P. Daniele Moschetti: “Ritorniamo a sognare, cercando vie verso un futuro migliore per tutti”

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Martedì 11 aprile 2023,
È troppo tempo che non vi scrivo più ed è arrivato il momento giusto. Io sto bene e in forma. Era da oltre un anno che non riuscivo a trovare, causa impegni vari, un tempo dove poter fermarmi e fissare qualche giorno di ritiro spirituale e di riposo. E ora sono qui a Gaeta in un posto bellissimo dove sto vivendo il mio tempo di silenzio, preghiera e meditazione in un luogo che già parla da sé, di Dio e della sua creazione stupenda.

Dalla mia finestra a strapiombo sul mare vedo l’increspare del mare con le sue onde e la bella spiaggia Serapo. La sera i cieli e i tramonti sono stupendi e pieni di colore come solo il Mar Tirreno sa donare. Dietro lo stabile dove vivo c’è una montagna non tanto alta ma significativa per la storia passata e per panorami. Insomma non potevo chiedere di meglio per vivere questo tempo particolare.

Sono ospite della comunità missionaria del PIME, Pontificio Istituto Missioni Estere del quale fanno parte alcuni amici e un compaesano a me caro p. Franco Beati che ora è contento in Guinea Bissau in missione africana. In questa comunità sono soprattutto anziani gioiosi che hanno vissuto molti anni tra Asia e Africa. Anche questa una benedizione del Signore per il tempo di immersione nello Spirito.

La montagna spaccata mi ricorda l’Oreb e il Tabor di Israele, montagne speciali per la Bibbia, il mare, il passaggio, l’esodo di Mosé e degli ebrei verso la terra promessa, quando le acque si divisero. Non è solo la bellezza di questo luogo a rendere prezioso il mio ritiro, ma anche il rimando a momenti importanti nella storia della salvezza personale e del Popolo d’Israele. Ascoltare Dio nel dialogo silenzioso e nella preghiera, credere in Gesù e seguirlo in questa quaresima portando la mia e nostra croce personale. Per essere più forti nel cammino verso la Pasqua.

Un predicatore speciale: Papa Francesco e il discernimento

Quest’anno per i miei esercizi spirituali a Gaeta ho pensato di “invitare un predicatore speciale”, Papa Francesco. Magari direte voi e in effetti l’ho “invitato tramite le registrazioni Youtube” delle sue 14 catechesi che ha condiviso con il Popolo di Dio per 4 mesi in Piazza San Pietro da settembre 2022 a gennaio 2023. Il tema era il Discernimento che avevo già approfondito anni fa ma che fa sempre bene rispolverare e approfondire. Mi interessava in maniera particolare perché questa parola intrinsecamente porta in sé tanti valori e sfide perchè è un esercizio che facciamo tutti i giorni nella nostra vita, nella nostra storia personale. E mi intrigava il fatto che Papa Francesco l’abbia scelta proprio per farci catechesi per così lungo tempo a tutti coloro che vogliono ascoltare la Parola di Dio e il proprio cuore. Un invito a scoprire quali sono le condizioni per operare una buona scelta in ciò che viviamo. E così ho pensato anche di offrire a voi amici qualche spunto sintetico di riflessione, consigli, che proprio Papa Francesco ci dona. E che hanno fatto bene anche a me durante questo tempo di silenzio e preghiera.

Il Papa parte dal presupposto che “discernere è un atto importante che riguarda tutti, perché le scelte sono parte essenziale della vita”. Le azioni del quotidiano in fondo sono frutto di una scelta, più o meno fondante: si sceglie un cibo, un vestito, un percorso di studi, un lavoro, una relazione. “In tutto questo si concretizza un progetto di vita, e anche la nostra relazione con Dio”. Il discernimento si presenta come un esercizio di ‘intelligenza’ e anche di ‘volontà’, per cogliere il momento favorevole: queste sono condizioni per operare una buona scelta. E c’è anche un costo richiesto perché il discernimento possa diventare concreto.

Non è possibile delegare una scelta ad altri, poiché ciascuna scelta è propria e parla di “situazioni inattese, non programmate, dove è fondamentale riconoscere l’importanza e l’urgenza di una decisione da prendere”. Favorire l’incontro tra il tempo e l’eterno è ciò che in sintesi, dice Francesco, è il discernimento. Il Vangelo suggerisce un altro aspetto importante del discernimento: esso coinvolge gli affetti. Si insiste sul fatto che chi ha trovato il “tesoro nascosto” non avverte la difficoltà di vendere tutto, tanto grande è la sua gioia, come racconta l’evangelista Marco (cfr Mt 13,44) usando un termine che esprime “una gioia del tutto speciale, che nessuna realtà umana può dare”.

“Nel giudizio finale Dio opererà un discernimento nei nostri confronti. Le immagini evangeliche del contadino, del pescatore e del mercante sono esempi di ciò che accade nel Regno dei cieli, un Regno che si manifesta nelle azioni ordinarie della vita, che richiedono di prendere posizione. Per questo è così importante saper discernere: le grandi scelte possono nascere da circostanze a prima vista secondarie, ma che si rivelano decisive”.

Conoscenza, esperienza, libro della vita, affetti/sentimenti, volontà sono alcuni elementi indispensabili del discernimento. “Il discernimento comporta una fatica. Secondo la Bibbia, noi non ci troviamo davanti, già impacchettata, la vita che dobbiamo vivere. Dio ci invita a valutare e a scegliere: ci ha creato liberi e vuole che esercitiamo la nostra libertà. Per questo, discernere è impegnativo.”.

Dio ci vuole figli, non schiavi, ci vuole liberi. Ciascuno di noi non è immune da scelte che si rivelano sbagliate: è comune “l’esperienza di scegliere qualcosa che sembrava bene e invece non lo era. Oppure sapere quale fosse il nostro vero bene e non sceglierlo. L’uomo, a differenza degli animali, può sbagliarsi, può non voler scegliere in maniera corretta”.

Dio dà all’uomo una precisa istruzione: se vuoi vivere, se vuoi gustare la vita, ricordati che sei creatura, che non sei tu il criterio del bene e del male e che le scelte che farai avranno una conseguenza, per te, per altri e per il mondo (cfr Gen 2,16-17); puoi rendere la terra un giardino magnifico o puoi farne un deserto di morte. Un insegnamento fondamentale: non a caso è il primo dialogo tra Dio e l’uomo. Il discernimento è faticoso ma indispensabile per vivere. Richiede che la persona si conosca, che sappia cosa è bene per lei in quel momento. Richiede soprattutto un ‘rapporto filiale con Dio’. Dio è Padre e non ci lascia soli, è sempre disposto a consigliarci, a incoraggiarci, ad accoglierci. Ma non impone mai il suo volere. Perché? Perché vuole essere amato e non temuto. E l’amore si può vivere solo nella libertà. Per imparare a vivere si deve imparare ad amare, e per questo è necessario discernere. 

Papa Francesco termina queste catechesi sul valore del discernimento con una frase importante invitandoci a vigilare…. perché tutto è vano in questo processo di discernimento se poi alla fine non sappiamo vigilare il nostro cuore! Questo è un grande segno di saggezza e umiltà ed è via maestra per la vita cristiana.

CUTRO E DINTORNI

La Quaresima è iniziata con un’altra tragedia in mare oltre alla guerra in Ukraina che continua assurdamente. Ancora tante croci… ancora tante morti innocenti! Quel mare da attraversare per arrivare in posti più sicuri, invece, è stato la tomba di uomini, donne e bambini. Quel mare che ci restituisce i corpi senza vita e canta una canzone triste di pianti innocenti. Una vera Passione e Morte! Mi chiedo come sia possibile affidare a Frontex il controllo delle migrazioni dopo le continue denunce per corruzione e per violenze sui migranti della rotta balcanica. Il Governo ha il dovere di fare chiarezza sull’omissione dei soccorsi e soprattutto non nascondere la verità. Rivedere la legge sull’immigrazione Bossi/Fini vecchia oltre 30 anni. Ma questo è una chimera! Mobilità umane ormai inevitabili e destinate ad aumentare. Un dovere di rispetto verso i soccorritori, chi accoglie, la Guardia costiera, le varie organizzazioni, anziché penalizzare e vietare gli aiuti. Si fa la guerra alla solidarietà quella vera. Non è più un segreto e diventa sempre più evidente. Ma credo che qualcosa stia cambiando nella mentalità comune. Si è vista tanta solidarietà e attenzione verso questi poveri cristi sopravvissuti e pietà per i morti, ricomposti nelle bare. E il governo Meloni non ha avuto la delicatezza di visitare i morti e nemmeno di incontrare i parenti delle vittime. Volutamente! Davvero vergogna!

Ma la gente calabrese in questi 10 giorni ha espresso tanta solidarietà in molti modi. Ed è questo che salva l’Italia e gli Italiani. “Non vogliamo un’Europa con il filo spinato e laddove è difficile trovare accoglienza. Le persone che hanno perso la vita in questo mare sono la carne di Gesù”. Sono parole chiare e decise che mons. Angelo Raffaele Panzetta, arcivescovo di Crotone-Santa Severina, ha espresso al termine della Via Crucis che si è tenuta sulla spiaggia dello Steccato di Cutro, animata dalle parrocchie del territorio crotonese. E ha continuato “Gesù è il cuore accogliente e ospitale di Dio nei confronti dell’umanità. Se siamo cristiani non possiamo non essere accoglienti, dobbiamo avere il cuore aperto come il Signore e sappiamo che Dio, oceano di pace, ha accolto questi fratelli e sorelle con cuore di Padre”. La morte di 86 persone, superstiti recuperati 81 e dispersi tra i 30 e 50 deve farci pensare davvero cosa voglia dire fuggire da situazioni difficili di altri paesi. Erano la maggior parte di loro dalla Siria, Pakistan e Afghanistan, nazioni che stanno vivendo guerre, terremoti, dittature ed oppressori.

Sono trascorsi 10 anni da Lampedusa dove persero la vita quasi 400 persone e ora Cutro. Nulla è cambiato. E quante altre persone sono andate in fondo al mare durante questi ultimi 10 anni. Non si riesce a fare a meno di pensare a quelle vite – ai bambini, alle donne, agli uomini, ciascuno con un nome, una storia, dei familiari che li piangono – travolte dalla nostra indifferenza, inghiottite dal nostro egoismo. All’inarrestabile fremito di speranza, all’innato istinto di sopravvivenza che le aveva spinte a cercare vita, più vita, affidandosi alla forza ignota del mare, alle mani crudeli di dispensatori di morte. E con il trascorrere dei giorni, poi, aumentano i dubbi su ciò che avrebbe potuto essere fatto. Si tirano in ballo “regole di ingaggio”, si pronunciano parole dure come le pietre: “Non si doveva partire”, che è come dire: “È colpa vostra”. E aumentano la rabbia e il dolore. Oggi quel male non abita le profondità degli abissi, ma è nel nostro cuore indurito, che ha riempito quegli abissi di morti innocenti. Ed è il nostro cuore che oggi Gesù deve liberare. Non si riesce a non pensare a quest’ultima strage, a tutte le stragi, anche a quelle che si sono consumate lontano dai nostri occhi, dalle nostre coste. Continueranno i viaggi, non si fermeranno le traversate! Fino a quando ci saranno ingiustizie, sperequazioni, oppressione e sfruttamento. Fino a quando non finiremo di saccheggiare e fare violenza nei Continenti e sulle terre dei poveri migranti. E i poveri verranno a chiederci conto delle nostre azioni! Soprattutto Dio!

Mons. Panzetta ha condiviso anche nella Via Crucis così vera e dolorosa: “abbiamo la necessità di generare intorno a noi un clima di accoglienza, di fraternità, di amicizia, non permettiamo alla paura di farci diventare comunità dal cuore gelido, atterrito di fronte alle diversità, perché noi vogliamo una convivialità delle differenze”. È questo il futuro multiculturale, multireligioso e multietnico che siamo chiamati a costruire insieme come famiglia umana. Il sogno di Dio che nel nome della fraternità ci invita ad essere l’umanità dell’Arcobaleno di Dio Padre. Ma è e sarà possibile veramente? Noi ci crediamo.

PADRE NOSTRO
"Padre Nostro, che sei tra i flutti,
Che almeno oggi tra le onde
non si senta gridare il tuo nome!
Che sia un porto sicuro il tuo regno e,
dopo tanto cielo e mare,
che sia terra la tua volontà!
Dacci oggi la nostra riva quotidiana
e vieni a cercarci
così come noi cerchiamo
coloro che si sono perduti.
Non abbandonarci alla tempesta,
ma liberaci dal mare”.
(Don Giorgio Pisano)

RICORDANDO ZIA CAMILLA

Che triste notizia! Era nell’aria e prima o poi sarebbe successo! Poco prima di partire per il mio ritiro ho ricevuto questa triste notizia. Zia Camilla non c’è più…! Una donna a 94 anni, prima o poi se ne va… ma Camilla fino all’ultimo è stata una roccia. Era la zia di un mio confratello e amico P. Stefano Giudici. Dalla nostra formazione è sempre stata molto vicina a noi che ci stavamo preparando ad essere missionari. E ha sempre voluto continuare le sue corrispondenze e messaggi con me e con tanti di noi missionari comboniani nel mondo che le stavano nel cuore. Mi dispiace molto. Ho il rimpianto di non averla potuta visitare nell’ultima visita che ho fatto a casa dai miei. Mi mancherà tanto. E' un'altra amica che ci lascia. Per me è stata veramente una grande amica e finché le forze gliel'hanno consentito si è prodigata per tante cose. Anche con le traduzioni italiano/inglese, gli articoli per la redazione del sito di Korogocho che avevamo aperto nel tempo della missione Kenyana. Aveva la gente della baraccopoli di Korogocho e la Missione Comboniana nel cuore. Su facebook è bello vedere i messaggi di affetto, di ringraziamento per il sostegno, l’accoglienza dei giovani di Korogocho. Korogocho era anche la sua missione e conoscendo l’inglese è stata capace di creare un legame forte con alcuni giovani che ha sostenuto, appoggiato e condiviso i loro sogni. Una grandissima donna, forte nella fede e speranza che sono state un dono per tutti coloro che l'hanno conosciuta, non solo per me ma per tutti noi missionari. Ci sono persone giuste e vere che passano sulla Terra per donare il Bene, a dare testimonianza della fede, di valori profondi, di amore autentico.

Di certo è nella Pace e nella Luce di Dio e continuerà a pregare per tutti noi. Non la sentiremo più, non la vedremo più, il distacco c'è, è innegabile. Se così non fosse, la morte non sarebbe un lutto, un distacco, non piangeremmo i nostri cari. Anche Gesù pianse per la morte dell'amico Lazzaro. Umanamente il dolore resta, pur nella certezza della Resurrezione e dell'entrata nella Vita senza fine. Ed è giusto piangere per un'amica che ci lascia, perché le abbiamo voluto bene, è stata un dono, ci ha fatti sentire amati, importanti in mille modi, anche nelle preziose critiche e a volte nei rimproveri. È stata una “zia e spesso anche mamma” per me e per noi missionari. Il suo cuore, la sua casa erano sempre aperti a tutti.

Certamente nostra zia Camilla ci ha voluti bene che aiuta a voler bene. Chi si isola, non sorride mai, non sa dare una parola buona, ascolta solo se stesso, non proverà mai la gioia di sentirsi amato e di amare. Camilla era nubile ma la fertilità di una persona non si misura con il metro biologico, di quanti figli abbia avuto e cresciuto, considerato anche che genitori si diventa e non è facile esserlo, ma da quanto amore sa dare agli altri e da quanti ci amano. Camilla ha amato ed è stata amata. Cara Camilla, grazie infinite di cuore!

ANDARE OLTRE… SEMPRE OLTRE

Una delle tante esperienze profonde ed interessanti che ho vissuto in questo tempo che non vi ho scritto è stato partecipare al nostro Capitolo Generale dei Missionari Comboniani tenutosi a Roma per tutto il mese di giugno 2022. Un anno dopo la sua indizione che doveva essere nel settembre 2021. È un momento dove noi missionari con i rappresentanti di tutte le nazioni del mondo comboniano viviamo ogni sei anni per rivedere la nostra missione globale e alcuni aspetti del nostro istituto da aggiornare e rivedere. In questo mese abbiamo avuto l’opportunità di incontrare Papa Francesco che ci ha ricevuto e accolto in Vaticano, Ci ha dedicato un’ora del suo tempo condividendo con noi un messaggio. Metto qui soltanto un breve stralcio del suo messaggio e del suo invito per la nostra missione dei prossimi 6 anni a venire:

“Ecco perché alcuni grandi missionari, come Daniele Comboni, hanno vissuto la loro missione sentendosi animati e “spinti” dal Cuore di Cristo, cioè dall’amore di Cristo. E questa “spinta” ha permesso loro di uscire e di andare oltre: non solo oltre limiti e confini geografici, ma prima ancora oltre i loro stessi limiti personali. Questo è un motto che per voi deve “fare rumore” nel cuore: andare oltre, andare oltre, andare oltre, sempre guardando l’orizzonte, perché sempre c’è un orizzonte, per andare oltre. La spinta dello Spirito Santo è quella che ci fa uscire da noi stessi, dalle nostre chiusure, dalla nostra autoreferenzialità, e ci fa andare verso gli altri, verso le periferie, là dove maggiore è la sete di Vangelo. È curioso che la tentazione più brutta che noi religiosi abbiamo nella vita è l’autoreferenzialità; e questo ci impedisce di andare oltre. “Ma per andare oltre devo pensarci, vedere…”. Vai, vai, vai! Vai all’orizzonte, e ti accompagni il Signore. Ma quando incominciamo con questa psicologia, questa spiritualità “dello specchio”, finiamo di andare oltre e torniamo sempre al nostro cuore che è ammalato. Tutti abbiamo il cuore ammalato e la grazia di Dio ci salva, ma senza grazia di Dio kaputt, tutti! Importante è questo: con lo Spirito andare oltre…
Papa Francesco ai Missionari Comboniani in Capitolo generale, 18 giugno 2022

E COSA VUOLE DIRE PER ME… ANDARE OLTRE? VERSO LE PERIFERIE…

Queste parole di Papa Francesco, sin da quando le ha pronunciate, leggendole dal testo ma anche a braccio, mi hanno colpito e toccato molto. Lo notavo quel giorno. Papa Francesco ha ripetuto più di una decina di volte quelle parole “ANDARE OLTRE”. E mi chiedevo cosa volesse dire per me, per noi come istituto, noi come missionari sparsi in quattro continenti di questo bellissimo mondo. C’è molto da fare e soprattutto di essere, di testimoniare soprattutto sia come singoli che come comunità fraterna al servizio di Dio e degli ultimi, degli scarti della società in un mondo che emargina e non ha misericordia verso i più deboli, fragili e indifesi. Che sono miliardi nei paesi del sud del mondo dove sono in maggioranza. Ma non solo. Anche qui nel Nord del mondo stanno crescendo a milioni, anche qui in Europa e in Italia.

La mia vita missionaria l’ho sempre vissuta “andando oltre”, cercando di rispondere umilmente e disponibile ad una chiamata che ho sempre sentito dentro in tutti questi anni. Servire Gesù nei volti e nelle storie dei poveri e degli ultimi che Lui mi faceva incontrare dovunque sia stato in Africa e in altri continenti. E sempre nelle periferie umane e della storia perché molto spesso dimenticate da tutti. Gli anni duri ma stupendi e significativi passati in baraccopoli a Korogocho in Kenya sono stati un laboratorio di umanità, spiritualità e di vita vissuta in pienezza incontrando molti uomini e donne alle quali non veniva riconosciuta la propria dignità perché bambini di strada, prostitute, raccoglitori della discarica, alcolisti, drogati, criminali e altro ancora. Erano e sono gli “scarti di quella società”. Ma sono uomini e donne come me con gli stessi sentimenti e desideri ma con una lingua, cultura, tradizioni e pelle diversa ma anche loro come me alla ricerca del Dio della Misericordia e della Vita. Ed è proprio quell’andare oltre che mi ha dato nuova vita, mi ha salvato, mi ha arricchito, mi ha maturato come uomo, religioso e sacerdote. Undici anni di dono che mi hanno fatto crescere molto alla scuola dei poveri!

La Grazia di Dio è sempre grande e se ci lasciamo guidare ci fa entrare in una dimensione diversa del nostro essere e in quello degli altri. La scoperta dell’essere tutti fratelli e sorelle l’avevo già sperimentata e vissuta in tanti momenti proprio a Korogocho. Ma anche in Palestina, durante la mia permanenza per il mio anno sabbatico, nel conflitto tra Palestinesi ed Israeliani. Così pure come i miei sette anni vissuti in Sud Sudan nell’assurdo conflitto fratricida dei leaders del paese che hanno condannato a morire oltre 400 mila persone con uccisioni, violenze e stupri a donne e bambini mai visti nemmeno nella guerra con il Sudan islamico per i precedenti 30 anni. E milioni sfollati e all’estero come rifugiati. E poi un anno negli Stati Uniti presso le Nazioni Unite e Parlamento Americano dove ho vissuto con sofferenza un passaggio nei corridoi e le assemblee asettiche e artificiali con tappeti rossi di chi decide il futuro del mondo. Ma allo stesso tempo sono molto lontano dalle realtà delle periferie di questo mondo ma al centro del potere economico e politico. Lontanissimo dalla gente e dai poveri che gridano pace e giustizia in tante parti del mondo! Era un mondo che era lontano anche da me abituato a vivere la periferia e la realtà emarginata ma abituato a camminare insieme a popoli che lottano “per vivere e molti per sopravvivere”.

E così ho chiesto di ritornare in periferia e in una missione di frontiera. Ma stavolta non in Africa ma nel Nord del Mondo. In Italia e nel Sud a Castel Volturno dove ben sapete e con i migranti. Perché anche qui è pienamente Missione se la viviamo con entusiasmo e passione come fossimo in altri continenti. Il mio ministero e luogo di missione oggi è con i migranti soprattutto africani presenti che sono oltre 15 mila, la maggioranza senza documenti regolari. Una piccola Africa vicino a Napoli. Ci sono da quattro anni ormai e comprendo sempre più che le dinamiche di chi vive ai margini e nelle frontiere periferiche del mondo sono molto simili ovunque e fotocopia di istituzioni che lasciano crescere situazioni di disagio senza comprendere che possono essere esplosive perché in crescita numerica.

In queste periferie del mondo, la cosa più bella e profonda che ho sempre provato è il sentirmi a casa dove trovavo accoglienza fraterna, amicizia e semplicità nei rapporti umani. E questo ti fa andare oltre….ti fa superare i confini e i muri che noi umani sappiamo costruire dentro e fuori di noi stessi. Non è facile vivere e resistere in luoghi come le baraccopoli o in guerre civili e altre situazioni di violenza e suprusi. Quando ricevi minacce di violenza o di morte. Ma ti dà nuova vita e ti rinnova dentro e fuori. Papa Francesco ci stimola sempre e ci invita ad andare nelle periferie a vedere il mondo com’è davvero. Soprattutto dove vive la maggioranza delle persone di questo mondo. Dalla periferia il mondo appare più chiaro ma anche più ingiusto. Per trovare un futuro nuovo, bisogna andare nella periferia. Quando Dio ha voluto rigenerare la creazione e con Gesù, ha scelto di andare nella periferia: nei luoghi di peccato e miseria, di esclusione e sofferenza, di malattia e solitudine. Erano anche luoghi di opportunità, di grande accoglienza e umanità.

Bisogna frequentare le periferie e viverle: quelle urbane, delle campagne, quelle sociali e quelle esistenziali. Il punto di vista degli ultimi è la migliore scuola, ci fa capire quali sono i bisogni più veri e mette a nudo le soluzioni solo apparenti. Mentre ci dà il polso dell’ingiustizia, ci indica anche la strada per eliminarla: ti fa comprendere come sia necessario costruire comunità dove ciascuno si senta riconosciuto nella propria dignità come persona e cittadino, titolare di doveri e diritti, nella logica che lega l’interesse del singolo e il bene comune. Perché ciò che contribuisce al bene di tutti concorre anche al bene del singolo.

Questi luoghi periferici sono realtà nelle quali viene meno la disponibilità e la qualità dei servizi, e si formano nuove sacche di povertà ed emarginazione. È lì che le città e le nazioni si muovono a doppia corsia: da una parte l’autostrada di quanti corrono comunque ipergarantiti, dall’altra le strettoie dei poveri e dei disoccupati, delle famiglie numerose, degli immigrati, degli scarti e di chi non ha qualcuno su cui contare. Non dobbiamo accettare che ci siano realtà che separano e fanno sì che la vita dell’uno sia la morte dell’altro e la lotta per sé finisca per distruggere ogni senso di solidarietà e umana fratellanza.

SPERANZA
Quando passerà la tempesta e le strade si saranno placate
e saremo sopravvissuti di un naufragio collettivo,
con il cuore in lacrime e il destino benedetto
ci sentiremo felici soltanto per essere vivi.
E daremo un abbraccio al primo sconosciuto
lodando la fortuna che c’è ancora un amico.
E poi ricorderemo tutto quello che abbiamo perduto
e finalmente impareremo tutto ciò che non avevamo mai imparato.
E non invidieremo più perché tutti hanno sofferto.
E non saremo inerti ma più compassionevoli.
Ciò che appartiene a tutti varrà più di tutto quanto ci eravamo procurati.
Saremo più generosi e molto più coinvolti.
Capiremo quanto sia fragile essere vivi.
Suderemo empatia per chi c’è e per chi se n’è andato.
Ci mancherà il vecchio che chiedeva un euro al mercato,
non ne hai mai saputo il nome ma era sempre al tuo fianco.
E forse quel povero vecchio era il tuo Dio travestito.
Ma non gli hai mai chiesto il nome, eri sempre di fretta.
E tutto sarà un miracolo e tutto sarà un patrimonio
e rispetteremo la vita, la vita che abbiamo guadagnato.
Quando passerà la tempesta ti chiedo, Dio, con vergogna,
di rifarci migliori, come ci avevi sognati.
Alexis Valdes

TRASFIGURARSI PER GLI ALTRI

Prima di partire per la Montagna Spaccata, nella seconda domenica di quaresima ho letto e commentato il vangelo del giorno con la piccola comunità cristiana di Castel Volturno. Di solito nella seconda domenica quaresimale si legge il vangelo della Trasfigurazione di Gesù sul Tabor davanti a tre suoi discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. I discepoli dopo aver assistito alla sua trasfigurazione proponevano a Gesù di fare tre tende e di rimanere là sul monte perché era una situazione ottimale e alla presenza di Mosè ed Elia, la legge e i profeti di Dio. Ma Gesù dice a loro che bisogna tornare giù a valle, dove c’è molto da fare e soprattutto da vivere insieme e sapersi trasfigurare nel mondo.

La Trasfigurazione di Gesù è invito a “trasfigurarci” per gli altri. Scrive il teologo e pastore luterano Dietrich Bonhoeffer: “Chi riconosce Gesù trasfigurato, chi riconosce Gesù come Dio, deve anche riconoscerlo subito come l’uomo crocifisso, ascoltarlo e obbedirgli. La visione che di Cristo ha Lutero: “Il Signore Crocifisso”. I discepoli sanno del Risorto, lo hanno contemplato nella Gloria, ma scomparsa la visione vedono soltanto l’uomo che va sofferente verso la croce. A Lui devono credere, Lui devono ascoltare, Lui devono seguire. Sono gettati di nuovo sulla via della passione. Adesso la percorrono con maggior certezza, adesso la possono percorrere nella fede perché sanno della resurrezione. Però non vivono ancora nel mondo del Risorto, bensì nel mondo della croce. E qui occorre ascoltare, credere, seguire…”  E’ un breve sunto di un sermone, che ben sottolinea come non c’è alternativa alla Croce per entrare nella gloria della Risurrezione. E’ parte del Mistero della salvezza, che conosceremo in modo pieno nella vita eterna, ma già ci è anticipato da Gesù con la Sua vita pieno compimento della volontà del Padre. E noi con Lui, alla Sua sequela, ascoltando e credendo. Questo è tempo di fede e vita non ancora della contemplazione. Dio Padre anticipa ai discepoli il Figlio trasfigurato perché possano sperimentare con Gesù la Passione, l’onta del Golgota. E sappiamo che per i discepoli fu una fuga dal proprio amico e maestro. L’incapacità di sostenere e resistere con Lui nemmeno per pregare nel Getsemani. La paura che diventa padrona dell’uomo e che rifiuta la condanna, la croce, la morte. I tre discepoli si erano già scordati della Trasfigurazione. Ma lo vivranno poi in totalità come Gesù con l’aiuto dello Spirito Santo che darà loro la forza e il coraggio di testimoniarlo fino in fondo, trasfigurandosi al servizio del mondo, dei fratelli e sorelle che hanno incontrato sul loro cammino.

Viktor Frankl, psichiatra sopravvissuto ai campi di concentramento, nel suo libro “Uno psicologo nel lager”, tra le altre narra la storia di un’altra donna, di cui lui è stato testimone: “Sono grata al mio destino per avermi colpita così duramente perché nella mia vita di prima ero troppo viziata e non avevo nessuna ambizione spirituale (si tratta di una giovane donna che morì pochi giorni dopo questo discorso). Quest’albero è il solo amico nei momenti di solitudine - fuori dalla baracca c’è un castagno in fiore - con quest’albero parlo spesso - credevo stesse delirando - le chiesi dunque curioso, se l’albero può rispondere: mi rispose di sì, mi ha detto: io sono qui, io sono qui, la vita eterna”.

La vita eterna non è solo quella dopo la morte, ma quella che trabocca anche nel quotidiano, quel presente ricapitolato da Cristo nella sua resurrezione da morte. Un presente che spesso noi fuggiamo presi da preoccupazioni, o più semplicemente perché non è come noi vorremmo. Solo chi rischia di vivere nel presente, come ha fatto questa donna anonima, può essere divinizzato, scoprendo nella vita quotidiana la vita eterna del già e del non ancora.

Io sono sempre stato convinto di quanto sia importante vivere bene il presente, in quanto il passato è andato, il futuro è ancora da scrivere e proteso verso il domani. Ma mai avevo pensato alla vita eterna come già traboccante nel nostro quotidiano. L’ho sempre rimandata a dopo la morte, quando l’eternità germoglierà in noi e il tempo sarà passato, non esisterà più. Questa anonima donna internata in un lager, luogo di morte, di angoscia, ci dà una lezione enorme sul legame tra presente e vita eterna: nel dialogo con l’albero la sua drammatica condizione si trasforma, cogliendo il divino dentro il suo presente. La vita eterna è già qui e ha un grande senso costruire il Suo Regno già in questo mondo.

Vivere bene il presente è dunque accettarlo, senza fuggire dalle nostre responsabilità o nascondendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi perché non ci piace, non soddisfa i nostri desideri, le nostre ambizioni, tradisce i nostri sogni, ci delude negli affetti, nel lavoro, nell’impegno. L’accettazione mi mette nella condizione di creatura, di rendere grazie al Padre per tutto, per ciò che mi dà e per ciò che non mi dà. Mi toglie dalle illusioni, da progetti mai fattibili per concentrarmi su ciò che sono e sul rapporto con gli altri, soprattutto in famiglia e in comunità, dato spesso per scontato. E qui, l’ordinario si fa straordinario, il presente vita eterna, ora, non dopo la mia morte.

In un tempo in cui tante persone cercano di fuggire dal presente che fa paura, tra la pandemia Covid non ancora sconfitta, la guerra tra Russia e Ucraina, i conflitti in gran parte del mondo, i tanti cambiamenti climatici che preoccupano, il terremoto in Turchia e in Siria, magari cercando distrazioni nella tv spazzatura e in altri modi per sentirsi “vivi”, noi credenti vogliamo testimoniarne la bellezza come tempo traboccante di vita piena, sempre, ovunque ci troviamo. Perché abbiamo la certezza che Lui non ci abbandona mai, soprattutto nei momenti della prova, del dolore e della morte.

La creazione di Dio è un processo dinamico. Il mondo è sempre in gestazione. Paolo nella lettera ai Romani, dice che tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto (Rom 8,22) perché Lui vuole costruire il mondo insieme a noi, come suoi collabotori, in ogni momento. Ci ha invitati e ci invita ancora ora in mezzo a così tante crisi umane a cambiare, costruire, dominare la creazione, un compito positivo che significa creare da essa e con essa. Essere co-creatori oggi per il futuro del mondo! E trasfigurarsi per gli altri è una dimensione che dobbiamo vivere in pienezza e offrirla agli altri come testimonianza umile di servizio.

Dal discorso di Papa Francesco ai religiosi
Juba, 4 febbraio 2023

“…Ai Pastori è richiesto di sviluppare proprio quest’arte di “camminare in mezzo”. Dev’essere la specialità dei pastori, camminare in mezzo: in mezzo alle sofferenze, in mezzo alle lacrime, in mezzo alla fame di Dio e alla sete di amore dei fratelli e delle sorelle. Il nostro primo dovere non è quello di essere una Chiesa perfettamente organizzata – questo lo può fare qualsiasi ditta –, ma una Chiesa che, in nome di Cristo, sta in mezzo alla vita sofferta del popolo e si sporca le mani per la gente.
Dobbiamo camminare in mezzo e insieme, imparando ad ascoltare e a dialogare, collaborando. Ecco, vorrei ripetere questa parola importante: INSIEME. Non dimentichiamola: INSIEME!!...”

PAPA FRANCESCO IN AFRICA: CONGO RDC E SUD SUDAN!

Sembrava proprio un sogno il viaggio di Papa Francesco in Congo e in Sud Sudan. Un sogno a lungo atteso e divenuto una realtà agli inizi di febbraio 2023. La speranza per questo viaggio è sempre rimasta accesa in me e soprattutto nella gente del Sud Sudan. Considerando la salute del Papa, costretto in carrozzina, molta gente si chiedeva come potesse concretizzarsi. Non è stato facile per Francesco affrontare un viaggio così lungo, in Paesi caldi con conflitti e tensioni interne. Lo Spirito lo ha condotto in Africa per portare un messaggio di pace, parole di riconciliazione, di dialogo, di speranza per il futuro. Ma anche parole decise e precise che toccano i punti vitali di conflitti e divisioni che purtroppo sono ferite aperte soprattutto per i poveri, i giovani, le donne e i bambini. La catena debole di ogni società ma la più vivace e tenace.E Papa Francesco ha dato loro gioia e soddisfazione cercando il contatto e la vicinanza, il sorriso e la gioia di esserci finalmente in Africa.

In Sud Sudan ci sono stato per 7 anni intensi e preziosi. È stato tempo in cui ho visto la gioia e l’entusiasmo dell’indipendenza del paese nel 2011 ma anche le lacrime di gioia e di rimpianto delle donne, madri e degli anziani piangere i loro cari per i milioni di morti delle guerre che andavano avanti da circa 21 anni la seconda guerra e la prima ancora da 17 anni. E poi ho visto anche il dramma della guerra civile per altri 5 anni, peggiore di quelle vissute prima con quasi 400 mila morti e tanto tribalismo, stupri, uccisioni e ferite e traumi aperti ancora oggi nei cuori di ogni sud sudanese. Nel 2017 ho camminato a piedi per 1100 km per la pace in Sud Sudan in Spagna vivendo il pellegrinaggio di Santiago di Compostela, un’avventura ed esperienza di vita molto bella e preziosa che porto dentro il mio cuore ancora con tanto affetto. Il viaggio del Papa del 2017 fu posposto e così pure gli altri programmati. Fino a quello di febbraio 2023. Ero certo che Papa Francesco ce l’avrebbe fatta. Me lo aveva confidato già tre volte quando in vari momenti lo avevo incontrato. Soprattutto quando gli avevo dato in Piazza S. Pietro in ottobre 2017 il mio libro sul Sud Sudan accompagnato dalla sua introduzione speciale. In quell’occasione lo avevo sentito anche un po' deluso da alcune circostanze ma determinato ad arrivarci in Sud Sudan. Soprattutto per la gente del Popolo che lui ama molto perché conosce e solidalizza con un popolo crocifisso dalla sua storia e dall’incapacità dei leaders politici e militari di raggiungere una pace vera e duratura per il bene comune di tutti. Tanta corruzione, nepotismo e tribalismo che sono legati a tante dinamiche di chi su questo paese ha altre mire se non quelle di sfruttamento delle ricche risorse del territorio. Così come la Repubblica Democratica del Congo... due paesi ricchissimi di tante risorse ma tra i più poveri al mondo. Papa Francesco ha gridato a Kinshasa parole dure a chi sta sfruttando e depauperando l’Africa: “Giù le mani dall’Africa…giù le mani dal Congo!” Ha prestato la sua voce a milioni di Africani che vivono lo stesso destino e sofferenza di non poter diventare mai capaci di gestire autonomamente le loro ricchezze senza i monopoli di multinazioniali e nazioni sovrane potenti che hanno grandi interessi che rimanga lo status quo. E’ ancora lugno il cammino per questi due paesi ma Papa Francesco ha dato forza, coraggio e speranza alla gente donando loro dignità, vicinanza e affetto doni che i potenti non sanno dare mai.

Questo viaggio del Papa è stato un dono immenso per me anche! Mi sono sentito là accanto alla gente, ai confratelli e missionari presenti, ai sacerdoti e ai Vescovi, con la presenza del cuore e nella preghiera.

Ho avuto anche il dono di commentare in diretta tv questo giorno e mezzo di visita di papa Francesco. Così ho potuto seguire in diretta ciò che Francesco condivideva con la gente e come il popolo accoglieva questo tempo storico e di Grazia. Così ho potuto raccontare a TelePace, a Tv2000 e anche a Rai 1 “A sua immagine” ciò che di bello dona l’Africa a noi e anche aiutare a capire meglio questo viaggio di Papa Francesco e da dove partiva questo suo desiderio e sogno che si è avverato dopo quattro tentativi di viaggio. È certamente un uomo di Dio caparbio, testardo e sa cosa vuole! Grazie Francesco!

Dell'Africa si parla sempre e solo in termini negativi, per le guerre, lo sfruttamento delle risorse, la povertà, senza quasi mai considerare le sue enormi potenzialità. Il continente più giovane al mondo con il 70% dei giovani sotto i 30 anni protesi verso il futuro, il ruolo prezioso delle donne nella formazione della famiglia e nell'educazione, la sua cultura espressa anche nell'arte, nella letteratura, nella musica, nella teologia. La Chiesa è ancora giovane e ha slanci che in Europa si stanno sempre più smorzando. È il futuro della Chiesa e dell’umanità. Noi Comboniani e altri Istituti Missionari vediamo già nelle vocazioni ad essere missionari tra noi che la presenza dell’Africa è sempre più preponderante e un dato di fatto. È con loro che si costruisce il futuro per la Chiesa e per il mondo.

In quei giorni ho visto bellissime foto e immagini del Papa accolto da una folla immensa. Alla gente comune qui da noi hanno colpito la dignità della gente, la gioia sui volti per la presenza del Papa, la preghiera raccolta e, soprattutto i bambini. Bellissimi, vivaci e contenti! Erano occhi profondi che scrutavano e toccavano il cuore nella loro spontaneità. Un pensiero, un piccolo dono per il Papa non manca! Possano tutti i bambini essere liberi dalla miseria, dal lavoro infantile, dall'accattonaggio e vivere spensierati l'infanzia, i giorni più belli, nel gioco, nello studio, nella crescita per un futuro da uomini liberi, generosi, autentici. Educare un bambino è un grande impegno e tutta la società deve esserne consapevole, responsabile e protettiva nella crescita umana e spirituale di ognuno di loro. Specialmente in Africa! I bambini che hanno conosciuto solo la guerra saranno capaci di percorsi di perdono e di riconciliazione? Ringraziamo Dio per questo viaggio del Papa, perché riguarda anche noi. Dovrebbe farci riflettere sulle politiche della comunità internazionale e delle multinazionali. Di una economia della solidarietà e di comunione rafforzando i loro governi e investendo in educazione, sanità e infrastrutture e non in armamenti!

Dal discorso di Papa Francesco durante l’incontro
con le vittime dell’Est della Repubblica Democratica del Congo
Kinshasa 1° febbraio 2023

“…Ascoltate il grido del loro sangue prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra. Basta!
Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!
Cari fratelli e sorelle, e noi che cosa possiamo fare? Da dove cominciare? Come agire per promuovere la pace? Anzitutto no alla violenza, sempre e comunque, senza “se” e senza “ma”. No alla violenza! Amare la propria gente non significa nutrire odio nei riguardi degli altri. Anzi, voler bene al proprio Paese significa rifiutare di lasciarsi coinvolgere da quanti incitano a ricorrere alla forza. È un tragico inganno: l’odio e la violenza non sono mai accettabili, mai giustificabili, mai tollerabili, a maggior ragione per chi è cristiano. L’odio genera solo altro odio e la violenza altra violenza. Ma per dire davvero “no” alla violenza non basta evitare atti violenti; occorre estirpare le radici della violenza: penso all’avidità, all’invidia e, soprattutto, al rancore.

Mentre mi inchino con rispetto davanti alla sofferenza patita da tanti, vorrei chiedere a tutti di comportarsi come ci avete suggerito voi, testimoni coraggiosi, che avete il coraggio di disarmare il cuore. Lo chiedo a tutti in nome di Gesù, che ha perdonato chi gli ha trafitto i polsi e i piedi con i chiodi, attaccandolo a una croce: vi prego di disarmare il cuore.”

I NOSTRI SOGNI A DESTRA VOLTURNO

Sono già quattro anni che sono qui a Castel Volturno. Di attività e di lavoro ne abbiamo vissuto e fatto insieme come comunità con gli altri padri comboniani e chi il Signore ci ha messo sul nostro cammino. Ho incontrato tante persone di tutti i tipi e nazionalità. È certamente una Grazia tutto ciò che sto vivendo qui con la mia comunità comboniana e con la gente di Castel Volturno e dintorni. Con i migranti e le loro vite, storie, sofferenze, ingiustizie subite, testimonianze e problemi ma anche tanta speranza e voglia di riscatto e molto spesso impauriti per i cambiamenti politici e di lentezza e indifferenza nel loro riconoscimento di essere persone e non numeri, specialmente dalle istituzioni.

Oggi nella nostra comunità Comboniana siamo in 4. A gennaio 2022 si è aggiunto a me e a P. Sergio, un laico missionario Comboniano, Simone Parimbelli, Bergamasco di 40 anni che aveva già vissuto una missione di 3 anni e mezzo in Repubblica Centrafricana tra i Pigmei. Un uomo a cui piace lavorare e impegnarsi a fondo sempre… anche quando ci si sentirebbe stanchi. È una persona preziosa per quanto ci sta dando a noi e alla comunità nostra e dei migranti. Resterà con noi per 3 anni e vive con noi. Lui si è inserito bene nella Black and White, specialmente nel doposcuola ed è responsabile di una classe delle cinque che formano il doposcuola che conta circa 70 bambini italiani (tutti italiani…anche i figli degli immigrati che sono molti nati qui ma… che non hanno la cittadinanza italiana purtroppo). Oltre a questo, Simone cura anche l’oratorio della domenica dove invitiamo i ragazzi/bambini a passare tre ore in serenità e comunione con giochi, riflessioni, preghiera e aiutandoli a vivere insieme in un contesto difficile come quello di Destra Volturno dove abbiamo la sede operativa della nostra associazione Black and White cioè doposcuola e scuola di Italiano per giovani e adulti stranieri.

E poi è arrivato anche p. Filippo Ivardi Ganapini, comboniano di 49 anni di Parma ma Reggiano di origine famigliare. Anche lui ha avuto un’esperienza africana in Chad per circa 10 anni. Poi un periodo di due anni a Nigrizia, la nostra rivista e ora con noi qui a Castel Volturno con i migranti. Sono molto contento che Filippo sia con noi perché l’ho conosciuto da giovane in ricerca e seguito quando lavoravo a Padova con il GIM, Giovani impegno missionario, nel lontano fine anni 90 e inizio 2000 prima di ritornare in Kenya, in baraccopoli a Korogocho. Lui era parte dei giovani che ci frequentavano nella nostra casa di Padova e lavorava alla Banca Etica a quel tempo ma sentiva che c’era una chiamata più grande e impegnativa. L’ho accompagnato per quell’anno e mezzo prima di entrare in postulato a Padova stessa e io ripartivo per la missione in Kenya. È una bella sorpresa e dono per me e per noi avere Filippo in mezzo a noi con i suoi talenti e doti che sono tante. Certamente farà bene e già ci sta dando una grande mano per tante attività che noi stiamo portando avanti da tempo e anni. Sarà una benedizione per noi tutti!!  Asante sana!

Intanto abbiamo un grande sogno come comunità Comboniana e anche come soci della Black and White! Abbiamo dovuto mettere da parte il sogno (almeno per ora) di diventare parrocchia territoriale dopo aver coinvolto per tre anni il vescovo di Capua, il parroco e suo collaboratore e anche altri sacerdoti, il nostro provinciale e suo consiglio, e arrivati quasi a firmare la convenzione bilaterale. Ci siamo accorti “camminando” che mancava il fuoco e la determinazione necessaria da parte di qualcuno e così abbiamo preferito mettere in standby la decisione finale. Papa Francesco ci sprona e continua a stimolarci e provocarci ad essere, vivere e lavorare nelle periferie geografiche ed esistenziali dei nostri territori. L’abbiamo preso sul serio e con disponibilità anche per quanto concerne la nostra esperienza missionaria che proviene da vari contesti africani e latinoamericani. Siamo rimasti delusi da questo lungo periodo di discernimento che abbiamo vissuto con la speranza e l’intenzione nostra di arrivare a quel traguardo per poter ripartire con una comunità multietnica attenta alle realtà più difficili e povere del quartiere di Destra Volturno. Non volevamo tralasciare la cappella all’interno del Centro Fernandes che al 90 per cento è composta esclusivamente di migranti Nigeriani che vivono qui da molti anni e con figli di seconda generazione. Il sogno non è morto anzi…continua e prende forme diverse per poi diventare lo stesso continuando a sognare comunità aperta e attenta ai bisogni della gente soprattutto i più fragili, deboli e poveri di un quartiere ai margini del Comune e abusato in tanti modi. La presenza di un cinquanta per cento di migranti soprattutto Africani, un dieci per cento di Rom, di un trenta per cento di italiani e altre nazionalità da diversi continenti ci fa capire che questo quartiere è simbolicamente il mondo. Ci lancia una sfida grande per la nostra Chiesa se vuole veramente essere universale ma aperta a tutti, ad altre chiese, religioni e difficoltà di vario tipo come potete immaginare. Ma con la voglia e il desiderio di creare comunità e comunione non solo nella spiritualità ma anche in altri ambiti della vita comune del quartiere. Migliorare la qualità della vita comunitaria e dell’incontro tra nazionalità diverse, con culture, tradizioni, lingue e mentalità che non si incontrano mai.

Noi già offriamo il doposcuola con una settantina di bambini e ragazzi che già rappresentano il futuro di questo quartiere e soprattutto della nostra Italia presente e futura. Con i bambini e ragazzi è più semplice creare le condizioni per una integrazione e incontro e logicamente questo deve arrivare anche ai loro genitori mettendoli insieme e dialogando. Non facile ma ci proviamo è necessario per tutti loro e noi. E anche con la scuola di Italiano per stranieri perché aiutando i nostri migranti che vivono il territorio ad imparare la lingua italiana si facilita la loro vita e si aiutano ad integrarsi meglio e a difendere i loro diritti senza avere la necessità di mediatori culturali o di altri italiani e avere migliori lavori e servizi.

Proprio per questo il nostro sogno di oggi che integra quello che avevamo della parrocchia multietnica è creare un luogo di aggregazione per tutti. Su tutto il territorio del comune di Castel Volturno, cioè di 27 km lungo tutto il litorale del mare e della strada Domitiana, non esistono luoghi di aggregazione sociale, ad eccezione di lidi di mare in estate e pochissimi luoghi dove la gente può incontrarsi per conoscersi, parlarsi e vivere momenti di convivialità e celebrazione. È necessario costruire insieme comunità eterogenee che vogliono integrarsi per guardare al futuro con più speranza e solidarietà reciproca proprio perché sono già territori in grandi difficoltà sia economiche, culturali e sociali. E questa è l’unica via e percorso che può aiutare le persone a trovarsi e parlarsi per costruire insieme.

Papa Francesco qualche anno fa disse parole sagge e lungimiranti e che sono molto pratiche e sincere per noi che viviamo in un contesto dove metà della popolazione è migrante africana rispetto alla totalità della popolazione del comune di Castel Volturno: “Comprendo il disagio di molti vostri cittadini di fronte all’arrivo massiccio di migranti e rifugiati. Esso trova spiegazione nell’innato timore verso lo “straniero”, un timore aggravato dalle ferite dovute alla crisi economica, dall’impreparazione delle comunità locali, dall’inadeguatezza di molte misure adottate in un clima di emergenza. Tale disagio può essere superato attraverso l’offerta di spazi di incontro personale e di conoscenza mutua. Ben vengano allora tutte quelle iniziative che promuovono la cultura dell’incontro, lo scambio vicendevole di ricchezze artistiche e culturali, la conoscenza dei luoghi e delle comunità di origine dei nuovi arrivati.”
Papa Francesco ai membri dell’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) 2017

Quindi abbiamo convinto i nostri superiori Comboniani ad acquistare gli stabili dove siamo in affitto con il doposcuola con l’associazione Black and White e anche altri vicini compreso un grande terreno di 3.000 metri quadrati per poter fare un centro educativo, sportivo, culturale e artistico aperto a tutti, partendo dalle nostre attività e partecipanti che già frequentano assiduamente la nostra Casa Black and White a Destra Volturno. Esiste anche un appartamento già pronto ad essere abitato e pronto per una nostra comunità Comboniana trasferendola da dove viviamo oggi.

E’ un sogno in gestazione anche con i nostri bambini, operatori, genitori, studenti di italiano e altri amici e soci della Black and White. Abbiamo avuto la disponibilità di alcuni nostri amici italiani che vivono a Londra che sono architetti e professori e altri sul territorio nostro. Li abbiamo messi insieme e fatto laboratori di disegno e riflessione con persone di varie età e provenienza volessero “veder nascere” su questo terreno e anche nella Casa Black and White. E così sono uscite proposte molto belle che ora i nostri architetti stanno elaborando per poter presentare in Comune per l’approvazione e sostegno e completare il progetto. Vorremmo fare un campo di calcetto, un altro di basket e pallavolo multiuso e anche sugli stessi campi, usarli per fare teatro, musica, concerti, arte e luogo dove genitori e bambini, anziani e altri che lo desiderano vengano a riposare e stare in compagnia, conoscendo altre persone costruendo comunità. Avremo anche una cappella per le celebrazioni eucaristiche perché la nostra intenzione è continuare a creare una comunità cristiana che costruisce insieme una parrocchia aperta. E piano piano con il tempo arrivarci a questa parrocchia territoriale se ne varrà la pena magari con il prossimo vescovo che arriverà a fine anno 2023.

Insomma come vedete… di sogni ce ne sono. E anche la voglia della gente e disponibilità. Chiediamo anche a te e a tutti voi che leggete di darci una mano in amicizia e solidarietà perché abbiamo bisogno di tutti con la preghiera, vicinanza, solidarietà e sostegno. Certamente arriverà il momento che prepareremo un disegno di tutto questo progetto e sogno. E se ci aiuterete anche a trovare chi ci da una mano anche finanziariamente ve ne saremo grati. È bello sognare… ma se lo si fa da soli non si arriva da nessuna parte. Se lo facciamo insieme… il sogno diventa realtà!

Ed è questo che vogliamo raggiungere insieme qui a Destra Volturno, insieme con gli amici della Black and White, insieme con tutti voi che credete che questi piccoli segni di speranza diventano semi per costruire il Regno di Dio e un paese, una nazione più aperta, giusta e accogliente, multiculturale e multireligiosa dove rispetto e stima reciproca e voglia di crescere insieme sia il collante di un mondo nuovo.

La vita stessa va difesa sempre in una società dello scarto come la nostra. La fede è fondamentale. E se è autentica testimonia il nostro essere uomini e donne di dialogo, di comunione, di amore che non lascia fuori nessuno. Siamo davvero sulla stessa barca!! Abbiamo bisogno dovunque di una politica dell’accoglienza e dell’integrazione, che non lasci ai margini chi arriva nei nostri territori, ma si sforzi di mettere a frutto le risorse di cui ciascuno è portatore. Sentiamo l’esigenza di nuove politiche e di un’economia di comunione e solidarietà basate sulla responsabilità, relazioni, della comunità e dell’ambiente. Dove ci sia più umanità al centro!

Carissimi amici e amiche!
Volevo darvi un consiglio ulteriore di lettura. Ho letto e riletto il libro di Papa Francesco che aveva scritto lui stesso durante il covid 19 e lo ritengo indispensabile per tutti noi leggerlo e approfondirlo. Ma soprattutto viverlo in pienezza e guardare oltre… sempre oltre! Dà uno sguardo molto bello e unico al mondo di oggi aprendo alla Speranza ma anche concreto perché ci siano vie per costruire un futuro migliore e di fraternità cominciando da noi stessi. Il libro si intitola: PAPA FRANCESCO “RITORNIAMO A SOGNARE: La strada verso un futuro migliore” – Ed. PIEMME

Vi auguro davvero un cammino di vita pieno di soprese ma anche di “difficoltà” perché solo attraverso di esse scopriamo il senso profondo della vita e godiamo di questo dono che nostro Padre ci ha donato gratuitamente…per viverla in pienezza e non a pezzi… gustandola fino in fondo. Un grande abbraccio fraterno e affettuoso a tutti! Mungu awabariki wote!
Pamoja
P. Daniele Moschetti
Missionario comboniano