In Pace Christi

Lo hanno sempre chiamato "l'eterno novizio". Eterno perché il Signore gli concesse una lunghissima giornata terrena e - caso più unico che raro - la permanenza nella stessa comunità di Omdurman (Sudan) per mezzo secolo; novizio perché non smise mai il fervore, la semplicità, l'amabilità e l'innocenza del novizio. I musulmani, che non sanno cosa siano i novizi, lo chiamavano semplicemente "il santo" e, come tale, lo veneravano.

L'infanzia di questo nostro confratello fu particolarmente tribolata. Papà Emilio, operaio in una ditta di laterizi, rimase vedovo ancora in giovane età. Sua moglie, Angela Sozzani, gli lasciò due figli dei quali Pierino era il maggiore.

Risposatosi, incontrò una donna che non poteva sopportare i due figlioletti. La sorella si salvò entrando in un istituto tenuto da suore, Pierino fuggendo da casa e trovando riparo a Corsico presso la nonna materna. La sorella dice: "Pierino era maltrattato dalla matrigna, era lasciato spesso senza cibo e sovente veniva preso a botte. Qualche volta andava a dormire sotto i ponti avendo paura di rientrare in casa, finché decise di fuggire dalla nonna a Corsico".

Così, Corsico divenne il paese di adozione del nostro Pierino. Quando aveva 11 anni gli morì anche il papà, ma ormai era staccato dalla famiglia. Frequentò le elementari e poi trovò lavoro in una fabbrica di biciclette.

"Pierino, cambia strada"

Passarono alcuni anni. La vita libera, senza una guida spirituale, lo portò a frequentare compagnie poco serie per cui, impercettibilmente, si trovò lontano dalla chiesa e dai sacramenti.

Una notte, dopo una serata passata con la solita compagnia, fece un sogno che lui interpretò come una visione. Vide la sua mamma, quella vera, che con volto triste gli diceva:"Pierino, cambia strada perché quella che hai imboccato porta alla perdizione". Il nostro giovanotto non riuscì più a chiudere occhio e, al mattino, si sentì un altro.

Prima di andare al lavoro entrò in una chiesa, si confessò, ascoltò la messa e decise di mettere in pratica le parole della sua santa mamma. Ma come fare?

Il discernimento

Il padre oblato Egidio Bignamini, col quale si era aperto, gli consigliò di partecipare ad un corso di esercizi per fare il discernimento in modo da impostare la vita come la mamma, in sogno, gli aveva suggerito.

In un primo tempo Pierino voleva farsi monaco, ma era troppo gracile di salute per cui non fu accettato.

"Prega il Signore e la tua mamma, e troverai la strada giusta", gli disse p. Egidio. Pierino pregò diventando nello stesso tempo un giovane esemplare tutto chiesa e lavoro. Gli amici di prima lo prendevano in giro, ma egli rispondeva: "Se volete andare all'inferno, accomodatevi pure: la strada è larga".

L'incontro col missionario

Ed ecco che un giorno arrivò a Corsico un missionario che parlò di Africa, di missione, di africani che attendono chi porti loro il Vangelo. Per Pierino quelle parole furono come la risposta ai suoi interrogativi.

E fece domanda di entrare tra i Comboniani.

"Corsico 02 gennaio 1924. Venerato superiore, Chiedo di essere ammesso nell'Istituto delle Missioni Africane sentendomi chiamato non solo allo stato religioso, ma al ministero delle Missioni.

Il mio assistente, p. Bignamini, mi suggerisce di farmi laico, ma il mio signor parroco desidererebbe che io studiassi credendomi atto agli studi. Io mi rimetto completamente ai superiori dell'Istituto. Una cosa sola bramo, una cosa sola domando: togliermi dalle insidie del mondo il quale cerca di sedurre la mia inesperta giovinezza.

Voglio essere tutto e solo di Gesù perché troppo l'ho offeso negli anni trascorsi, perciò è giusto che tutta la mia giovinezza e la mia vita la consacri a lui.

Se Gesù mi stimerà degno, farà sentire a lei, reverendo Padre, la sua divina volontà. Ed ella mi guiderà. Sento che il mondo, brutto, troppo brutto, non è fatto per me.

Ho passato la sesta classe e faccio il limatore di biciclette.

Desidererei essere avvisato otto giorni prima per poter accordarmi col mio principale".

Un angelo

Padre Bignamini, direttore spirituale dell'Istituto Gonzaga, accompagnò questa lettera con la seguente dichiarazione: "Reverendo Padre, le voglio fare un regalo. Un giovane di Corsico vuole farsi missionario. La decisione è maturata dopo un corso di esercizi spirituali. Si chiama Pietro Ferrè, ha 21 anni e ha già fatto il servizio militare. E' un'anima di Dio, un angelo. Non aspira al sacerdozio. Vuole diventare missionario laico. Non solo è buono di animo, ma è anche pieno di amore di Dio e di zelo per la salvezza delle anime...".

Il parroco, don Davide Cavallini, aggiunse: "Sono lietissimo di attestare che il giovane Ferrè Pietro è piissimo, di condotta irreprensibile e manifestamente chiamato allo stato religioso".

Con queste credenziali, il 28 gennaio 1924 Pietro entrò nel noviziato di Venegono e si mise subito al lavoro edificando tutti per il suo comportamento, la sua obbedienza, il suo spirito di sacrificio, l'amore alla preghiera e il perenne ottimismo e buon umore.

Veramente i padri Oblati gli avevano già fatto fare il noviziato, per cui il nostro giovane non trovò nessuna difficoltà a inserirsi nel nuovo ambiente che rispondeva in tutto alle sue aspettative e alle sue esigenze spirituali.

P. Corbelli, maestro dei novizi, scrisse: "Pieno di buona volontà, progredisce bene nella virtù. Buono, pio, obbediente, premuroso e diligente in tutto. E' un po' cagionevole di salute".

Anzi, ad un certo punto parve dar segni di una incipiente tubercolosi per cui i superiori non volevano ammetterlo ai Voti. Ma poi, improvvisamente, ogni segno di quel "male che non perdona" scomparvero del tutto. Cos'era successo? Ferrè si attaccò alle gonne della Madonna e non le mollò più finché non gli concesse la grazia. Insieme alla Mamma del cielo pregava anche la sua mamma terrena, pure in cielo, e in tutte e due debellarono il terribile bacillo di Koch.

Raccontava che anche da militare non dimenticò mai le sue due mamme. Fece la leva praticamente come attendente al cappellano militare.

Dalle lettere conservate nella sua cartella, possiamo constatare che i Padri Oblati lo seguivano da lontano e si tenevano informati sul suo avanzamento nelle vie della perfezione religiosa.

Missionario semplice

Il 05 agosto 1926 emise la professione religiosa e poi fu inviato a Verona in Casa Madre come aiutante cuoco. Cercò di fare del suo meglio con le pentole e i mestoli, ma subito apparve che fr. Ferrè se la cavava meglio nel trattare con i giovani.

Era animato da un entusiasmo tale per la sua vocazione missionaria che non poteva non comunicarlo agli altri, specialmente ai ragazzi e ai giovani.

I superiori captarono questo suo talento e, nel 1928, lo inviarono nel seminario minore comboniano di Riccione. Egli era addetto alla casa, ai piccoli lavori tanto indispensabili in ogni comunità, ma bastava la sua presenza, il suo buon esempio per infondere coraggio ed entusiasmo nei giovani seminaristi con i quali s'intratteneva volentieri. Piccolo di statura com'era, sembrava uno di loro, ma aveva un'anima ricca, esuberante, piena di saggezza.

Con la valigia pronta

L'anno dopo, venne inviato a Troia. Scrive mons. Giordani, suo compagno in noviziato e anche a Troia: "Due anni dopo ci ritrovammo 'nella guerra di Troia' (con il valoroso p. Rizzi e il pio p. De Negri). Chiamavamo così quel periodo di fondazione della nostra casa in Puglia per le immancabili difficoltà connesse con i principi di ogni opera. Era l'anno scolastico 1928-1929 il secondo di vita di quel nostro seminario, ma più difficile del primo perché quello l'avevamo passato quali graditi ospiti nel seminario diocesano della stessa città.

Cresciuti di numero, ci si dovette adattare nel nostro, mentre erano ancora in corso i lavori di ristrutturazione. Un mattino mi trovai sul comodino e accanto al letto uno straterello di neve che il vento aveva portato dentro attraverso i pertugi sotto il letto.

Fr. Ferrè capitò a Troia in quell'avanzato autunno del 1928. Proveniva da Riccione, la perla dell'Adriatico. Lo sbalzo fu traumatizzante... e non toccò la valigia per una settimana sperando in un contrordine: tornare a Riccione. Mancanza di fede? Anche San Giovanni della Croce quando fu mandato per castigo in Andalusia non ritenne di mancare contro l'obbedienza movendo qualche pedina per tornare in Castiglia.

Passata quella settimana di prova, fr. Ferrè si trovò benissimo a Troia, in quella casa che tanti buoni missionari ha dato alla Congregazione".

Come una mamma

Anche a Troia c'erano tanti ragazzi, ma erano più bisognosi di affetto rispetto a quelli di Riccione. E fr. Ferrè seppe mostrarlo, l'affetto, per quei ragazzini che spesso piangevano perché sentivano il bisogno della mamma. Li consolava, li incoraggiava e li distraeva con mille giochi e impegnandoli nei piccoli lavoretti che potevano eseguire con lui nelle ore libere dalla scuola e dallo studio.

Durante la passeggiata settimanale si univa a loro portando il cibo. Ma col cibo distribuiva tante buone parole.

Alla scuola di p. Bernardo Sartori, fondatore e superiore di quella comunità, fr. Ferrè si specializzò nella devozione alla Madonna. Delicato com'era, trattava tutti con gentilezza e carità, esterni e anche confratelli della casa. Per lui l'esercizio della carità non era difficile perché aveva imparato a vedere nell'altro il volto del Signore, anzi, il Signore stesso. E come si può essere sgarbati col Signore?

Davvero, un uomo così era l'ideale per una casa di accoglienza. E fu inviato a Roma presso la chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio, alla fontana di Trevi, sempre come cuoco, attento, servizievole e umile. A Roma c'erano dei chierici comboniani che studiavano e confratelli che sostavano in partenza o in arrivo dalla missione.

La lunga stagione africana

Nel 1937 poté finalmente partire per l'Africa, con destinazione Khartoum. E qui lascio la parola a p. Crescentini:

"Sono vissuto a Omdurman con fr. Ferrè per tanti anni. Per me è stato uno dei comboniani che ha lasciato il segno dove è passato. Sempre gioioso, sempre ottimista, sempre laborioso, soprattutto sempre in preghiera.

Ricordo le sue belle canzoncine che canticchiava alla Madonna sotto quella pianta nell'angolo del cortile della casa di Omdurman mentre aggiustava rubinetti o metteva a posto qualche quadro o altro. Sapeva fare di tutto, un autodidatta perfetto. I lavori pesanti non erano per lui, perché non ha mai avuto una gran salute. Ma nei lavoretti ordinari di casa, chiesa (chi non ricorda i suoi presepi?), scuola, cortile, trovava il suo diletto con la lettera minuscola e il suo Diletto con la lettera maiuscola.

Si è sempre sentito realizzato e non capiva perché altri non si sentissero tali. Fedelissimo alle Regole, aveva unito le nuove alle vecchie. Così per le preghiere: il vecchio manuale insieme ai libretti di Lodi e Vesperi.

Ogni mattina, con il lumino a petrolio per illuminare la strada, andava in chiesa alle cinque, e questo sempre, con la corona in mano. Alla domenica tutte le messe erano sue. Aiutava i chierichetti facendo loro fare una genuflessione uguale alla sua: come un novizio.

Non trovo espressioni per parlare della sua carità e generosità. Sempre nelle piccole cose. Ti precedeva sempre. Ha fatto bene tutto, anche l'insegnante di religione in seconda elementare. A quei tempi gli avevano proibito di imparare l'arabo perché a un Fratello non occorreva(!). Poi si è fatto quasi autodidatta ed è arrivato a poter insegnare.

Incaricato della cancelleria della scuola per tanti anni, era precisissimo nel fare le fatture e presentare i conti. Per sé non spendeva mai nulla. Diceva che aveva sempre più del necessario, magari cose scartate da altri.

Conversava con gusto, nonostante qualche difficoltà di parola e lo si ascoltava con soddisfazione. Parlava col cuore, e questo anche con i musulmani tra i quali aveva tanti amici. Gli ex allievi, poi, erano larghi di elogi per lui.

Le uniche vacanze erano quelle che prendeva ogni cinque anni in Italia. Ogni 15 giorni andava da Omdurman al Collegio Comboni di Khartoum per la confessione e la direzione spirituale. Era di coscienza delicatissima, ma sempre sereno. Il suo rispetto per il superiore creava nel medesimo un senso di confusione.

Veramente guardando lui si potevano riscrivere le vecchie Costituzioni di una volta con le tradizioni e usanze. Era parco nel cibo e nelle bevande. Sono riuscito a fargli bere un bicchiere di birra solo in qualche festa particolare, ma solo per ringraziare il Signore della bella circostanza che ci offriva. Così anche quel raro bicchiere diventava un gesto di preghiera".

Eppure nessuno lo voleva

Strano il destino dei santi. Quando Ferrè andò in Africa, fece una sosta al Cairo, ma nessuna comunità lo voleva perché debole di salute e poco specializzato. Un giorno passò p. Tomasin, un altro santo come lui, e gli disse: "Vieni con me nella terra del Comboni". Vi andò e resistette nella missione di Khartoum e Omdurman per più di 50 anni. Nei primi tempi dovette vivere, mangiare e dormire in un piccolo refettorio dai muri di fango senza ventilatore né frigorifero.

Era spesso soggetto a varie malattie ed influenze. Dormiva quasi sempre in poltrona a causa della difficoltà respiratoria. Era scrupoloso nel prendere le medicine e nel praticare le prescrizioni dei dottori, molti dei quali erano stati suoi alunni. E tra una pastiglia e l'altra si fece 56 anni di missione, una missione come quella di Khartoum e Omdurman che stronca anche i tipi più forti.

Sono missionario

Era un giorno di festa e di vacanza. Il superiore gli disse:"Fratello, siete mai andato a vedere la diga di Gebel Aulia? E' uno spettacolo stupendo".

"No, non sono mai andato". "Allora oggi venite con me. Andiamo insieme. Si tratta di percorre una quarantina di chilometri".

"Grazie, Padre, ma io non vengo". "E perché?"."Perché io sono un missionario, non un turista". Allora anche il superiore, di fronte a un esempio così luminoso di povertà, rinunciò all'escursione.

Con i catecumeni si illuminava di gioia. Parlava con loro, li raccomandava alla Madonna di Lourdes che troneggiava nella grotta che lui, molti anni prima, aveva eretto e davanti ad essa li radunava per la recita del rosario o di alcune Ave Maria. Parimenti godeva quando vedeva che nuove costruzioni sorgevano qua e là. "La Chiesa avanza - diceva - Cristo regna".

Ferrè non ha mai fatto lavori di muratura, sempre e solo le piccole cose di casa, ma le ha fatte con un amore grandissimo e ciò gli permetteva di sentirsi missionario a tutti gli effetti.

"Esercitò il mestiere del calzolaio e del falegname - dice fr. Crivello - soprattutto ci sapeva fare con i ragazzi. Riusciva a farli pregare, insegnava loro il catechismo e giocava con loro come uno di loro".

Neppure un gesto di stizza

I presepi di fr. Ferrè erano famosi e meta di numerosi visitatori di tutte le religioni. Aveva anche fatto dei congegni meccanici per cui le statuine si muovevano, l'acqua scrosciava dalla cascata, il sole e la luna apparivano e sparivano... insomma un piccolo capolavoro con qualche cosa di nuovo e di diverso ogni anno.

Alla vigilia di Natale - il presepio era bello e finito, bastava solo innescare la spina e aprire il sipario - si sentì odor di fumo. I missionari accorsero... per constatare che tre mesi di lavoro di fr. Ferrè, rubati al sonno, stavano consumandosi in una fiammata. Tutti si rammaricarono e imprecarono contro chi aveva combinato un così brutto scherzo (la corrente elettrica non c'entrava). Solo fr. Ferrè, l'autore, non fece una grinza e commentò il tutto allargando le mani e dicendo: "Si vede che Gesù lo voleva migliore. L'anno prossimo lo faremo più bello".

Mons. Baroni, vescovo di Khartoum, diceva che quando aveva bisogno di qualche grazia, faceva pregare fr. Ferrè e la grazia arrivava.

La grande benedizione

Quando, nel giugno del 1988, il p. generale lo assegnò alla Provincia italiana, gli scrisse: "Il Signore ti ha dato la grande benedizione di passare 54 anni in Africa, in un servizio stupendo al mondo arabo, un contributo qualificato e sereno alla costruzione della Chiesa in Sudan.

Nonostante le tante difficoltà incontrate, la Chiesa ormai è ben stabilita e, nonostante gli assalti dei nemici, sarà ben difficile metterne in discussione l'esistenza.

Ora offri al Signore anche il sacrificio che può costarti questo distacco dalla missione. Anche da lontano potrai influire in maniera positiva attraverso le preghiere e la sofferenza. Prega san Giuseppe in particolare per sante e numerose vocazioni di Fratelli".

Animatore in Italia

La "piccola via" di fr. Ferrè in Africa stava per concludersi. Aveva 85 anni e non aveva mai goduto buona salute anche se non aveva mai smesso di lavorare.

Tornò in Italia e, manco a dirlo, si dedicò all'animazione missionaria. Tra le sue carte sono conservate parecchie prediche tenute in varie località. Prediche ben preparate, ben scritte, seriamente documentate che certamente lasciavano un'ottima impressione negli ascoltatori, sia per la figura del predicatore, sia per la grinta, la convinzione e l'entusiasmo che ci metteva. Su questo argomento abbiamo ottime testimonianze di confratelli e del parroco del suo paese.

In una busta molto grossa sono contenute copie di lettere che fr. Ferrè scriveva a giovani che si interessavano al problema missionario. Il problema delle vocazioni gli stava a cuore. Per esse pregava, parlava e scriveva.

"Noi lo veneravamo come un santo, come un patrono vivente di Corsico - dice il parroco. - Quando dimorava in canonica per qualche periodo, si alzava alle 4.30 per pregare e mi metteva in confusione quando, come segno di rispetto, mi si inginocchiava davanti per chiedermi la benedizione. Era il suo 'buongiorno'. Davvero era un uomo di una freschezza interiore straordinaria. La gente lo amava, per questo è venuta così numerosa e vuole portarselo via" (parole dette in occasione del funerale a Verona).

Ad Arco

Trascorse i suoi ultimi anni nella comunità di Arco edificando tutti per il suo comportamento e la sua delicatezza. Un anno prima della morte volle accompagnare il superiore al suo paese per la Giornata Missionaria. Fu anche l'addio ai suoi compaesani.

"Non so cosa riuscirò a dire - disse in quell'occasione - ma mi siederò lì vicino al predicatore per controllare se tutto va bene". La sola sua presenza era una predica.

Scrive p. Branchesi, allora superiore di Arco: "Ho visto in lui il volto di Dio, nella sua bontà si esperimentava la bontà di Dio. Veniva in stanza e piangeva perché non riusciva a recitare mille Ave Maria al giorno, mi chiedeva di nascondere i giornali sui quali c'era qualche figura che non si addiceva ai religiosi e mi pregava di cambiare canale della televisione quando appariva qualche pubblicità un po' spinta.

Aspirava a vedere il volto di Dio e invocava il momento in cui avrebbe potuto incontrarlo".

"Si confessava quotidianamente perché sentiva l'esigenza di una sempre maggior purificazione", aggiunge p. Elio Benedetti.

Una parziale paresi facciale gli tolse l'uso di un occhio (e anche con l'altro ci vedeva poco) e gli rese più difficile la parola. Queste croci non diminuirono minimamente il suo buon umore. Lo scrivente, visitandolo un giorno a Verona, lo trovò nella sua poltrona con una grossa benda sull'occhio malato.

"Come andiamo, fr. Ferrè?".

"Bene, benissimo - gridò allargando le braccia - perché siamo nella volontà del Signore". Cosa si può dire con uomini del genere?

A Verona

Trascorse a Verona i suoi ultimi cinque mesi di vita.

"Dopo più di 60 anni incontrai il caro fr. Ferrè a Verona, nel secondo piano della Casa Madre - scrive mons. Giordani. - Il Fratello stentò un poco a riconoscere il vecchio camerata della 'guerra di Troia'. Caro Fratello! S'era fatto più piccolo, più dimagrito, ma più santificato dal lavoro e dal sacrificio, però sempre sereno e delicato come un fiore che il divin Giardiniere stava per cogliere per trapiantarlo lassù".

"Ultimamente soffriva di incubi notturni - dice l'infermiere - che lo facevano gridare, che lo spaventavano. Allora invocava Gesù e Maria ad alta voce chiedendo aiuto. Durante il giorno, invece, se la cavava benino e incoraggiava gli altri".

Padre Cona aggiunge: "Devo dire che la prima impressione che abbiamo avuto a Verona di fr. Ferrè fu quella di un uomo esigente. 'Fratelli, fratelli, chi mi porta in chiesa? Chi mi porta al rosario?'. Allora andavo nella sua stanza e gli dicevo:'Fratello, abbiate pazienza, gli infermieri hanno molto da fare; verranno appena sarà loro possibile'. Fratel De Gasperi ci spiegò l'enigma di quella esigenza. Ad Arco era stato viziato un po' essendo il coccolino della comunità. Non si rese subito conto che, a Verona, le cose erano un po' diverse essendo tanti gli ammalati. Debbo dire che ben presto capì la cosa e divenne mite e paziente come un agnellino.

Alla mattina si alzava per primo e baciava le mani di chi lo aiutava. Era sempre contento e sereno. Poi stava seduto nella sua poltrona recitando rosari, uno dietro l'altro senza interruzione. La sua vita era una preghiera continua salvo i tempi della ricreazione in cui parlava volentieri con i confratelli. Il suo amico speciale era p. Cappelli che lo imboccava per dargli il cibo e si divertiva a scherzare con lui. La sua parola più frequente era 'grazie' e 'oh, Gesù buono!'.

Preferiva passare più tempo possibile in cappella. Davanti al tabernacolo e alla statua della Madonna si trovava bene. Partecipava alla messa attivamente, anche col canto, stonato com'era! Ma il suo Gesù buono era certamente contento".

Una testimonianza

Scrive p. Antonino Orlando: "Oggi 25 gennaio 1995 ho celebrato la santa messa in suffragio del caro fr. Pietro Ferrè, deceduto a Verona all'età di 92 anni, di cui 65 trascorsi in missione. Oggi l'Apostolo delle genti ha accolto in cielo, con tutti gli onori, un umile apostolo ma non meno importante.

Quante volte siamo andati in bicicletta o in macchina dal Collegio Comboni di Khartoum alla Casa di Omdurman, a visitare la triade meravigliosa: De Tomasi, Zanini, Ferrè!. Ci era d'incoraggiamento con la sua semplicità, la sua laboriosità, il suo entusiasmo.

Ora egli riposa in pace con Sergi, Ceriotti, Eleuterio... tutti santi Fratelli che hanno seguito Comboni e, come lui, lavorato a Khartoum".

Una fine serena

"Il giorno della sua morte - prosegue p. Cona - lo salutai alle 9.00 del mattino, dopo colazione. Era contento e sereno come al solito. Poco dopo passò a vederlo anche p. De Berti e lo vide particolarmente pallido. Allora gli si mise accanto e gli amministrò l'olio degli infermi che il Fratello ricevette con devozione. L'ammalato cominciò a peggiorare. Il Padre chiamò l'infermiere e intanto recitava le preghiere dei moribondi.

Mentre in chiesa i confratelli, terminato il rosario del mattino, cantavano la Salve Regina, fr. Ferrè spiccò il volo.

Non l'ho mai sentito parlar male di nessuno. Era felice quando qualcuno gli parlava della sua missione. Chiedeva spesso la benedizione e l'assoluzione, ma non era scrupoloso, voleva solo essere 'lucido' davanti al Signore. In stanza cantava spesso canti religiosi esprimendo la sua gioia di essere cristiano e missionario. La sua scomparsa, così serena e veloce, se ha lasciato in noi un vuoto, ha lasciato anche la gioia di sapere che in cielo abbiamo un altro grande intercessore che prega per noi e per la Congregazione".

I funerali in Casa Madre furono solenni e partecipati da una numerosissima rappresentanza di compaesani venuti in pullman con il loro parroco. E poi se lo portarono a Corsico per avere un altro patrono della parrocchia.

La sua vita è stata un continuo dialogo inter-religioso, specie col mondo musulmano e copto, ed un esempio di profonda inculturazione.

In cielo festeggerà la beatificazione di Comboni del quale è stato degno figlio, lui che per tanti anni ha calpestato la stessa terra che il Fondatore ha irrorato col suo sudore e con le sue lacrime.       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 188, luglio 1995, pp. 70-79

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He used to be called "the eternal novice". Eternal because the Lord gave him such a long span of years and - something unique - a half-century in a single community, that of Omdurman (Sudan); and Novice because he always retained the fervour, the simplicity, the goodness and the innocence of the Novitiate. The Moslems, who do not know what a novice is, simply called him "the saint", and as such they venerated him.

The childhood of this Brother was not happy. Emilio, his father, who worked in a brick factory, was widowed while still young. His wife, Anna Sozzani, left him with two small children, Pierino being the elder.

When he married again, he got a woman who could not stand the two step-children. The girl found refuge in an institute run by nuns, and Pierino by running away from home and going to stay with his maternal grandmother in Corsico. His sister says: "Pierino was treated very badly. Our step-mother often left him hungry, and he was frequently beaten. He used to go and sleep under a bridge rather than come back home, and finally decided to run off to granny at Corsico".

Thus, Corsico became his adopted town. When he was 11, his father died too, but he had already lost touch with his family. He finished elementary school and then found work in a bicycle factory.

"Pierino, mend your ways"

Some years went by. Being a free agent, with no spiritual guidance, he eventually fell into bad company, and ended up away from the Church and the sacraments.

One night, after an evening spent with his usual friends, he had a dream, which he took as a vision. He saw his mother, the real one, who looked at him sadly and said:

"Pierino, mend your ways. The road you have taken only leads to perdition". Sleep was gone, and next morning he realised that he had changed. Before going to work he looked for a church, went to confession, heard Mass, and decided to put his mother's words into practice. But how?

Discernment

The Oblate Fr. Egidio Bignamini, to whom he went for counselling, advised him to make a retreat to discern how to organise his life in the way his mother had suggested in the dream.

At first Pierino wanted to be a monk, but his health was not considered strong enough, so he was not admitted.

"Keep praying to the Lord and your mother," insisted Fr Egidio, "you'll find the right road!" Pierino prayed, and at the same time turned into an exemplary young man, all church and work. His former friends made fun of him, but he was unmoved: "If you want to go to hell, please yourselves; the road is wide enough!"

Along came a missionary

Then one day a missionary turned up in Corsico and talked about Africa, the missions, the Africans waiting for someone to tell them the Good News. For Pierino it was all like one big answer to his questions. So he applied to join the Comboni Missionaries.

"Corsico 02 January 1924. Reverend Superior, I ask to be admitted to the Institute of the African Missions, since I feel called, not to the religious state as such, but to the missionary ministry. Fr Bignamini, the one who assists me, suggests I should become a lay Brother, but my parish priest would like me to study, because he thinks I am up to it. I put myself completely in the hands of the superior of the Institute. I desire and request only one thing: to escape from the dangers of the world, which is attempting to seduce my inexperienced youth.

I want to belong wholly and only to Jesus, because I have offended him too much in past years, so it is only right that I should consecrate my youth and my whole life to him.

If Jesus thinks me fit, He will let you know His will, Reverend Father. And he will guide me too. I feel that the ugly world is not for me. I have finished 6th year primary, and I do finishing work on bicycles. I would like to be given a week's notice, so that I can inform my employer."

An angel

Fr Bignamini, spiritual director at the Gonzaga Institute, adds this declaration to the letter: "Reverend Father, I want to make you a gift. A young man from Corsico who wants to be a missionary. He reached his decision after a Retreat. His name is Pietro Ferrè, he is 21 and he has done his national service. He is a godly soul, an angel. He has no aspirations for the priesthood; he wants to be a lay missionary. He is not just good in himself, but full of the love of God and desire for the salvation of souls...".

The Parish Priest, don Davide Cavallini, added: "I am very happy to state that the young man Ferrè Pietro is very devout, irreprehensible in his behaviour, and clearly called to the religious state".

With these credentials, Pietro entered the Novitiate at Venegono on 28th January 1924, and immediately got down to work, edifying everyone by his behaviour, his obedience, his spirit of sacrifice, love of prayer and perennial optimism and good humour.

Indeed, the Oblate fathers had already put him through a novitiate, so that he had no problem in fitting into the new surroundings, which answered all his expectations and his spiritual inclinations.

The Novice Master, Fr Corbelli, wrote: "He is full of good will, and is making good progress in virtue. Pious, obedient, good, willing and diligent in everything. His health is not too strong."

In fact, at one time he seemed to be developing tuberculosis, and the superiors did not want to admit him to the Vows. But the, suddenly, every symptom of the "unforgiving disease" disappeared. What had happened? Ferrè had caught hold of Our Lady's mantle, and would not let go until she obtained the grace for him. Against her intercession and the prayers of his earthly mother - also in heaven - the Koch bacillus didn't stand a chance! (He would tell how he never forgot his two mothers, even during military service - practically all of which he spent as the batman of the chaplain).

From the correspondence in his file, we can see that the Oblates followed him with interest, and kept in touch with his progress along the road of spiritual and religious perfection.

Ordinary Missionary

On 05 August 1926 he made his first Vows and was sent to the Mother House in Verona as assistant cook. He did his best among the pots and pans, but it soon became obvious that he was very much better at dealing with young people.

He had such an enthusiasm for his missionary vocation that he was unable not to communicate it to others, especially boys and youths. The superiors noticed this talent and, in 1928, sent him to the junior seminary of the Institute at Riccione. He went "ad omnia" - all the necessary odd jobs around the house and property - but just his presence was enough, together with his example, to give courage and renewed commitment to the young seminarians, with whom he loved to spend time. Not being very tall, he seemed like one of them, but his spirit was rich, lively and full of wisdom.

With his bags packed

The following year he was sent to Troia. Bishop Giordani, who was his fellow novice, wrote: "Two years later, we met again, in the (with the valorous Fr Rizzi and the pious Fr De Negri). That is what we called the period of the foundation of our house in Puglia, because of the inevitable difficulties that accompany every beginning of an enterprise. It was the academic year 1928-29, the second in the life of our seminary, but much harder than the first, during which we had been welcome guests in the diocesan seminary in Troia.

When our numbers grew, we had to look after ourselves, while the house was still being restructured. One morning I found a thin covering of snow on my bedside table and mat; the wind had brought it in through the gaps in the floor under the bed!

Bro Ferrè arrived in Troia in late Autumn of 1928. He came from Riccione, the pearl of the Adriatic. The difference was traumatic... and he did not unpack for a week, hoping that some counter-order might arrive and send him back to Riccione. Lack of faith? Well, even St John of the Cross, when he was sent to Andalusia as a punishment, was not beyond pulling a few strings to get sent back to Castile! After the early shock had worn off, Bro Ferrè loved it at Troia, in the house that has given so many good missionaries to the Congregation".

Like a mother

There were lots of boys at Troia too, and they needed more affection than those in Riccione. Bro Ferrè knew how to show affection, especially to the small boys who felt very home-sick. He consoled and encouraged them, and found distractions, too, either with games or by giving them little jobs to do in the time they had free from school and study.

During the weekly hike he would join them, bringing some food; and gave out a lot of kind and helpful words along with it.

The founder and superior of the community was Fr Bernardo Sartori, and in his school Bro Ferrè specialised in devotion to Our Lady. With his gentle and sensitive nature, he treated everyone with kindness and charity, whether visitors or members of the community. It was not hard to exercise charity, because he had learned to see the face of the Lord in everyone - indeed, the Lord himself. And how can anyone be churlish with the Lord?

A man like that was ideal for a house that had a lot of visitors. So he was sent to Rome, by the church of Ss. Vincent and Anastasius at the Trevi fountain, where he took up his old job of cook, always attentive, helpful and humble. There were clerics of the Congregation studying in Rome, and also numbers of confreres who stayed briefly on their way to and from the missions.

The long African season

Finally, in 1937, he was assigned to Africa, with Khartoum as his destination. Here we let Fr Crescentini take over: "I lived in Omdurman with Bro Ferrè for many years. For me he is a Comboni Missionary who left his mark wherever he went. Always joyful, always optimistic, always hard-working and chiefly, always praying.

I remember the lovely little hymns that he hummed to Our Lady under that tree in the corner of the courtyard, while he was mending a tap or repairing a picture, or some job or other. He could put his hand to anything: the perfect self-taught artisan. He could not do heavy work, because his health was never strong. But in the many ordinary jobs around the house and church (who could forget his Cribs?), the school, the compound, he found his joy - and his Joy.

He always felt fulfilled, and could not understand the discontent of others. He was very faithful to the Rule, but joined the new with the old. The same with his prayers: the old manuals along with the books for the daily Prayer of the Church.

Every morning, without fail, he was off to church at five, with a kerosene lamp to light the way - and always with his rosary in the other hand. On Sundays he was at every Mass. He would teach the servers to genuflect the way he did: like a novice.

I don't know how to describe his charity and his generosity. Always in the small things. He always anticipated you! He did everything well, even teaching RE in the second year primary. In those days they had not permitted him to study Arabic, because a Brother didn't need to(!); but he taught himself the language too, enough to teach catechism.

He was in charge of school materials for years, always meticulous in his accounting and in presenting bills. He never spent a penny on himself. He always said he had more than he needed, even things put aside by others.

He enjoyed conversation, despite his limited vocabulary; and people enjoyed listening to him. He spoke from the heart, and had a large number of friends among the Moslems. Ex-pupils were full of his praises.

His only holidays were his periods of home leave in Italy every five years. Every two weeks he went from Omdurman to Comboni College in Khartoum for Confession and spiritual direction. He had a very delicate conscience, but was always serene. His deference to superiors was sometimes quite embarrassing!

They talk about "living Rules". Well, looking at him, you could have re-written the old Constitutions, traditions and customs. He ate and drank little. I got him to drink a glass of beer only on big feasts, and only to thank the Lord for the event he was granting us. So even the rare drink became an act of prayer!"

Yet nobody wanted him

The destiny of saints is strange. When Bro Pietro went to Africa he stopped off in Cairo, but none of the communities wanted him because his health was weak and he had no specialisation. One day Fr Tomasin, another saintly man, said: "Come with me into the land of Comboni." He did, and he stayed in Khartoum and Omdurman for over 50 years. During the early years he had to live, sleep and eat in a small dining room, with no fan and no refrigerator.

He did suffer a lot from various afflictions and respiratory disorders. He used to sleep in an armchair because of the breathing problem. But he was always precise in taking his medicine according to the doctors' instructions (many of whom had been taught by him). And, from one pill to another, he spent 56 years in the mission - and one like Khartoum-Omdurman, which can break even the strongest.

I'm a missionary

It was a feastday and a holiday. The superior said: "Brother, have you ever visited the dam at Gebel Aulia? It's a stupendous sight!" No, I've never been". "Well then, come with me today. It's less than 30 miles." "Thank you father, but I'm not coming." "Why ever not?" "Because I'm a missionary, not a tourist." With an answer - and an example - like that, all the superior could do was stay at home himself!

He was always full of joy with the catechumens. He would talk to them, and recommend them to Our Lady of Lourdes, whose statue stood in the grotto he himself had built years before; he would gather the children there for the rosary or to say some Hail Marys, He showed the same kind of joy when a new building went up here and there. "The Church is progressing," he would say, "Christ reigns". He never put up anything big himself; his speciality were the little things around the house, but done with great love and dedication, making him feel fully satisfied as a missionary.

"He was a cobbler and a carpenter too," says Bro Crivello, "but above all he was very good with youngsters. He could get them to pray, he taught them catechism, he joined in their games like one of them".

Not even a gesture of annoyance

Bro Ferrè's cribs were famous, and large numbers of people of all religions came to see them. He had mechanisms and motors underneath, so that the figures moved, the waterfall ran continuously, the sun and moon rose and set... little masterpieces, with some novelty every year.

One Christmas Eve - the Crib was all ready, and only needed to be plugged in - there was a smell of smoke. The missionaries rushed over, only to find that the patient work that had gone on for three months (at the cost of a good few hours of sleep) was now being burned down in a few minutes. Everybody was most upset, and furious with whoever was responsible (since there was clearly no question of an electrical fault) - all except Bro Pietro, the artist. He merely threw up his hands and exclaimed that Jesus must have wanted it a bit better: "We'll give him a much more beautiful one next year".

When Bishop Baroni was Bishop of Khartoum, he would say that whenever he needed a special grace, he would ask Bro Ferrè to pray for it, and it was always granted.

The great blessing

In June 1988, the Superior General assigned him to the Italian Province. He wrote: "The Lord has granted you the great blessing of 54 years in Africa, a stupendous service to the Arab world and an outstanding and serene service towards the building up of the Church in Sudan.

In spite of all the difficulties, the Church is now well-established, and despite the attacks of the enemy, it will be very difficult to endanger the Church's existence.

Now, offer to the Lord the sacrifice of having to take your leave of the mission. You can still have a positive influence through your prayers and pains. Pray to St Joseph in particular, for many good vocations to the Brotherhood".

Animator in Italy

Bro Ferrè's "Little Way" in Africa was coming to an end. He was 85, and had never stopped working, despite his health problems.

On his return to Italy, he took up - of course! - missionary animation. Among his papers there are several of his talks, given in church and elsewhere. Well prepared and written, and even well-researched. They must have made a very good impression on his listeners, both because of the forceful and enthusiastic delivery, and his very appearance. There are a lot of testimonies on this point from confreres and from the Parish Priest of his home town.

There is a very big folder with some of his correspondence: often letters to youths who were interested in missionary matters. He was very keen about missionary vocations, and he prayed, wrote and talked about them.

"We looked on him as a saint, as the living patron of Corsico," says the PP. "When he sometimes stayed at the rectory he would be up at 4.30 to pray, and he made me feel quite confused when he knelt to ask my blessing: it was his way of saying. His interior freshness of spirit was extraordinary. The people love him, and that is why such a big number has turned up to take him back with them" (words said at the funeral in Verona).

At Arco

He spent his last years in the community of Arco, edifying everyone by his attitudes and sensitive manner. A year before his death he asked to go with the superior to his home parish for the Mission Appeal. It was a goodbye to his townspeople. "I don't know what I will be able to say," he admitted, "but I will sit near the preacher to see that everything goes well." His presence was a sermon by itself.

Fr Branchesi, superior of Arco at the time, writes: "I could see the face of God in him, and the Lord's goodness was expressed in his. He would come to my room and weep because he was no longer able to say a thousand Hail Marys a day; he asked me to hide newspapers with pictures that were unsuitable for religious, or to change channels on the TV if some scenes or adverts seemed to be going too far. He longed to see the Face of God, and prayed for the moment he would go to meet Him.

"He went to confession every day, because he felt the need for greater and greater purification," adds Fr Elio Benedetti.

A partial paralysis of the face made him blind in one eye (and he saw little with the other) and made speech difficult. But these crosses did not diminish his good humour. The writer, visiting him in Verona, found him in a chair, with a big bandage over his damaged eye.

"How are things, Bro Ferrè?" "Fine! Marvellous!" he cried, throwing out his arms, "because we are in the Lord's will." What can you say to someone like that?

At Verona

His last five months were spent at Verona.

"After more than 60 years, I met our dear Bro Ferrè in Verona, on the second floor of the Mother House" writes Bishop Giordani. The Brother had some difficulty in recognising his colleague from the times of the. Dear Brother! He had become tiny, thin, but sanctified by the work and the sacrifices, and still as serene and delicate as ever, like a flower that the Divine Gardener was about to pick and transplant into heaven." "Towards the end he had nightmares," says one of the nurses, "and they made him cry out; they frightened him. He would call aloud on Jesus and Mary, asking for their help. But during the day he managed well, and would encourage others. Fr Roberto Cona added: "At first, he gave the impression that we had a rather demanding Brother on our hands. Someone would go and ask him to be patient, because the nurses had a lot to do, but they would be there as soon as possible. Bro De Gasperi explained the puzzle to us: at Arco he had been spoiled by everybody, and he did not realise immediately how different things were at Verona, with such a large number of patients. I have to say that as soon as he did, he became as meek and patient as a lamb.

He was first up in the mornings, and would kiss the hand of whoever assisted him. He was serene and content. Then he would sit in his chair, saying Rosaries one after the other without pause. His life was one constant prayer except for recreation times, when he chatted readily with others. His special friend was Fr. Cappelli, who spoon-fed him, and used to play little tricks. The expressions he used most frequently were: `thank you' and `O good Jesus!'

He liked to spend as much time as he could in the chapel. He felt at ease in front of the tabernacle or the statue of Our Lady. He was very attentive at Mass, and took part in the singing, though never in tune! But his good Jesus must have been pleased."

Another testimony

Fr Antonino Orlando writes: "Today, 25th January 1995, I celebrated a Mass in suffrage for dear Bro Pietro Ferrè, who died in Verona at 92, after 65 years in the missions.

Today the Apostle of the Gentiles welcomed another apostle into heaven with full honours: a humble little apostle, but not less important.

How many times we went by bicycle or in the car from Comboni College to the house in Omdurman, to visit the marvellous three: De Tomasi, Zanini, Ferrè. He was an encouragement through his simplicity, his hard work and his enthusiasm.

Now he rests in peace with Sergi, Ceriotti, Eleuterio... all holy Brothers who followed Comboni and, like him, worked in Khartoum."

A peaceful end

"On the day of his death," continues Fr Cona, "I greeted him at 9.00, after breakfast. He was his usual serene, happy self. Shortly afterwards Fr De Berti went to see him and found him unusually pale. So he immediately anointed him, and the Brother received the Sacrament with devotion. But he was becoming visibly worse, so the father called the nurses and began to say the prayers for the dying. While the other confreres were in the chapel, singing the Salve Regina after the morning Rosary, Bro Ferrè passed away.

I never hear him speak badly of anyone. He was pleased whenever someone talked to him about the missions. He often asked for a blessing or absolution, but it was not out of scruple: he wanted to be "shining" before the Lord. In his room he frequently sang religious songs, showing his joy at being a Catholic and a missionary. His death, so quick and peaceful, has left a void, but also the joy of knowing that we have another great intercessor in heaven to pray for us and the Congregation."

The solemn funeral was celebrated in the Mother House, and there was a very big number from his parish, who turned up in coaches with the Parish Priest. Afterwards, they took him home with them, to have another patron in the parish of Corsico.

His life was a long inter-religious dialogue, especially with Moslems and Copts, and a powerful example of inculturation. He will celebrate the Beatification of Comboni in heaven: a worthy son, who for many years trod the same ground that the Founder bathed with his sweat and tears.