In Pace Christi

Tosello Gino

Tosello Gino
Date de naissance : 29/05/1924
Lieu de naissance : Musano di Trevignano (TV)/I
Premiers vœux : 07/10/1943
Vœux perpétuels : 24/09/1948
Date de l’ordination : 11/06/1949
Date du décès : 22/01/1996
Lieu du décès : Trento/I

Figlio di Giosuè, contadino, e di Pontello Luigia, casalinga, dopo la quinta elementare frequentò la prima media presso il parroco. Questi, infatti, vedeva in Gino, zelante e vivace chierichetto, un futuro sacerdote. Anche il fratello maggiore lo aveva preceduto nel seminario diocesano. Delle tre sorelle, una si fece suora. Insomma, una famiglia di principi saldamente cristiani.

Nei documenti a nostra disposizione non troviamo le radici della sua scelta per le missioni africane. Dobbiamo tener presente, tuttavia, che un suo illustre compaesano, p. Bernardo Sartori, era un animatore vocazionale di prima scelta. Quando questi passava per il paese, non mancava di illustrare le meraviglie della vocazione missionaria ai ragazzi. Molto probabilmente il piccolo Gino ha abboccato.

Anche come intelligenza Gino era sopra le righe. Abbiamo la sua pagella di terza media. Il voto più basso è otto. Il resto tutti nove e dieci.

Come tipo, era allegro, vivace, arguto nelle sue battute e buono di cuore. Un grande dolore segnò la sua vita fin dall'età di otto anni: la morte della mamma dopo una lunga e dolorosa malattia. Questo avvenimento lo rese più riflessivo e acuì la sua già spiccata sensibilità umana.

La testimonianza del parroco

"Reverendo Padre - scrisse il parroco di Musano al superiore del seminario comboniano di Padova il 9 settembre 1938 - avrei un ottimo giovinetto che desidera entrare in codesto Istituto. Se viene promosso farà la seconda media avendo fatta la prima privatamente qui.

Quando era già grandicello, la madre, in seguito ad un urto alle costole, ebbe una ferita interna che si trasformò in tisi e morì. Gino aveva allora otto anni. I fratelli, anche più piccoli, stanno bene. Il medico curante è sicuro che si usò ogni riguardo igienico in famiglia.

Un suo fratello maggiore è già nel seminario diocesano e frequenta il liceo. Una sorella è stata accolta tra le suore mantellate. Un suo zio paterno, carmelitano scalzo, è morto di tisi. Espongo queste cose in ossequio alle disposizioni della Santa Sede.

Gino verrebbe accolto molto volentieri nel seminario diocesano, ma lui vuole a tutti i costi diventare missionario perché - dice - in Africa c'è maggior bisogno di sacerdoti rispetto ai nostri paesi.

E' già abituato da più di un anno alle usuali pratiche di pietà. In attesa di una sua risposta, prego farmi avere il programma di ammissione".

A metà settembre del 1938 Gino era nella scuola apostolica di Padova, dalla quale passò al ginnasio di Brescia, sempre con ottime note scolastiche e lusinghiere referenze da parte dei superiori.

Dal suo parroco sappiamo che, quando andava in vacanza, formava una comunità col suo fratello seminarista e altri aspiranti al sacerdozio per fare insieme le pratiche di pietà in chiesa. Sappiamo anche che nel 1940 subì l'estrazione di due unghie incarnite e che il parroco lo giudicò: "Ottimo sotto ogni aspetto".

Novizio a Venegono

Entrato in noviziato a Venegono nel settembre del 1941, fece la vestizione il 7 ottobre dello stesso anno dando così inizio ai due anni di noviziato.

Gino era un giovane serio, compassato, generoso, che prendeva sul serio le cose che il p. maestro gli indicava. Come spirito di pietà dava buon esempio ai compagni, e nei lavori di casa era sempre uno dei primi a offrirsi, specie se si trattava di incombenze pesanti e fastidiose.

Da buon trevigiano era "un po' duretto, ma sincero", ha scritto p. Todesco, suo maestro.

Il 7 ottobre 1943 emise la professione temporanea. Si era già in clima di guerra per cui Gino rimase a Venegono per terminare il liceo. Verona, infatti, era troppo pericolosa a causa dei bombardamenti e la Casa Madre era occupata per metà dai tedeschi.

Dai sentimenti espressi nelle domande per la rinnovazione dei voti, risalta l'alta spiritualità e la concretezza di questo nostro confratello.

"Non ci si deve illudere: per essere fedele al Signore e alla propria vocazione, bisogna affrontare tante piccoli e grandi sacrifici. Solo la grazia di Dio ottenuta attraverso la preghiera costante e fiduciosa, mi ha salvato. La mia consolazione consiste in questo: Dio è fedele e non mi abbandonerà mai. Mi auguro solo di non essere io ad abbandonare lui".

"Tre anni fa non desideravo altro che darmi tutto a Dio con i tre voti che mi avrebbero unito alla gloriosa schiera dei missionari, ed ora bramo ancor più ardentemente di rinnovarli. Sì, più ardentemente, perché in questi tre anni di vita religiosa ho goduto pienamente le ineffabili dolcezze proprie di tale stato, anche se non sono mancate le prove che, ormai l'ho capito, fanno parte della nostra vita. So bene che il cammino non sarà sempre cosparso di rose, e che in certi periodi ci saranno solo spine che faranno sanguinare. Ma questo non smorza il mio entusiasmo, anzi lo accresce perché mi rende più simile a Gesù Crocifisso. L'entusiasmo per la mia vocazione non è diminuito, anzi aumenta di anno in anno. Mi sento felice. Sono al mio posto".

Animatore a Crema

I superiori, considerando la maturità umana e l'equilibrio di Gino, lo inviarono a Crema per fare l'assistente dei seminaristi.

Fin dalle prime battute dimostrò di essere tagliato per quel lavoro. Con i ragazzi non perdeva mai la pazienza, ragionava con loro, li ascoltava dando importanza a ciò che dicevano e, alla fine, cercava di venire incontro a quelle che erano le loro giuste esigenze.

Con parole semplici li animava ad affrontare i piccoli sacrifici della vita, la scuola e lo studio, come preparazione indispensabile alla missione. Nei momenti di ricreazione giocava con loro come un amico e un fratello maggiore, e nel giorno riservato alla passeggiata settimanale, li portava a visitare le cose belle della città e dei dintorni.

Egli aveva cura di prepararsi bene studiando i monumenti e le chiese in modo da trasformare quelle ore di svago in un piacevole arricchimento della mente e dello spirito.

Per abituare i ragazzi a parlare in pubblico senza complessi, organizzava commedie e recitazioni in cui tutti potessero esprimersi e, nello stesso tempo, divertirsi.

Contemporaneamente frequentava la teologia presso il seminario diocesano. Stare dietro ai ragazzi e attendere alla scuola non era impegno da poco. Fortunatamente la sua spiccata intelligenza lo aiutava per cui se la cavò sempre bene. "Il mio lavoro qui a Crema - scrisse il 10 gennaio 1947 - procede regolare e bene, senza grandi fatiche. La salute continua ad essere ottima. Anche la scuola va bene". Rimase a Crema tre anni, dal 1945 al 1948.

Passò l'ultimo anno di teologia a Venegono con i suoi compagni e venne ordinato sacerdote a Milano l'11 giugno 1949.

P. Giacomo Andriollo, suo superiore, nello scrutinio per il suddiaconato scrisse di lui: "Carattere forte, volitivo, ma buono, pio, intelligente e attivo. Sarà un bravo missionario".

Il 7 maggio di quell'anno aveva scritto: "Finalmente mi è dato di fare la domanda per il Sacerdozio al quale tutta la mia vita è stata indirizzata con trepidazione, ma anche con fiducia, frutto della preghiera a Dio e alla Vergine Immacolata".

Dopo l'ordinazione fu inviato a Padova come propagandista. Suo compito erano le giornate missionarie e l'animazione vocazionale tra i ragazzi. P. Tosello fece del suo meglio, anche se si rese conto che quello non era il suo lavoro, per cui i superiori lo deviarono a Brescia con l'incarico di vice-rettore e di insegnante di francese nel ginnasio. Vi rimase sette anni, dal 1950 al 1957.

Il mago delle lingue

Sette anni a Brescia indicano che quello di stare con i ragazzi era proprio un carisma in p. Tosello. Chi scrive è stato suo discepolo proprio in questo periodo. Una delle prime caratteristiche che risaltavano in p. Tosello era la fiducia - forse troppa - che aveva nei ragazzi. Egli diceva: "Non siete più ragazzini delle medie, siete giovani del ginnasio, quindi dovete sentire la responsabilità delle vostre azioni e dei discorsi che fate".

Indubbiamente, questo suo modo di trattare come educatore impegnava tutti a dare il meglio di sé.

Si trovava spesso con gli assistenti (prefetti) per programmare le varie iniziative che riguardavano l'andamento della scuola e le attività culturali e ricreative. Raramente interveniva di persona nell'impartire ordini; preferiva lasciar fare agli assistenti. Egli stava dietro le quinte e osservava.

Il suo ufficio era sempre aperto e ogni giovane poteva andare da lui quando voleva per parlare. Egli, sempre disponibile, ascoltava con attenzione smettendo immediatamente ogni cosa che avesse tra mano. Le sue risposte erano pesate e ispirate a saggezza e fede.

Come insegnante era altrettanto eccellente. Conosceva bene il francese perché lo aveva studiato e perché aveva passato le vacanze estive in Francia, presso parenti, per perfezionarlo.

Egli voleva che i ragazzi, in scuola, parlassero solo francese. Dal saluto quando entrava in classe, urlato dalla scolaresca, al quale egli rispondeva con uguale entusiasmo, all'ultima preghiera prima del commiato, tutto era in francese.

Aveva fatto così amare questa lingua che, anche durante la ricreazione, spesso i ragazzi parlavano in francese tra loro, e con gusto. Insomma, si può dire che al termine dell'anno, il francese era diventato familiare quasi come l'italiano per i suoi discepoli.

Alla domenica, con la sua rombante moto Laverda, andava nei paesi della diocesi per fare ministero e per predicare giornate missionarie.

Lasciando Brescia per il noviziato, quei giovani portavano nel cuore un grato ricordo di p. Tosello. Davvero era stato un vero educatore perché era diventato un vero amico.

In Sudan meridionale

Nel 1957, dopo otto anni di sacerdozio, p. Tosello poté salpare per l'Africa. Fu destinato al Bahr el Ghazal. Trascorse un anno fra i denka a Warap; due anni come insegnante al Bussere; quattro anni superiore a Tony e Raga. La prima fase della sua esperienza sudanese si concluse con l'espulsione in massa dei missionari nel 1964.

La permanenza in Sudan di p. Tosello coincise con il periodo più travagliato di quella nazione che, dopo l'indipendenza dall'Inghilterra, cercava la sua identità tra moti rivoluzionari e gesti persecutori contro il cristianesimo.

Dalle testimonianze dei confratelli e dalle relazioni dei superiori balza fuori un p. Tosello amante del ministero tra la gente. Lavorava molto in missione ma, appena gli era possibile, passava da un villaggio all'altro intrattenendosi con la gente, esercitando il ministero delle confessioni e controllando l'andamento dei catecumeni. Era diventato l'amico dei catechisti che con lui si confidavano con molta cordialità perché lo trovavano sempre disponibile e aperto al dialogo.

Abituato tra i ragazzi in Italia, anche in missione curò questa importante porzione della società con attenzione tutta particolare, cercando di cogliere nei giovani i segni di un'eventuale vocazione al sacerdozio. In Sudan la Chiesa cresceva, ma certi fermenti nella società e nel governo facevano presagire che presto avrebbe dovuto camminare con le proprie gambe, per cui bisognava preparare il personale (clero e laici) a fare da soli.

Facilitato dalla conoscenza perfetta della lingua denka che imparò in poco tempo e che continuò a limare e a levigare stando a contatto con i maestri, i catechisti e i ragazzi, p. Gino poté fare tanto bene. Altrettanto dicasi per i quattro anni di insegnamento al Bussere.

L'espulsione del 1964, preceduta dalla nota persecuzione, fu anche per p. Tosello una specie di dramma che, tuttavia, affrontò con spirito di fede. "Lo Spirito Santo li aiuterà a fare da soli", disse rientrando a Verona.

Sono felice di essere in missione

Dopo un anno e mezzo di permanenza in Italia, p. Tosello ricevette il via per l'Uganda. I superiori lo dirottarono per il Kigezi dove, nel 1967, inizierà la missione di Buhara.

Appena giunto, scrisse al p. generale: "Mi limito a dirle che stiamo tutti bene e siamo felici di essere in missione. Sto già balbettando un po' di Ruciga. I Padri Bianchi sono tanto gentili con noi. Grazie, grazie vivissime di avermi dato la possibilità di tornare in missione".

Già conosciamo il suo stile di lavoro missionario. Ora si aggiunse la delicatezza di collaborare con i Padri Bianchi con i quali andava perfettamente d'accordo grazie anche alla perfetta conoscenza della loro lingua.

Il coraggio di parlare

Intanto anche p. Tosello dovette assaporare la croce dell'estrema povertà, resa ancor più croce dal fatto che c'erano dei confratelli ricchi e altri poveri. Cioè alcuni avevano dei benefattori che li fornivano di mezzi, altri non avevano nessuno. P. Tosello era tra questi ultimi. Ciò costituiva una sofferenza non da poco... "Vedere le opere che languono per mancanza di mezzi, mentre altri...".  L'idea della "cassa comune" che avrebbe risolto questo increscioso problema era ancora in gestazione.

Scrisse al p. generale: "In nessuna parte del mondo un comboniano dovrà trovarsi nella condizione nella quale ci trovammo noi del Kigezi agli inizi. Se noi fossimo giusti e caritatevoli con i confratelli in questo settore, varie crisi non ci sarebbero, e altre sarebbero superate facilmente... Quante ingiustizie, vere o presunte, subite da parte dei superiori, per troppi anni!".

Queste parole ci mostrano un p. Tosello serenamente coraggioso, che non teme di dire ciò che pensa ai massimi responsabili della Congregazione.

Nel 1967 iniziò la missione di Buhara. Fr. Rizzo gli costruì una bellissima chiesa alla quale concorsero tutti i cristiani. P. Tosello ci teneva che la gente considerasse la chiesa e le altre costruzioni (dispensario e scuole) come cose loro, non come appartenenti ai missionari.

Nel 1979, in attesa della visita del Papa all'Uganda, chiese altri due confratelli che lo affiancassero nel lavoro missionario che era in continua espansione. E chiedeva aiuti perché "la diocesi nuova non mi ha dato un centesimo. L'ispettore di igiene ha minacciato di chiudere il catecumenato perché il fabbricato è indecente. Ciò sarebbe grave, visto che ho due turni all'anno di 200 catecumeni l'uno. La gente continua a fare mattoni senza paga. E' ammirabile.

I Fratelli fanno meraviglie nel loro campo e noi Padri siamo sempre sotto. Ma con vera gioia e grandi frutti. Siamo affiatati bene. C'è unione di anime e di lavoro".

Anche in Uganda il governo stentava a dare il permesso d'entrata a nuovi missionari e ciò costituiva una sofferenza per le missioni e anche per p. Tosello che "... a dirle il vero, non ce la faccio più". Su quattro parrocchie nel Kigezi, tre erano sulle spalle dei Comboniani.

Nel 1971 fece le vacanze il Italia che gli servirono per rimettersi in salute, per stare un po' con i parenti, specie col fratello don Ruben, e per visitare i parenti dei confratelli che erano con lui in missione.

Una Chiesa matura

Fu con soddisfazione, e anche con sofferenza, che nel 1976 p. Tosello consegnò la parrocchia di Buhara al clero locale. Prima di lasciare quella zona, il Padre, aiutato da fr. Fanti, costruì una cappella di metri 10 per 30.

Il 31 agosto 1976 scrisse dal paese dove si trovava per un po' di vacanze: "Lasciare la parrocchia che ho tirato su con le mie mani, mi è costato un po'. Ma la soddisfazione di vedere una Chiesa cresciuta, che è in grado di fare da sé, mi colma di contentezza. Insomma, diamo lode a Dio, ma ciò dimostra che si è lavorato".

Prima di lasciare quella terra, volle attribuire un pubblico riconoscimento ai Fratelli che avevano lavorato con lui. Scrivendo al p. generale, disse: "Per le opere materiali, il merito maggiore va ai nostri incomparabili Fratelli Confalonieri, Cariani, Tognon, Rizzo Guerrino e Fanti. A costoro, e a tutti i nostri Fratelli, quando ne avesse l'occasione, esprima tutta la mia più profonda stima, riconoscenza e ammirazione.

Ora sono molto stanco e ho dei doloretti qua e là, ma sono sicuro che mi riprenderò in modo da poter ripartire al più presto per la missione, qualsiasi missione".

Tornò in Uganda, a Nyamwegabira, come parroco e vi rimase fino al 1981, anno in cui venne in Italia piuttosto mal messo quanto a salute. Il diabete, che covava da anni, cominciò a manifestarsi compromettendogli la vista.

Dal 1980 al 1981 fece il Corso di aggiornamento a Roma e poi, dall'81 all'83 fu a Trento come economo e addetto all'animazione.

Un grido d'angoscia

A Trento il povero Padre si trovò come il classico pulcino nella stoppa. "Vi scongiuro, sostituitemi subito e mettetemi in lista per le missioni. Poco m'importa a che meridiano o parallelo... Non vedo di essere di alcuna utilità in Italia. Non mi sento qualificato per l'animazione missionaria. I Verbiti e quelli della Consolata sono specialisti, io un povero selvaggio in loro confronto. Mi fa paura guidare l'auto e mi vergogno a chiedere Giornate Missionarie. In sette mesi non ne ho trovata neanche una e, quel che è peggio, in casa non si sono nemmeno accorti. Sono caduto in uno stato di ansia e di insicurezza che fa paura anche a me. L'artrite mi contorce e mi fa soffrire, forse per il freddo di quest'inverno. Economicamente la casa va male, e la colpa è mia. Se continuo a restare qui andrà anche peggio. Cercate di immaginare la mia umiliazione e il mio sgomento nel trovarmi in queste condizioni dopo una vita di eccezionale attività.

Questa lettera, la prima del genere che scrivo nella mia vita, è frutto di mesi di sofferenza, di riflessione e di preghiera. Scusatemi, scusatemi".

"Caro p. Gino - gli rispose p. Calvia (generale) con la delicatezza che gli era consueta - non lasciarti prendere da pensieri di scoraggiamento. Tu hai fatto sempre bene e sei un uomo di valore. Tuttavia cercherò di venirti incontro perché, anche se non ci sono motivi oggettivi di sofferenza, tu soffri davvero e io non voglio questo".

Ritorno in Sudan

Chi l'avrebbe detto! P. Tosello, espulso dal Sudan nel 1964, fu uno dei pochissimi (tra gli ex espulsi) che ottennero dal Governo sudanese il permesso di ritornarvi.

I pensieri tristi si dileguarono d'incanto e il Padre si preparò a partire con l'entusiasmo di un novellino. Le pratiche non furono facili e andarono un po' per le lunghe. Nel luglio del 1983, via Kenya, raggiunse Raga, in Sudan meridionale. "Mi sento ringiovanito. I dolori sono scomparsi grazie anche ai fanghi di Abano che mi hanno cancellato la cervicale. Già me la cavo in kiswahili e ho rinfrescato il denka che mi è tornato alla memoria".

Nel 1986 scriveva: "Stiamo bene e siamo sereni, io, p. Alfonso e fr. Ambrogio. Faccio safari di 100, 200 chilometri con una nuova Land Rover a gasolio. La frequenza ai sacramenti è in aumento. Le comunioni, quasi zero al nostro arrivo, ora sono tante che bisognerà pensare a un ministro straordinario dell'Eucaristia. Qui massima sicurezza, amichevoli relazioni con i fedeli, autorità, cristiani e non. Ogni giorno esperimentiamo il 'Nolite timere, ego vobiscum sum'".

Leggere meno, pregare di più

Nel 1987 perse completamente l'occhio sinistro e quello destro era molto indebolito. Il Padre scrisse: Se dovrò leggere meno, potrò pregare di più. Infirma mundi elegit Deus... Essendo più infirmus sarò uno strumento preferito. Il mio più grande amore è il Sudan. Se non posso fare grandi cose, potrò sempre giovare in qualche comunità di suore, specialmente le Evangelizing Sisters".

Intanto da Raga passò a Juba dove poteva avere qualche cura, come si poteva avere in un Paese provato dalla guerriglia e dove il fanatismo islamico era legge. Mons. Mazzolari, scrivendo al p. generale (Pierli) di p. Tosello in data 10.10.1989 disse: "Il ritorno, proprio quest'oggi di p. Tosello dal Sudan, segna un'altra pagina genuinamente comboniana, scritta secondo il senso profetico del Fondatore. 'Se il seme non è gettato nella terra e muore, non può portare frutto'".

P. Tosello non tornava in Italia per i suoi occhi (anche se sarebbe presto rientrato per questo), ma perché espulso dalle autorità governative per presunte e speciose irregolarità nel passaporto.

"E' la seconda espulsione dal Sudan per p. Gino - continuò mons. Mazzolari - la seconda fatta con più astuzia, e quindi con più sofferenza, della prima".

Non recuso laborem

P. Tosello non si diede per vinto. Dopo le cure nella clinica S. Raffaele di Milano in cui gli venne confermato che non c'era più niente da fare per il suo occhio, prese carta e penna e scrisse in data 17 maggio 1990: "Anche se non potrò essere centr'avanti della nazionale, mi pare che in Uganda o in Kenya potrei inserirmi in qualche attività. 'Euntes in mundum universum ...'. L'universo mondo l'ho sempre considerato la mia missione. E poi, lo sapete: io non recuso laborem".

P. Calvia, provinciale d'Egitto, gli fece la proposta di andare nella terra dei Faraoni, ma intanto arrivò il via per l'Uganda alla quale venne assegnato dal 1° luglio 1990. Andò nella missione di Kyamuhunga come economo. Ma ecco che nell'aprile del 1992 dovette rientrare in Italia. Anche l'occhio destro batteva la strada di quello sinistro.

Da Trento, dove era andato, scrisse il 13 agosto 1992: "Sembra che nulla si possa fare per la mia vista. Io sono sereno e vedo in questo il dito di Dio, qualunque cosa accada. Spero di poter essere utile come sacerdote, ancora per tanti anni".

Agli occhi si aggiunse la cervicale che tornò più acuta di prima. "Collo rigido, spalle frantumate, braccia senza forza, mani gonfie, cosce di piombo... Accetto con serenità il dover restare in Italia".

certamente restare in Italia era più doloroso di tutte le altre magagne elencate.

Addio all'Uganda

Scrive p. Cisternino: "Nell'aprile del 1992 p. Gino Tosello dava il suo addio all'Uganda, afflitto da un'incalzante cecità e da altri acciacchi. Aveva evangelizzato in Africa per 34 anni: 14 nel sud Sudan e 20 nel sud dell'Uganda. 'Soffro per questa partenza - disse - ma la accetto con serenità, e continuerò a vivere per voi che restate in prima linea e magari avrete meno salute di me'.

Questo sacerdote sensibile e generoso, schivo da critiche o pettegolezzi, dall'inizio alla fine non chiese di fare altro che quello che queste sue righe esprimono: 'Continuerò a vivere per l'Africa e per voi'.

Kayonza e Buhara, nella regione del Kigezi, in mezzo alle montagne al confine col Rwanda, videro la calda presenza del Padre. Egli, arrivato in punta di piedi in quella zona, iniziò la bella chiesa ottagonale che fr. Rizzo portò a termine.

Proprio in quella chiesa si radunarono i fedeli per celebrare il rito di suffragio per il loro Padre. E c'erano tutti perché p. Gino era considerato come un anziano, uno di loro.

Era giunto a Buhara, dato in prestito ai Padri Bianchi, fino a quando il numero del clero locale avesse permesso il ritiro dei Comboniani. P. Gino ragionava non con le sterili programmazioni fatte sulla carta stando a tavolino, ma col cuore di un sacerdote che d'istinto cerca di approfondire la conoscenza e la cura del suo gregge. Per questo il suo forzato ritiro da quella zona fu per lui un colpo mortale.

Noi più giovani ci avvicendavamo ad aiutarlo come curati. Mai una critica a nostro riguardo o verso i confratelli, clero, popolazione. Egli continuava imperterrito ad amare e ad agire senza sosta. La sofferenza per situazioni apostoliche o pastorali non soddisfacenti se la teneva per sé e l'esprimeva per conto suo solo davanti al Tabernacolo.

Seguiva con delicatezza le vicende personali di vecchiette, bambini, malati e predicava appigliandosi sempre al filo degli avvenimenti che succedevano nella zona, comunque sempre positivi e incoraggianti.

Era la sua una parola caldamente paterna, seguita immancabilmente dalle azioni direttamente sacre e dal consiglio a tu per tu avvolto da preziosi silenzi che incoraggiavano il ricorso alla sua direzione spirituale da parte di molti ecclesiastici e confratelli.

Rarissimamente interveniva nelle riunioni. Invece sempre si poté notare la sua azione di soccorso o di fraterna attenzione verso i sacerdoti diocesani o i confratelli, mettendo in pratica ciò che era stato stabilito in tali riunioni delle quali teneva molto conto".

Questa ultima frase di p. Cisternino ci fa capire la stima e il rispetto che p. Gino aveva del giudizio dei confratelli. Sembrava dicesse: "Voi sì ve ne intendete. Stabilite pure, io cercherò di far eseguire".

Ricoverato nella clinica San Francesco di Verona, gli riscontrarono la presenza di ameba-coli ed infezione intestinale, senza parlare dei dolori artrosici e febbre saltuaria.

Ultime battute a Trento

Dal 1993 p. Gino viveva a Trento ed era molto apprezzato per il suo ministero delle confessioni. Ma la cecità gli giocò un brutto scherzo. Mentre si preparava a celebrare la santa messa a San Donà (12 luglio 1994), cadde malamente e si spappolò il femore. Seguirono mesi di grande sofferenza, cinque dei quali passati in ospedale, sopportati con mirabile fede e spesi nella preghiera.

La lunga degenza lo prostrò. P. Gino non era più il missionario allegro, ottimista, intraprendente sia nel lavoro dell'orto, il suo hobby, come nel ministero delle confessioni.

"Pur avendo perso il suo naturale entusiasmo - scrive p. Plotegheri - in quest'anno e mezzo di debolezza fisica non si lamentava quasi mai. Pregava molto. Sembrava che in comunità alle volte non ci fosse, tanto era il suo sforzo per non disturbare.

Era sofferente, ma sempre esatto e puntuale agli atti comuni. Pur con notevole sforzo, leggeva tutti i giorni il breviario (aveva solo tre decimi di vista in un solo occhio).

Il 22 gennaio era uscito di casa salutando. Andava a prendere l'autobus per recarsi dal medico. Fr. Simoni l'ha visto salire la scala per raggiungere la fermata. Cinque minuti dopo fr. Giuliani uscì di casa e lo trovò a terra, su un fianco. Probabilmente, sentendosi male voleva rientrare in casa, ma un infarto fulminante lo uccise. Chiamato il 113, arrivò l'ambulanza a sirene spiegate, ma il dottore disse che non c'era più niente da fare.

La salma fu tenuta in casa fino alla mattina del 24 gennaio e dopo fu traslata al paese natale, Trevignano, dove i parenti lo desideravano.

Lasciò la stanza in ordine come era il suo solito. Aveva segnato il libretto delle messe fino al giorno 21 gennaio, il giorno prima della morte. Devo aggiungere - conclude il superiore di Trento - che ha sempre dato regolarmente conto delle poche spese. Non si è mai scontrato con nessuno in comunità e fuori, preferendo cedere pur di far contenti gli altri".

Dall'Uganda un confratello scrive: "P. Gino merita un buon ricordo; è stato un sacerdote umile e ammirevole".

Di lui ci resta il suo entusiasmo missionario, il suo attaccamento alla vocazione e l'amore all'Africa e agli africani che lo hanno reso un degno figlio di mons. Comboni.       P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 193, ottobre 1996, pp.73-82

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Son of Giosuè, a worker on the land, and of Luigia Pontello, he followed primary school at home with the first year of secondary school in a class run by the PP for lads in whom he saw the makings of a priest. His elder brother had already gone into the diocesan seminary. One of his sisters later became a nun. So, a strong Catholic family.

We have no record of how he decided to become a missionary. But if we remember that Fr. Bernardo Sartori was an illustrious fellow-citizen, the secret may lie there.

Young Gino was also above average in intelligence, as the nines and tens show in some of his reports.

He was a cheerful and lively character, with a sharp wit but a kind nature. His mother died after a long illness when he was eight, and this might have increased his reflectiveness and sensitivity towards others.

Recommended by the Parish Priest

When he wrote to the superior at Padova on 9th September 1938, the PP of Musano was at pains to explain the situation: he had a first-class boy who wanted to join the Institute, and was about to enter the second year of Secondary School. His mother had developed TB after a nasty rib injury, and had died. The rest of the family was quite well. An elder brother was already in the seminary, and a sister had joined the Mantellate. True, an uncle - a Discalced Carmelite - had also died of TB. He was giving the information as required by the Holy See. And he added:

e have the schedule for admission while I await your reply.»

By mid-September 1938 Gino was already in the Scuola Apostolica of Padova. From there he went on to Brescia, always with high marks and good reports from the superiors.

The PP wrote that during the holidays he formed a `community' with his brother and other aspirants to do their spiritual duties together in the church. He was very pleased with him under all aspects.

Novice at Venegono

He entered the Novitiate in September 1941, and his clothing took place on 7th October. Gino was now a serious young man, deliberate and generous, observing everything the Novice Master told him. His spirit of piety was an example for others, and he worked hard at domestic chores, ready to take on the heaviest tasks. Fr. Todesco remarked that, like many from Treviso, he was .

He made his first Vows on 7th October 1943. The War was raging, so Gino remained in Venegono to complete his Upper School: Verona was far too dangerous, and the Mother House was half-full of soldiers.

In the letters he wrote when the time came to ask to renew his Vows, we see a spirituality that is both developed and concrete:

"We must not have illusions: to be faithful to the Lord and our vocation, we have to face sacrifices of all kinds. Only God's grace, obtained through constant, trusting prayer, has brought me through. God is always faithful; I hope I can be always faithful to Him."

"I know that the path will not always be strewn with roses, and that at times there will be thorns that draw blood. But this does not dull my enthusiasm; indeed, it increases it, because it makes me more like Jesus on the Cross."

"My enthusiasm for my vocation is undimmed; indeed, it is greater every year. I am happy. I feel I am where I belong."

Animator at Crema

The superiors thought he was mature enough to go to Crema as Assistant of the younger seminarians. And he seemed to fit into the task as though cut out for it. He never lost patience with the boys; he would reason with them, listen to what they had to say with attention, and tried to respond to their real needs. With simple words he would encourage them to accept the little sacrifices of living together, school and study, as an indispensable preparation for the Missions. He played with them in recreation times, and took them to visit the sites and monuments in the city and round about it during the afternoon that was free for the weekly walk. And he was well prepared as a guide, making those walks both interesting and instructive, as well as a relaxation.

To help the boys to become accustomed to speaking in public he organised plays and readings.

All this time he was attending the diocesan seminary for Theology. To have two such important tasks at one and the same time was no mean feat. His intelligence came to his aid, and his results were good, so that he could write in January 1947: "Work is going on regularly her in Crema, without undue effort. My health is good, and school is going well, too.

After three years in Crema he rejoined his classmates for the final year of Theology at Venegono, and was ordained in Milan on 11th June 1949.

In the scrutinies, Fr. Giacomo Andriollo, the superior, wrote:  He himself wrote, in May that year: "At last I am about to request ordination to the Priesthood, to which my whole life has been aimed. There is some trepidation, but a lot of trust, the fruit of prayer to God and to Mary Immaculate."

After his ordination he was sent to Padova as `propagandist'. He did his best at mission appeals and vocations promotion, but it was not quite his scene. The superiors sent him to Brescia, to be Vice Rector and French teacher; he stayed seven years, from 1950 to 1957.

Wizard at languages

Seven years at Brescia show he had the touch to be with boys. The writer was at Brescia during those years, as one of them.

One thing that stuck out immediately was the trust - sometimes excessive - that Fr. Tosello placed in the lads. He would say: "You are in Upper School now, so you should feel responsible for your actions and the language you use." And it must be said that this approach did bring out the best in most of the boys.

He met the assistants (prefects) often to plan various programmes and activities that regarded both school and recreation or culture. He rarely intervened directly to give orders, but preferred to let the assistants act, while he kept a quiet eye on things

His office was always open, and any boy could go for a talk when he needed. Fr. Gino listened with attention, often interrupting what he was doing. His answers were considered and full of wisdom and faith.

He was equally excellent as a teacher. He knew French very well because he had studied it, and because he spent Summer holidays with relatives in France, for the practice. He made the boys use only French in class, from the first greeting - that always got an enthusiastic response - to the closing prayer. As a result, many of the boys acquired a taste for the language, and would converse in French during recreation! By the end of the year, French was almost on a par with Italian for many of them.

On Sundays he would go out on his Laverda motorbike for ministry or a Mission Appeal.

Many of the young men who went to the Novitiate from Brescia in those years took with them a fond and grateful memory of Fr. Tosello. He was a true educator, because he was a real friend.

In Southern Sudan

In 1957, eight years after his ordination, Fr. Tosello set sail for Africa, destined for Bahr el Ghazal. He spent a year among the Dinka at Warap, two years teaching in Bussere, four years as superior at Tonj and Raga. The first phase of his missionary experience ended with the expulsion of all missionaries from S. Sudan in 1964.

From remarks, reports and diaries of the time, a picture emerges of a priest who loved ministry to the people. He worked in the mission, but at every opportunity he was out visiting: talking, instructing, checking the progress of catechumens, hearing confessions. The people found him open, and had confidence in him.

Having done so much among boys in Italy, he had a soft spot for this portion of society in Africa, and was always on the lookout for signs of a vocation. The Church was growing in Sudan, but the signs were that it would have to depend on its own resources sooner than planned, and it was urgent to prepare clergy and laity to meet the need.

His facility with languages helped him to be very effective. He learned Dinka quickly, and continued to polish it in his daily conversations.

The expulsion in 1964, preceded by various acts of persecution, was a deep shock for Fr. Tosello, too, but he faced it in a spirit of faith: "The Holy Spirit will help them to manage alone," he said on his arrival back in Verona.

Always happy to be in the Missions

After 18 months in Italy, Fr. Tosello received permission to enter Uganda. He was destined to Kigezi, where he would start the parish of Buhara. On his arrival he wrote back to the Superior General: "Just to say that we are all well, and happy to be in the Missions. I am beginning to stammer a few words of Rukiga. The White Fathers are very good to us. Many, many thanks for giving me the chance to return to the mission."

This new missionary undertaking involved collaboration with the Missionaries of Africa; Fr. Gino got on very well with them, helped by his perfect knowledge of French.

Courage to speak out

A harder thing to deal with was the poverty of a completely new undertaking. The burden was made heavier by the fact that some confreres were "rich" because they had plenty of benefactors who supplied them, while others were "poor" because they lacked this support. Tosello was one of the latter, and felt frustrated that essential work was held up by lack of means. He even wrote to the Superior General about it, since the situation was scandalous. The idea of the "common fund" that would have provided a solution was still being worked out.

He started Buhara in 1967. Bro Rizzo built the church, but all the faithful contributed. Fr. Tosello wanted them to feel that the church and other constructions (school and dispensary) were theirs, not the property of the missionaries.

In 1979, the year Pope Paul VI visited Uganda, he asked for two more confreres to help in the continually increasing work in the mission. He also asked for funds, because "the new diocese has not given me a penny. The health inspector has threatened to close the catechumenate because the building is indecent. It would be serious, because I have two groups of around 200 each year. The people are working voluntarily to make bricks: they are admirable".

"The Brothers work wonders in their field, and we Fathers are hard at work, with true joy and good results. We are in tune with one another: there is a union of minds and hands."

Entry permits were not given freely in those days, and some missionaries were feeling the burden: "... to tell you the truth, I am worn out!" Of the four parishes in Kigezi, three were served by the Comboni Missionaries.

A grown-up Church

With a mixture of satisfaction and pain, Fr. Tosello handed over Buhara parish to the local clergy in 1976. Before leaving, he completed a large chapel (10 by 30 metres) with Bro. Fanti. Later he wrote: "To leave the parish that I started from scratch was quite a wrench. But the pleasure in seeing a grown-up Church, able to stand on its own feet, fills me with content. Praise the Lord, of course - but it does show that a lot of hard work was done too."

He also wanted to testify his gratitude for the work of the Brothers, whom he considered "without compare: the chief merit goes to Brothers Confalonieri, Cariani, Tognon, Rizzo, Guerrino and Fanti. When you have a chance, please tell them and all our Brothers, how deep is my esteem, gratitude and admiration." This was all in a letter to the Superior General from home during his leave.

He returned to Uganda, and was PP of Nyamwegabira until 1981, when bad health forced him back to Italy. He had been affected by diabetes for years, and now it began to affect his sight. He did the Renewal Course in Rome, and was then appointed to Trento as bursar and for missionary animation. He stuck it for two years.

A cry of anguish

At Trento he felt he was the classical fish out of water. "I beg you, replace me at once and put me down for the missions. I don't care which latitude or longitude. I am not trained for missionary animation, and I don't feel I can do any good in Italy. The Verbites and the Consolata are specialists, and I am a poor savage in comparison...

I have fallen into a state of anxiety and insecurity that frightens even me. Arthritis is giving me a lot of pain. The finances of the house are declining, and if I stay here they will get worse. Try to imagine my humiliation and amazement to be in this state, when I have spent my life working hard..."  replied the General, Fr. Calvia, with his usual delicacy.

Return to Sudan

Who would have thought it!? Fr. Tosello, expelled from Sudan in 1964, was one of very few former deportees to get a visa to return. All sad thoughts vanished like a flash, and the father prepared to set off again with all the enthusiasm of a novice. Getting all the papers together took some time, but in July 1983 he reached Raga in S. Sudan, via Kenya. "I feel rejuvenated. The aches have gone, and the mud at Abano got rid of my cervical problem. I already know some Kiswahili and I am brushing up my Dinka, which is coming back very well".

In 1986 he wrote: "We are all well and happy: myself, Alfonso and Bro. Ambrogio. We make safaris of 100 and 200 km. with a new diesel Land Rover. More people are coming to the sacraments. There were hardly any communions when we arrived, and now we are thinking of a Special Eucharistic Minister. We are quite safe, and relations with the faithful and with the authorities, Christian and non, are friendly. Every day we experience the `Nolite timere, ego vobiscum sum'".

Read less, pray more

He lost the sight of his left eye completely in 1987, and the other was very weak. He wrote: "If I have to read less, I can pray more. Infirma mundi elegit Deus... Since I am more infirmus I will be a preferred instrument. My great love is the Sudan. If I cannot do big things, I can always assist some community of nuns, especially the Evangelizing Sisters".

He moved from Raga to Juba, to be nearer what little treatment was available in a land tormented by civil war. Mgr. Mazzolari, writing to Fr. General (Pierli) on 10.10.1989 said: Fr. Tosello was not going back to Italy for his eyes (though he would have had to eventually), but because he had been expelled a second time, for some specious passport irregularity.  continued Mgr. Mazzolari,

Non recuso laborem

After treatment in Milan - during which the loss of his left eye was confirmed, he wrote on 17th May 1990: "If I cannot be centre-forward in the national team, I think that I could fit into some task somewhere in Uganda or Kenya. `Euntes in mundum universum ...'. I have always thought of the whole world as my mission. And, as you know: non recuso laborem".

Fr. Calvia, now Provincial in Egypt, proposed a job in the land of the Pharaohs, but in the meantime his papers arrived for Uganda, where he was assigned as of 1st July 1990. He went to Kyamuhunga as bursar. Unfortunately, he had to return to Italy in April 1992, because his right eye was failing.

He went to Trento, from where he wrote on 13th August: "It seems nothing can be done for my sight. I am serene; it is the finger of God, no matter what happens. I hope to continue to be useful as a priest..."

His cervical problems also returned, and he felt weak and full of aches and pains. But the biggest pain of all was still being cut off from Africa.

Goodbye to Uganda

Fr. Cisternino writes: h serenity, and I will continue to live for you who remain on the front line, maybe worse off than I am!"

This sensitive and generous priest, who avoided criticising and gossiping, had just that one idea from the beginning to the end: `to continue to live for Africa and for you'. Kayonza and Buhara, in the mountains bordering Rwanda, knew the warm presence of the father. He arrived quietly, and began the beautiful octagonal church that Bro. Rizzo completed. It is there that the people gathered to offer a Requiem Mass for him. Everybody turned up; they considered him one of their elders.

He came to Buhara `on loan' to the Missionaries of Africa, until there was enough local clergy to allow the Combonis to withdraw. Fr. Gino never followed sterile plans on paper; he reasoned with the heart of a priest and the instinct of a pastor. Having to leave broke his heart.

Since he was getting on, we all took turns as his curate. He never criticised us, or confreres, or the local clergy or the people. He just kept on loving everybody regardless. If pastoral or apostolic problems made him suffer, he kept it to himself, and took them to the Lord in the Tabernacle.

He would follow up, with delicate attention, cases of old ladies, children, sick people; and his sermons took their inspiration from local happenings, but always drew something positive and encouraging from them. His words were warm and fatherly, and he had a way of counselling, with words, silences and the celebration of the sacrament of Reconciliation that drew many priests and confreres to go to him for spiritual direction.

He hardly ever spoke at meetings. But one always noted how he acted to help others and carry out what had been decided at those meetings, which he always considered important.»

Last days in Trento

From 1993 onwards Fr. Gino stayed in Trento, much sought-after for Confessions. But his bad sight caused him to fall while preparing for Mass (San Donà, 12 July 1994) and he fractured his thigh. There followed long months of suffering (five of them in hospital) which he bore with great faith, and in prayer. But at the end of it all he was worn out. He was no longer the cheerful, optimistic and active missionary of before, whether in his ministry in the confessional or in his hobby, gardening.

 writes Fr. Plotegheri, ended community acts punctually. With a great effort he read the breviary every day (he had about 30% of vision in one eye).

On 22nd January he went out of the house, saying that he had to go catch the bus to go to the doctor. Bro. Simoni saw him go up the steps towards the bus stop. Five minutes later Bro. Giuliani went out and found him lying near the door, on his side. He probably felt ill and turned back to the house, but he died almost at once, of a heart attack. We dialled emergency services and an ambulance came, but the medic said there was nothing to be done. The body remained in the house until the morning of 24th January, when it was taken to Trevignano, at the request of his relatives.

He left his room tidy. His Mass diary was complete up to 21 January. I have to add that he regularly gave an account of the little he spent. He never clashed with anyone, in the community or outside, preferring to give way rather than upset anyone.»

From Uganda another confrere writes:

He leaves the memory of his missionary enthusiasm, his love for his vocation and for Africa and its people: all qualities that made him a worthy son of Bishop Comboni.