Monsignore Christian Carlassare: “Sto bene e ringrazio tutta la solidarietà”

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Martedì 27 aprile 2021
Il vescovo Christian Carlassare, missionario comboniano, è già a essere assistito all’ospedale a Nairobi, in Kenya, dove è stato trasportato d'urgenza dopo essere stato aggredito a colpi d’arma da fuoco ad entrambe le gambe nella notte di ieri nella sua residenza di Rumbek, in Sud Sudan. Le indagini per scoprire i colpevoli e le ragioni di ciò che è successo è a un buon ritmo, grazie al fatto che uno degli assalitori ha lasciato inavvertitamente il suo telefono cellulare sul posto. Il vescovo Christian ci ha detto al telefono questo pomeriggio: “Sto bene e ringrazio tutte le persone che in un modo o nell'altro hanno espresso la loro solidarietà con me e con la comunità cristiana e la gente di Rumbek”. Secondo i medici che lo accompagnano, ha aggiunto, “dovrei rimanere per circa due settimane sotto osservazione qui a Nairobi”.

Padre Christian trasformerà questa violenza
in un atto di fraternità

Mons. Christian Carlassare è stato trasportato in aereo nella capitale del Kenya, Nairobi,
attraverso i servizi dell'African Medical and Research Foundation (AMREF) per un trattamento specializzato.
Credito: Diritti riservati (per cortesia).

A Vatican News padre Fabio Baldan, superiore della provincia italiana della Congregazione a cui appartiene il religioso ferito, dice che l'appoggio del Papa sostiene padre Carlassare e lo aiuterà a continuare la sua missione in Sud Sudan.

I missionari comboniani in Italia sono stati tra i primi con i quali ha parlato padre Christian Carlassare. Poco dopo l’attacco, ancor prima di essere trasferito in ospedale, il suo pensiero è stato per la famiglia e per i suoi confratelli. Per rassicurarli ha chiamato, ancora sotto choc per l’attentato, il provinciale in Italia, padre Fabio Baldan, che è in costante contatto con in comboniani che, in Kenya, sono ora al fianco di padre Christian.

La prima presenza dei comboniani in quello che poi diverrà Sud Sudan, il 9 luglio del 2011, è databile al 1858, quando Daniele Comboni vi giunge con alcuni suoi compagni. Ad oggi, nel Paese africano, si contano 29 padri comboniani, 12 fratelli comboniani e 45 suore comboniane:

R. – Da Nairobi i nostri confratelli ci tengono informati. Già ieri sera, quando è stato ammesso al Nairobi Hospital, hanno fatto i primi accertamenti, hanno verificato attraverso i raggi-x che, grazie a Dio, le ossa non avevano subito danno. C’erano però, nelle ferite, ancora delle schegge che potevano essere la causa della perdita di sangue eccessiva, quindi hanno subito organizzato per un intervento nella notte, hanno ripulito tutte le ferite, estratto le schegge e fatto quanto necessario per mettere le lesioni in sicurezza. Hanno poi proceduto con ulteriori trasfusioni a padre Christian, perché potesse star meglio. So che è andato tutto bene e che già stamattina ha cominciato a contattare la famiglia e altre persone. Adesso stiamo aspettando di vedere come si svilupperà la situazione nei prossimi giorni.

Padre Christian, sin dall'inizio, è stato molto lucido e molto sereno, ha dichiarato di aver perdonato gli aggressori e ha chiesto di pregare per le persone di Rumbek che soffrono più di lui…

R. – Sì, ho parlato con lui ieri mattina, poche ore dopo l’attacco, e già allora, nonostante fosse affaticato, però aveva mantenuto la lucidità e soprattutto questa attitudine di fede e di perdono. Lui stesso mi aveva detto, appunto, di comunicare ai confratelli di non preoccuparsi, che stava abbastanza bene, che chiaramente ringraziava per le preghiere, ma che ci invitava a pregare, soprattutto per le persone di Rumbek, per la sua gente che, in questa situazione, soffriva anche più di lui.

La sua gente che lo ha accolto, recentemente, con molto amore, è stato il 16 aprile scorso…

R. – Sì, senz’altro. Nonostante padre Christian vivesse in un’altra regione e con un’altra etnia, quando l’8 marzo scorso il Papa lo ha nominato come vescovo di Rumbek, la gente ha reagito con grande gioia, anche perché la diocesi era sede vacante dal 2011 (dalla morte, il 16 luglio 2011, dell’allora vescovo, il missionario comboniano Cesare Mazzolari ndr). Quindi, da tempo aspettavano di ricevere il pastore. Quando poi è arrivato il 16 aprile, anche per il fatto che padre Christian ha veramente un grande dono, un grande talento per il contatto umano, lo hanno accolto con grande gioia. In questi giorni, a quanto abbiamo saputo, c’erano stati molti incontri con diversi gruppi, con il clero, con tutte le persone che sono attive intorno alla città di Rumbek e nella diocesi. Quindi tutto stava praticamente andando benissimo, anche come preparazione per la sua consacrazione, poi purtroppo c'è stato questo atto di violenza.

Un atto di violenza del quale ovviamente è stato informato immediatamente Papa Francesco, che ha detto di pregare per il sacerdote ferito…

R. – Sì, chiaramente la vicinanza di Papa Francesco è stata molto sentita da tutti. Anche il presidente del Paese, Salva Kiir, si è fatto presente in questa situazione. È chiaro che Rumbek è situata in un Paese dilaniato dalla violenza in questo momento.  Violenza per i problemi etnici tra i vari gruppi del Paese, ma senz'altro c'è anche una lunga storia di violenza dovuta ai 40 anni di guerra civile. Insomma, la violenza è un po' all'ordine del giorno e quando ci sono dei conflitti, molto spesso la risposta più comune è la violenza, anche in questo caso si presuppone che ci siano delle tensioni all'interno della regione e della città, per cui probabilmente qualche persona sviata ha pensato che la violenza potesse essere una possibile soluzione.

Ma, secondo voi comboniani, quale potrebbe essere la ragione dietro a un'aggressione a un missionario arrivato da soli 10 giorni? Forse il fatto che provenisse, come ci diceva lei, da un'altra regione abitata da un'altra etnia?

R. - Io ho chiesto ieri mattina a padre Christian cosa pensasse, e lui mi ha detto sinceramente che era ancora troppo presto, che doveva rifletterci un attimo e sentire anche le persone di Rumbek, la gente, i suoi consiglieri, perché chiaramente non c’è stata alcuna spiegazione, questo atto è stato fatto in una maniera così violenta e irrazionale che è difficile capire subito qual sia il senso. È chiaro, però, che ci sono molte tensioni, ci sono tensioni tribali, venendo lui dalla zona di un’etnia che è tradizionalmente nemica del popolo Dinka, che è la maggioranza della diocesi di Rumbek, qualcuno può aver interpretato questo come un atto di offesa o di poco rispetto verso le persone presenti.

Sappiamo che per la Chiesa questo non ha alcun senso, anzi! Molto spesso il fatto di portare persone da un’etnia all'altra, anche a capo di una diocesi, è proprio in vista di un maggior dialogo, di una fraternità, però le persone non sempre ricevono questo messaggio. C’è però anche una situazione generale di violenza nel Paese. Quindi, il fatto anche che ci fosse uno straniero in una posizione così importante, può essere stata presa male anche da gruppi attivi politicamente o che non vogliono avere un testimone scomodo. Le possibilità sono veramente tante, si dovrà, penso, aspettare che il padre Christian stesso, al momento opportuno, ci faccia sapere cosa pensa.

Padre Christian ha vissuto questo momento con grande fede e sono sicuro che riuscirà a trasformare, anche questo episodio di violenza, in un momento di riconciliazione e di fraternità. Noi aspettiamo adesso che, perlomeno dal punto di vista fisico, possa guarire in maniera veloce per poter continuare la preparazione a quella che sarà la sua entrata ufficiale, la sua consacrazione nella diocesi. Conosco Christian ormai da molti anni, so che ha le capacità, dal punto di vista umano e spirituale, di vivere questo momento di violenza nella maniera migliore, così come la fede ci insegna. Soprattutto, l'aiuto e l'appoggio di tante persone, a partire da Papa Francesco, sono sicuro che diventeranno per lui uno sprone per continuare il suo ministero a Rumbek, non solo nella diocesi, ma per tutto il popolo del Sud Sudan.
[Francesca Sabatinelli – Vatican News]

Sud Sudan, agguato al vescovo di Rumbek.
Suor Balatti (missionaria comboniana):
“Era sereno. Probabile avvertimento”

È vivo per miracolo mons. Christian Carlassare, missionario comboniano nominato nuovo vescovo di Rumbek da Papa Francesco l’8 marzo 2021. La notte scorsa, appena passata la mezzanotte, due uomini armati hanno bussato alla porta della curia e gli hanno sparato alle gambe. È il più giovane vescovo al mondo nello Stato più giovane del mondo. Parla al Sir dal Sud Sudan suor Elena Balatti, comboniana.

Pochi giorni fa si erano sentiti al telefono con padre Christian, come lo chiamano tutti. “Era sereno, per nulla preoccupato. Mi ha detto che la mattina studiava il dinka, la lingua locale, e il pomeriggio riceveva in curia le persone. Che io sappia non aveva ricevuto minacce”. E invece, la notte scorsa, l’aggressione improvvisa. Gli spari alle gambe. La corsa disperata in ospedale. Il neo vescovo di Rumbek è vivo per miracolo. A parlare al Sir da Malakal, in Sud Sudan, è suor Elena Balatti, comboniana, ancora scioccata per l’agguato a mons. Christian Carlassare, nominato nuovo vescovo di Rumbek da Papa Francesco l’8 marzo 2021. La notte scorsa, appena passata la mezzanotte, due uomini armati hanno bussato alla porta della curia. Lui ha aperto e gli hanno sparato. 43 anni, nato a Schio e originario di Piovene Rocchette (diocesi di Padova) monsignor Carlassare è il più giovane vescovo del mondo. Era a Rumbek da una decina di giorni e il suo insediamento in diocesi è programmato per il 23 maggio prossimo. Prima padre Christian era vicario nella diocesi di Malakal, per questo con la religiosa comboniana si conoscevano bene.

A testimoniare i fatti a Radio Bakhita, una radio cattolica locale, un sacerdote che era nella stanza accanto, padre Andréa Osman. Per fortuna l’ospedale governativo, supportato dal 2016 da uno staff di Medici con l’Africa Cuamm, è a 500 metri dal compound cattolico e i soccorritori sono potuti intervenire subito. Perdeva molto sangue e solo grazie ad un volontario che avevo il suo stesso gruppo sanguigno, piuttosto raro, è stato evitato il peggio. Ora il vescovo è fuori pericolo ed è in attesa di un trasferimento via aereo all’ospedale di Juba. Poi i sanitari valuteranno se sarà necessario spostarlo a Nairobi o meno. Nonostante fosse sofferente, padre Christian ha subito chiamato la famiglia e il responsabile dei missionari comboniani in Italia: “Pregate non tanto per me ma per la gente di Rumbek che soffre più di me”.

“Siamo tutti scioccati e amareggiati”, racconta suor Elena.  Da stamattina il suo telefono squilla in continuazione. Chiamano le consorelle e confratelli comboniani, i catechisti, la popolazione sudsudanese. Sui social media girano numerose foto del vescovo ferito in ospedale. “La gente non ne può più di questi livelli di violenza – dice –. I sudsudanesi sono amareggiati anche perché non riescono a presentare al mondo una immagine pacifica del Paese”. E’ la seconda volta che un prete cattolico viene colpito nella regione del Lakes State: nel 2018 è stato ucciso un gesuita nella sua residenza a Cueibet County.

“Ora sono in corso le indagini – conferma la missionaria -. Potrebbero aver fermato 24 persone per accertamenti, come riferito dai media. E’ un fatto troppo eclatante e scioccante per il Paese. Sicuramente il governo procederà immediatamente con metodi forti, vista la rilevanza internazionale del caso. La giustizia sta cercando di fare il suo corso”.

Relazioni complicate tra tribù e clan. In una intervista recente al settimanale della diocesi di Vicenza “La voce dei Berici” padre Christian raccontava che “le relazioni tra tribù e clan sono complicate. Nel 2013 abbiamo attraversato una nuova ondata di violenza che ha provocato 4 milioni di sfollati su 10 milioni di abitanti. Il Paese, di fatto, è smembrato. Inoltre ogni tribù ha deciso che doveva difendersi da solo perché lo Stato non assicurava protezione, così ora circolano molti gruppi armati. La violenza ha toccato solo marginalmente Rumbek, ma anche qui gli episodi di violenza e di furti del bestiame sono frequenti. La gente, purtroppo, è abituata ad un clima di violenza”. I fedeli di Rumbek, diocesi a maggioranza dinka, una delle etnie più numerose nel Paese, avevano accolto con gioia padre Christian con un rito di benvenuto lo scorso 16 aprile.

Un avvertimento? La comboniana, in missione nel più giovane Paese del mondo da “talmente tanti anni che ho perso il conto”, conosce bene la delicatezza della situazione interna e le diffidenze tra etnie. Ci tiene perciò a sottolineare che monsignor Carlassare “non ha alcun legame con la politica: è stata la Chiesa a mandarlo lì, lui non ha alcuna responsabilità”. “A Rumbek molte questioni vengono regolate attraverso la violenza – dice -. E’ probabile che sia stato un avvertimento, ricorda certi metodi della mafia italiana”.

In Sud Sudan un cambiamento è necessario. “La mia speranza è che guarisca fisicamente e anche psicologicamente – afferma suor Elena – perché è stata sicuramente una esperienza scioccante. E’ una persona di fede e sono sicura che ciò avverrà. Ora deve pensare solo a rimettersi in forma”. La missionaria auspica che “episodi come questo facciano riflettere la gente che è necessario un cambiamento, attraverso la scuola, il lavoro per i giovani, lo sviluppo. Solo creando interessi alternativi la situazione migliorerà”. La diocesi di Rumbek era stata guidata prima da monsignor Cesare Mazzolari, missionario comboniano morto nel luglio del 2011, una settimana dopo la dichiarazione dell’indipendenza del Sud Sudan.

I vescovi del Sud Sudan. “Preghiamo Dio per questa situazione, in particolare per una rapida guarigione del vescovo”: lo affermano i vescovi del Sud Sudan, in una nota diffusa sui social dai missionari comboniani. I vescovi precisano che non c’è ancora “nessun dettaglio sull’identità degli uomini armati, sul motivo del loro attacco né sull’indagine ufficiale dell’autorità locale”. Si è in attesa di una nota ufficiale della Conferenza episcopale del Sudan, che riunisce i vescovi di entrambi gli Stati.
[Patrizia Caiffa – SIR]