In Pace Christi

Mallardi Rocco

Mallardi Rocco
Date de naissance : 01/01/1922
Lieu de naissance : Casamassima (BA)/I
Premiers vœux : 07/10/1941
Vœux perpétuels : 07/10/1946
Date de l’ordination : 31/05/1947
Date du décès : 16/06/2001
Lieu du décès : Milano/I

P. Rocco Mallardi è una conquista di P. Sartori quando, nel 1930, è andato a Casamassima per tenervi una missione. Dopo una predica particolarmente convincente, il ragazzino si è fatto avanti dicendo che voleva diventare missionario d’Africa. Alla fine della quinta elementare era già nel seminario di Troia che lo stesso P. Sartori aveva fondato qualche anno prima.

Il papà di Rocco, Giuseppe, era contadino in proprio e dirigeva anche una piccola azienda di un altro. Il parroco, nelle note di entrata di Rocco in seminario, scrisse che la condizione economica della famiglia era “agiata”. A nove anni Rocco rimase orfano di mamma che si chiamava Antonietta Birardi ed era casalinga. Aveva altri due fratelli più piccoli di lui. Il papà si risposò e la nuova famiglia aumentò di altri quattro fratelli. “Anche la seconda mamma era una santa e ci voleva tanto bene”, disse un fratello di P. Rocco. La sorella più piccola entrò nell’Istituto di Cristo Re come religiosa laica, dedicandosi all’istruzione dei ragazzi poveri. Un altro fratello lo seguì tra i comboniani, ma poi si ritirò.

Dopo le medie Rocco passò a Brescia per il ginnasio, quindi entrò nel noviziato a Venegono Superiore. Era l’8 agosto 1939. Poi fu dirottato a Firenze. P. Stefano Patroni, suo maestro, notò che, dopo le prime incertezze: “Il giovane lavora con metodo e buona volontà. Ama la preghiera e le regole. Come carattere è piuttosto rude e nervosetto. Per il suo impegno e il suo profitto spirituale dà a sperare un’ottima riuscita”. Emise i Voti il 7 ottobre 1941. Nelle sue domande per la rinnovazione dei Voti sottolinea sempre due devozioni che costituivano come il binario della sua vita spirituale: il Cuore di Gesù e la Madonna Mediatrice.

Frequentò lo scolasticato parte a Verona, dove conseguì anche la licenza di infermiere nell’Esercito italiano, (’41-’43), parte a Rebbio (’43-’45), quindi ancora a Verona per terminare la teologia (’45-’47). Qui venne ordinato sacerdote il 31 maggio 1947. Dopo un anno di rodaggio a Pesaro come animatore missionario, era pronto a salpare per l’Africa.

Prima tappa: Sudan meridionale

Dal primo luglio 1948 P. Rocco fu destinato alla missione di Raffili. Era il tempo del grande sviluppo delle missioni nel dopo guerra. Si sa che durante il periodo bellico, è stato impossibile mandare personale e mezzi per sviluppare le missioni. P. Rocco non fu un grande costruttore, però si diede a studiare bene la lingua Belanda Bor che apprese alla perfezione parlando con la gente che visitava nei villaggi. Le sue lezioni di catechismo ai catecumeni erano seguitissime perché, da buon meridionale, era anche un attore e sapeva unire alla parola i gesti delle mani e del volto per cui il suo dire veniva recepito con gusto e con profitto.

Divenne ben presto l’idolo dei ragazzi che sapeva intrattenere e divertire. Fu anche incaricato della scuola. Insegnava e accompagnava gli alunni nelle passeggiate facendoli divertire. Fu davvero ben amato da tutti. “P. Mallardi – scrisse il superiore provinciale nel 1952 – è un buon religioso, esatto nelle sue pratiche e doveri. Lavora benissimo nella scuola, sa tenere la disciplina senza essere pedante e pesante. E’ stimato dai confratelli, dalla gente e dalle autorità”.

Gli furono affidate anche la formazione e l’istruzione dei Fratelli indigeni, un lavoro delicato e di responsabilità perché era come il loro padre maestro.

Dopo Raffili prestò il suo servizio nelle missioni di Kpaile e di Kuajok. Uomo di obbedienza, bastava che i superiori gli notificassero una necessità di personale in altre missioni, ed egli si prestava volentieri. Il superiore, infatti, scrisse di lui: “E’ sempre disponibile alla volontà di Dio espressa attraverso i superiori. Va volentieri dove lo si manda e fa molto bene”.

Seconda tappa: Gioia del Colle

Dopo una tirata di quindici anni di missione, nel 1963, fu espulso dal Sudan e tornò in Italia. I primi espulsi dal governo sono stati coloro che si dedicavano all’insegnamento nelle scuole. A Casamassima trovò una brutta sorpresa: la madre ammalata e il papà infermo. Non potendo lavorare da mesi e avendo speso tutto in cure, il pover’uomo si era ridotto sul lastrico. I fratelli, in parte emigrati, faticavano a bastare a se stessi in quegli anni difficili per la vita in Italia.

P. Rocco scrisse al superiore generale come stavano le cose e chiese di poter rimanere in famiglia per aiutare i vecchi genitori. Il vescovo di Bari e un buon sacerdote di Gioia del Colle, gli assicurarono un posto in parrocchia e nell’insegnamento della religione nelle scuole. In questo modo avrebbe dato un aiuto determinante ai genitori. P. Gaetano Briani si mostrò molto comprensivo. Non solo gli diede il permesso di trattenere lo stipendio, ma gli lasciò anche le offerte delle messe che avrebbe celebrato.

P. Rocco rimase a casa fino al 1969, quando poté dire di aver risolto i problemi più urgenti. Intanto anche i fratelli si erano sistemati ed erano in grado di aiutare i genitori. L’8 novembre 1969 P. Rocco scrisse al superiore generale: “Prima di tutto la ringrazio cordialmente della delicatezza e paterna bontà e comprensione che mi ha sempre mostrato in questi anni. Ora mi metto totalmente nelle sue mani per continuare il mio lavoro in qualsiasi missione vorrà mandarmi. Conosco l’ambiente africano, e il clima equatoriale non mi ha mai nociuto. Conosco abbastanza bene la lingue inglese e alcune lingue africane, e poi non mi fanno paura perché, in genere, sono facili da apprendere”.

Terza tappa: Uganda

Nel 1970 P. Rocco fu inviato in Uganda e vi rimase fino al 1999, anno in cui dovette rimpatriare a causa della salute. Ecco le tappe del suo cammino missionario: Pajule, come curato, dove il suo conterraneo P. Di Bari fu ucciso e bruciato dai ribelli di Kony (Lord’s Resistance Army) il 1 ottobre 2000. Nel 1979 fu addetto al ministero nella Cattedrale a Gulu. Nel 1980 passò, come parroco, a Patongo. Nel 1984 fu inviato ad Awach, ma qui la guerriglia diventò così intensa che i superiori decisero di chiudere la missione. P. Rocco tornò alla cattedrale di Gulu e vi rimase a lungo.

Nel 1997 venne assegnato a Kampala come incaricato dell’ospitalità della casa provincializia. Nel 1999 accusò i primi sintomi del male. Andò in Italia (Milano) per l’operazione. Ritornò in aprile del 2000 e fu assegnato alla Cattedrale fino al suo rientro definitivo in Italia nel settembre 2000.

A questo punto, sentiamo alcune testimonianze di confratelli che furono con lui. Cominciamo con quella di P. Guido Oliana, superiore provinciale d’Uganda:

“P. Rocco Mallardi arrivò in Uganda il 10 luglio 1970 per la Diocesi di Gulu. Era una persona sensibile ai problemi della gente, generoso, a volte anche troppo. Aveva dei tocchi di profonda umanità. Mandava cartoline o lettere piene di vena umoristica, un po’ sentimentali, con fiorellini stile rococò disseminati qua e là. Mandava spesso alle suore grappoli d’uva, raccolti nell’orto della casa provincializia.

Ogni tanto, negli ultimi tempi, rivelava qualche atteggiamento di angoscia di fede nel vedere certe cose che capitavano attorno… ma sempre rinnovava la sua fiducia e abbandono nel Signore. Trascrivo, ora, qualche espressione dalle lettere che mi ha mandato durante la sua degenza a Milano, che indicano lo spirito umoristico e di fede del Padre.

  • Milano, 26-3-99: ‘Il prof. Ermanno Leo, lo specialista al mio caso, dopo aver letto le lastre dei

raggi X ha concluso affermativamente per l’intervento dopo Pasqua. Finora è tutto. Sono sereno… Vivaddio! Io credo: Dio mio Padre, mi vuole bene’.

  • Milano, 28-4-99: ‘In manus tuas, Domine, commendo spiritum et corpus meum. Padre Pio, beato, adiuvante. P. Pio diceva: Prega, spera, non agitarti. L’agitazione non giova a nulla. Iddio è misericordioso e ascolterà la tua preghiera’.

  • Milano, 29-4-1999: ‘Speriamo in Colui che tutto muove’.

  • Milano, fine maggio 1999: ‘Preghi per la mia poca fede; mi sforzo di penetrare il mistero del mio male, anche se lo Spirito è pronto, la carne è inferma…. Il Signore mi guardi con occhio clemente, e mi riporti in Uganda sano e salvo’.

  • Milano, 26-7-1999: ‘Anche dove non batte il sole, c’e’ qualcosa che mi dà fastidio e di notte e di giorno, e devo invocare la pazienza. Santa pazienza saltami addosso, fammi sopportare ciò che non posso… Come vedi e leggi, non sono come un bimbo svezzato nelle mani di sua madre, sono invece nelle mani dei professori e di Colui che tutto muove’.

  • Milano, 7 Ottobre 1999: ‘In quanto al mio ‘bene-male stare’ ti faccio leggere due proverbi che si accapigliano tra di loro: 1. Chi va piano, va sano e va lontano, ma… arriva in ritardo. 2. La gatta frettolosa fa i gattini ciechi. A chi devo dare ragione? Vedi tu. Eccoti tutto da Milano, da P. Rocco, che aspetta il ‘via col vento’ per dove? Il vento soffia dove vuole, e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va… Staremo a vedere assieme, tu a Kampala e io a Milano… Ricordami all’altare di Dio Altissimo! Il Signore spiani la via ai tuoi passi’.

  • Milano, Settembre 1999: ‘e… pass e spass tu sii u gualione vuoi gioca’ o pallone.. nun conosci… e… e sì, la mia partita a pallone continua tra contro-piedi, discese e calci d’angolo…. E spero contra spem che col tipo dei confratelli e amici che mi vogliono bene, chiuderò vittorioso la partita: Rocco batte tumore: 2 a 0. Quindi sai ora che la partita è ancora in corso. Io non comando, decide tutto l’arbitro, punizioni e reti; io faccio il fesso, dicendo sempre di sì, ma non son fesso! Forza Rocco! Urlalo pure tu, perché la voglia di vincere non mi passi. Un saluto e ricordami al Maestro che dolcemente, col capo appoggiato sul cuscino da pescatore, dorme nella mia barca tra i flutti che fanno paura…’.

  • Milano, 18-12-1999: ‘Vuolsi così colà dove si puote, e più non dimandare. I camici bianchi mi hanno licenziato, dopo avermi servito di barba e capelli, ed io ho dato pure la mancia al garzone, non si sa mai… Per intanto resto a Milano in rodaggio, fino a che il ministero degli interni si riassetti a dovere. Preghiamo a vicenda io per le tue gatte da pelare e tu per la mia gatta rossa che ha cambiato il pelo in verde’.

  • Milano, 29-6-2000:  ‘Boves et universa pecora, volucres pennatae et reptiles in lento cammino verso la guarigione e il ritorno definitivo a casa. (Home, sweet home)! Natura non facit saltus… Ho goduto sentire che molte persone ti chiedono del mio bene o malstare e che pregano per me. Ciò vuol dire che non ero di inciampo a nessuno e servivo a dovere e stile cristiano, chiunque’.

  • Milano, 27-9-2000: ‘Io sto ancora con S. Ignazio di Loyola in riguardo dell’obbedienza. Perinde ac cadaver, sbaglio? Fammelo sapere’.

  • Milano, fine settembre 2000: ‘Nell’ultimo quarto del cammino di mia vita, mi ritrovai in una selva oscura, perché la diritta via era smarrita (tra tre mesi inizia l’80.mo anno…). Incontrai un buon samaritano (Dr. Piero Corti) e mi indicò la diritta via: Milano. Problemi interni mi hanno portato a Milano. Se i medici non sapranno risolverli, li risolverà il Supermedico dei corpi e degli spiriti. Sono come un bimbo svezzato (era tempo…) in braccia a sua madre. Cari saluti da uno che spera contro ogni speranza’.

  • Milano, 9-11-2000: ‘Spero contra spem! (anche la speme, ultima dea fugge i sepolcri!). Preghi e faccia pregare Nostra Signora d’Africa, che mi ritorni in Uganda, non per andare al galoppo, mi accontento di andare al passo. Dio ti faccia Buon Pastore dell’Uganda Province’.

  • Milano, 1-12-2000: ‘Ne avrò per parecchio. Il mio futuro è nelle mani di Colui che tutto muove. Ripeto con Gesù nel Getsemani: Padre se è possibile… ma non la mia, bensì la tua volontà sia fatta. Preghi per me’.

Una foto del Padre

P. Pietro Cozza è stato col Padre tanto tempo a più riprese. Ci manda la seguente testimonianza:

“Fui vicino a P. Rocco per anni nella missione di Gulu Cathedral e con piacere stendo queste righe. Se dovessi fargli una foto la farei così: un missionario piccolo e grassotello con la sigaretta in bocca, con un sorriso mefistofelico da furbo, acuto e a volte duro, con un cuore grande come la sua pancetta sempre ben in mostra. Lo conobbi negli anni ‘70 a Gulu, come mio aiutante in parrocchia. Da buon meridionale era spassoso, arguto… di mani buche e manica larga! Le sue prime confidenze furono un misto di entusiasmo e di paure, perché veniva da altre esperienze di missione. La lingua Acholi allora non era certo il suo forte e inoltre temeva troppo il cibo locale per la sua salute. ‘Sono pronto a fare tutti i safari che vuoi - mi diceva - ma ti prego di non ordinarmi di restare fuori con la gente a lungo’. Non era un gran parlatore e il cibo dei villaggi non lo attirava proprio. Fu, comunque, un missionario in gamba anche se la non più giovane età lo limitava. Io poi trovavo beneficio dalla sua presenza in quei momenti non certo facili che ebbi in missione. Mi aiutava ad essere più calmo nel mio entusiasmo giovanile e così evitare grossi errori. Col suo sorrisetto furbo mi guardava e mi diceva: ‘Peter, parroco inesperto, stai calmo. L’Africa ha il suo modo di camminare e tu… sei un velocista che corre troppo’.

Non credo di sbagliarmi se dico che con P. Rocco non ebbi mai grossi problemi e non ci fu nessun litigio. Anzi la sua amicizia integrata con altri padri anziani, come i padri Pellegrini, Pizzocolo ed Albertini, presenti allora in missione, mi aiutò a vivere bene quegli anni e superare le non poche difficoltà dell’era Amin.

Quando poi partivo per i miei safari in varie cappelle ero sicuro che P. Rocco guardava la missione ed io non avevo nulla da temere. Se rimanevo in missione mi piaceva soffermarmi spesso a sorridere quando lo vedevo circondato da ragazzi/e delle scuole vicine, lasciandosi commuovere. Quei furbacchioni ne approfittavano e allora vari biglietti di diverso valore uscivano dalle sue tasche. Ma penso che la vita missionaria sia anche questo a volte: un poco di generosa paternità. Lo lasciai alla fine degli anni ’80 come superiore della casa di Gulu. Non lo rividi più per anni perché fu mandato a lavorare in altre parti del mondo. L’occasione di rivederlo mi fu data nel 1993 quando ritornai a Gulu per respirare un po’ di Africa e per partecipare alla visita del Papa. Lo vidi di sfuggita per pochi giorni. I tempi erano cambiati, ma P. Rocco non mancò di darmi buoni consigli anche allora. Poi ancora nulla per anni!

Tornai in Uganda nel 1998 dalla Polonia e di nuovo a Gulu. Nel 1999 ebbi occasione di vivere con P. Rocco. Purtroppo per poco! Era molto invecchiato, non godeva buona salute, anzi mi accorsi che stava male. Volle provare di nuovo la vita di missione con tanti sogni ‘da giovanotto’! La sigaretta era sparita, solo il sorriso gli rimaneva ancora sul volto stanco e le tasche erano ancora piene per esercitare la sua generosità. Non volle ascoltare i miei consigli. Invece di stare calmo quale supervisore della casa, partì a razzo con i lavori e volle fare parecchi viaggi e impegnarsi in varie attività. Volle fare troppo e troppo in fretta.

Ebbi comunque tempo in quei pochi mesi di gustarmi i suoi acuti e amichevoli rimbrotti di sempre: ‘Peter - mi diceva in stanza - vai piano e calma il tuo focoso entusiasmo, sei anche tu diventato ‘più giovane’.

Purtroppo dopo una visita all’ospedale lo dovetti accompagnare in Italia in un lungo e faticoso viaggio. Lo lasciai a Milano piuttosto demoralizzato ma anche sereno. Capiva che l’Africa si stava sbiadendo dall’orizzonte e i suoi ragazzi/e si allontanavano sempre più. Allora mi tempestò di lettere dando ordini e indicazioni per aiutarli.

Ci rimasi male quando sentii che P. Rocco era stato chiamato alla casa del Padre. ‘Pazienza!’ mi sono detto. Ho perso un altro degli anziani missionari che hanno costellato la mia vita e mi hanno aiutato a crescere. Spero che P. Rocco, insieme a tutti gli altri missionari comboniani, sia ora in cielo a intercedere per tutti noi”.

L’arte di saper coinvolgere

P. Rocco, con la sua calma e i suoi bei modi di fare, sapeva coinvolgere nei problemi riguardanti la missione anche altre persone, perfino i capi. Sentiamo cosa scrive P. Ambrogio a questo proposito:

“P. Rocco era molto bravo nell’ottenere aiuti finanziari dai suoi parenti e amici. Con questo denaro aiutava i poveri e costruì varie scuole. Era persuaso, infatti, che l’istruzione fosse la base per uscire dalla povertà. P. Rocco non era solo un bravo missionario, ma anche un bravo cuoco. Nelle occasioni speciali cucinava lui stesso e sapeva preparare dei pranzi prelibati.

Il presidente Obote, durante il suo secondo governo, decise di visitare l’ospedale di Kalongo e fece sapere al parroco di Patongo (P. Rocco) che avrebbe fatto breve sostra da lui (circa 30 km prima di Kalongo). P. Rocco preparò un gran pranzo per il presidente e i suoi ministri. Fu una grande sorpresa per loro. In quella missione sperduta nella savana, avevano pranzato come al Sheraton Hotel di Kampala. Ma P. Rocco aveva i suoi piani. Verso la fine del pranzo fece un discorso al presidente ricordando che la gente di Patongo era senza acqua potabile e che durante la stagione asciutta veniva a mancare del tutto. Il Presidente, colpito dalle sue parole e dallo straordinario trattamento, promise di far trivellare un pozzo, e mantenne la promessa.

P. Rocco amò la missione della Cattedrale più di tutte le altre. Dopo la prima operazione, gli fu concesso di tornare a Gulu ed egli accettò con entusiasmo. Ma quest’ultima permanenza durò pochi mesi”.

A Milano aspettando il Signore

Nel 1999 il dottor Corti gli aveva scoperto il tumore che lo stava attaccando e lo invitò a rientrare in Italia. Fu accompagnato a Milano da P. Cozza, come abbiamo sentito. Dopo l’operazione andò in missione. Il male si era ormai esteso e non c’era più niente da fare ed egli tornò nuovamente a Milano.

“Cosciente della fine – dice P. Piotti – accettava la sua situazione con serenità. Di tanto in tanto mi diceva: ‘Aspetto l’incontro col Signore. Non ho paura di lui perché l’ho servito per tutta la vita anche se ci sono stati tanti limiti. Giocava volentieri a carte e il suo compagno alle volte si arrabbiava perché non metteva in tavola la carta giusta: ‘Non ci si arrabbia per queste cose’, sorrideva il Padre’. Fu davvero un uomo sempre sereno e di pace anche se credo che i suoi momenti di paura li abbia avuti perché la morte ha fatto tremare anche i santi”.

“Ha detto sempre sì, al Signore – ha esordito P. Colleoni all’omelia, altro suo compagno di missione – e su di lui gli Acioli hanno riversato le loro miserie. Egli accoglieva tutti e perdonava sempre. Quando veniva qualcuno alla sua porta, lasciava tutti per dedicarsi totalmente a chi voleva parlargli, anche se spesso si trattava di discorsi che noi chiameremmo inutili. ‘Prima sempre la persona’, diceva”.

“Andava molto d’accordo con noi della famiglia – dice la sorella suora. – Veniva a celebrare nella nostra cappella e si soffermava per ore davanti al tabernacolo parlando col Signore ad alta voce. Era commovente sentirlo. Ci raccontava le sue avventure africane quando, per esempio, dormì per sei mesi con i lebbrosi, le sue paure per la guerra, eppure non ha mai abbandonato il suo posto. In vacanza, quando fecero i fuochi d’artificio per la festa del patrono, si chiudeva le orecchie per non sentire: ‘Basta scoppi e fuoco – diceva – ne ho sentiti e visti abbastanza’”. “La sua gioia – dice la sorella Maria – era quando, nelle vacanze, poteva sposare o amministrare il battesimo ai nipoti e pronipoti. Eravamo una famiglia unita”. Ciò lo si è visto anche durante la malattia. Nonostante fossero così lontani, i parenti venivano a trovarlo e lo sentivano spesso al telefono: “Sto morendo. Prego per voi… Quanto è corta la via che percorriamo tutti!”, disse nella telefonata della prima domenica di maggio.

Testimonianza di un medico volontario

Il medico del suo paese, dott. Efrem Musci, amico d’infanzia di P. Rocco e collaboratore come medico volontario in Uganda, scrisse il 16 giugno 2001: “Il carissimo P. Rocco Mallardi è tornato alla Casa del Padre. Il dolore e la tristezza per la sua perdita trovano conforto nella certezza di saperlo nella schiera degli eletti e già intercede per noi.

Con l’affetto che mi lega a lui fin dall’infanzia, partecipo con voi alla preghiera e ai riti di suffragio, insieme alla mia famiglia e tribù come lui usava affettuosamente chiamarla.

Avrò sempre impressa nella mente l’immagine di P. Rocco, commosso fino alle lacrime, che mi saluta mentre sono in partenza per l’Italia all’aeroporto di Entebbe. Mi ha conosciuto chierichetto quando, timoroso e incantato, servivo la messa al missionario tornato al suo paese dalla lontana e misteriosa Africa. Mi ha cresciuto negli studi fino alla laurea e alla specializzazione in Oculistica. Ha visto nascere e crescere la mia famiglia, l’ha sempre accompagnata con le sue preghiere e benedizioni ed è stato sempre mio ospite privilegiato a Casamassima.

Da sempre ha sognato e auspicato di avermi con lui a Gulu, in Uganda, per farmi vivere un’esperienza missionaria come un servizio di volontariato presso l’ospedale di Lacor. Dopo tante incertezze, anche a causa della guerriglia, finalmente il sogno è diventato realtà nell’ottobre del 1994.

Mi ha accolto a Gulu raggiante di gioia, mi ha dato una sistemazione confortevole nella piccola casa dei Comboniani presso l’ospedale di Lacor, ma soprattutto mi ha sommerso di attenzioni e di affetto. Gran parte del mio tempo lo dedicai al servizio dei pazienti presso l’ospedale. P. Rocco spesso mi veniva a trovare anche in sala operatoria per esprimere con orgoglio il suo plauso.

A Lacor ho avuto il privilegio e la gioia di incontrare e conoscere il dottor Corti con la signora Lucille e un altro missionario eccezionale, P. Bruno Marcabruni, allora cappellano dell’ospedale. I momenti più belli ed emozionanti li ho vissuti il sabato e la domenica, quando P. Rocco era felice di portarmi con sé per i sentieri della savana in visita ai villaggi dove incontravamo la gente amorevolmente. P. Rocco confortava, celebrava l’Eucaristia e amministrava i Sacramenti.

Quella africana è stata per me un’esperienza meravigliosa che ritengo dono prezioso di Dio elargitomi attraverso P. Rocco che rimane per sempre nel mio cuore”.

Ai funerali, celebrati nella chiesa della Madonna di Fatima a Milano, erano presenti due fratelli e tre sorelle. Dopo la cerimonia, la salma è stata portata a Venegono Superiore per la sepoltura. P. Rocco è stato un missionario che ha portato avanti con impegno e costanza i compiti quotidiani e semplici della vita di missione. Amava l’apostolato diretto con i catecumeni e le comunità cristiane, amava stare con la gente e parlava bene la loro lingua. Era anche attento alle persone, cordiale nell’ospitalità e benvoluto da tutti. Ci lascia l’esempio di un missionario che, in silenzio e senza tanta propaganda, è stato un evangelizzatore di prima classe e un promotore di cultura attraverso la scuola.      P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 212, ottobre 2001, pp. 125-133