In Pace Christi

Adani Mario

Adani Mario
Date de naissance : 14/05/1909
Lieu de naissance : Correggio (RE)/I
Premiers vœux : 02/02/1931
Vœux perpétuels : 02/02/1937
Date du décès : 10/05/2000
Lieu du décès : Milano/I

La vocazione di questo nostro Fratello, uno dei grandi Fratelli della Congregazione, è misteriosamente legata al sacrificio di una sua sorella, Gilda, che nel silenzio e nel nascondimento, si è immolata per lui e per la salvezza delle anime. Devotissima di santa Teresina del Bambino Gesù, questa generosa ragazza volle imitarla percorrendo la “piccola via”. Anche lei voleva il suo missionario e, per questo, si è dichiarata pronta a pagare. Il Signore l’ha presa in parola e così Gilda ha concluso il suo sacrificio a 20 anni, distrutta dalla TBC proprio come la sua Patrona, nel 1932 quando il fratello missionario aveva da poco emessa la professione religiosa missionaria.

Per capire, dunque, la vocazione di Mario Adani e il successo del suo apostolato nella vita di missione bisogna capire il sacrificio di Gilda. Nella biografia scritta da P. Zelindo Marigo è detto che il giorno in cui ebbe la prima emottisi (Gilda aveva 15 anni) esultò di gioia per tutto il giorno e ringraziò il Signore perché considerava quel sangue come la prova che il suo dono era stato accettato. Al momento della morte, cinque anni dopo, volle che tutti i presenti cantassero il Magnificat. Ma fra questi due momenti esaltanti, nei quali quella piccola vittima era come portata sulle braccia del Signore, Gilda dovette affrontare la sua notte oscura e atroce che le fece vivere giorni da Getsemani... ma proprio in quegli anni c’era il fratello Mario “il suo missionario” che lottava e che rinunciava a tante cose belle per seguire Cristo sulla via della missione.

Fr. Mario vivrà e opererà nel ricordo della sorella, invocherà più volte la sua protezione e, al termine della vita, possiamo dire che veramente Gilda, dal cielo, ha fatto piovere un’abbondanza di rose sul fratello e sul suo ministero di fratello missionario. “Tutte le volte che mi sono rivolto a lei nella preghiera - confessò con semplicità - mi ha sempre aiutato”.

Una famiglia di artisti

Gli Adani sono originari da Saliceto Panaro e, ancor oggi, là vi risiedono alcuni discendenti. Primo Adani, papà di Fr. Mario, era un famoso marmista e scalpellino che partecipò, alla fine dell’800 al restauro della torre del Duomo di Modena. Fu proprio lui che montò la palla sormontata dalla croce sulla torre della Ghirlandina, a cento metri di altezza. Questo robusto operaio dimostrava doti artistiche fuori del comune per cui il padrone della ditta sotto cui lavorava se lo teneva caro e gli affidava i lavori più delicati che richiedevano professionalità e precisione.

Dopo il matrimonio con Santa Manzini, il signor Primo emigrò a Correggio dove aprì una bottega in proprio, sempre come marmista. Intanto cominciarono ad arrivare i figli: Carmela fu la prima, e nacque a Modena nel 1899; poi, a Correggio, arrivarono Adelmo nel 1904, Mario nel 1909, e Gilda nel 1912. Altri tre morirono in tenerissima età.

Carmela divenne una scultrice e pittrice di grande valore come attestano le numerose sue opere sparse in Italia e all’estero. Fu alunna della scultrice Amalia Dupré a Firenze e condiscepola del pittore Piero Annigoni. Quando si trattò di preparare il bozzetto delle porte di bronzo della Basilica vaticana, la Commissione le aggiudicò il secondo premio. Il primo fu vinto da Manzù favorito da papa Giovanni, bergamasco come lui. Carmela era l’unica donna fra gli 80 concorrenti di tutto il mondo. Anche i Comboniani sono stati favoriti dal genio artistico di Carmela. Basti ricordare il gruppo marmoreo di San Giuseppe e Comboni che si trova a Limone, il monumento di San Giuseppe a Verona e quello di Comboni in Piazza Isolo, sempre a Verona, senza nominare le numerose statue che sono andate in Africa e in America. .....(omissis)

Davanti allo specchio

Mario aveva un corpo d’atleta. Non c’era genere di sport in cui non riuscisse. Una domenica mattina (aveva 14 anni) prima di andare alla messa si tolse la camicia e, a dorso nudo, si mise davanti allo specchio. Vide che era proprio un bel giovane. Non per niente il suo istruttore di scuola tecnica gli aveva prospettato delle carriere lusinghiere e il dirigente sportivo della zona, signor Ezio Scaltriti, gli ripeteva che sarebbe potuto diventare campione di sport in diverse discipline, dall’atletica al ciclismo, dalla boxe al nuoto. Forse avrebbe anche potuto percorrere agevolmente la carriera militare come aviatore, dato che uno zio era ufficiale e lo spingeva per l’accademia militare di Modena. “Vieni con noi e sarai un eroe”, gli ripeteva.

“Mi piaceva l’aviazione - dirà Mario. - Volare come un’aquila nell’alto del cielo mi pareva la cosa più esaltante per un uomo. Ma anche la bicicletta mi affascinava e per questo facevo parte del gruppo dilettanti della zona. L’allenatore mi aveva pronosticato una medaglia d’oro perché, col fisico che avevo, ce l’avrei sicuramente fatta”.

Mentre considerava tutte queste possibilità, davanti a quello specchio, Mario si sentì soffocare da alcuni dubbi, come piccoli tarli spuntati a corrodere il ceppo della sua esistenza, poi gli parve di udire una voce: “Una voce non udita dall’orecchio ma dal cuore che mi diceva: ‘Mario, lascia stare tutte queste cose. Voglio che tu vada a lavorare per me in Africa’. Di chi fosse quella voce, non c’era alcun dubbio. Ma tenni per me quel segreto perché sapevo che i miei genitori sarebbero stati contrari a una mia vocazione missionaria.

Voto privato di castità

La lettura di libri e riviste missionarie, l’incontro con alcuni missionari reduci dall’Africa contribuirono a maturare la vocazione di Mario. Dovranno, però, passare altri quattro anni prima che il suo sogno potesse avverarsi.

Ma già Mario, pensando che un giorno sarebbe stato missionario, aveva cominciato ad imparare di tutto: meccanico di moto e di biciclette (il padrone lo pregò di restare sempre con lui), falegname, barbiere... “A 16 anni - raccontò Fr. Mario - accompagnai mia sorella Carmela all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e mi fermai una settimana. Mentre Carmela frequentava le lezioni, io mi informavo di tutto e, alla sera, andavo a dormire alla Certosa dove c’era un sacerdote, mio ex parroco. Il 25 marzo di quell’anno, festa dell’Annunciazione, mi recai a visitare la chiesa della Santissima Annunziata di Firenze dove si facevano belle cerimonie liturgiche. Rimasi a lungo in contemplazione della bellissima immagine della Madonna che, in quell’occasione, era esposta al pubblico. Quel giorno feci voto privato di castità chiedendo alla Madonna di aiutarmi a mantenerlo per sempre. Sì, tutto il mio corpo, tutte le mie forze, tutto il mio cuore dovevano essere solo ed esclusivamente per il Signore”. Sappiamo che da missionario, fino ai suoi ultimi anni, tutte le volte che Fr. Mario passava per Firenze, andava a pregare l’Annunciata per rinnovare l’emozione di quel lontano giorno e soprattutto per dire grazie alla Madre di Dio di averlo aiutato a mantenere la sua promessa..... (omissis)

Quattro anni di prova

Il 14 giugno 1926 Mario, all’insaputa di tutti, prese la penna in mano e scrisse al superiore di Verona in questi termini: “Rev.mo Padre, sono un giovane cattolico di 17 anni compiuti e aspiro a diventare missionario fratello coadiutore. Già da vario tempo tengo nel segreto dell’anima questa vocazione ed ora sento il desiderio di manifestarlo. Perciò mi rivolgo a lei perché mi dica che cosa devo fare per entrare nel suo Istituto. Faccio il marmista e, grazie a Dio, la mia salute è veramente robusta, sicché spero di poter meglio seguire la mia vocazione...”.

P. Vianello scrisse immediatamente al parroco di Correggio chiedendo informazioni. Questi rispose a brevissimo giro di posta, esattamente il 18 giugno, esprimendo stupore e meraviglia. Ma sentiamo qualche brano della lettera: “Il giovane Adani Mario è uno dei pochissimi buoni giovani di Correggio. Anzi egli è ottimo per condotta religiosa e morale, per indole e per virtù. Di salute sembra floridissimo avendo una corporatura molto sviluppata e bell’aspetto. Io però temo che l’apparenza sia un po’ ingannevole in fatto di salute perché il babbo suo soffre di cuore.

In quanto alla sua vocazione, mi stupisce alquanto, non solo perché non me ne ha mai parlato nonostante la confidenza che ha con me, ma più ancora perché nulla lascia supporre in lui simile inclinazione. Può darsi che il buon pensiero sia venuto in lui dalla propaganda missionaria o da qualche dramma. Penso che non mi abbia detto nulla per timore che lo vengano a sapere i suoi genitori nei quali, temo, troverà forte opposizione, benché siano buoni cristiani.... (omissis)

La prova del parroco è stata dura: Infatti si è protratta in un’attesa di quattro anni. Il parroco, ad un certo punto, gli disse che se proprio voleva donarsi al Signore lo facesse come sacerdote: Il fratello Adelmo gli diceva: “Ma cosa vai a fare? A lavare piatti?”. Il papà e la mamma non volevano neanche che si parlasse di quell’argomento. Solo Gilda gli diceva di aver pazienza e di saper attendere l’ora della grazia: Mario sopportava, pregava e sperava in tempi migliori. ...(omissis)

Abbracci e lacrime

“Col passare del tempo, la mia decisione di farmi missionario cresceva. Attendevo solo che maturassero i tempi, perché ero il braccio destro di mio padre nel lavoro del marmo. Quando finalmente mi recai a Carpi per prendere il treno per Verona-Venegono, sia papà che mamma e tutti gli altri, compresi gli amici, piangevano. Anch’io piansi dalla commozione. Che strana è la vocazione che ti fa soffrire e godere nello stesso tempo! La mia mamma non sapeva più che cosa dire e, le sue ultime parole, furono: ‘Attento a non perdere il treno’. E partii”.

In una lettera del 24 maggio 1928 Mario aveva scritto a P. Vianello: “Avevo deciso la mia partenza per il 4 giugno, ma i miei genitori vogliono fermarmi a casa per tutto il mese di giugno per ultimare un lavoro d’impegno. Vorrei venire per l’11 giugno in modo da poter essere presente alla festa del Sacro Cuore. Il babbo si è recato a Modena dove abbiamo i parenti, per incitarli a convincermi di rinunciare alla mia vocazione. Io pure andrò a salutarli e pregherò il Signore che mi renda vittorioso in questa terribile lotta”.

Le carte ufficiali segnano l’inizio del noviziato di Mario, cioè la vestizione, il primo ottobre 1929. Prima, naturalmente, aveva fatto un buon periodo come postulante. La prima sorpresa del noviziato fu il taglio dei capelli. Fr. Arosio si avvicinò al nuovo arrivato e, dopo i saluti, disse che lui era il barbiere della comunità. “Vi sono appena stato prima di partire”, rispose Mario.

“Qui, però, usiamo un altro taglio”, rispose Arosio e, senza tanti complimenti,  lo rapò a zero. Mario, facendo buon viso a cattiva sorte, commentò: “Non è un taglio troppo complicato. Credo che ci riuscirei anch’io”.

In noviziato era Padre Maestro P. Alceste Corbelli, ben noto alla sua famiglia, che accolse il nuovo candidato con evidenti segni di simpatia. Ma dopo sei mesi il Padre venne sostituito nella sua carica da P. Giocondo Bombieri e da P. Carlo Pizzioli. Quest’ultimo era l’incaricato degli aspiranti Fratelli. Tra i Padri c’era anche P. Uberto Vitti il quale, con la sua semplicità, riuscì a risolvere il contrasto che esisteva tra padre e figlio.

Un giorno, infatti, papà Primo arrivò a Venegono con il serio proposito di riportare a casa il figlio. Visitò la casa, parlò con i superiori dicendo che suo figlio, così vivace e sportivo, non avrebbe resistito a quel genere di vita: Poi ci fu il pranzo in foresteria con i padri Corbelli, Pizzioli e Vitti. Ad un certo punto il povero papà disse: “Voi mi portate via un figlio, e io finirò con l’andare all’inferno”. P. Vitti intervenne dicendo: “No, amico mio, ma avendo dato un figlio al Signore per le missioni vi siete già assicurato il paradiso”. “Se è così - ribatté il papà - vado via contento e Mario continui pure per la sua strada”. Poi, rivolgendosi al figlio, disse: “Anch’io quando ero giovane come te mi sono rifiutato di fare la volontà di mio padre per seguire la mia inclinazione. E’ giusto che ora lasci a te di fare quello che vuoi”.

Il restauro del castello di Venegono

Durante il noviziato Mario andò alla visita militare. L’ufficiale medico commentò ad alta voce ai colleghi: “Cento centimetri di torace: in quale corpo lo mandiamo?”

“Sono già nel corpo dei missionari”, ribatté Mario. Consultarono le carte e si limitarono a dire: “Peccato!”.

I cento centimetri di torace e gli ottanta chili di peso furono presto collaudati: si trattava di elevare le torri del castello di Venegono e di eseguire altri lavori per rendere idoneo a sede di noviziato quel vecchio maniero acquistato dai Comboniani nel 1921......(omissis)

Ricevi, Signore, questa mia vita

Il 2 febbraio del 1931, festa della presentazione di Maria Vergine al Tempio, Mario emise i Voti per un anno di povertà, castità e obbedienza consacrandosi a Dio per la missione secondo il carisma del beato Daniele Comboni. La sorella Gilda sottolineò quella data, che vedeva come il coronamento della sua offerta, con espressioni di gioia. Il suo missionario era pronto per affrontare le immense distese africane. Ecco cosa gli scrisse prima della professione:

“Sono tre anni, Mario carissimo, che soffro. Una volta ero più brava: al principio della mia malattia ero quasi felice d’essere colpita dallo stesso male di S. Teresa del Bambino Gesù, e dicevo tra me: ‘Io sono più fortunata di lei, perché ho anche un fratello missionario che lei non ha avuto. Ero molto più buona, allora, di adesso.

Almeno questa malattia mi servisse per diventare più buona! Invece mi accorgo che divento ogni giorno più cattiva. Si direbbe che col tempo uno si abitua anche a soffrire. Non può essere... Quale notte è in me!... Ho offerto la mia vita per i missionari affinché salvino molte anime, ma come ben presto cambiò la poesia! Sentire il bisogno di muoversi, di correre, di vivere, e non potere... Quando recito il Pater noster e arrivo al fiat voluntas tua, non sono più capace di andare avanti. Ma dopo mi pento e ripeto più volte il mio fiat... Ho letto in una rivista un racconto intitolato Vittima bianca. Era la sorella di un missionario che soffriva e offriva tutto per il fratello e questi salvava tante anime. Io esclamai: ‘Sì, anch’io, anch’io!’ e piansi. Sta certo, Mario, che anche tu hai la tua vittima bianca che ti segue da lontano”.

Nella terra del Comboni

Il giorno stesso in cui emise i Voti, Mario ricevette dal superiore generale l’ordine di partire immediatamente per il Sudan, esattamente per Khartoum, dove c’era da costruire la cattedrale. Il vescovo  Mons. Bini, visto come aveva lavorato a Venegono, lo chiese con assoluta priorità per la sua diocesi. Con Adani andò a Khartoum anche Laffranchi, un altro genio delle costruzioni. Insieme, i due costituivano un duetto vincente. Quando  Mons. Bini passò dal noviziato, Fr. Adani gli chiese la benedizione: Sua Eccellenza, invece, gli allungò il braccio come per dargli uno scappellotto e gli disse: “Non qui, ma a Khartoum ti darò la benedizione”, e risero entrambi.

L’addio con la sorella Gilda fu straziante: “Ma perché piangi? Non sei contenta? Vedi che sei stata esaudita finalmente: hai anche tu il tuo fratello missionario”. “Mario perdonami; piango di gioia e di dolore insieme... Gesù mi ha esaudita appieno: Tu sei missionario e presto partirai per l’Africa...”.

“E allora ringrazia il Signore”. “Lo ho già fatto, ma tu non sai quanto mi costa lasciarti essendo sicura che non ti rivedrò più su questa terra”. Un lungo silenzio seguì quelle parole. Si sentivano solo i battiti di due cuori che pulsavano da spaccare il petto...

L’arrivo di Mario nella terra che aveva visto i sudori e la morte di Comboni non fu privo di profonde emozioni come si espresse con i parenti: “Noi che siamo a Khartoum siamo i privilegiati, perché qui si respira la stessa aria e si suda sotto lo stesso sole che furono del Fondatore”.

Una cattedrale nel deserto

La cattedrale di Khartoum doveva sorgere sulle parziali fondamenta di quelle gettate dal vescovo  Mons. Geyer e poi sospese per causa della guerra. Quella progettata in un primo tempo era una cattedrale enorme, sproporzionata alle esigenze dei cristiani del tempo, per cui  Mons. Bini pensò di utilizzare solo una parte delle fondazioni.

Aveva 21 anni Fr. Mario quando giunse a Khartoum e, dal 1931 al 1933, affiancato da validissimi confratelli e da bravi operai, senza apprendere lingue ed altro, si mise subito al lavoro e tirò su la cattedrale che ancor oggi s’incastona come un rubino tra il verde delle palme e l’azzurro del Nilo. “Ricordo quella volta in cui Fr. Sirena, pure addetto ai lavori, tolse per errore una corda e parte dell’impalcatura mi cadde addosso fortunatamente senza toccarmi. Credo che sia stata ancora una volta mia sorella che vegliava su di me”.

Per la rinnovazione dei Voti scrisse: “Io, nella mia povertà, ho tutta l’intenzione di servire la Congregazione facendo del mio meglio per essere sempre un degno figlio di essa, non perdendo mai di vista i santi desideri della medesima: la mia santificazione e la salvezza degli Africani”. Questi erano i sentimenti che animavano questo artista di Dio.

La cattedrale venne inaugurata nella notte di Natale del 1933, speciale Anno Santo della Redenzione. Nascosti dietro il tabernacolo, mentre tutti facevano festa, Fr. Mario e Fr. Laffranchi ringraziavano il Signore e si domandavano come avessero fatto a realizzare un’opera simili, in così poco tempo e con una grande povertà di mezzi. Davvero lì c’era la mano di Dio.

Il pozzo della capra morta

Durante i lavori per la costruzione della cattedrale, Fr. Adani doveva andare anche in altre località per progettare e dirigere case e scuole che altri confratelli costruivano. Bastava un cenno del superiore ed egli partiva prontamente interrompendo l’opera che aveva in corso. Lo spirito di obbedienza, infatti, fu un altro dei punti forti della spiritualità di Mario.

Un giorno fu chiamato a Dilling per cercare acqua per quella missione.

Adani vi andò e, con la sua bacchetta, dopo aver girovagato nei dintorni disse: “Qui c’è l’acqua buona. Scaviamo!” Cominciarono a scavare e, dopo alcuni metri, s’imbatterono in uno spesso strato di roccia: “E’ impossibile procedere”, dissero gli operai.

“No, bisogna spaccare la roccia e sotto ci sarà l’acqua che fa per noi”. Ci volle del coraggio e della fede per procedere in quel lavoro che si presentava difficilissimo. Finalmente lo strato fu superato e, sotto, si trovò acqua fresca e abbondante. La gente del circondario cominciò ad attingere al pozzo della missione con soddisfazione generale.

Per dispetto, i mercanti della zona che si videro privati di tanti compratori d’acqua, nottetempo buttarono nel pozzo una capra morta. Ciò non impedì di risanare il pozzo, di costruirvi attorno un sicuro riparo e di avere ancora il prezioso liquido a disposizione di tutti.

Quello fu il primo pozzo trovato da Fr. Adani con la sua sensibilità di rabdomante. In seguito, nella sua lunga carriera missionaria, disseterà con molti altri pozzi, spesso profondi anche oltre i 70 metri (ma allora si procedeva con le trivelle) migliaia e miglia di gole riarse.

L’ultimo dono

“Il 26 agosto 1932 - scrive Fr. Mario - mi trovavo nella missione di Atbara, nel Sudan, occupato alla costruzione di una nuova scuola e della casa delle suore. Quella sera, prima di mettermi a letto, seduto al tavolino stavo facendo i conti delle paghe degli operai. Portavo ai piedi due vecchie scarpe sdrucite. Ad un tratto sentii una puntura acutissima al calcagno sinistro. Mandai un grido di dolore, balzai dalla sedia e cominciai a saltare dal male che era intensissimo.

Un grosso scorpione velenoso correva a nascondersi nel buio della capanna. Accorse subito il P. superiore, disinfettò la ferita, ma già tutto il piede mi doleva atrocemente e ben presto anche il ginocchio e la coscia si gonfiarono. Io mi sentivo ormai perduto, ben edotto da simili casi visti tra gli africani che in seguito a simili punture erano morti. Il Padre mi incoraggiò e mi benedisse. Rinnovai l’atto di dolore e provai a gettarmi sul letto, ma lo spasimo era così atroce che io tremavo tutto. Nel dolore pensai a mia sorella Gilda che in quei giorni penava sul suo letto di dolore e chiesi il suo aiuto. Immediatamente il dolore cominciò a diminuire, tanto che sul far del giorno potei prendere un po’ di sonno. Quando mi svegliai, ogni dolore era scomparso. Quello è stato l’ultimo dono della mia cara sorella che si immolava per me. Nove giorni dopo, infatti, il 4 settembre 1932, rese la sua bell’anima a Dio”.

Tra gli Scilluk

Al termine del rito dell’inaugurazione della cattedrale, era pronto per Fr. Mario il foglio di via per la missione tra gli Scilluk, nella provincia dell’Alto Nilo, 500 chilometri a sul di Khartoum, in zone paludose, caldissime, semiselvagge. In cinque anni di lavoro, affiancato da Fr. Giovanni Motter e da altri fratelli, Adani riuscì a costruire ex novo, o quasi, le missioni di Detwok, Lull, Tonga e Malakal.

Furono anni terribili perché si doveva lottare continuamente con il caldo umido, le zanzare, l’ostilità degli stregoni, la diffidenza della gente, la malaria e, spesso, anche con la fame, essendo quella una zona poverissima. Tuttavia Mario si adattò subito all’ambiente e, con molta tenacia e determinazione, cominciò a istruire gli indigeni. E vi riuscì a prezzo di infinita pazienza. In mezzo al grosso agglomerato di capanne edificò una scuola, un fabbricato per i servizi vari e una chiesa.

Ogni tanto Fr. Adani lasciava la zona degli Scilluk per trasferirsi a Khartoum dove fervevano i lavori per la costruzione del Collegio Comboni, una grande scuola aperta a tutti per l’insegnamento dalle elementari al liceo scientifico. Da questo collegio uscirono molti giovani che divennero esponenti nel governo e nelle amministrazioni pubbliche del Sudan.

Il primo sacerdote schilluk, don Pio, fu un ragazzo aiutato da Fr. Adani che gli mise in funzione una vecchia bicicletta in modo che potesse andare a scuola: Poi divenne Prefetto apostolico e quindi Vescovo, mentre suo fratello Tito divenne mamur (sindaco).

Scoppiato il secondo conflitto mondiale, il governo inglese impose l’allontanamento dei missionari italiani dall’Alto Nilo. Fr. Adani dovette rimpatriare insieme agli altri confratelli poiché con la guerra, anche i lavori a Khartoum furono sospesi. Una brevissima pausa di riposo in patria per respirare una boccata d’aria fresca e poi di nuovo sulla breccia per altre mete.

In Inghilterra

Dal 1938 al 1939 Fr. Adani fu in Inghilterra. Il superiore generale gli aveva detto che doveva frequentare un biennio alla scuola costruzioni e iscriversi ad un corso di lingua inglese. Invece gli fecero costruire la sede del noviziato di Sunningdale.        ....(omissis)

In Etiopia e in Eritrea

Ma c’era anche P. Mason che richiedeva Fr. Adani per la costruzione di un seminario missionario negli Stati Uniti, altri insistevano perché occorreva la sua presenza in Africa. Poiché il permesso per l’America non arrivava, il nostro Fratello, nel maggio del 1940 si trovò a Gondar, sul lago Tana dove il vescovo comboniano  Mons. Pietro Villa lo aspettava con i progetti della cattedrale e dell’episcopio in mano.

Fr. Mario si rimboccò subito le maniche e organizzò i lavori a Kerker e a Gondar. Per prima cosa fece allestire una fornace per mattoni e, con quelli, diede inizio alla costruzione della cattedrale. Ma nel frattempo scoppiò la guerra e le truppe inglesi, invasa l’Etiopia, arrivarono vicino a Gondar e la circondarono. Il generale Nasi, modenese, comandante la piazza, rintuzzò gli attacchi dei nemici i quali, convinti di aver di fronte un avversario agguerrito e bene armato, rinviavano di giorno in giorno l’assalto finale. In realtà l’artiglieria italiana era ridotta ormai a pochi pezzi di cui un solo cannone da 104 mm. che alcuni soldati al comando di un sottufficiale spostavano di frequente con un autocarro per sparare da postazioni diverse dando l’impressione agli inglesi di aver di fronte una forte artiglieria.

Un giorno, però, il generale Nasi dovette arrendersi e il titolare della Banca d’Italia di Gondar consegnò, a titolo di custodia, a Fr. Mario e agli altri missionari i lingotti d’oro che erano nel forziere della banca stessa. In seguito gli inglesi vennero a saperlo e i missionari furono costretti a disseppellire i lingotti e a consegnarli al comandante del reparto.

La disfatta delle truppe italiane in Africa Orientale costò ai missionari l’evacuazione da Gondar ed il trasferimento ad Asmara. Non tutto il male vien per nuocere. Anche all’Asmara Fr. Mario poté dedicarsi alla costruzione di un pensionato e di un fabbricato a due piani per le suore comboniane. Inoltre costruì scuole e altri edifici di un certo impegno per le opere della missione. Alla fine della guerra sorse la cattedrale, l’episcopio e anche il seminario etiopico.

Di nuovo a Khartoum

Terminata la guerra, Fr. Adani fu richiamato a Khartoum per aggiungere altri padiglioni al Collegio Comboni iniziato prima della guerra e per eseguire altre opere che erano indispensabili. Così venne costruita la piscina lunga 25 metri e profonda quattro, i servizi, il campo sportivo che fu collocato oltre la missione protestante e che divenne molto importante per le gare e le competizioni tra scolari cattolici, protestanti, copti e musulmani, il campo di pallacanestro, il pozzo e l’internato, un grande fabbricato che doveva ospitare stabilmente gli scolari che venivano da lontano. Contemporaneamente sorsero le officine per la scuola di arti e mestieri. Un lavoro enorme.

Chi era a Khartoum in quel tempo ricorda Fr. Adani con due sacchi di cemento da 48 chilogrammi l’uno sotto le ascelle e altri due sulle spalle che attraversava il cortile e saliva le scale. Tanta forza e tanta resistenza fisica stupiva gli scolari che cominciarono a chiamarlo Tarzan the good (Tarzan il buono). Contemporaneamente eseguì lavoro a Ondurman e ad El Obeid, nella provincia del Kordofan, a 600 chilometri da Khartoum.

P. Castelletti ricorda la delicatezza di questo Fratello in un paio di casi in cui ci sarebbe stato il motivo di inquietarsi. Dopo aver insegnato a Fr. Achille Brigadoi come si facevano le arcate che dovevano servire per il Collegio Comboni e avergli consegnato le misure, andò a costruire la chiesa di Malakal. Al suo ritorno si accorse che le arcate erano fuori misura. Fr. Mario non si scompose minimamente, anzi cercò di tranquillizzare il confratello che era molto amareggiato per l’errore commesso.

“Non angustiatevi, fratello - gli disse - con questi archi faremo delle bellissime aiuole nel giardino”. Altro caso con Fr. Sergi che preparò le impalcature per la gettata di una terrazza. I sostegni erano troppo fragili e, fatto il carico di calcestruzzo, all’improvviso crollò tutto. Fortunatamente in quel momento i missionari erano a pranzo per cui non si ebbe nessun danno alle persone. Anche in quel caso Fr. Adani cercò di minimizzare la cosa dando la colpa al legname rosicchiato dalle termiti.

Nel 1954  Mons. Baroni commissionò alla sorella di Fr. Mario, Carmela, un busto in marmo di  Mons. Bini da mettere “in cattedrale o nella scuola a lui dedicata”. L’opera fu eseguita e spedita a Khartoum nell’ottobre del 1955. Ma altre opere della scultrice Adani andarono ad abbellire gli edifici di Khartoum e di altre opere comboniane anche negli Stati Uniti, come risulta dalla massiccia corrispondenza di Carmela con i superiori. Carmela andò anche a Khartoum a portarvi un bellissimo tabernacolo che venne messo nella cappella della casa delle suore, intitolata alla sorella Gilda.

In missione Fr. Mario fu anche fortunato protagonista di varie e interessanti avventure, abbastanza comuni a tutti i missionari. Ricordava con un po’ di brivido quella volta in cui, pedalando in bicicletta lungo il Nilo, un coccodrillo, con un balzo, si infilò tra le ruote. Grazie alla sua presenza di spirito fece un salto evitando che il rettile lo afferrasse al piede.

Più tragica ancora fu la notizia che, nel 1944, ricevette via Radio Vaticana della morte quasi contemporanea dei suoi genitori. Fortunatamente non era vero: Egli l’8 dicembre scrisse: “Pensa come restai quando nel gennaio del 1944 P. Bombieri comunicò: ‘Genitori Fr. Adani morti entrambi a breve distanza’. Per poco non venni meno dal dolore”. Bisogna tener presente che i missionari, essendo completamente isolati a causa della guerra, erano settimanalmente informati dalla Radio vaticana di ciò che succedeva alle loro famiglie in zona di guerra. Speaker era P. Bombieri, allora superiore a Roma.

Nella stessa lettera Fr. Mario fa un considerazione su P. Marigo: “Vorrei vedere il libro di Gilda scritto da P. Marigo. P. Marigo partì all’inizio della guerra come cappellano militare: Dopo fu fatto prigioniero in Russia e non si ebbero più notizie per alcuni anni e lo davano già per morto. Pensando tra me e me dicevo: ‘Ecco, la nostra Gilda per gratitudine doveva salvarlo’. Finalmente adesso abbiamo ricevuto notizie di lui e sappiamo che è tornato sano e salvo. Gilda ha fatto il suo dovere”.

Nel Sudan meridionale

Dal 1945 al 1956 Fr. Mario fu inviato nel Sudan meridionale dove c’erano tante missioni che avevano bisogno della sua opera. Il periodo dopo la guerra coincise con quello del maggior sviluppo delle missioni nel Sudan meridionale. Furono una sessantina quelle che si consolidarono o che furono create ex novo, e tutte con sistemi più moderni rispetto al periodo precedente. In molte di queste missioni Fr. Mario diede il suo contributo determinante.

Ma un’altra opera grandiosa attendeva il nostro Fratello: la costruzione della cattedrale di Wau. Fu un lavoro arduo perché gli operai che gli furono affidati non avevano mai fatto una costruzione che fosse più alta di 3 metri. La cattedrale doveva misurare 50 metri per 40 con una cupola di 36. Sarebbe stato l’edificio più grande di tutto il Sudan. Se Fr. Adani e i suoi collaboratori non fossero stati animati da una fede viva e da una fiducia a tutta prova nella potenza dell’obbedienza, non avrebbero potuto cimentarsi in un’opera simile. Ognuno può immaginare, infatti, che cosa significasse arrivare a quell’altezza in piena savana con l’assoluta mancanza di mezzi adeguati. Per sopperire alla mancanza di tavole e di travi dovette fare largo uso di canne di bambù nell’allestimento delle impalcature sulle quali i suoi operai africani dovevano lavorare. Eppure Fr. Mario, con una pazienza sconfinata, riuscì a fare ciò che altri consideravano semplicemente un sogno folle.

Le autorità inglesi, che di frequente andavano a vedere i muri che si elevavano, scrollavano la testa e dicevano: “Vogliamo vedere come farete quando sarete più alti. No, non è possibile che possiate eseguire un progetto simile”. I lavori durarono tre anni e non ci fu il minimo incidente, come del resto in tutti gli altri luoghi dove Adani ha lavorato. Diceva di avere un angelo speciale che proteggeva lui e i suoi operai: la sorella Gilda che dal cielo vegliava.

In quella magnifica cattedrale non ancora ultimata, dedicata poi a Maria Ausiliatrice, venne consacrato dal cardinale Roberto Knox, allora delegato apostolico a Mombasa, il primo vescovo sudanese,   Mons. Ireneo Wien Dud. Quelle mura di mattoni e cemento erano il simbolo espressivo di un’altra chiesa che Dio aveva fatto sorgere e cementare con i sudori e l’olocausto di tanti missionari in mezzo secolo di promozione umana e di evangelizzazione.

Altre chiese belle e grandi, costruite da Fr. Adani, sono quelle di Kayango e del Bussere, missioni in pieno sviluppo che diventarono cittadelle di religiosità e di cultura. Al Bussere sorse anche il seminario diocesano. Quando la Chiesa sudanese cominciò ad avere i suoi preti e i suoi vescovi, Fr. Adani si prestò a costruire i seminari e gli episcopi con criteri moderni e funzionali. Anche il seminario di Khartoum è opera sua.

Insieme a Fr. Zordan costruì il ponte sul fiume Lerwa. Il commissario inglese, come vide il progetto, disse che il manufatto non avrebbe retto all’imponenza delle acque durante la stagione delle piogge. “Il ponte resisterà, eccellenza”, ribatteva Adani. Ne è passata di acqua sotto, da quel tempo, e anche mezzi pesanti sopra, eppure il ponte di Lerwa è ancora là.

A Dilling ottenne l’elettricità sfruttando la forza del vento, con grande soddisfazione di P. Giovanni Battista Cervetto che, alla sera, amava trascorrere qualche ora in piacevoli letture.

Ritornato a Khartoum, Fr. Mario progettò e realizzò il seminario minore. E gli studenti lo chiamarono mohandes che significa ingegnere, architetto, capo mastro...

Fotografo e cacciatore

Fr. Mario fu anche fotografo. Egli amava documentare i lavori che venivano eseguiti nelle loro diverse fasi. Le sue foto sono precise, nitide, ben studiate. Si vede che quando faceva una cosa, fosse anche una foto, voleva farla come si deve, senza sprecare materiale e in modo che poi risultasse di utilità.

Tra i suoi dieci grossi album che conservano le sue lettere, tutte ben disposte in ordine cronologico, racchiuse in pagine di plastica, ci sono numerosissime foto, bozzetti e disegni. Era tutto materiale che mandava alla sorella Carmela per avere consigli, suggerimenti e delucidazioni. Fortunatamente i suoi familiari hanno conservato e catalogato tutta questa documentazione.

P. Castelletti, che fu con lui a Khartoum, ricorda l’archivio nel quale Fr. Mario conservava i suoi disegni e i progetti: tutto era in ordine, con le indicazioni delle date e delle località in modo che il materiale fosse reperibile senza perdita di tempo.

Per l’occorrenza, solo per l’occorrenza, per non dire per necessità, il nostro Fratello imbracciava il fucile e andava a caccia, specialmente nel periodo in cui si trovava nel Sudan meridionale. Portava a casa anitre selvatiche, faraone e qualche gazzella. Dovevano fornire un po’ di carne per la mensa dei missionari e dei catecumeni, specie nel periodo difficile della guerra quando non era possibile comunicare con l’Italia. Dicono che avesse buona mira, ed egli la usava tutta, anche allo scopo di risparmiare qualche cartuccia visto che erano misurate.

Nel 1958 fu nuovamente mandato in Inghilterra per la costruzione della sede comboniana di Mirfield. Vi rimase fino al 1960.

Pioniere in Sudafrica

E’ quasi impossibile seguire tutte le tappe dei lavori di Fr. Mario. Ci limitiamo a enunciare le più importanti. Dal 1960 al 1962 troviamo Fr. Mario a Roma occupato nella costruzione della casa generalizia dei Comboniani all’Eur. Nel 1963 era ancora a Khartoum per altri lavori di ampliamento del Collegio Comboni e di altre opere annesse. Ma intanto veniva richiesto per la cattedrale di El Obeid. Vi lavorò fino al 1965, quindi tornò a Roma per il completamento dei lavori nella casa generalizia.

Ed ecco che nel 1967 a Fr. Mario fu assegnato un compito delicatissimo: andare in Sudafrica a lavorare con i confratelli comboniani del ramo tedesco. Con lui c’erano anche altri missionari italiani, ricordiamo per esempio i padri Angelo Matordes, P. Andrea De Maldè, P. Aldo Chistè, ed altri. Sempre più spesso si parlava di riunificazione dei due rami della Congregazione ed esperimenti positivi erano stati fatti in Spagna e in Perù. Ora bisognava provare anche in Africa, il terreno prediletto dei Comboniani.

Perché, tra i fratelli, fu inviato proprio Fr. Mario? Dobbiamo fare un passo indietro. Quando Adani era occupato nei lavori a Khartoum, passò di lì  Mons. Anton Reiterer, comboniano tedesco del Sudafrica. Vedendo come lavorava Mario, rimase impressionato e disse che avrebbe avuto bisogno anche lui di un simile fratello. Era successa la stessa cosa con il cardinale del Mozambico, portoghese, che, sostando a Khartoum in attesa del permesso di transito, poté ammirare i lavori dei nostri fratelli e si dichiarò disposto ad accoglierli nella sua diocesi.

Fr. Mario, inoltre, come formazione e come spirito religioso era una carta sicura che i superiori potevano giocare tranquillamente. E non furono delusi. Infatti il nostro Fratello fu come il trait-d’union tra i due rami dell’Istituto contribuendo alla futura riunione. .... (omissis)

Solo in Sudafrica Fr. Mario lasciò 150 realizzazioni fra scuole, ospedali, case per missionari e chiese, e forse altrettanti in Sudan e in Etiopia. “Anche con la gente - scrive P. Sandri - insieme ai consigli tecnici per le loro costruzioni, trasmetteva la sua fede e la sua amicizia senza badare a quale religione o razza appartenessero. Con i suoi operai era un organizzatore eccezionale. In poco tempo, da gente che a mala pena sapeva maneggiare la zappa, tirava fuori degli specialisti. Ma quanta pazienza e quanta bontà!”. .(omissis)

Non furono tutte rose

Sarebbe ingenuo pensare che la permanenza in Sudafrica di Fr. Mario, e degli altri confratelli, non abbia avuto le sue difficoltà. A questo proposito ci limitiamo a citare un paio di frasi tolte dalle lettere di Fr. Mario e una da una lettera del superiore generale. Scrive Mario nel 1983:

“Il confratello tedesco è andato in Germania per le vacanze e qui si trattava di chiudere la missione: Io ho accettato di restare e di tenerla viva finché verrà qualche altro. Ho incominciato a visitare i cristiani e lo farò ancora di più appena avrò terminata la chiesa di Crossing... Alla domenica dirigo la preghiera e faccio qualche lettura cercando di dare un po’ di spiegazione, poi distribuisco l’Eucaristia”. Quindi il nostro Fratello ha saputo anche trasformarsi in catechista, in vice parroco.

Quando ci furono delle prese di posizione da parte dei superiori nei confronti di qualche confratello, che a lui sembravano troppo drastiche ed esagerate, eccolo, allora, a difendere chi gli pareva ingiustamente colpito:

“Anche qui ci sono delle magagne, ma con la carità si cerca di coprire il più possibile... Ho conosciuti tutti i P. Generali da P. Vianello in giù e tutti li ho trovati sempre figli del Sacro Cuore di Gesù di cui la caratteristica è sempre stata la carità. Anche Mons. Comboni ha sempre cercato di salvare i suoi missionari. Questa nostra caratteristica deve continuare in Congregazione. Per i superiori e i confratelli è tanto tempo che prego il Sacro Cuore di Gesù e Maria con San Giuseppe e Comboni...”. Sì, quando la coscienza gli suggeriva di dire le sue ragioni, specie in difesa degli altri, non aveva paura di parlare e di scrivere. Prima, durante e dopo, però, pregava. Ecco la forza di Mario Adani....(omissis)

Nel 1991 Fr. Mario dovette rientrare in Italia per curare la salute che ormai dava segni di cedimento. Già nel 1967 si era lamentato di qualche vuoto di memoria, che ha sempre saputo arginare grazie all’ordine con il quale programmava la sua giornata.

Si riprese, tanto che poté tornare nella terra della sua missione ma, nel 1994, dovette abbandonare definitivamente il Sudafrica. Fu nelle case di Padova insieme ai postulanti, a Rebbio (1994-1997) e poi a Milano lottando contro il morbo di Altzeimer che lo aveva colpito e lo rendeva sempre più estraneo al mondo. La sua forte fibra, tuttavia, gli consentì di vivere fino a vedere la fine del millennio e l’inizio del nuovo.

Il gigante buono

Fr. Mario fu anche definito “il gigante buono”. Resistente al massimo alla fatica e al lavoro, era di una dolcezza straordinaria quando trattava con i confratelli e con la gente. Fu anche uomo di intensa preghiera. Al mattino presto era uno dei primi ad andare in chiesa ed era di esempio per la puntualità alle pratiche comunitarie, eppure avrebbe avuto mille e una ragione per dispensarsi, specialmente quando doveva scendere dalle impalcature per una preghiera che avrebbe potuto fare in un altro momento. Nel lavoro dimostrò sempre sicurezza e precisione grazie al suo alto grado di preparazione tecnica, tuttavia condivideva le sue idee con gli altri e sapeva ascoltare, persuaso che ognuno può avere qualcosa da insegnare. La gente del luogo lo interpellava spesso per la costruzione delle loro case, dei magazzini o altro, ed egli non diceva mai di no a nessuno. Si è specializzato anche nei lavori di graniglia: statue, tabernacoli, fonti battesimali, balaustre, lapidi... ma anche cose umili come lavandini, servizi igienici, tubi di scarico. Niente era poco importante per lui, purché servisse al prossimo.

A 80 anni si arrampicava ancora sui tetti delle chiese per sistemare le travature o le tegole, facendo provare qualche brivido ai confratelli che lo guardavano dal basso....(omissis)

I suoi ultimi anni, funestati da incapacità di ricordare e da vuoti di memoria, furono la naturale continuazione della sua vita precedentemente vissuta: vita di fede e di preghiera che ormai gli venivano spontanee come respirare.

Una caduta gli causò la rottura del femore che gli procurò forti dolori e momenti di depressione. Ricoverato al Niguarda fu operato e tornò a casa, ma non riusciva a riprendersi: Fu nuovamente ricoverato nella clinica San Pio X dove rimase una ventina di giorni, ma ormai il suo organismo era troppo debilitato per superare il male per cui si spense nel Signore il 10 maggio 2000. Quattro giorni dopo avrebbe compiuto il suo novantunesimo anno, invece venne celebrato il suo funerale.

La salma di Fr. Mario è stata portata nel cimitero di Correggio ed ora riposa accanto ai suoi cari. Il suo spirito è in cielo a condividere la gloria del Signore, finalmente insieme ai genitori, a Carmela e a Gilda che per lui ha immolato la vita.                P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 207, luglio 2000, pp. 119-141