In Pace Christi

Malaspina Luigi

Malaspina Luigi
Date de naissance : 03/08/1932
Lieu de naissance : Verretto (Tortona)/I
Premiers vœux : 16/07/1951
Vœux perpétuels : 11/02/1955
Date de l’ordination : 29/06/1947
Date du décès : 16/03/1998
Lieu du décès : Nacala/MO

P. Luigi Malaspina proviene da una famiglia di solidi contadini, considerati benestanti, profondamente religiosi. Dopo le elementari Luigi, il primogenito, manifestò il desiderio di farsi sacerdote e il papà lo assecondò portandolo nel seminario diocesano.

Quando il genitore rimase vedovo, concepì un suo progetto: il figlio minore, Renzo, avrebbe portato avanti l'azienda agricola mentre lui sarebbe andato ad abitare in una canonica col figlio sacerdote.

Tutto sembrava andare per il meglio quando, un bel giorno, Luigi manifestò al genitore il desiderio di partire per l'Africa come missionario comboniano.

"Missionario no", fu la risposta irremovibile del papà. Luigi, che non voleva aggiungere dolore al cuore paterno già ferito per la morte della mamma, chinò la testa e proseguì i suoi studi. Intanto leggeva e rileggeva la vita di mons. Comboni e si soffermava su quelle pagine che riguardavano la partenza del giovane missionario per l'Africa... "So che partendo faccio martiri due poveri vecchi, tuttavia...".

"Anche la mia è vera vocazione", diceva Luigi, ma intanto taceva e proseguiva negli studi.

Dalla quarta ginnasio

In una lettera del 20 agosto 1947 don Luigi rivive il cammino della sua vocazione missionaria. "L'idea di farmi missionario cominciò a brillare nella mia mente e nel mio cuore in quarta ginnasio. Dopo gli esami di quinta sarei partito immediatamente se non fosse intervenuta una breve malattia a fermarmi.

In liceo il desiderio di partire si concretizzò ancora di più. Mi vedevo realizzato in una vita di comunità che mi pareva più consona al mio carattere e al mio spirito. Proprio in quel periodo potei incontrare p. Semini, un comboniano ardente. Fu così che da allora mi orientai verso i Comboniani.

Alla fine del liceo ero pronto e anche il mio direttore spirituale era pronto a benedirmi, ma un nuovo ostacolo si frappose: la guerra. Senza la mamma, con in casa solo la nonna già piuttosto anziana e il papà, mentre l'unico fratello era a fare il militare, e non si sapeva se sarebbe tornato, non mi sentii di lasciare tutti e partire. Forse questa mancanza di generosità è stata causa di altre sofferenze. Ma spero che il Signore mi abbia perdonato.

Terminata la guerra in cui palese fu l'aiuto del Signore, avrei voluto mantenere la parola data a Dio, ma il mio direttore volle che mi preparassi bene alla messa in seminario. Presi la cosa come una prova di vocazione e non insistei oltre. Ma ecco un'altra complicazione. Il mio direttore era fondatore di una Congregazione di suore e ora voleva fondarne una anche di sacerdoti e quasi esigeva che io fossi con lui in questa nuova fondazione che avrebbe avuto anche il settore missionario, quindi adatta alle mie esigenze. E' arrivato al punto da impedirmi di pensare alla Congregazione comboniana alla quale io ormai mi sentivo particolarmente legato e, naturalmente, si rifiutava di darmi il suo consenso...".

La visita a don Calabria

Un bel giorno don Luigi decise di andare a Verona per far visita ai missionari. L'impressione che riportò fu stupenda.

"Non so come degnamente ringraziare lei Rev.mo Padre e i Rev.mi padri Gaetano Semini e Giacomo Andriollo che non avete mancato di darmi, nei pochi giorni passati con voi, prova della paternità, bellezza e bontà del vostro animo sempre entusiasta, per l'accoglienza, il trattamento, l'aiuto e la comprensione. Prima di partire p. Giacomo mi ha detto che l'Istituto Missioni Africane non può essere retribuito degnamente se non pagando con carne viva. Sarebbe il mio sogno.

Sono tornato da Verona con in cuore una vera ammirazione per l'Istituto. Anche la vicinanza con i vostri studenti, il contatto con il loro spirito e il loro ardore missionario mi hanno veramente affascinato...".

Quella visita servì anche a "convertire" il suo direttore. Infatti don Luigi andò a trovare don Calabria (oggi già sugli altari) e gli parlò della sua vocazione missionaria. Il direttore disse a don Luigi: "Quando ho sentito che sei andato da don Calabria, tra me ho pensato: quello che gli ha detto lui di fare, farò anch'io, disposto a farti partire anche subito".

Tu vieni e seguimi

"Nel giorno del mio Suddiaconato - scrisse Luigi - la voce che mi chiamava alla missione si fece più chiara e imperiosa. Ormai non potevo più far finta di non sentirla. Ma i superiori, considerando la situazione familiare, mi dicevano di pazientare e di attendere l'ora di Dio". Nell'immaginetta-ricordo per il Suddiaconato scrisse: "Gesù, eccomi vittima. Sacrificami al tuo amore". Un programma di tutto rispetto!

Il 29 giugno 1947, solennità dei santi Pietro e Paolo, Luigi Malaspina venne ordinato sacerdote. La domenica seguente celebrò la sua prima messa al paese". Fu una festa grande anche se turbata da un segreto pensiero che si agitava nel cuore del papà e anche del figlio. Questo pensiero, nella mente del novello sacerdote, si concretizzava nelle parole del Maestro che non ammettono replica: "Tu vieni e seguimi".

"Avevamo fatto il seminario insieme, insieme siamo stati ordinati sacerdoti - scrive mons. Adriano Marioni. - Per qualche mese don Luigi fu viceparroco a Stradella e a Volpedo, poi entrò nella Congregazione dei padri Comboniani e, nel 1950, partì per il Mozambico. A casa ritornò poche volte e sempre di corsa, soprattutto per motivi di salute".

Tutti contro

Tante sono le lettere che don Luigi ha scritto ai superiori di Verona per concordare la sua entrata tra i Comboniani. Quando aveva ottenuto il permesso dal Vescovo "dopo aver lottato non poco", gli pareva di aver toccato il cielo col dito. Questi, infatti, gli aveva detto: "Se tu ti prendi la responsabilità, va' pure, io ti benedico. Ad ogni modo ricordati che se la tua salute non reggerà alla vita missionaria, io sarò sempre il tuo Vescovo e ti accoglierò a braccia aperte".

Quando tutto sembrava combinato, un nuovo impedimento si frappose: le elezioni politiche del 1948. Non tanto per le elezioni in sé, ma per il lavoro che imposero al giovane sacerdote: "Ho fatto il galoppino di giorno e di notte per istruire, per convincere, per illuminare sul come si doveva votare. Alla fine mi è venuto un po' di esaurimento. Sono anche notevolmente dimagrito perché non avevo tempo neppure di nutrirmi, per cui ho avuto un abbassamento di reni con conseguenti coliche...".

Il Vescovo, mons. Egisto Melchiori, scrisse al superiore di Verona: "Devo notificarle che don Malaspina in questi ultimi giorni ha avuto una ripresa del male che lo affliggeva da tempo per cui i medici sconsigliano la sua partenza per le missioni e anche per il noviziato". Parole pesanti che rimettevano tutto in discussione anche perché pronunciate da un grande amico dei Comboniani. Ecco cosa Sua Eccellenza aveva scritto due mesi prima, cioè il 28 maggio 1948:

"Sono lieto di poter dare ottime informazioni del giovane sacerdote Luigi Malaspina che aspira ad entrare in codesto Istituto. E' sacerdote pio, docile, disinteressato e zelante. Se la salute lo sostiene, sono certo che farà ottima riuscita anche come missionario.

Ho voluto riservare a me il piacere di scriverle perché conservo un carissimo ricordo di codesto istituto, non solo perché il suo fondatore è bresciano come me, ma anche perché ero presente alla posa della prima pietra dell'attuale casa di Brescia, che allora sorgeva in un luogo disabitato. E come direttore spirituale del seminario di San Cristo ho potuto cooperare a dare al loro Istituto ottimi missionari come il compianto p. Bertenghi e p. Zambonardi. Sono questi motivi tanto più forti perché abbiano a pregare per il povero vescovo di Tortona, che ha tanta responsabilità e tanti bisogni spirituali, soprattutto perché non manchino alla Diocesi sante vocazioni".

Novizio a Firenze

Senza che il papà gli dicesse il suo sì, l'8 dicembre 1949 don Luigi entrò nel noviziato di Firenze. In una lettera al p. Generale scritta dieci anni dopo (1959) il Padre dice: "Sono partito maledetto da mio padre". Ripeterà questa terribile frase anche in un'altra circostanza. Per inciso diciamo che, grazie alla mediazione di p. Todesco e di p. Semini, in seguito il papà si rappacificò col figlio e morì nel 1972 felice di aver dato un figlio alle missioni.

P. Audisio, maestro dei novizi, scrisse: "Ha fatto bene tutto il suo noviziato. Buon desiderio e sforzo continuo di crescere nell'esercizio della virtù. Di coscienza molto delicata, ha spiccato zelo per la salvezza delle anime ed è pronto, per esse, a qualsiasi sacrificio. Le difficoltà che ha superate per seguire la vocazione dimostrano più che a sufficienza il suo sincero desiderio della virtù e della santità. Criterio ottimo e capacità più che comuni nello svolgimento del ministero. Sa attirarsi la benevolenza dei fedeli per i suoi bei modi di trattare. Insegna italiano ai novizi di prima liceo".

E' interessante vedere che cosa pensava p. Luigi del noviziato. Ne troviamo un riflesso in una lettera del 1959 al p. Generale:

"Se ci sono stati dei momenti brutti, terribili, nella mia vita spirituale e morale in cui, se non ne ho combinate di grosse non so a quale santo lo devo, sono stati proprio gli anni passati in noviziato. Tutto causa l'inattività a cui ero obbligato. Cosa vuole, sono fatto così: se sto fermo la testa mi si riempie subito di tutte le storie più brutte di questo mondo, che mi tolgono la pace, mi agitano, mi fanno star male. Ho bisogno di attività fisica per stancare l'asino fino allo stremo, e allora tutto va bene. Ecco perché in Africa mi trovo benissimo...".

Emise i Voti il 16 luglio 1951 con 6 mesi di anticipo sulla data stabilita.

"Alla partenza per il Portogallo, dove dovevo recarmi per imparare la lingua prima di andare in Mozambico (ottobre 1951) - scrisse - avevano convinto il mio buon papà, che non ha mai accettato la mia decisione, di accompagnarmi alla stazione di Casteggio. Si aspettava il treno parlando del più e del meno per soffocare la commozione. Finalmente arriva il treno. Cerco papà, ma non si vede. Era nascosto dietro un palo e piangeva. Il rumore del treno che si avvicinava pareva dirmi. 'Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me'. Un abbraccio forte forte, un bacio e salto sul treno. Addio".

Una vita per il Mozambico

L'attività missionaria di p. Luigi Malaspina può essere divisa in quattro periodi. Il primo va dal 1953 al 1960 ed è caratterizzato dall'espansione scolastica.

Quando p. Luigi giunse in Mozambico il governo colonialista portoghese affidò il settore scuola ai missionari comboniani. P. Luigi credette subito e con tutto il cuore a questo genere di ministero e, con i suoi confratelli, cercò di fondare tante più scuole possibili. La scuola era la strada maestra per elevare quel popolo lungamente sfruttato e mantenuto nell'ignoranza dal governo colonialista. Si pensi che i ragazzi non potevano andare oltre la terza elementare in modo che non avessero la possibilità e la capacità di far valere i propri diritti, ma sapessero quel tanto che serviva per pagare le tasse.

Padre Luigi insorse contro questa ingiustizia e più volte cercò di spiegare all'autorità scolastica i suoi punti di vista mettendosi dalla parte della gente. Rimase un anno a Carapira (1953-54) e cinque a Mueria come vice parroco e incaricato della scuola.

In seguito ad un ennesimo scontro con l'ispettore scolastico, uno scontro molto duro, il Padre fu espulso dal Mozambico. Era l'anno 1959. I superiori ne approfittarono per fargli la proposta di diventare padre spirituale dei futuri missionari in Portogallo.

"Chi le ha fatto il mio nome? Per la carità di nostro Signore la prego e la scongiuro, mi salvi da quel pericolo per la mia anima e per quella degli altri. Non mi faccia ricadere all'indietro in una vita piatta, piena di incertezze, malinconie, dubbi e tentazioni... Padre, se è possibile allontani da me questo calice. Io sono e mi sento missionario di prima linea e basta. Ho bisogno di coricarmi alla sera stanco morto e sfinito. Guardi, inoltre, che i miei numeri e le mie possibilità sono limitati. Sicuramente chi le ha dato questo consiglio non mi conosce".

"Lasci l'idea di fare il p. spirituale, si curi i reni e poi torni in Mozambico", gli rispose il p. Generale. L'accenno ai reni sofferenti è significativo.

Una settimana con la Madonna

Dopo una settimana di esercizi spirituali alla grotta di Lourdes in Francia, p. Luigi tornò nella sua terra, non nello stesso posto, ma nella stessa diocesi, con il compito di aprire una nuova missione. Così sorse la missione di S. Pietro di Lurio (1961), dove rimase per 10 anni come superiore e parroco. Questo è il secondo periodo della sua vita missionaria.

"Furono i dieci anni più belli della mia vita - scrisse - in cui ho potuto realizzare il sogno di ogni missionario: impiantare la Chiesa. Tagliata la foresta, preparato il terreno, la missione fu fornita di tutte le strutture necessarie: casa dei Padri, delle Suore, ospedale, scuola, internati per i catecumeni, case per i maestri, e una bella e grande chiesa che penso non sfigurerebbe neppure in Italia, con attorno sette scuole-cappelle sparse nel territorio, con circa cinquemila cristiani. Ero favorito anche dalla bella moto Guzzi 500 inviatami dall'indimenticabile don Meriggi".

P. Malaspina era sorretto dall'entusiasmo dei pionieri e le opere gli fiorivano sotto le dita anche se a prezzo di enormi sacrifici. Ma si può dire che poté fare tanto grazie anche al coinvolgimento dei suoi compagni sacerdoti di Tortona che era riuscito a trasformare in autentici missionari.

"Quando, nel 1970, lasciai Lurio non ho saputo dire che: tutto per te, Signore", scrisse.

Soli nella guerra

Il terzo periodo, 1970-1983, è quello caratterizzato dalla guerra e dalla rivoluzione con tutte le conseguenze negative che queste brutte bestie si portano dietro. P. Malaspina è stato inviato a sostenere e guidare come vice parroco, superiore locale e poi parroco le giovani missioni di Nacaroa (1970-78) e di Mogincaul (1978-83).

Il clima si era fatto più duro e rischioso. L'indipendenza del 1975, dopo 500 anni di dominazione portoghese, era stata preceduta da guerriglie e repressioni, e anche dopo le cose non cambiarono, anzi peggiorarono causa il Frelimo di stampo leninista, quindi sostenuto dalla Russia, che era al governo, e la Renamo foraggiata dal Sudafrica, all'opposizione. E fu guerra civile spietata, senza esclusione di colpi da ambo le parti..

A proposito della fame, p. Luigi scrisse in una lettera: "Finora siamo riusciti a sopravvivere grazie alla straordinaria abbondanza di topo di una certa zona vicina alla missione".

In un'altra lettera aveva scritto: "Ieri ho seppellito i primi morti di fame". Quindi si capisce bene anche il discorso dei topi.

Religiosamente fu persecuzione. Scuole, ospedali, chiese... furono nazionalizzati, i missionari erano controllati e impediti di visitare i villaggi, alcuni furono anche espulsi. I cristiani rischiavano la tortura e la prigione. Alcuni subirono e l'una e l'altra.

I rimasti, e tra questi ci fu p. Malaspina, ebbero un'esistenza precaria. "Camminiamo come su brace ardente", scrisse. Come se ciò non bastasse, si aggiunsero siccità e carestia.

Il quarto periodo, dal 1983 alla morte, vede p. Malaspina come superiore locale e parroco a Mueria, "Il mio primo amore, una vasta missione - scrisse - che serve una quarantina di villaggi con quindicimila cristiani. I catechisti suppliscono egregiamente alla mancanza di sacerdoti. In quel periodo ho vissuto gli anni più tristi. Vedere i miei figli sgozzati come capretti, costretti ad essere sempre in fuga, era una cosa che mi faceva sanguinare il cuore, ma io ero protetto dallo scudo invisibile del Cuore di Gesù, della Vergine, dell'angelo custode, del papà e della mamma ai quali sempre mi raccomandavo. ".

Esempi luminosi

Abbiamo già accennato alla causa di beatificazione di Cipriano, di cui l'EMI di Bologna ha pubblicato una piccola biografia scritta da p. Lorenzo Gaiga, e caldeggiata da p. Malaspina. Cipriano è il catechista sposato e padre di cinque figli che si è lasciato uccidere piuttosto di indicare agli assassini la casa di un ricercato che era innocente. E questi non era neppure del suo clan. Un gesto altamente significativo in un'Africa segnata dagli odi razziali e intossicata dalla guerra civile.

"Queste comunità cristiane - ha scritto p. Luigi - sono vive e fervorose, ma costrette a respirare le conseguenze disastrose lasciate dalla guerra, dalla miseria, dalla fame. Gli esempi dei piccoli San Tarcisio che rischiano la vita per portare la comunione a chi è nascosto nel bosco e delle Sante Maria Goretti che si lasciano uccidere piuttosto che tradire Cristo sono abbastanza comuni.

Non è più possibile raggiungere le varie missioni, avventurarsi nella foresta dove su ogni sentiero ci possono essere le mine. La lotta tra i due contendenti esplode sulla popolazione inerme. Capanne saccheggiate e bruciate, donne e bambini trascinati via, uomini uccisi sulle strade, orti devastati, raccolti distrutti, la popolazione dei villaggi terrorizzata e costretta a nascondersi o addirittura a partire profuga abbandonando ogni cosa, famiglie divise e lacerate...".

Anche tra i missionari ci furono i martiri. Ricordiamo suor Teresa dalle Pezze e fratel Alfredo Fiorini, medico missionario.

"Finalmente la pace è arrivata - scrisse nel 1992 p. Luigi - ma è rimasto lo sconquasso sociale, la degradazione morale, l'anarchia assoluta da parte dell'Autorità, la corruzione, la mancanza di scuole e di posti sanitari e di lavoro... Religiosamente c'è un'invasione di sette che entrano da ogni dove, frastornando la semplicità della buona gente.

Il pastore buono

Anche nei momenti più difficili p. Luigi non ha mai abbandonato il suo gregge. Anzi, nel momento del maggior pericolo la sua presenza confortatrice si faceva notare. Sia pure con molti rischi e con notevoli spaventi raggiungeva i villaggi più lontani per sostenere tutti nella fede, per portare la speranza e gli aiuti economici che riusciva a raggranellare, se non altro per condividere le sofferenze dei suoi cristiani, ma anche dei musulmani e dei pagani.

Con la pace, firmata a Roma il 4 ottobre 1992, in Mozambico riprese la vita, e l'entusiasmo della ricostruzione. Anche la Chiesa, con i suoi vescovi autoctoni, rivisse una nuova Pentecoste. E p. Malaspina, pur ritenendosi un servo inutile, sentiva la soddisfazione di essere stato un lavoratore assiduo ed entusiasta, per 47 anni, in quella vigna ora così ricca di frutti.

Era stato davvero un pastore buono, un sacerdote generoso, senza pentimenti e senza rimpianti, consapevole che quella era stata la strada che il Signore gli aveva tracciata e che lui, con la sua grazia, aveva percorsa nella fedeltà e nella dedizione.

"Un missionario dalla fede solida e dalla speranza prorompente - scrive un suo amico - in un ambiente che sembrava fatto apposta per seppellire ogni sogno e ogni fiducia. Un prete di preghiera, respirata come l'aria di ogni momento, un pastore del suo popolo che non ha mai voluto abbandonare e per il quale ha visto in faccia la morte più di una volta, che ha amato, formato, guidato con vigore di apostolo e tenerezza di mamma".

Spiritualmente p. Luigi fu un instancabile promotore della devozione al Sacro Cuore di Gesù. Celebrava con solennità i primi venerdì, e la novena al Sacro Cuore nel quale vedeva la salvezza per se stesso e per la sua gente. Predicava a tutti la "grande promessa". Non fu da meno quanto a devozione alla Madonna. Parlava di lei anche alle mamme musulmane ed esse la veneravano. P. Lorenzo Turrini scrive: "Sono orgoglioso di essere stato suo compagno di missione perché era proprio un buon pastore, un buon samaritano, un lottatore per la giustizia, un difensore dei poveri, un santo sacerdote".

Animatore missionario

P. Luigi Malaspina fu un animatore missionario di prim'ordine in seno alla sua parrocchia e anche alla diocesi. Infatti proprio dalla diocesi furono spediti alla sua missione ingenti aiuti che distribuiva a tutti: cristiani, musulmani, animisti. L'unico denominatore comune che determinava l'orientamento della sua carità era il bisogno, la fame.

Non era impresa facile comperare le derrate alimentari oltre i confini del Mozambico e farle arrivare a destinazione nei vari villaggi, troppo spesso visitati e devastati da combattimenti di una feroce guerriglia tra partigiani e governativi.

"Ma p. Luigi era un cantore entusiasta della Provvidenza, scoperta nei segni dei tempi, afferrata a piene mani nei cento rivoli che gli giungevano dall'alto e da tanti cuori amici", scrive mons. Marioni.

Ancor prima che il Concilio Vaticano II affermasse che la missione, oggi, corre sul binario evangelizzazione e promozione umana, p. Luigi attuò la promozione umana tra la gente del nord del Mozambico. Ha costruito un lebbrosario e ha provveduto ai bambini denutriti, ha tirato su cappelle e scuole. Ha visto nell'istruzione (e per questo si è scontrato con le autorità colonialiste portoghesi) l'avvenire di quel popolo. Ha sviluppato, insieme ai Fratelli laici comboniani, laboratori, officine, falegnamerie e piccole aziende agricole di tipo familiare per insegnare alla gente a lavorare, a fare da sé, a vivere dignitosamente in belle casette di mattoni, senza parlare dell'opera sanitaria che ha cercato di diffondere e di incrementare. Insomma, salvare l'Africa con l'Africa, come aveva detto il beato Comboni, è stato anche il suo programma.

Ai catecumeni che vivevano in missione prescriveva un paio di ore di lavoro al giorno in modo che potessero coltivarsi il loro pezzo di terra. Con il catechismo imparavano anche a lavorare e avevano la soddisfazione di contribuire al loro mantenimento.

Quanto a evangelizzazione fu un campione. Fu lui, per esempio, a istruire e a battezzare il futuro martire e, forse, prossimo beato Cipriano.

I suoi si commossero

Prima della sua ultima partenza per l'Africa dopo le vacanze, due anni fa, aveva predicato una giornata missionaria al suo paese e aveva parlato con tale foga e convinzione da commuovere tutti. Il 24 gennaio, quindi un mese e mezzo prima della morte, aveva scritto una lettera piena di progetti per il futuro.

"Ho costruito il tubercolosario nuovo e ho riadattato il vecchio in modo che servisse per i bambini denutriti. Ma l'edificio non basta: ora bisogna riempire le pance per cui ho pensato di incanalare i soldi che mi avete mandati per comperare cibarie. Il 'dar da mangiare agli affamati' è sempre attuale. Il Signore che tutto vede, saprà ricompensare.

Sto utilizzando quel tanto di forze e di grazia che il Signore mi concede per organizzare il 50° della Missione di Mueria che si terrà quest'anno. Vorremmo ribattezzare la missione facendola rifiorire in opere e in grazia, con la speranza di poter condurre a termine anche la causa di beatificazione del nostro catechista Cipriano che sarà il più bel fiore che potremo presentare alla Chiesa e alla cristianità...". Davvero la morte, quindi, lo colse nel pieno della sua attività missionaria.

Nel breve profilo biografico di p. Malaspina dovrebbe essere inserita anche la dozzina di stupende lettere scritte al suo amico don Angelo Bassi, insieme a tante altre scritte ad altri sacerdoti, che costituiscono uno spaccato della sua attività missionaria nei vari periodi della sua presenza in Mozambico, ma lo spazio non ce lo permette. Tuttavia rappresentano un materiale prezioso che potrà sempre venir buono. Intanto ringraziamo coloro che ce le hanno inviate.

L'incontro col Signore

Nella lettera che mandò ai confratelli di Tortona per il 50° di sacerdozio, scrisse: "Purtroppo le gambe cominciano ad essere pesanti per cui pregate per me perché non solo possa riparare il male fatto, ma possa fare quel bene che il buon Dio ancora si aspetta da me".

Da tempo il Padre aveva problemi di circolazione e di pressione, ma non si sentiva di lasciare il suo campo di missione. Accusava anche disturbi alla vista e i suoi riflessi non erano più ottimali per cui non era più sicuro quando usava l'auto, tanto che aveva avuto parecchi incidenti di poco conto, dovuti proprio alla carenza di vista. Ogni tanto andava a Nampula per le analisi, e poi tornava al suo lavoro cercando di tenersi in cura usando le medicine che il medico gli prescriveva.

Sabato 14 marzo fu colpito da un po' di influenza. Domenica mattina non si sentiva tanto bene, tuttavia non è voluto restare in casa. Era il giorno del Comboni e volle andare in una piccola comunità a celebrare la messa. Ritornò molto stanco e, dopo aver mangiato qualcosa, andò a riposarsi.

Il 16 marzo, mentre si alzava dal letto è stato colpito da ictus cerebrale. P. Massimo Robol, ha sentito il rumore della caduta ed è andato subito a vedere. Constatando come erano le cose, chiamò l'infermiera che gli praticò un'iniezione e poi si partì immediatamente per l'ospedale di Nacala. Alle 7 del mattino era già ricoverato in rianimazione, ma era in stato di coma. Alle 9 è spirato avendo accanto il medico e la suora comboniana Anna Delleperi.

Poiché il frigorifero dell'ospedale era fuori uso e il caldo era intenso, il funerale ebbe luogo il giorno dopo, 17 marzo, alle 10 del mattino. Il Vescovo mons. Germano Grachane presiedette la messa alla quale parteciparono tanti comboniani, sacerdoti locali, suore e una folla grandissima di fedeli.

Poi è stato sepolto nel cimitero di Mueria, secondo il suo desiderio e secondo il desiderio di tutti, cristiani e musulmani di cui p. Luigi era amico. I cristiani hanno voluto che la tomba fosse secondo il costume locale per le persone importanti, cioè una specie di casetta. P. Luigi, infatti, è considerato come un padre della fede per questo popolo.

Era un mozambicano

Scrive il provinciale dei Comboniani di Mozambico: "P. Luigi ha vissuto 75 anni dei quali 45 in Mozambico. Anche se amava molto i suoi parenti e i sacerdoti della sua diocesi d'origine, si sentiva mozambicano a tutti gli effetti. Ora continua vivo in mezzo a noi. La sua amicizia, bontà e buon umore rimangono come esempio e modello per tutti: missionari, cristiani e musulmani.

Nel suo lavoro missionario si è distinto come un lavoratore instancabile per il regno di Dio. L'annuncio del Vangelo era sempre legato allo sviluppo e benessere della gente, fino alla fine. Per questo si è battuto nella lotta per la giustizia e per i diritti della persona. Per questa sua rettitudine e coerenza ha dovuto anche soffrire ed essere perseguitato.

Nel lavoro pastorale aveva una cura speciale per le famiglie e per i catecumeni. Li accompagnava al battesimo con un amore speciale. P. Luigi è stato uno dei primi comboniani a lavorare in Mozambico.

In questo periodo stavamo preparandoci per celebrare i primi 50 anni della missione di Mueria. Padre Luigi, con i cristiani, era molto impegnato per questa celebrazione che... vedrà dal cielo. Scrivendo ai suoi, il Padre aveva detto: 'Ci stiamo preparando al grande Giubileo che ricorda i 2.000 anni da che è venuto Gesù sulla terra, e noi ricordiamo i 500 anni di presenza del cristianesimo in Mozambico e i 50 anni dell'arrivo di Gesù a Mueria. Festa grande, gioia immensa, gratitudine infinita, diluvio di grazie. Per l'occasione Mueria spera di ottenere la beatificazione del suo catechista martire Cipriano'.

La sua morte è stata una perdita per tutti noi e per la gente del luogo, ma la speranza che egli continuerà a proteggerci dal cielo ci consola in questo momento di sofferenza. Noi lo consideravamo un saggio capace di dare consigli giusti, e una fonte di gioia per tutti".

I sacerdoti di Tortona hanno ringraziato p. Luigi Malaspina "per la sua grande fede, per la sua indefettibile speranza, per la sua fedeltà, per la sua totale dedizione ai più poveri e bisognosi e, soprattutto, per la sua passione ardente per Gesù e per le anime.

In pochi mesi ben quattro missionari sono passati dal Mozambico alla Casa del Padre (p. Ferrero, p. Busi, fr. Metelli e p.Malaspina). Sono tanti, sono troppi si sarebbe tentati di dire. Non ci resta che invocarli perché dal cielo, dove vivono accanto a Comboni e a una schiera innumerevole di gente che, grazie al loro ministero, li hanno preceduti, ottengano alla Chiesa, all’Istituto e alla diocesi di Tortona tante e valide vocazioni.      P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 201, ottobre 1998, pp. 62-71