Venerdì 16 novembre 2018
P. Davide De Guidi, comboniano italiano, è tornato da un anno in Mozambico, dopo essere stato gli ultimi sei anni a Padova (Italia), dove ha lavorato con il gruppo di giovani “Gim”. Oggi è parroco della Parrocchia di Santa Cruz a Nampula, nel nord del Mozambico. P. Davide ha un cuore grande ed è un appassionato della pastorale giovanile. “L’Africa è giovane – scrive agli amici – e qui nella periferia della città di Nampula ci sono tanti giovani. Ogni volta che passo nelle strade fra le loro case, si sente la vita che ti viene incontro, con le voci dei piccoli che in tanti modi inventano giochi, saltano, corrono e ti salutano con quella gioia che li caratterizza. Bastano quattro o cinque metri di terreno sconnesso e una palla fatta di nailon o di stoffa per vederli affollarsi a giocare”.

Cari amici,
è da parecchio tempo che non scrivo una lettera, chiedo perdono, ma vi ho presente nel cuore sempre. Ora, per chi ha voglia di leggere, ho deciso di prendermi un po’ di tempo per salutarvi, ringraziarvi e raccontarvi un po’ di ciò che vedo, che sento e che sto vivendo qui in Mozambico. É da un anno che sono ritornato dopo i sei anni vissuti in Italia, con la grazia di aver conosciuto tanti giovani appassionati di vita nei cammini Gim e aver incontrato tante care persone che vivono in me in tanti modi.

Domenica scorsa nell’eucarestia abbiamo inviato un centinaio di giovani per vivere una settimana missionaria, invitandoli a entrare nelle realtà di queste periferie dell’umanità, piene di vita e di contraddizioni. L’Africa è giovane e qui nella periferia della città di Nampula ci sono tanti giovani. Ogni volta che passo nelle strade fra le loro case, si sente la vita che ti viene incontro, con le voci dei piccoli che in tanti modi inventano giochi, saltano, corrono e ti salutano con quella gioia che li caratterizza. Bastano quattro o cinque metri di terreno sconnesso e una palla fatta di nailon o di stoffa per vederli affollarsi a giocare.

Entro spesso nelle loro case per visitare gli ammalati, quelli che sono nati con disabilità (sono tanti e spesso senza una carrozzina o un trasporto idoneo per uscire), o che vivono momenti difficili, e anche per conoscere le famiglie, o conoscere i familiari dei giovani che vogliono entrare in un cammino per seguire Gesù. Grazie a Dio, il cuore di tanti giovani è aperto a una futura vita donata, ma è necessario un forte accompagnamento, perché questi germi di vita e vocazione non svaniscano nel cammino per mancanza di vicinanza, preghiera e sostegno.

Questa mattina, visitando una di queste famiglie, ho trovato un pover’uomo sordo dalla nascita, la madre di lui è una vecchietta che, oltre a questo figlio, ha con sé un nipote orfano di entrambi i genitori che desidera entrare nel cammino comboniano. Ho chiesto a lei, nella sua situazione di precarietà, se è contenta che questo suo nipote di nome Geronimo entri in un cammino vocazionale con la famiglia comboniana. Lei con un sorriso mi ha detto: “padre, ho sempre sognato di avere un figlio o un nipote che seguisse questo cammino di Dio, per me sarebbe una gioia”. Che lezioni di vita mi donano i miei parrocchiani: vivono poveramente, ma il loro cuore ha una grande sapienza.

Per noi missionari\e è importante, lì dove siamo chiamati a vivere, suscitare uno spirito missionario, una parrocchia missionaria, un modo di concepire la vita aperta all’altro, dove le persone si sentano protagoniste del loro cammino, scoprendo che Gesù crede in loro e si affida a loro per far conoscere il cuore del Padre. É bello e dà gioia vedere che la vicinanza di Gesù e la sua parola donano tanta speranza e forza per non arrendersi, in una realtà dove i poveri sono sempre più messi di lato e schiacciati da uno spirito del mondo che privilegia i potenti, i ricchi e i furbi.

Stare accanto ai senza voce a volte è difficile, sembra che le realtà non cambino mai, anzi che peggiorino, che ci si illuda di qualcosa che non avverrà mai, ma la certezza che Dio in Gesù ha dato un posto privilegiato nel suo cuore ai piccoli, ai poveri, a chi non conta, ci sprona a non arrenderci e a camminare con audacia, nella certezza che prima o poi si apriranno varchi di luce. Così, sulla strada, incontri sempre volti umani che ti avvicinano per chiederti di ascoltarli, come Joaquim, un ragazzo che ho trovato abbandonato, orfano e con disabilità. Stava male e mi pregava di prenderlo a cuore. Ieri con la comunità abbiamo cercato per lui un cammino di speranza. Non aveva nulla con sé, se non una carrozzina già rotta ma che amore grande per la vita manifestava il suo cuore.

La settimana scorsa le suore di madre Teresa di Calcutta, presenti nella parrocchia, mi avevano chiesto di andare all’ospedale per battezzare una povera vecchietta in fin di vita che ha chiesto il battesimo. Arrivati in ospedale, siamo passati a vedere i bambini ammalati di tumore, i loro volti erano segnati dalla malattia, ma che voglia di guarire vedevo in ciascuno di loro. Dialogando con i loro genitori lì presenti per assisterli, mi sono accorto che alla sera dormono fuori, per terra, rimanendo mesi accanto ai loro figlioletti con quell’amore e quella pazienza che – scopri – non viene da questo mondo.

Arrivati poi dalla vecchietta, che avrà avuto poco più di 50 anni (qui a 50 anni si è già arrivati alla fascia della vecchiaia, per cui ci sono dentro anch’io), vedo accanto a me una donna che assiste un’altra donna che sembrava più vecchia di lei, ma che alla fine era sua figlia ammalata di Aids e subito dopo, davanti ai nostri occhi, questa povera ragazza si è spenta. Mi ha colpito la tenerezza delle giovani sorelle di Madre Teresa nel prendersi a cuore questa povera ragazza e la sua mamma afflitta, un amore che si china su questa umanità sofferente, senza barriere di colore, di pelle, di nazionalità, di credo e soprattutto di pregiudizi.

La settimana scorsa, il 10 ottobre, festa del nostro Comboni, abbiamo avuto le votazioni. La Chiesa ha fatto un lavoro straordinario, soprattutto con la radio, per permettere che tutto si svolgesse con trasparenza e onestà. Tutto è riuscito bene, ma quante minacce arrivavano a chi accompagnava questo cammino per stare accanto al popolo semplice e da tanto tempo privato dei suoi diritti. Questo mi ricorda le parole di Gesù: “se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, ma non avere paura... La settimana scorsa poi, nella nostra zona, un gruppo di giovani, dal nome “non mangi!”, hanno cominciato a creare grossi problemi attorno a loro, segno chiaro di una gioventù che si sente spesso rifiutata e che, non trovando porte aperte e un lavoro, diventa a volte aggressiva. Fatti che ci interrogano e ci spingono a trovare strade nuove insieme, aiutando questi giovani a credere che la loro vita ha un senso, che Qualcuno li ama e lotta perché la loro vita abbia dignità e non sia percepita come possibilità di sfruttamento. In questo le ragazze pagano il prezzo più alto. Grazie a Dio le comboniane fanno un grande lavoro per offrire loro dignità, accoglienza e futuro.

Domani, seguendo il programma missionario con i giovani, ritornerò a visitare il carcere con loro. L’altra volta che sono entrato per visitarli e pregare con loro, ho commentato Mt 25, dove Gesù si riconosce nel carcerato visitato. Avevo un po’ di timore, pensando che non avrebbero avuto voglia di ascoltare la parola, invece quanta sete di Dio e di verità c’è in chi si è trovato spesso in un cammino di menzogna e ingannato da quello spirito menzognero dal quale Gesù ci mette in guardia. Avevo davanti a me circa 70 giovani, che ascoltavano con attenzione, pregavano e cantavano con voce forte per esprimere il loro grazie a Dio e la loro gioia di essere stati visitati. Quando li abbiamo lasciati, ci hanno pregato di non abbandonarli, perché il loro cuore ha bisogno di luce e perdono. Uno di loro, terminata la pena, mi ha chiesto di benedirlo, un altro, che ha terminato anche lui i suoi giorni di reclusione, si è presentato in parrocchia per camminare con noi; queste sono le nostre gioie più belle (era perduto ed è stato ritrovato, Lc 15).

Cari amici, potrei raccontarvi tanti altri fatti di vita, dove ogni giorno accanto a loro apprendo a vivere un po’ di più la bellezza del vangelo di Gesù e a comprendere quanto devo anch’io convertirmi nel cuore e nella mente per agire in modo più evangelico, ma non voglio stancarvi. Cari amici, so che molti di voi in questi tempi soffrono, vedendo che la nostra terra, quella terra in cui siamo nati e dove abbiamo respirato la gioia di un vangelo che ci ha portato speranza, pace e accoglienza reciproca, ora è spesso avvolta da un clima di tensione, di segni forti di resistenza a fidarsi di quel vangelo che è e sarà sempre “stoltezza per i dotti, ma sapienza di Dio per chi ha il coraggio di credere che è l’unico cammino possibile, per costruire assieme un’umanità dove tutti ci sentiamo dono l’uno per l’altro, perché così Lui ci ha sognato”.

L’Africa stessa accoglie 18 milioni di rifugiati, la sola città di Lagos, capitale della Nigeria, ne accoglie 700.000 l’anno, tanti quanti ne accoglie l’Europa in un anno, ma questo non fa rumore. L’Italia stessa ha più di 5 milioni di italiani immigrati in questi tempi all’estero, ma questo non crea problema, come invece avviene per gli immigrati che passano da noi, così come non fanno rumore le tanti armi che, fabbricate nelle nostre terre, arrivano qui destabilizzando quest’Africa già martoriata. Non sarà allora arrivato il tempo di vedere la vita con occhi e prospettive nuove, che ci permettano di essere nuovamente quel segno di speranza per quell’umanità che per tanto tempo si è sentita “non avente diritto a sognare un mondo migliore?”. Sono certo che, se avremo il coraggio di accoglierla nel cuore e tracciare insieme percorsi di vita, essa stessa ci donerà tanto di più di quello che noi possiamo donarle. Il vangelo di Gesù, è difficile capirlo e accoglierlo con il cuore, ma se accetti di viverlo, ti destabilizza ma poi ti ricrea con quella creatività che lo spirito di Gesù sa consegnarci.

Un grazie a ciascuno di voi, carissimi, per l’amore, per l’interesse e il sostegno con la preghiera e l’aiuto che sapete donare a noi famiglia comboniana e a questo popolo stupendo, con il quale il buon Dio ci ha chiamato a condividere la nostra vita. Buona missione carissimo\a anche a te, e ricordati che la tua vita è una missione, ci dice Papa Francesco, e lo sarà sempre se tu lo vorrai; una missione che solo tu potrai compiere come Lui ha sognato per te. Coraggio, Lui scommette sempre su di Te.

Uniti nella forza della preghiera, dal Mozambico,
P. Davide De Guidi