto intimo. Quell’incontro riscalda il cuore, li segna nell’intimo, li convince e produce effetti esplosivi e contagiosi a catena: Andrea conduce da Gesù suo fratello Simone (v. 41-42), Filippo ne parla con l’amico Natanaele (v. 45ss.), ecc.

Incontrando Simone, Gesù fissa lo sguardo su di lui (v. 42), lo guarda dentro, nel cuore, e gli cambia il nome: “Ti chiamerai Pietro”. Gli conferisce così una nuova identità, definisce la sua missione. Come si vede, i testi biblici di questa domenica hanno anche un chiaro contenuto vocazionale, a cominciare dalla vocazione-missione del giovane Samuele (I lettura), includendo il forte richiamo di Paolo ai cristiani di Corinto (II lettura) a stare lontani dall’impurità (v. 18), a vivere in maniera consona alla loro dignità di membra di Cristo (v. 15), di tempio dello Spirito (v. 19), di persone comprate a caro prezzo (v. 20).

Parlando di vocazione e di missione da parte di Dio, i testi odierni danno alcuni orientamenti per il discernimento vocazionale e la formazione:

- Dio continua a chiamare, in ogni epoca, anche in quelle precarie, come ai tempi di Samuele.

- Dio chiama per nome (vedi Samuele, Pietro e tanti altri casi: Is 49,1; Es 33,12; Vangeli).

- È indispensabile rimanere-stare-dimorare con il Signore, per capire e gustare la sua identità. Gesù invita: “venite e vedrete”; vanno, vedono e rimangono con lui (v. 39). Si “innamorano” di Lui e ne diventano testimoni gioiosi. (*)

- Occorrono persone capaci di aiutare altri a scoprire la voce di Dio, come Eli fece con Samuele (1Sam 3,8-9), come il Battista con i due discepoli (Gv 1,35-37), Anania con Paolo (At 9,17).

- La vocazione non è un premio per opere o fedeltà umane, ma sempre e solo elezione gratuita di Dio; lo stesso dicasi della perseveranza nella vocazione.

- Ad ogni vocazione corrisponde una missione: non ce la scegliamo noi, ma ci viene affidata.

- La risposta alla chiamata, se la si vive in gioiosa fedeltà al progetto di Dio, ha come risultato anche la realizzazione piena di se stessi, che si attua nel servizio alla missione affidataci.

La Chiesa continua ad additare Gesù con le parole di Giovanni Battista. Lo fa nell'Eucaristia-comunione: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato...”; e lo fa nell'annuncio e nel servizio propri della missione. Il messaggio missionario della Chiesa sarà tanto più efficace e credibile quanto più sarà - come nel Battista - frutto di libertà, austerità, coraggio, profezia, espressione di una Chiesa serva del Regno. Solo così, come avvenne per il Battista, la parola del missionario produrrà un efficace contagio vocazionale, sarà all'origine di nuovi discepoli di Gesù (v. 37).

Parola del Papa

(*) «L'apostolo è un inviato, ma, prima ancora, un ‘esperto’ di Gesù. Proprio questo aspetto è messo in evidenza dall'evangelista Giovanni fin dal primo incontro di Gesù con i futuri Apostoli… Alla domanda: “Che cosa cercate?”, essi rispondono con un'altra domanda: “Maestro, dove abiti?”. La risposta di Gesù è un invito: “Venite e vedrete” (cfr. Gv 1,38-39). Venite per poter vedere. L'avventura degli Apostoli comincia così, come un incontro di persone che si aprono reciprocamente. Comincia per i discepoli una conoscenza diretta del Maestro. Vedono dove abita e cominciano a conoscerlo. Essi infatti non dovranno essere annunciatori di un’idea, ma testimoni di una persona. Prima di essere mandati ad evangelizzare, dovranno ‘stare’ con Gesù (cfr. Mc 3,14), stabilendo con lui un rapporto personale».
Benedetto XVI
Udienza generale, mercoledì 22.3.2006

Sui passi dei Missionari

17   S. Antonio abate (c. 250-356), egiziano, eremita nel deserto della Tebaide, chiamato padre dei monaci, famoso per la santità e il dono del consiglio. Andò due volte ad Alessandria per confortare i cristiani perseguitati e per difendere la fede. S. Atanasio ne scrisse la vita.

·     Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei.

18-25   Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. L’unità della Chiesa è finalizzata alla missione, come disse Gesù: uniti «affinché il mondo creda» (Gv 17,21). Tema per il 2021: Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (cfr. Gv 15,5-9). Vedi sussidio ad hoc.

19   B. Marcello Spínola y Maestre (1835-1906), avvocato e, più tardi, sacerdote. Fu vescovo ausiliare di Siviglia, poi vescovo di Coria e infine di Málaga e di Siviglia. San Pio X lo nominò cardinale. Nel 1885 fondò la Congregazione delle Ancelle Concezioniste del Divin Cuore di Gesù, per la catechesi e la formazione umana della gioventù. La gente lo chiamava ‘l’arcivescovo mendicante’, per la sua grande carità verso i poveri.

20   B. Cipriano Michael Iwene Tansi (1903-1964), parroco nella diocesi di Onitsha (Nigeria) e poi monaco trappista. Fu inviato in Inghilterra per prepararsi a introdurre la vita monastica e contemplativa in Nigeria, ma la morte lo colse durante l’inverno londinese.

·      Ricordo di Alessandro Valignano (1539-1606), gesuita italiano, missionario in Asia, visitatore e animatore dei gesuiti in Estremo Oriente (India, Giappone, Cina), morto a Macao. Fu ispiratore e promotore di una creativa metodologia missionaria di inculturazione e dialogo.

·     Ricordo di Khan Abdul Ghaffar Khan (Pakistan, 1890-1988), musulmano, leader politico e spirituale della nonviolenza, amico di Gandhi, attivista per l’indipendenza del Pakistan dalla Gran Bretagna.

·     S. Giovanni Ni Youn-il (1822-1867), contadino, padre di famiglia, catechista di bambini e di catecumeni adulti, martire, decapitato all’età di 45 anni a Daegu (oggi, nella Corea del Sud). È uno 103 martiri coreani canonizzati. (Vedi 20/9).

22   S. Vincenzo Pallotti (1795-1850), sacerdote romano, fondatore della Società dell’Apostolato Cattolico (Sac), composta da laici, sacerdoti e suore. Promosse la vocazione di tutti i battezzati a «lavorare insieme nella Chiesa», per far conoscere a tutti Cristo Salvatore.

·     B. Guillaume-Joseph Chaminade (1761-1850), sacerdote francese, fondatore della Società di Maria (conosciuti poi come Marianisti).

·     B. Laura Vicuña, nata in Cile e morta in Argentina all’età di 13 anni († 1904), offrendo la sua vita per la conversione della mamma.

·     Ricordo di Benedetto XV (Giacomo Della Chiesa, Papa 1914-1922), strenuo operatore di pace durante e dopo la Prima Guerra mondiale, da lui definita «inutile strage». Nel 1917 pubblicò il Codice di Diritto Canonico e nel 1919 la Lettera apostolica Maximum Illud, “magna charta” per rilanciare la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo ad gentes. (Vedi 30/11).

·     Ricordo dell’Abbé Pierre (soprannome di Henri Grouès, 1912-2007), sacerdote francese, promotore di pace e solidarietà, fondatore delle comunità Emmaus.

23   S. Ildefonso, vescovo di Toledo (607-667), autore di molti libri. Diede solidità alla Chiesa in Spagna, promuovendo la liturgia e la devozione mariana.

·     S. Marianna Cope-Barbara (1838-1918), nata in Germania, da bambina emigrò negli Stati Uniti, dove divenne religiosa francescana. Nel 1883 partì, con altre sei suore, come missionaria per le isole Hawaii, dove prestò servizio come infermiera nei lebbrosari di Honolulu e Molokai. Qui assistette anche P. Damiano de Veuster, che morì lebbroso fra i lebbrosi (vedi 15/4).

24   Domenica della Parola di Dio, istituita da Papa Francesco (2019) per la «celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio».

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A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)

Sito Web:   www.comboni.org    “Parola per la Missione”

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