Ricordando Fr. Franco: “un uomo silenzioso, missionario, di preghiera, povero e obbediente”

Immagine

Mercoledì 1 aprile 2020
Ieri 31 marzo la comunità di Castel d’Azzano ha celebrato il funerale di Fratel Franco Bonadimani, deceduto sabato scorso. Ecco l’omelia di Padre Renzo Piazza, superiore della comunità. Nell’occasione P. Teresino Serra lo ha caratterizzato “un uomo silenzioso, missionario, di preghiera, povero e obbediente”.

Funerale
di Fr. Franco Bonadimani

31.03.2020

Qualche data della sua vita

Nato nel 1926, a 17 anni è ragioniere e subito trova un lavoro. Consegna al papà la prima busta paga, perché erano tempi difficili e bisognava sfamare la famiglia, ma la seconda la porta alla chiesa di santa Eurosia di Salizzole “perché i poveri abbiano il pane”. 

Nel 1946, a 20 anni, emette i primi voti tra i Comboniani. Vivrà da consacrato a Dio per 73 anni: 28 anni in Casa Madre, 2 a Roma in Curia e poi ancora 43 in Casa Madre. Non è mai stato in missione, ma la sua vita è stata una missione, consacrato a Dio per sempre. 

Qualche giorno fa, su sollecitazione della famiglia, gli ho chiesto se desiderava essere sepolto a Verona o a Salizzole. Serenamente e spontaneamente ha risposto: “Voglio essere sepolto a Verona con i Comboniani”.

La veste, che tutti a quel tempo portavano, era segno di questa appartenenza a Dio. Tra le poche cose che ha portato da Casa Madre a Castel d’Azzano, c’era anche la veste, con cui è stato vestito oggi, per presentarsi così al Padre dei cieli. 

“Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”. Ciò che appartiene a Dio è un tesoro prezioso e oggi fr. Franco ha la fortuna di essere riconsegnato a Dio con i segni della consacrazione, con la celebrazione dell’Eucarestia nella comunità, in mezzo ai confratelli che ha amato e servito. Nei giorni in cui la maggior parte delle persone che muoiono sono sepolte in modo anonimo, fr. Franco è sepolto in modo degno. Ciò che appartiene al Signore è consegnato al Signore con rispetto e venerazione.

La testimonianza di P. Teresino Serra 

Un’immagine comboniana di Fr. Franco: “Il missionario deve essere una pietra nascosta sottoterra, che forse non vedrà mai la luce; che deve lavorare come docile strumento nelle mani di Dio al servizio del prossimo, e che ripete, in ogni situazione, le parole insegnate da Gesù: “Abbiamo fatto quello che dovevamo fare e ringraziamo Dio”.

1. UOMO DI PREGHIERA: Pregava molto in comunità e in privato. Faceva una doppia preghiera: prima pregava col vecchio manuale di preghiere dell’istituto; poi proclamava i salmi con la comunità. Per poter far questo arrivava in cappella prima di tutti noi. A volte non arrivava a tempo perché essendo sordo come una campana, non sentiva la campana e neanche la sveglia. Subito chiedeva scusa con semplicità e umiltà.

Nella preghiera aveva i suoi appuntamenti: Mattina messa, alle 12 l’Angelus in cappella Comboni, alle 16 visita al SS. Sacramento col vecchio manuale, sempre in cappella Comboni. Poi il suo giretto di 4 tappe in giardino col rosario in mano. Prima stazione: la Croce; seconda stazione: la statua di Comboni; terza stazione: la grotta della Madonna; quarta stazione: S. Giuseppe.

Mentre lavorava in stanza, preparando le buste per la giornata missionaria, teneva radio Maria a tutto volume e seguiva innumerevoli S. Rosari e la S. Messa.

2. UOMO SILENZIOSO (definito il S. Giuseppe della comunità da p. Francesco Antonini…): Non parlava perché non ci sentiva, ma parlava con gli occhi e la testimonianza. Salutava inchinando il capo e svolgeva i suoi compiti con puntualità e attenzione. Era attento e responsabile nei compiti che aveva: distribuire la posta, preparare le buste per le giornate missionarie, aiutare in cucina a lavare i piatti e separare l’immondizia (il secco dall’umido), stare attento ai vasetti dei fiori all’ingresso.

Parlando del lavoro, ho notato la saggezza dell’uomo che mette in pratica l’Ecclesiaste 3: “C’è un tempo per tutto”… e il sapersi ritirare a tempo. Si dedicava al giardino e un piccolo orto, e quando sentì che non ce la faceva più “chiese il permesso” per smettere. Così pure chiese il permesso di ritirarsi prima dalla cucina, poi dal preparare le buste.  Continuò a occupare il suo tempo, visitando la grotta, San Giuseppe e la cappella Comboni.

3. UOMO POVERO: Viveva col necessario e non chiedeva mai niente. Quando venne trasferito a Castel d’Azzano, fu facile preparare la sua valigetta. In stanza aveva poche cose. Solo una abbondanza di immagini religiose, corone del Rosario, foto dei suoi famigliari, libretti di preghiera e un libro di Comboni, che, vedendo la stanchezza e il colore delle pagine, probabilmente aveva letto mille volte.

4. MISSIONARIO: Casa Madre era la sua vera casa per più di 70 anni… con un breve periodo a Roma.  Lavorò come spedizioniere di pacchi, casse e containers. Chi lo ricorda conferma che faceva tutto con amore, dedizione, responsabilità e spirito missionario. Aiutava anche in ufficio procura. Sempre in silenzio, sempre con scrupolosità e per amore alle missioni.

5. UOMO OBBEDIENTE: Era scrupoloso negli orari e doveri religiosi. La parola obbedienza era importante per lui. Quando, negli ultimi tempi, non voleva prendere medicine o non voleva che le donne entrassero a pulire la sua stanza… bastava dirgli: “per obbedienza” e diventava mansueto. Quando per obbedienza gli chiesi di trasferirsi a Castel d’ Azzano solo per qualche settimana… mi rispose con uno sguardo intelligente, per dirmi… “Lo so che mi stai imbrogliando e che non tornerò più a Casa Madre”. Io sentii tanta tristezza e tenerezza nel vederlo partire.

Gli ultimi giorni

Qui a Castel d’Azzano lo abbiamo accolto per un periodo breve, ma a tutti è rimasto impresso il suo sorriso e il suo perenne “grazie”, per i più piccoli servizi che riceveva. Mi pare che l’ultimo suo sorriso e il suo ultimo grazie me li abbia offerti quando ho strappato la pagina del calendario per indicargli che iniziava un nuovo giorno… All’ospedale quando si trovava in difficoltà o soffriva, le sue parole erano “Sia fatta la volontà di Dio”. 

“Ti rendo lode o Padre perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Fr. Franco è stato un piccolo a cui Dio ha rivelato i misteri del suo Regno. Semplicità, nascondimento, umiltà e servizio sono stati gli atteggiamenti di Gesù per 30 anni nel suo paese, Nazaret.  Sono gli atteggiamenti contemplati e assunti da Fr. Franco. L’importante non è apparire, ma essere; non sono le grandi opere, ma il servizio; non è l’essere riconosciuti, ma nel riconoscere negli altri dei fratelli da amare e da servire. Questa è stata la vita di Fr. Franco. Il suo nome non apparirà probabilmente nei libri di storia dove si narrano le imprese dei protagonisti.  Ma senza dubbio è scritto in cielo, nel libro della vita, e di questo, con lui, con S. Daniele Comboni, con P. Giuseppe Ambrosoli, con Sr. Giuseppa Scandola, con tutti i santi anonimi comboniani, ci rallegriamo ed esultiamo.
[
Combonianum]