In Pace Christi

Sentendo parlare lo zio p. Andrea Filippi (deceduto nel 1994)  parlare di Gesù e di anime da salvare, il piccolo Lino si infiammò di un amore così grande all'Africa e agli africani, da non veder l'ora di partire. Dopo aver ascoltato i racconti dello zio, lo scongiurava dicendo: "Per piacere non convertirli tutti tu, lasciane un pochi anche per me!". Frequentò le elementari in Svizzera dove la famiglia si era trasferita per motivi di lavoro. Al termine della scuola, pregò papà Bortolo e mamma Maria Filippi di accompagnarlo a Rebbio per prendere visione del seminario.

"Lo ho accompagnato con gioia ma anche con un po' di amarezza - dice la mamma - perché la strada che stava per intraprendere era grande, e lui era tanto piccolo!" Lino rimase entusiasta della visita a Rebbio e decise che quello sarebbe stato il suo posto.

Quando venne l'ora di entrare, prese il treno in Svizzera, da solo, e puntò diretto alla volta di Como. Alla frontiera la guardia gli impose l'altolà. Un bambino, anche se aveva i documenti, senza qualcuno che lo accompagnasse, non poteva andare all'estero. "Sei scappato da casa, eh? Ti vedo dagli occhi che sei uno di quelli!".

"Io vado a farmi missionario perché devo andare in Africa a portare il Vangelo a coloro che non conoscono Gesù". Il poliziotto non voleva capire: "Su, torna a casa da tua madre che ti starà cercando disperata".

Lino tirò fuori la lettera che il superiore di Rebbio gli aveva scritta con la data della sua entrata. E il poliziotto allargò le braccia: "Se lo daranno come disperso, sappiamo almeno dove era diretto".

Ragazzo modello

Rebbio per le medie, Crema per il ginnasio e Carraia per il liceo sono state le tappe della prima formazione di Lino Salvi. Specialmente gli anni di Carraia cominciavano ad essere "turbolenti" per via della nota contestazione giovanile che alzava la testa e metteva in discussione tanti valori; tuttavia, dalle note dei superiori, constatiamo che Lino ha saputo mantenere l'equilibrio e la calma.

Anche il profitto scolastico fu sempre lusinghiero. Più tardi, quando frequenterà l'Università Gregoriana per la Licenza in Sacra Teologia (1967-1971) a Roma, Lino Salvi riporterà il voti più alto del suo corso.

P. Riva, superiore a Crema, nel 1962 scriverà di lui: "Ragazzo ottimo in tutti i sensi. Scolasticamente fa bene, sempre, esageratamente". L'ottimo è sottolineato. Nel 1960, in ginnasio, Lino aveva già subito un'operazione all'orecchio sinistro per otite con conseguente perforazione del timpano. Nella primavera del 1961 si dovette ripetere l'operazione per complicazioni sopravvenute, tra le quali la chiusura del foro timpanico. In luglio del 1961, altro intervento. Nel 1965 l'orecchio cominciò ad emettere delle secrezioni di "dubbia natura" che costringeranno p. Salvi a sottoporsi a periodici controlli. Il cammino formativo di questo nostro confratello è stato, dunque, contrassegnato e accompagnato dalla croce della preoccupazione e della sofferenza.

Novizio fervoroso

Nel settembre del 1965 Lino Salvi entrò nel noviziato di Gozzano. Era maestro p. Antonio Zagotto. Questi scrisse del novizio: "E' un giovane buono, molto dotato quanto a intelligenza, con notevoli capacità di approfondimento, diligente, ordinato, chiaro. Anche nel ministero fa molto bene, anzi si applica troppo facendo di più di quanto le sue forze glielo permettano, quindi bisogna frenarlo perché lui non dice mai di no. Come criterio è equilibrato, quindi un domani potrebbe diventare un uomo di governo. Ha un grande desiderio di progredire nella virtù. E' estremamente sincero con i superiori ed è molto docile nel seguire le loro indicazioni. Come tipo è cordiale, generoso, gioviale, ed è uomo di preghiera. Pietà sentita, zelo ardente, carità, obbedienza e spirito di sacrificio sono le caratteristiche che faranno di lui un grande missionario.

Ha anche dei difetti che lo costringeranno ad un lavoro assiduo su se stesso, come qualche cedimento della volontà, qualche momento di scoraggiamento e una disponibilità a lasciarsi influenzare dagli altri, ma questa può essere anche una virtù in quanto lo rende capace di ascoltare, di riflettere e, in conseguenza, di cambiare opinione se vede che le ragioni degli altri sono più giuste delle sue. Deve ancora irrobustire la volontà per controllare la sua emotività che lo porta a voler raggiungere mete troppo alte. Perciò ha bisogno di essere guidato e moderato nei suoi slanci di generosità. Ha spiccata attitudine allo studio, all'insegnamento e al ministero. Il giudizio mio e dei Padri della casa su di lui è positivo".

Momenti di buio e tanta luce

Questa tensione per migliorare se stesso gli costava sforzo e fatica, e le conseguenze si facevano sentire. Ed ecco che un giorno, in un biglietto indirizzato al p. maestro, scrisse:

"In questi giorni mi trovo in una situazione un po' particolare. Sono molto stanco; da varie notti riesco a dormire molto poco o nulla. Conseguenze: nervosismo durante il giorno, atteggiamenti bruschi, reazioni poco garbate, mancanza di serenità... tutto a spese dei miei confratelli".

Per constatare la spiritualità di Lino basta prendere qualche frase dalle domande per la rinnovazione dei Voti, come: "Voglio essere religioso, sacerdote, missionario per testimoniare e portare Cristo ai fratelli più lontani in piena adesione alla volontà di Colui che per primo mi ha amato e mi ha chiamato..."

Direttore delle scuole a Rungu

Emessi i Voti il 9 settembre 1967, Lino fu inviato a Roma per diplomarsi in Teologia presso l'Università Gregoriana, cosa che fece in maniera brillante, come abbiamo detto.

Dopo l'ordinazione sacerdotale, che ebbe luogo nella chiesa del Sacro Cuore di La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, per le mani di Mons. Pierre Mamie, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo l'11 settembre 1971, scrisse al p. Calvia in data 7 ottobre 1971: "Ti mando il documento che certifica la mia avvenuta ordinazione sacerdotale... Oggi non è sempre facile riconoscere i giovani preti e quindi questi documenti hanno ritrovato la loro utilità". La battuta sta ad indicare che p. Salvi non si era lasciato travolgere dall'ondata del 1968.

Dal 1971 al 1975 fu direttore e incaricato delle scuole di Rungu, un lavoro che portò avanti con entusiasmo e competenza grazie alla sua propensione e preparazione all'insegnamento e alla perfetta conoscenza della lingua francese. Ma in poco tempo imparò bene anche quella locale. Scrivendo al p. Generale nel 1974, disse: "Sono un missionario contento di lavorare in questo campo in cui sono stato mandato, e allora non ho niente da raccontarle. Sono contento di essere missionario, di essere qui e le assicuro che sto facendo del mio meglio per realizzare la mia vocazione".

Dal 1975 al 1979 fu parroco ad Isiro. Dobbiamo dire che il ministero tra la gente occupò sempre la parte più intima del cuore di p. Salvi, anche se l'obbedienza gli impose altri compiti che eseguì altrettanto bene, ma che richiedevano da lui qualche sacrificio.

Formatore

Nel 1979 cominciò per p. Salvi la "carriera" di formatore. In quell'anno, infatti, dovette lasciare la missione per assumere l'incarico di formatore dei postulanti studenti a Firenze. A questo compito si aggiunse, nel 1980, quello di Segretario Provinciale della Formazione e di Consigliere della provincia italiana.

Riassumendo la sua vita fino al 1983, e chiedendo di essere inviato in missione per il 1984, scrisse: "In questi dodici anni ho fatto di tutto e credo di non essermi mai tirato indietro davanti  alle decisioni dei superiori.

- dopo tre mesi dalla mia ordinazione ero in Zaire.

- a sei mesi dal mio arrivo in missione ero già direttore della     scuola e, nello stesso tempo, viceparroco.

- dopo quattro anni a Rungu, altri 4 ad Isiro come parroco.

- Ritornato in Italia, dopo tre mesi, animatore a Firenze.

Dall'80 ad oggi, segretario delle vocazioni e consigliere. Tante assemblee, tanti incontri (200 giorni all'anno di incontri), tanti viaggi (60.000 chilometri all'anno) e tante proposte: "tu saresti adatto a fare questo, a fare quest'altro...)... Io credo di non essere affatto "insostituibile". So bene che molti apprezzano il mio lavoro, ma altri ritengono che io sia un ostacolo a nuove prospettive, e la storia potrebbe dar ragione a questi ultimi. Ecco, quindi, la necessità di fermarsi, di riflettere, di fare una sintesi".

Ma p. Salvi era attento anche alla crescita della Chiesa africana. Ecco come si esprime a questo proposito:

"Per la missione mi basta anche l'ultimo buco perché non c'è nessun posto che non sia degno di ricevere l'annuncio di Cristo. Tuttavia, nella mia esperienza, ho avuto modo di rendermi conto di una priorità sempre più urgente: la formazione dei futuri operatori pastorali di queste giovani Chiese: sacerdoti, catechisti. E' una priorità che tutti capiscono ma per la quale pochi sono disponibili, preferendo l'attività diretta".

Uomo identificato

Il soggiorno in missione come direttore del Centro catechistico di Nangazizi durò solo un anno, dal 1985 al 1986, perché nel 1987 venne scelto come padre maestro dei novizi a Venegono Superiore. Vi rimarrà fino al 1992. Affidandogli questo delicato incarico p. Pierli, Generale, si appellò alla conoscenza che p. Salvi aveva della Provincia italiana e alla sua ricchezza di contenuti umani e spirituali.

Come formatore dei futuri missionari p. Salvi era un uomo dalle idee chiare. Dice p. Antonini, suo successore come maestro dei novizi: "P. Salvi era un uomo ben identificato, con un progetto chiaro in mente. Identificato lui, voleva che anche gli altri si identificassero nella loro vocazione missionaria. Qualcuno lo ha giudicato un po' autoritario. E lo era, ma era il suo ruolo che richiedeva polso fermo e idee in testa. Le pappe-molle avevano vita dura con lui".

P. Danzi, suo compagno di missione, ha detto nell'omelia funebre: "Potevi dire a p. Salvi ciò che pensavi, senza paura, ed egli rispondeva con altrettanta schiettezza e sincerità. La lealtà che aveva dentro, lo rendeva forte, ma aveva anche la sapienza della misericordia. Se qualche volta appariva duro - e lo era anche - poi non ti lasciava solo a portare la tua croce. Se era costretto a dirti una verità bruciante, poi aggiungeva anche: 'Ed ora andiamo a berci un bicchierino'. Insomma aveva una grande capacità di fare amicizia, ma nella verità, per questo le sue amicizie erano durature.

Sapeva che i futuri missionari dovevano inspirarsi al Fondatore. Per questo approfondì la spiritualità del Comboni e scrisse al proposito ampie sintesi.

Nonostante la sua salute fosse fragile, fu un grande missionario, un appassionato dell'Africa e degli africani. Il chinino gli rovinava l'udito e gli procurava il fastidioso fischio all'orecchio, eppure lo assumeva lo stesso. Era, questa, una condizione per poter vivere e lavorare in Africa.

Ogni anno indirizzava al seminario sei o sette ragazzi o giovani. E si poteva stare sicuri che quelle fatte da Lino erano scelte buone, oculate. Curava anche i catechisti e il clero locale. Insomma gli interessi della Chiesa africana gli stavano sommamente a cuore e per il suo bene non badava a sacrifici e rinunce".

Aperto al nuovo, p. Salvi stava saldamente ancorato ai valori che avevano fatto dell'Istituto una fucina di validi missionari, e i risultati del suo lavoro di formatore si vedono nei confratelli che sono usciti dalle sue mani e dal suo cuore.

Nuovamente in Zaire

Dal 1992 al 1994 p. Salvi fu nuovamente in Zaire, precisamente a Duru con l'incarico di viceparroco. Per il suo modo di essere missionario, citiamo da una bella testimonianza di p. Francesco Rinaldi Ceroni che ne riassume tante altre.

 "Conosco p. Lino  dal dicembre 1971 quando, ancora fresco di ordinazione sacerdotale, ci raggiunse nel Congo ed iniziò fra noi la sua attività missionaria. Ricordo che il suo primo lavoro fu un corso di Esercizi spirituali a noi Comboniani nel gennaio 1972. Ci riunimmo nella missione di Ndedu di cui io ero parroco e si scelse, la nuova chiesa parrocchiale Mater Christi.

Il tema che il Padre scelse fu l'Apocalisse su cui aveva appena terminato i suoi studi  per la licenza alla Gregoriana. Mi colpì questa sua dimestichezza, lui così giovane, con un libro della Bibbia tra i più difficili e astrusi, e pensai fra me: 'Dev'essere un uomo intelligente se ci parla con tanta chiarezza di una materia così difficile'. Di fatto, durante i suoi molti anni passati in Congo, i Superiori seppero saggiamente approfittare della sua competenza nella materia, della sua versatilità nella parola e della sua padronanza delle lingue (le tre doti per un buon oratore) per tenere corsi di Esercizi e di ritiri non solo ai confratelli della Provincia  ma anche di quelli dei Paesi vicini come il Sudan, l'Uganda, il Kenya, la Repubblica Centroafricana (fu proprio qui dove il Padre concluse la sua marcia missionaria nel 1996).

Il suo speciale carisma, direi la sua passione, fu annunciare Gesù Cristo ai formatori delle nostre Chiese locali: ai catechisti, ai sacerdoti africani, ai seminaristi maggiori di varie diocesi, ai Fratelli dell'Istruzione Cristiana, e specialmente alle Religiose.

Confessava che tale apostolato gli piaceva e che ne vedeva l'assoluta priorità se si voleva avere, in questo centro Africa, una Chiesa più matura. E il clero locale, dai vescovi ai rettori di seminario e ai parroci gli riconoscevano questa dote e parlavano di lui sempre con gratitudine e con rispetto. Ne ho avuto la prova alla sua morte quando il vescovo locale, il suo vicario generale e il rettore del seminario hanno voluto mostrare la loro riconoscenza al caro Padre anche per scritto, per il bene da lui operato nella diocesi di Dungu.

Personalmente ho avuto con p. Lino qualche contatto che mi ha legato più intimamente. Per tre volte mi ha succeduto nel mio lavoro missionario. Ero parroco a Sainte Anne di Isiro nel 74-75 e lui mi sostituì quando andai a Duru e quando partii da questa missione, fu ancora lui a sostituirmi.

Il Padre, sempre accogliendo tutti con bontà e carità, si prestava anche per contatti telefonici (lui aveva un apparecchio telefonico satellitare) per dare o avere notizie di confratelli o di parenti, dall'Europa e da altre nazioni. Era sempre pronto e disponibile per questo servizio tanto più prezioso perché difficile e raro e talvolta pericoloso, soprattutto negli ultimi mesi di guerriglia.

A Duru ha fatto ogni sforzo, insieme agli altri confratelli della casa, per terminare l'ospedale locale e si è battuto, con felice esito, per avere sul posto, almeno per il tempo concessogli dai Superiori, un confratello medico, il fratello dottor Hernan, comboniano ecuadoriano.

Anche pittore

E che dire del suo amore per la pittura? Il suo capolavoro si trova nella chiesa di Sainte Anne, a Isiro, quando lui ne era parroco (1975-80); un grande Cristo, maestoso e solenne, che avanza a lenti passi davanti a una foltissima schiera di santi e sante di ogni età, tribù, popolo e nazione. Dinanzi a Cristo stanno la Vergine e Sant'Anna che gli presentano i primi frutti della Chiesa africana (i martiri e i santi dell'Uganda, del Congo, del Sudan e di tutto il Continente). Notte e giorno è un continuo annuncio di Cristo salvatore da quella grande parete.

Altri daranno testimonianze degli anni passati a Venegono come maestro dei novizi e a Bologna come segretario provinciale dell'animazione missionaria. Io posso affermare che anche in questi incarichi ha sempre saputo dare ciò che di meglio c'era in lui, con animo aperto e gioviale che gli attirava la fiducia dei giovani e il rispetto degli anziani.

E per ultimo, siccome nessuno è perfetto in questo mondo, un limite che forse l'ha coartato nella sua vita può essere questo: lui, giovane abituato a trattare quasi sempre con i giovani, si è avuta talvolta l'impressione che trattasse gli anziani come fossero dei giovani inesperti, quindi con atteggiamenti e ordini che, pur provenendo dal superiore della comunità, quale egli era, non corrispondevano forse alla sensibilità e al rispetto dei più anziani...

Un altro punto che forse era un suo limite, ma si è meravigliosamente corretto era che, all'inizio del suo apostolato, le sue prediche e omelie erano troppo filosofiche e difficili per i nostri cristiani.

Concludendo, posso umilmente dire: `E' vero quanto mi diceva un confratello di Isiro, apprendendo la notizia della sua morte, . P. Salvi resterà a lungo nella memoria e nel cuore del popolo congolese, e anche i confratelli vedranno in lui un termine di confronto per la loro attività missionaria".

Di intensa spiritualità

Il 27 ottobre 1995, mentre si trovava a Gerusalemme per gli Esercizi spirituali, gli arrivò una lettera dal p. Generale con la proposta di diventare direttore della rivista di animazione missionaria in lingua francese che doveva nascere in Africa francofona. La risposta del Padre ci apre una finestra sul suo concetto di obbedienza, di disponibilità, di stima dei superiori, di fede...

"Accetto se l'ultima parola viene da voi; solo così mi confermerà nella volontà di Dio, perché credo nel servizio dell'autorità. Ma siccome credo anche nell'obbedienza attiva e corresponsabile, faccio pervenire le mie osservazioni... Ho sempre desiderato far conoscere e far amare il Signore, far amare e far conoscere tutto ciò che riguarda i valori del Regno. Una rivista potrebbe essere un ottimo mezzo... ma se guardo ad altri aspetti, mi sento davvero inadatto".

Nell'elencare le motivazioni, abbiamo una descrizione della sua situazione sanitaria. " Come tutti, vorrei avere una salute 'di ferro'. Invece devo riconoscere di essere una vecchia carretta arrugginita, tenuta insieme da fili di ferro. Il che non è una metafora. Dal giorno della mia operazione al cuore, la mia gabbia toracica è tenuta insieme da quattro anelli di metallo. Oltre a questo, mi tiro dietro vecchi problemi: sono sempre stato aperto a regolari attacchi di malaria in missione, e le medicine mi hanno fatto perdere metà dell'udito e mi hanno lasciato un fastidioso fischio interno all'orecchio che dura da più di dieci anni.

Quando ho ricevuto la tua lettera, ho chiesto al Signore un piccolo segno: 'Signore, se mi vuoi per questo lavoro, fammi sentire un po' meglio in salute'. Come risposta, alle tre del mattino mi sono svegliato con i brividi della febbre provocata dalla malaria che mi ha tenuto a letto tutto il giorno dopo.

Oltre la malaria, mi porto dentro tre ulcere, da ben sette anni. Infine, dulcis in fundo, il mio cuore ha ben quattro by- pass... Con un po' di vergogna ho messo a nudo le mie ferite. Può sembrare che, dopo aver affermato la mia disponibilità, cerchi delle scuse. Ho solo detto la verità.

Ciò che mi proponete è quello di essere la 'pietra angolare' di un nuovo edificio. Da ciò che vi ho detto, potete capire che sono una pietra piuttosto incrinata. Volete servirvene ugualmente? Lascio a voi la risposta e l'accetto fin d'ora in spirito di fede".

Durante la sua ultima malattia ha scritto un libro sulla sofferenza dove si vede la sua fede e la sua "combonianità" quanto ad amore alla croce. E in previsione del XV Capitolo generale dell'Istituto ha scritto una serie di osservazioni molto opportune sulla missione del Congo.

In sintonia con Comboni

Il Signore lo ha chiamato a sé quasi alla stessa età del beato Comboni. Ma non condivise solo l'età anagrafica col Fondatore, bensì gli ideali, l'ansia missionaria, le sfide che furono del grande missionario.

La sua morte fu una grande perdita per l'Istituto e per l'Africa, per i più poveri di fede e anche di mezzi economici.

"La sua passione per i poveri - ha detto p. Danzi nell'omelia funebre - non è mai stata ideologia, bensì testimonianza fattiva di vita. Anche in Italia ha dato un grande contributo a favore delle vocazioni missionarie".

Per anni fu membro del Consiglio CEI per la pastorale vocazionale, e il suo cumulo di carte, di note, che accompagnavano i suoi interventi ad alto livello ci indicano che aveva preso quell'impegno sul serio, con responsabilità. Questo ruolo "vocazionale" lo portò a svolgere egregiamente il ruolo di segretario provinciale delle vocazioni all'interno dell'Istituto.

Innamorato dell'Africa

P. Lino aveva sperimentato il duro logoramento dell'Africa, ma con l'abituale tenacia che lo aveva sempre caratterizzato, non aveva mai buttato la spugna. Il linfoma di Hodgkin lo aveva ingaggiato in una dura battaglia. Ma dopo i periodici controlli e cure in Italia, p. Lino non rinunciava a ripartire per la missione. Laggiù il lavoro era tanto e non si poteva lasciare spiazzata la missione e le numerose opere che mandava avanti, finché la malattia non ebbe il sopravvento. P. Lino avrebbe voluto morire in Africa ed essere sepolto in mezzo agli africani ma, temendo che la sua malattia fosse un impedimento al lavoro degli altri, accettò di essere trasferito in Italia.

Il Giornale di Locarno, pubblicando la notizia della morte di p. Lino Salvi, lo ha chiamato "Personaggio di grande umanità, innamorato dell'Africa, e specialmente del Congo. Era collaboratore del nostro giornale: ancora recentemente, dopo il rovesciamento di Mobutu e l'avvento di Kabila alla guida del Paese, aveva firmato commenti sulla situazione nel Congo.

Nel Natale del 1995 aveva promosso un'azione a favore di un ospedale che doveva assicurare un po' di salute a una remota regione del Congo."

Scrisse p. Vittorio Moretto: "Ho vissuto con p. Salvi gomito a gomito, con intensità e fraternità alcuni anni di servizio nella Provincia italiana e nel Consiglio provinciale. In seguito p. Lino mi ha sostituito come responsabile nel noviziato di Venegono. Con lui ho avuto una particolare collaborazione. Ringrazio il Signore della esistenza nel nostro istituto di questo confratello entusiasta e identificato".

Il testamento

Nel Centro Ambrosoli di Milano, reduce dall'Africa con il suo male che lo distruggeva giorno dopo giorno, P Lino prese carta e penna il 16 luglio 1997, per scrivere il suo testamento spirituale.

"Tutti mi dicono che mi vedono meglio, migliorato, ma io sento che le mie forze diminuiscono di giorno in giorno per cui, sapendo quello che ho, preferisco anticipare qualche pensiero nel caso che il Signore mi chiamasse proprio nei prossimi giorni o nei prossimi mesi... meglio prima che dopo!

Desidero innanzitutto ringraziare il Signore per tutti i doni che mi ha dato in questa vita. Desidero chiedergli perdono per tutte le mie infedeltà, e desidero chiedere perdono a tutti coloro che volontariamente e involontariamente avessi offeso. Spero soltanto nell'infinita misericordia del Signore e nella bontà di coloro che vorranno perdonarmi.

Credo umilmente di aver sempre cercato il Regno di Dio, anche se talvolta con mezzi sbagliati. Per questo mi presento anch'io al Signore, come Teresa di Lisieux, 'con le mani vuote'. La mia unica fiducia è di aver fiducia in Lui che certamente non mi abbandonerà.

La morte è per me il "dies natalis", il giorno del tanto atteso incontro col Signore, per cui desidero che sia celebrato come un giorno di gioia: Messa del mattino di Pasqua e poi pranzo speciale per tutti.

Ho sempre chiesto al Signore di poter morire in missione, ma se il Signore volesse chiamarmi qui a Milano, per non dare incomodo ai miei parenti per via del trasporto, ecc. desidero che il mio corpo sia seppellito a Berbenno, dove sono nato, e dove già riposa mio zio p. Andrea.

Desidero pure che non si facciano spese particolari ma si scelga la cassa più semplice... quattro assi come quella di Paolo VI. Così desidero che tutte le offerte che venissero raccolte vengano spedite alla mia missione di Duru, in Zaire. Per i miei oggetti personali, la comunità disponga come meglio crede.

Ringrazio tutti coloro che vorranno rispettare questi miei desideri e assicuro a tutti il mio ricordo dal Cielo. Come Teresa, vorrei continuare a fare del bene sulla terra, soprattutto in mezzo al popolo per cui ho lavorato.

Arrivederci presto, tutti nella casa del Padre".      P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 198, gennaio 1998, pp. 96-105

*****

 

Hearing his uncle, Fr. Andrea Filippi (who died in 1994) talking about the Missions and the souls to be saved, little Lino became so filled with love for Africa and her people that he begged his uncle: "Don't convert them all; leave some for me!" He was going to primary school in Switzerland, where his father Bortolo had found work, and had taken Maria (Filippi) and the children with him.

As he finished Primary, he asked his parents to take him to Rebbio to see the Comboni seminary there. "I took him with a mixture of joy and sadness," says his mother, "because the call was so great, and he was so little!" But Lino was convinced by all he saw, and proclaimed that his place would be there.

When the time came, he set out alone from Switzerland by train, first stop Como. But at the border the frontier police stopped him: a child, even with documents, should not be leaving the country unaccompanied. "Run away, have you? It's written all over your face!" Lino protested indignantly that he was on his way to become a missionary and go to take the Gospel to people in Africa who did not know Jesus. The policeman called his colleague: "Here's a lad that wants to go to baptize people in Africa!... Go on, lad, go back home; you mother must be getting worried!"

Lino took out the letter that the superior of Rebbio had written to tell him what day he should arrive at the seminary. The officers had to give in: "Well, if he is reported missing, at least we know where he is headed!"

Model pupil

Rebbio for Middle School, Crema for Grammar School and Carraia for Sixth Form: these were the early formation stages for Lino Salvi. The years in Carraia were being affected by the student unrest that was spreading in Europe, and challenging many of the values held dear by the missionary staff. Lino's school reports show that he kept his head and stuck to his work, with consistent high marks in all subjects. It became a habit: later on, when he studied for his STL (Licence in Sacred Theology) at the Gregorian University in Rome, he got the highest mark in his year. Fr. Riva, the Rector at Crema, wrote of him: "He is a first-class student in all senses (`first-class' underlined three times). In his school work he always does well - exaggeratedly so!"

At Crema, Lino had an operation on his left ear for otitis that had burst his ear-drum. That was in August 1960. The following year he needed another operation because of complications, one of which was the blockage of the tympanic passage. He had yet another operation in 1961, and in 1965 the ear began to give out strange secretions, which meant that he had to go to have it checked at regular intervals. So his formation years were accompanied by some pain and anxiety that tested his faith and his determination.

Fervent novice

Faith and determination were not lacking. In September 1965, Lino entered the Novitiate at Gozzano, where Fr. Antonio Zagotto was Novice Master. He too noted the young man's outstanding qualities: "Good, highly gifted, with a notable capacity to go deep into things. Diligent, tidy, clear. In his ministry he does very well, and perhaps gets too involved, doing more than his energies permit; so he had to be held back, because he can never say No. He is well balanced, with good sense, so could occupy a place of authority one day. He has a great desire to make progress in virtue. He is perfectly open with his superiors, and readily obeys their guidance. He is warm, friendly and generous, and is a man of prayer. Sincere piety, obedience and spirit of sacrifice are characteristics that will make of him a great missionary.

There are defects, too, that he will have to work on: he suddenly gives in, gets discouraged, allows himself to be influenced by others - though this can also be a virtue in that it means he can listen to others, reflect and, as a result, change his opinion if he sees that the reasoning of others is more correct than his own. He still has to build up his will to control his emotions, that sometimes make him aim too high. So he has to be guided and held back in his transports of generosity. He shows a notable aptitude towards study, teaching and ministry. The judgement of all of us in the community is positive."

Some darkness, but a lot of light

The urge to improve took energy and effort, and the effects began to show. One day he wrote a note to the Novice Master: "I am in a strange state these days: very tired, and I have hardly slept for several nights. Consequently, I am irritable during the day, react sharply, am rough in my attitudes, lacking in serenity... all at the expense of my confreres."

His deeper spiritual attitudes show in his applications to renew his Vows: "I want to be a religious, priest and missionary to witness to Christ and bring him to my far-off brothers and sisters, in answer to His call, by which He loved me first..."

School Principal in Rungu

After his First Vows on 9 September 1967, Lino was sent to obtain a qualification in Theology at the Gregorian University in Rome, as we have seen. He was ordained priest on 11 September 1971 in the Sacred Heart church at La Chaux-de-Fonds in Switzerland, by Bishop Pierre Mamie of Lausanne, Geneva and Fribourg. On 7 October he send the attestation to Fr. Calvia with a note: "...These days it is not easy to recognize young priests, so these documents have a certain usefulness!" The wry words show that he had not been overwhelmed by the events of 1968...

He was assigned straight to Zaire, where he spent four years - until 1975 - as principal and director of the schools in Rungu. He was competent and enthusiastic: his aptitude and studies had prepared him just for this kind of work, and he spoke French fluently. Within a short time he had learned the local language too. He wrote to Fr. General in 1974: "I am a missionary who is happy in the work given him, so I have no observations to make. I am happy to be a missionary and to be here, and I assure you I am doing my best to live my vocation." From 1975 to 1979 he was Parish Priest at Isiro, and it has to be noted that he always felt more fulfilled in direct ministry than in any other task, no matter how well he carried it out.

Formator

In 1979 he was launched on his "career" as formator. It meant leaving the mission, for he was sent to Florence to take charge of the postulant candidates for the priesthood. In 1980 he received the added duties of Provincial Secretary for Formation and Councillor in the Provincial Council of the Italian Province.

Summarising everything in 1983, and asking to return to the missions in 1984, he wrote: "In these 12 years I have done a bit of everything, and I don't think I ever drew back from a decision of the superiors.

- three months after my ordination, I was in Zaire.

- six months after that I was already school principal, and assistant priest in a parish.

- after four years at Rungu, I had another four at Isiro as PP.

- Back to Italy, and animator in Florence three months later.

From 1980 until the present, Secretary responsible for vocations and Councillor. Numerous assemblies, countless meetings (200 days a year of meetings!), travelling (60,000 km. a year), and lots of jobs shoved on me: "You're just the man for this, that, the other..." I do not think for a moment that I am "irreplaceable". I know that many appreciate my work, but some think I am blocking new avenues, and history might prove them right. It is necessary to stop, to reflect, to form a synthesis."

He also paid close attention to Church developments in Africa, and he noted: "Any small spot will do me in the mission, because not a single place is unworthy to receive the proclamation of Christ. However, from my experience I have come to realise that there is a priority that is always urgent: the formation of future pastoral workers in these young Churches: priests and catechists. It is a priority that everyone acknowledges, but for which few are available, since they mostly prefer direct activity."

Strong sense of identity

His stay in the mission as director of the Catechists' Centre of Nangazizi lasted just one year: 1985-1986. He was called back to become Novice Master in Venegono, taking up his post in 1987, and remaining there until 1992. In entrusting him with this delicate task, Fr. Pierli pointed out the knowledge he had of the Province of Italy, and his wealth of human and spiritual qualities.

As a formator of future missionaries he had clear ideas. His successor, Fr. Antonini, noted: "Fr. Salvi had a strong sense of belonging, and clear concepts in mind. He wanted his charges to find identification with their missionary vocation. Some took this as authoritarianism. He certainly let people know who was in charge, but firm direction and clear ideas were what was needed. Softies had a hard time with him."

Fr. Danzi, who worked with him in Zaire, gave the funeral homily: "You could say exactly what you thought to Fr. Salvi, and he answered equally frankly. He was honest and loyal, and it made him strong; but he also had the qualities of wisdom and mercy. At time he seemed hard, and he was; but he never left you to carry your cross alone. If he had to say something sharp and direct, he would end by saying, "Now let's go for a little drink". So he made true friendships, that lasted.

He knew the future missionaries had to mould themselves on the Founder. So he studied the spirituality of Comboni and wrote an ample synthesis of it.

His health was not strong, but he was a great missionary, in love with Africa and its people. Quinine made his hearing worse and give him tinnitus, but he kept taking it, because it enabled him to stay in Africa.

Each year he sent around half a dozen lads to the seminary; and they were all well-chosen. He also followed the catechists and local clergy with attention: he had the interests of the local Church at heart, and disregarded sacrifices and privations."

He was open to new developments in the Church, but remained firmly anchored in the values that had made of the Institute a forge that turned out good missionaries. We look for the signs - and see them - in the confreres produced by his hands and his heart.

Back to Zaire

He was able to spend two years, 1992-94 in Zaire, as assistant priest at Duru. Fr. Francesco Rinaldi Ceroni wrote a long letter when Lino died, and we quote freely from it:

"I have known Fr. Lino since December 1971, when he arrived in the Congo as a newly-ordained priest. The first job they gave him was to preach a retreat to the Comboni Missionaries. We gathered at Ndedu where I was PP, and he preached on the Apocalypse, in Mater Dei parish church.

He had recently completed his studies on the Book of Revelation for his Licence; nevertheless his grasp of his subject, in one so young, was striking: the Book is one of the most difficult in the Bible, with its abstract language. I thought he must be very intelligent, to speak so clearly on such a difficult subject.

Indeed, the superiors made good use of his competence, his ease with words and his command of languages, to ask him to preach Retreats in nearby Provinces as well: Sudan, Uganda, Kenya and the Central African Republic (where his missionary journey came to an end in 1996).

His special charisma - I would say his passion - was to proclaim Jesus Christ to the agents in our local Churches: the catechists, the African priests, the major seminarians from various diocese, the Brothers of Christian Schools, and the religious women. He admitted freely that he enjoyed this kind of apostolate, and saw it as an absolute priority if we were to have a more mature Church in the centre of Africa. And the local clergy, from the Bishops down to the seminary rectors and parish priests, recognised his qualities, and always speak of him with gratitude and respect. When he died, the local Bishop, the Vicar General and the Rector of the seminary all wrote tributes to him, for all the good he had done in the Diocese of Rungu.

I have had some close personal links with Fr. Lino. He succeeded me three times in my missionary work: as PP at Ste. Anne, Isiro in 1975, when I went to Duru, and then in Duru when I left that mission. From Duru I used to go over quite often to Nzara in Sudan, from where I had been expelled in 1964 - and Fr. Lino showed that he loved the Sudan as much as I did!

He welcomed everyone with kindness and love, and would use the satellite phone he had to ask for news in Europe and elsewhere on behalf of confreres and others: It was a precious service, because it was rare; but there was difficulty and some danger in it, especially when there were anti-guerrilla activities.

At Duru he made every effort to finish the local hospital, and managed to obtain the services of a confrere, Bro. Dr. Hernan, a Comboni Missionary from Ecuador.

Artist too

We must not leave out his gift of painting. His masterpiece is in Ste. Anne, painted when he was PP (1975-80): Christ coming forward, slowly and majestically, followed by a great crowd of men and women saints, of all ages, tribes, peoples and nations. In the foreground are Our Lady and St. Anne, presenting Him with the first fruits of the African Church - the martyrs of Uganda, the Congo, the Sudan and the rest of the Continent. Day and night that great wall-painting proclaims Christ the Saviour to all who enter the church.

Others will speak at length of his work in Italy. I am sure that he always gave his utmost, with a warm and open heart that aroused the trust of young people and the respect of the older ones. Finally - since nobody is perfect in this world - he sometimes seemed to treat older people like inexperienced youngsters, since he had had so much to do with youth in his life. Some of his attitudes and orders, even though he was the superior, may have seemed peremptory, lacking a bit in sensitivity and respect towards greybeards. Another drawback, which he overcame very well, was a tendency to be too philosophical and abstract in his early sermons.

In conclusion, I can say, with a confrere from Isiro when news came of his death: . He will live a long time in the memory and the hearts of the Congolese people, and confreres too will use him as a yardstick in their missionary work."

Intense spirituality

On 27 October 1995, while he was making a Retreat in Jerusalem, a letter came from the Superior General asking him to become editor of the magazine that was to be launched in Francophone Africa. Fr. Lino's reply sums up various ideas and attitudes: regarding obedience, his readiness, his respect for superiors, spirit of faith, etc.

"I accept if the last word comes from you; this will confirm that it is God's will, because I believe in the service of authority. But since I also believe in active obedience, with shared responsibility, I add my comments... I have always wanted to make the Lord known and loved, as also the values of the Kingdom. A magazine could be an ideal tool... But from other aspects, I feel quite unsuited." And in the list that follows, we get an idea about his state of health. "I would like to have an "iron constitution" - who wouldn't? But I have to admit I'm just a rusty old cart, held together by bits of wire: Literally: since my heart operation, my chest is held together by four metal rings! Besides this, I have a lot of old problems: I have always been susceptible to attacks of malaria, and the medicine I took has made me lose half my hearing, and I've had an annoying tinnitus for the past 10 years.

When I got your letter, I asked the Lord for a sign: "If you want me for this work, let my health improve". At three in the morning I got an answer: I woke up in the throes of an attack of malaria, and spent the next day in bed! And besides malaria, I have been taking medicine for three ulcers for the past seven years. And - dulcis in fundo - my heart has four bv-passes. I feel a bit ashamed to expose my weaknesses; it might seem that, having expressed my readiness, I am looking for excuses. But it is the simple truth. Rather than the cornerstone you are looking for, I am rather a cracked brick. Do you really want to use it? I leave the last word to you, and accept it as of now, in a spirit of faith."

During his last illness he wrote a book on suffering that reflects both his faith and his "Comboni spirit" regarding the Cross. And he contributed observations and reflections on the mission - particularly in Congo - as a contribution to the preparations for the XV Chapter.

In tune with Comboni

The Lord called him when he was about the same age as Comboni. But he also share the ideals, the missionary passion, the challenges felt by the Founder.

His death is a loss for the Institute and for Africa, for those who are poor in Faith as well as goods. "His passion for the poor," said Fr. Danzi in the funeral homily, "was never ideological, but a practical witness. And in Italy he also did a lot to foster missionary vocations."

For several years he was a member of the council for vocations of the Italian Bishops' Conference (CEI), and left a pile of papers and notes for meetings - showing how seriously he took this task. The experience also helped him to do a good job as Provincial Secretary for Vocations.

In love with Africa

Fr. Lino had suffered the wear and tear of Africa more than most, but never gave in. When he contracted Hodgkin's disease, he reacted with typical courage. He would have his tests and his treatment, and return to the mission, where there was a great deal to do, and he could not leave the mission unmanned. The illness would say stop soon enough.

His desire would have been to die and be buried in Africa, but he was afraid that looking after him would take up too much of other people's precious time, and so returned to Italy in the end.

The Giornale di Locarno, publishing the news of his death, called him "a person of great humanity, in love with Africa, and especially with the Congo. He was a correspondent of our paper: only recently, following the overthrow of Mobutu and Kabila's rise to power, he wrote some comments on the situation.

At Christmas 1995 he promoted action for the assistance of a hospital that served health needs in a remote area of Congo."

Fr. Vittorio Moretto wrote: I lived elbow to elbow with him for several years, in intense and fraternal service of the Italian Province and in the Provincial Council. He also succeeded me in the Novitiate at Venegono. We collaborated closely. I thank the Lord for the existence in the Institute of this confrere, so enthusiastic and fulfilled."

His will

In the Ambrosoli Centre, Milan, with the illness that was destroying him day by day, he wrote a "spiritual testament" on 16 July 1997. "They all tell me I am looking better, but I can feel myself getting weaker every day. Knowing what is wrong with me, I want to put down a few thoughts before the Lord calls me, in the next few days or months... and better soon than later!

First of all, I want to thank the Lord for all His gifts throughout my life. I want to ask his pardon for all my unfaithfulness, and also to ask the pardon of all those who, deliberately or not, I may have offended. I place my hope solely in the infinite mercy of God and in the goodness of those who will forgive me.

I believe, humbly, that I have sought the Kingdom of God, even though sometimes with the wrong means. Thus, like Therese of Lisieux, I stand before the Lord `with empty hands'. My sole trust is to trust in Him, who will certainly not abandon me.

Death is my "dies natalis", the long-awaited day of my meeting with the Lord. I want it to be celebrated as a joyful day: Mass of Easter morning, and a special dinner for everybody.

I always prayed to die in the missions, but if the Lord should wish to call me here in Milan, so as not to cause my relatives the expense of transporting my body back, I ask that I be buried in the cemetery at Berbenno, where my Uncle, Fr. Andrea, is buried.

I ask that there be no special expenditure: a simple coffin - "four boards", like that of Paul VI. And I ask also that any donations collected be sent to my mission of Duru, in Zaire. As for any personal objects, let the community dispose of them as it pleases.

My thanks to all those who will respect these wishes of mine; I assure you that I will remember you all from Heaven. Like Therese, I would like to continue to do good on earth, especially among the people for whom I have worked.

"May we meet again soon, in the house of the Father."