Terzo di cinque figli tutti maschi, sfornati nel giro di sette anni, Aldo Lampetti è nato a Villagrande di Mombaroccio, Pesaro, il 10 gennaio 1935. Dei cinque era il più gracile, ma anche il più vivace e intraprendente.
Papà Enrico lavorava un bel pezzo di campagna a mezzadria e mamma Gina Maggioli gli dava una mano, anche se la squadretta familiare la teneva occupata dalle prime ore del mattino a sera inoltrata. In quella famiglia profondamente cristiana vivevano anche i nonni e regnava una pace invidiabile.
Dopo la terza elementare, frequentata a Villagrande, i ragazzi dovevano percorrere i quattro chilometri che separano il paese dal capoluogo, Mombaroccio, per la quarta e la quinta.
"Ricordo ancora quella strada - dice p. Piero - quando c'era neve, pioggia o fango. Si arrivava a scuola bagnati e dovevamo cambiarci le scarpe e le calze per non pigliarci qualche malanno".
Alla domenica, i cinque fratellini accompagnati dai genitori e dai nonni si recavano in chiesa per la messa. Ma anche nei giorni feriali, specie durante le vacanze, i ragazzini, prima di recarsi nel campo ad aiutare il papà, trovavano il tempo di recarsi in chiesa per servire la messa e fare quattro salti con i compagni sul sagrato. Dei corsi di predicazioni che si tenevano in parrocchia per la Quaresima o per altre circostanze, non ne perdevano uno, e così pure il rosario che si recitava alla sera insieme al parroco.
"Aldo - racconta il fratello p. Piero - era fanatico della scuola. Un giorno d'inverno ci alzammo con mezzo metro di neve e continuava a nevicare. La mamma ci disse che per quel giorno non si poteva andare a scuola. Aldo non volle sentir ragioni e, presi il mantello e la cartella, s'infilò da solo lungo la strada. Appena il papà rientrò dalla stalla, dove era andato a dar da mangiare alle mucche, sapendo ciò che era successo, si mise ad inseguirlo. Lo trovò quasi sepolto dalla neve in una curva della strada dove il vento ne aveva ammucchiata una grande quantità. Si mise sulle spalle il figlio, lo riportò a casa e lo depose accanto al fuoco. Era congelato come un ghiacciolo".
Durante la guerra, non potendo andare a scuola al paese, si recavano nella casa del maestro che era a soli due chilometri dalla loro abitazione, guadagnando un po' di tempo a tutto vantaggio dello studio e del rendimento scolastico.
Doppia vocazione
Un giorno p. Piero sentì i genitori che parlavano tra loro sull'avvenire dei loro cinque figli.
"Bisogna pensare che cosa dovranno fare dopo le elementari. Sono svegli e intelligenti; sarebbe un peccato non farli studiare".
"Ma anche quello del contadino è un bel mestiere. La terra, per chi sa lavorarla, è generosa", fece eco la moglie.
"Se fosse nostra, sì, ma noi frustiamo le braccia per la roba degli altri...".
Piero, il secondo della squadra, sentendo questi discorsi, si avvicinò ai genitori e disse loro:
"Per me non dovete preoccuparvi; io ho già scelto la mia strada: vedo tutte le mattine in chiesa Modesto Generali che prega così bene e con tanta devozione che mi ha fatto venire voglia di seguirlo in seminario". Lo stesso giorno Piero andò dalla mamma di p. Modesto, oggi missionario comboniano in Messico, e le chiese dove si trovasse suo figlio. "Presso i missionari comboniani di Pesaro", rispose. "Pesaro! Non è neanche tanto lontana da Villa". "Ma quando avrà finito gli studi andrà in Africa e allora...".
La mamma di p. Modesto, ancora vivente (1993), parlò di quella nuova vocazione al superiore dei Comboniani di Pesaro, che fece visita alla famiglia Lampetti combinando senz'altro l'entrata di Piero per l'inizio dell'anno scolastico.
Aldo, che era presente e attento ai discorsi che si facevano, disse: "Vado anch'io a Pesaro con Piero". "Ma no, basta uno", disse costui. "No, no, vengo anch'io". E non ci fu verso di smuoverlo dal suo proposito. Anche le parole del papà non servirono a calmarlo, perché era un testone e ciò che voleva voleva. La mamma disse: "Se vuole andare, noi siamo ben contenti di donarne due di figli al Signore!". Anche il papà si mostrò d'accordo, però obiettò che Aldo aveva fatto solo la quarta elementare. "Questo non ha importanza - rispose il missionario - in seminario abbiamo anche ragazzi che devono frequentare la quinta".
A Pesaro
"Il falegname del paese ci fece due belle valigette di legno - racconta p. Piero - leggere e abbastanza capienti nelle quali la mamma sistemò la nostra roba".
Il giorno stabilito, al mattino presto, le due mamme e i quattro figli (c'era anche un altro fratello di p. Modesto, che poi uscì) attraverso le vie dei campi percorsero i 15 chilometri che separano Mombaroccio da Pesaro e si presentarono alla Villa Baratoff. Avevano in tasca le buste chiuse del loro parroco che assicurava i superiori dell'ottima qualità dei "nuovi acquisti".
Quando le mamme partirono, nonostante la promessa che la settimana dopo sarebbero state nuovamente a Pesaro, una lacrimuccia scese dagli occhi dei ragazzini, ma cercarono di farsi forti per non fare brutta figura di fronte ai "vecchi" che erano già in seminario.
Alla sera dovevano essere posti a dormire in due cameroni separati.
"Noi non possiamo essere separati - disse Aldo con sicurezza - perché abbiamo un unico paio di forbici e un'unica spazzola da scarpe in due". "E' una buona ragione - disse il superiore ridendo - dormirete nello stesso dormitorio e in letti vicini".
In quel 1945 la vita era dura in seminario: cibo scarso e molto studio. Fortunatamente ogni settimana i genitori si facevano vedere con sporte piene di uova, pane, burro, frutta, salame e dolci fatti in casa per cui, tutto sommato, sembrava di essere ancora in famiglia. La mancanza di riscaldamento indolenziva le mani e le copriva di geloni, ma quei ragazzini non si lamentavano perché avevano imparato che per essere missionari non bisognava aver paura del sacrificio.
Aldo era così preparato e sveglio che poté iniziare le medie con il fratello, saltando la quinta elementare, per cui procedettero di pari passo.
Dopo la terza media furono inviati a Brescia per il ginnasio. E qui successe un fatto che ci è raccontato da p. Piero. "Rimasi bocciato in greco e in latino per cui, preso da un senso di scoraggiamento, avevo deciso di lasciare tutto e tornarmene a casa. Aldo, pur essendo più giovane, cominciò a rimproverarmi dicendo che non si doveva abbandonare una vocazione così bella per una bocciatura, che un anno prima o un anno dopo non contava poi molto. Le sue parole mi diedero fiducia per cui decisi di rimanere, anche se lui partiva per il noviziato e io dovevo rimanere ancora a Brescia".
Pur essendo più vecchio, p. Piero si sentiva legato strettamente e quasi dipendente dal fratello per cui, alla morte di quest'ultimo, morì qualche cosa anche in lui.
P. Diego Parodi, suo superiore a Brescia, scrisse di Aldo: "Di ottima famiglia. Potrebbe fare assai di più. Incostante, forse un po' immaturo". E p. Ceccarini, superiore delle scuole apostoliche: "E' un giovanetto di 15 anni abbastanza maturo e ben deciso. Ha un fondo timido e riservato. Possiede belle qualità di mente, ma non si fa notare né mostra esigenze di sorta. E' abbastanza socievole".
Un fascio di nervi
Il 26 settembre 1950 Aldo entrò nel noviziato di Gozzano dove era maestro p. Giovanni Giordani. Il giovane si mise subito con gran fervore alla scalata del Monte di Dio, tanto da dare l'impressione che volesse bruciare le tappe.
Le testimonianze del maestro ne fanno fede.
"Va mettendosi molto bene anche se ha ancora delle scorie da buttar via. Ha buona volontà, ascolta i superiori e ha spirito di fede. Dinamico, ardente, lo sport era la sua vita, ma ha saputo dominarsi". Questo dopo sei mesi di noviziato.
Alla fine: "Ha sempre mostrato buona volontà. Facile all'entusiasmo per ogni opera buona, salvo poi mollare a seconda delle circostanze. E' sempre stato il primo ad arrivare in chiesa al mattino, un quarto d'ora in anticipo sugli altri. Negli esercizi e nei ritiri mensili prepara con diligenza i suoi piani di riforma e li sottopone all'approvazione. Ha spirito di iniziativa, ama il lavoro, si applica nello studio con soddisfacente profitto. Ha, però, ancora bisogno di riflettere di più. Vede il bene da fare e vi si butta a capofitto volendo arrivare subito in fondo.
Come carattere è un fascio di nervi. Ardente, generoso, deciso, fattivo, però subisce qualche smarrimento e allora tutto l'entusiasmo si eclissa. Sincero, aperto, di ottima compagnia, laborioso e fervoroso. Sarà un ottimo missionario".
Sei mesi per una marachella
Emessi i primi Voti il 9 settembre 1952, Aldo andò a Verona per il liceo. Qui, l'anno dopo, fu raggiunto dal fratello Piero proveniente dal noviziato di Firenze. I due fratelli in Casa Madre furono divisi tanto che per comunicare, assicura p. Piero, dovevano scriversi delle letterine.
Il progresso nella vita spirituale di Aldo venne giudicato "soddisfacente". La salute fisica, invece, cominciò a dare segni di cedimento. "Tuttavia non vuole distinzioni nel cibo o privilegi quanto a lavoro o studio", scrisse p. Albrigo.
P. Bano aggiunse: "A modo suo è anche osservante. Fa quel che gli si dice, ma ha le sue idee e vi è attaccato. E', però, aperto e sincero. Ha delle belle doti ma è arruffato e disordinato. Ha un forte amore al Papa e alle missioni (e anche allo sport)".
A proposito di quest'ultima nota che p. Bano ha messo tra parentesi, p. Giulio Rizzi, vicario generale, aggiunse: "Non si sono mai notate in lui mancanze gravi, eccetto l'inclinazione allo sport. Qualche volta si sente depresso causa la sua salute".
Durante gli anni di liceo Aldo venne mandato a casa per un po' di tempo onde potesse rimettersi. E ritornò molto migliorato. Indubbiamente, la vita troppo incasellata che si viveva a Verona non confaceva a un giovane ardente, focoso e desideroso di libertà come era Aldo.
Dall'ottobre del 1955 al giugno del 1959 Aldo fu a Venegono Superiore (VA) per lo studio della teologia.
Era prossimo all'ordinazione sacerdotale quando successe un "fattaccio" che oggi fa sorridere, ma allora...
Sfortunatamente p. Rizzi si trovava a Venegono in visita per l'ultimo colloquio con gli ordinandi. Proprio in quei giorni Aldo, e un altro paio della sua specie, andarono nel parco a fumarsi una sigaretta che un padre anziano aveva passato loro.
P. Rizzi annusò il fumo e diede ai colpevoli sei mesi di sospensione dall'ordinazione sacerdotale. Altro che scherzi!
Aldo chinò il capo, chiese perdono, e si dichiarò disposto ad attendere. Veramente altre volte aveva dovuto chiedere perdono in pubblico per aver ascoltato, di nascosto, l'esito delle partite di calcio alla radio, o per aver sfogliato la rubrica sportiva su qualche giornale che aveva trovato in giro. Non riporto i commenti che facevano gli altri, sottovoce, nell'ascoltare queste pubbliche confessioni. Lui pagava, ma le informazioni se le godevano anche i compagni.
P. Baj, superiore della casa, nella sua nota finale ignorò il fatto e scrisse a proposito di Aldo: "Religioso di sacrificio, generoso, ardente e buono. Ha qualche impulsività dovuta al suo esaurimento nervoso che lo perseguita e che passerà quando avrà una vita più libera rispetto a quella dello scolasticato".
E mentre i suoi compagni vennero ordinati in marzo, Aldo ricevette l'imposizione delle mani il 19 settembre 1959. In compenso ebbe la grazia di diventare sacerdote nella Cattedrale di Pesaro. Sei mesi dopo, il 24 aprile 1960, arrivò anche il fratello Piero.
A Pesaro tuttofare
Dal 1959 al 1967 p. Aldo Lampetti fu a Pesaro come insegnante, prefetto degli studi, economo, vicesuperiore, animatore... Lavoravano con lui, tra gli altri, i padri Pazzaglia Andrea, Lello Gasperoni e Tonino Pasolini, una squadra ben affiatata, allegra e... sportiva.
A sentire gli interessati c'è da concludere che quelli furono anni pieni di lavoro (basti pensare alle giornate missionarie molte delle quali cadevano sulle spalle dell'economo, cioè di p. Aldo), ma anche ricchi di consolazioni.
"Quando si fatica in armonia - dice p. Andrea - la vita comunitaria diventa un paradiso. Alla sera, quando i seminaristi erano andati a letto, ci si trovava attorno alla tavola davanti a una bottiglia di birra e ci si raccontava le avventure o le disavventure del giorno. Lì si facevano i progetti e ci si divideva il lavoro. Anche il giudizio sui singoli ragazzi era dato insieme e ciò ci salvaguardava da errori, almeno si sperava".
P. Aldo, inutile dirlo, favorì il più possibile lo spirito sportivo nei ragazzi. Era convinto che quell'attività, oltre a far bene al corpo, aiutasse anche l'anima. La casa di Pesaro fu una delle prime ad avere un bel campo da pallone.
I ragazzi gli volevano bene perché era generoso e largo nel venire incontro alle loro giuste esigenze. Lui che aveva sofferto per il cibo misurato (nel dopoguerra c'era poco da scialare) volle che i seminaristi avessero sempre cibo genuino e abbondante. Per procurarlo non badava a sacrifici.
Dice ancora p. Pazzaglia: "Aveva una grande capacità di stringere amicizie con i parroci e con i benefattori per cui allargò la cerchia degli amici dell'istituto missionario di Pesaro. Queste amicizie gli costavano molta a fatica perché doveva essere sempre pronto a dare una mano, ad aiutare... si sa, con niente non si ha niente, per cui quelli di Pesaro furono anni logoranti ma felici".
Negli intervalli della sua vita missionaria p. Aldo tornerà sempre volentieri a Pesaro, non solo perché era la sua terra, ma anche perché lì raccolse le prime soddisfazioni della sua vita sacerdotale.
A Londra a studiare portoghese
Nell'ottobre del 1967 i superiori pensarono di far fare un'esperienza di missione anche a p. Aldo. Ormai se la meritava. Fu destinato all'Uganda e, per questo, venne inviato in Inghilterra per lo studio dell'inglese.
Partì e si applicò all'apprendimento della nuova lingua. Ma ecco che, ad un certo punto, tardando il permesso di salpare per l'Africa, si aprì la possibilità di andare in Brasile. P. Aldo chiuse i libri di inglese (che cominciava a parlare discretamente) e aprì quelli di portoghese con uguale entusiasmo.
Ancora educatore
Nell'aprile del 1969 si trovò a Ibiraçu, nello Stato dello Spirito Santo (Brasile). E fu subito inserito nell'equipe educativa del seminario missionario comboniano di Ibiraçu con i pp. Cibei, Bracelli e Lazzarini.
Ma qui subì una forte scossa quanto a salute. Il viaggio in mare lo aveva ridotto a uno straccio. Inoltre fu colpito fin dai primi giorni da una brutta forma di epatite virale. Dovette essere ricoverato in isolamento. "Vuoi vedere che è venuto qui a morire?", dicevano i confratelli. Grazie alle cure dei sanitari, di una suora comboniana e di p. Andrea Pazzaglia, che lo ha seguito con grande dedizione, riuscì a superare la crisi e a riprendere le forze.
Attivo com'era, non si limitava solo al lavoro all'interno del seminario, ma andava volentieri fuori, a contatto con la gente. Gli piaceva stringere amicizia con quella gente semplice e spontanea che gli ricordava quella del suo paese natale. Era diventato il fratello di tutti. Qualche confratello lo rimproverò dolcemente, sembrandogli che abusasse delle sue energie, ma p. Aldo non voleva sentir ragioni. "Mi sono fatto missionario per fare il missionario", cercava di giustificarsi.
Nel 1974, tornando in Italia per le sue prime vacanze, fece una deviazione in Uganda dove si trovava il fratello p. Piero. Rimasero venti giorni insieme e girarono in lungo e in largo la zona. P. Aldo voleva fare confronti con il Brasile, studiare il metodo africano di evangelizzazione nella speranza di arricchire il suo in Brasile.
Approfittò delle vacanze per fare il corso di aggiornamento a Roma e poi tornò nuovamente in Brasile, a San Paulo, con l'incarico di parroco, di incaricato della formazione permanente e segretario regionale della formazione. Fece bene per cui, dal 1978 al 1980 fu formatore nello scolasticato comboniano di San Paolo insieme a p. Baresi. In questa occasione p. Aldo scrisse: "Farò il possibile per non deludere la fiducia dell’Istituto. Con l'aiuto di Colui che tutto può e che ci dirige con il suo Spirito, mi sento animato in questo compito nuovo". Chiese anche di frequentare un corso di teologia per essere all'altezza del compito. Conseguì la licenza. Poi tornò in Italia per le vacanze, mentre p. Valentino Benigna prendeva il suo posto nello scolasticato.
"Come formatore - dice p. Pazzaglia - seppe adattarsi alla realtà cercando vie nuove insieme all'equipe con cui lavorava in modo da dare ai candidati una preparazione più adeguata ai tempi. Più che alle strutture stava legato allo spirito".
Invitato a rimanere in provincia italiana per un periodo di servizio alla medesima, portò ragioni tali per cui i superiori, pur a malincuore, gli concessero di tornare in Brasile dove il Padre si sentiva pienamente inserito.
Nel 1981 fece un'esperienza in periferia come parroco a S. Josè do Rio Preto. Qui fu addetto alla promozione umana oltre che spirituale, presso l'opera sociale 'San Jiudas Tadeu' tenuta dai Comboniani, dove vivevano oltre 500 ragazzi. Nel 1982 fu richiamato a San Paolo per assumere l'incarico di economo provinciale. Contemporaneamente esercitò l'ufficio di parroco nella parrocchia di S. Antonio di Caxinguì, dove si trova la casa provincializia dei Comboniani. Una caratteristica di p. Aldo fu quella di abbinare sempre il suo ufficio con l'attività pastorale. Sia quando era formatore come, e a maggior ragione, da economo.
Economo generale
Rimase in Brasile fino al primo ottobre, data che segna la sua nomina a economo generale dell’Istituto. "Voi dite che sono il tipo adatto a questo servizio - rispose. - Io non mi sento tanto sicuro. Comunque cercherò di fare del mio meglio, anche se lasciare il Brasile mi costa".
"Costituiamo un unico corpo e quindi il 'gioco di squadra' è fondamentale - gli scrisse p. Pierli. - L'economato generale ha un'ottima tradizione di spirito di collaborazione, accentuata opportunamente da p. Locatelli. Sono sicuro che anche tu riterrai prezioso questo aspetto e darai il tuo contributo di umanità e di solidarietà vicendevole". P. Aldo fece di queste parole il programma della sua amministrazione. Del resto, lo aveva fatto anche in Brasile.
Prima di passare alle testimonianze autorevoli, è opportuno sentire le battute che sono venute fuori qua e là da chi gli è stato vicino in questo delicato incarico:
"I soldi per lui non dovevano star fermi. Li usava, ma sempre come un servizio agli altri. Era distaccato dal denaro tanto che qualcuno lo accusò di aver le mani bucate".
"Come economo fu un buon amministratore, ma non pignolo e meticoloso, anzi piuttosto liberale. Qualcuno ad un certo punto si fece riguardo a chiedergli qualcosa perché non sapeva dire di no. 'Se chiedono - diceva - vuol dire che hanno bisogno'".
Fece molti lavori per ristrutturare e ammodernare la casa di Roma e anche per questo subì alcune critiche. Ma sia il p. generale che p. Milani (consigliere) lo hanno difeso condividendo il suo metodo di lavoro e la trasparenza nella conduzione economica.
Pur avendo un impegno così gravoso e di responsabilità, p. Aldo trovava il tempo per le sue partite a tennis, a pallone e per allargare quella cerchia già vasta di conoscenze e di amicizie. Era un uomo dal facile approccio con la gente. Per far visita a un confratello ammalato (è capitato più di una volta) era capace di andare da Roma a Verona nel giro di poche ore. Andava anche in piena notte all'aeroporto ad accogliere qualche confratello in arrivo. Naturalmente questi strapazzi incidevano sulla sua salute anche se lui non se ne rendeva conto. Come incideva la forse esagerata attività sportiva (per la sua età non più giovanile) e le visite agli amici.
La malattia
Ed ecco che nel 1989, dopo tre anni di quella routine, p. Aldo cominciò ad accusare i colpi: stanchezza, depressione, giramenti di testa.
P. Pierli, Superiore Generale, in data 12 luglio 1989 gli scrisse: "Il Consiglio Generale ha pensato bene di lasciarti libero da ogni impegno fino alla fine di quest'anno. Il tempo è la migliore medicina. Il tuo recupero sarà così facilitato in modo che tu sia in piena forma per il 1990, anno di indizione e preparazione del Capitolo generale".
Fr. Mores, p. Ghirotto e poi fr. Benetti lo sostituirono nell'ufficio di economo generale. Di tanto in tanto egli si recava a Roma per dare un'occhiata all'amministrazione. Questo, ovviamente, contribuì a creare qualche tensione interna che non aiutava il Padre a rimettersi in salute, per cui alla fine del 1989 la direzione generale credette bene di sospenderlo definitivamente dall'ufficio "per permetterti un più sereno recupero, quindi per il tuo bene personale, e per assicurare d'altra parte la dovuta attenzione all'economia dell'Istituto", gli scrisse p. Pierli.
Di nuovo in Brasile
Verso la metà del 1990 p. Aldo si era ripreso abbastanza bene per cui sentì nuovamente il desiderio di tornare nel suo amato Brasile. I superiori acconsentirono affidandolo a quella provincia dal 1° luglio.
Naturalmente, considerata la sua valida esperienza come economo, fu nuovamente eletto economo provinciale e nello stesso tempo fu parroco a Sant'Antonio sempre col suo solito stile aperto e cordiale.
P. Aldo ripeteva spesso: "...quando andrò in pensione vivrò i miei giorni seduto su una panchina nella piazza della cattedrale di San Paolo, dove passa molta gente". Voleva dire con questo che gli piaceva stare dove c'era molta gente.
Sempre più spesso ripeteva che sarebbe morto giovane e in fretta, probabilmente in un incidente aereo, dato che per il suo ufficio doveva viaggiare molto.
"Oltre i 50 anni sono tutti in più", ripeteva, ma nessuno ci faceva caso. Nessuno prestò attenzione alla fretta che ebbe per concludere un affare con una persona che doveva dei soldi all'istituto. Diceva: "E' meglio concludere subito, perché se io non ci sarò è meglio che tutto sia a posto".
Il giorno prima della morte disse: "Se muoio mettete solo le date sulla tomba, e non scrivete 'Riposi in pace', perché io sarò già nella pace". Che cosa significavano queste espressioni, visto che non aveva avuto nessun segno che indicasse un imminente decesso?
La morte come una festa
La mattina del 4 maggio, durante le lodi, cominciò a non stare bene e al momento della preghiera dei fedeli uscì e andò in stanza. Aprì la finestra e si mise sul letto. P. Vialetto, provinciale, vedendo che non tornava andò a vedere cosa fosse successo a p. Aldo. Lo trovò grave. P. Datres, sopraggiunto, cercò di rianimarlo con la respirazione artificiale, ma inutilmente. Fu avvisato immediatamente il medico e gli furono amministrati gli ultimi sacramenti. Poco dopo arrivò anche p. Falone. P. Aldo si sforzò di abbracciarlo e in quel gesto spirò.
"Era l'amico di tutti, - dice p. Falone - l'amico buono, comprensivo, generoso, servizievole... La presenza ai funerali di tre vescovi, 38 sacerdoti e un grande numero di parrocchiani, ne sono la più chiara testimonianza. P. Aldo ben due volte mi assistette quando mi ero trovato in fin di vita. Ora l'ho assistito io nel suo ultimo momento. Il dolore è stato grande, ma grande è stata anche la consolazione di averlo visto spirare tra le mie braccia".
La sua salma, su richiesta dei fratelli è stata trasferita in Italia il 9 maggio. Celebrata la messa nella cattedrale di Fano con la presenza del vescovo e di numerosi sacerdoti diocesani e comboniani ed altri confratelli e suore, la salma è stata tumulata nel cimitero della città nella cappella riservata alle persone illustri.
Sia in Brasile, sia a Fano i suoi funerali assunsero l'aspetto di una festa: la festa di un giovane che entrava nel gaudio del suo Signore.
Un ricordo che dà speranza
Scrive p. Francesco Pierli: "Io sono stato in contatto con Aldo in due circostanze: quando egli era formatore degli scolastici a San Paolo e poi durante gli anni di Roma quando era economo generale. Vorrei sottolineare quattro aspetti della sua spiritualità e personalità che considero come sua eredità e che mi stanno illuminando anche nella mia attuale vita missionaria.
1) L'umanità di Dio.
Se c'era un mistero della nostra fede che Aldo viveva con intensità è il mistero dell'incarnazione. Dio cioè che è diventato una persona umana, concreta come figlio di Maria e Giuseppe a Nazaret, immerso nella vita quotidiana dei poveri. Aldo era affascinato dalla umanità, dall'essere umano, cordiale, allo stesso livello, sereno e accessibile a tutti. Anche se non ne parlava molto lui, viveva in profondità la nostra spiritualità comboniana del Cuore di Gesù, traducendola in umanità, simpatia, sdrammatizzazione. A Roma una delle prime cose che realizzò come economo generale furono i campi da tennis e pallavolo per promuovere fraternità e salute. Niente era più lontano da lui che una spiritualità e un modo di comportarsi distaccato, musone e triste.
2) Fiducia negli altri.
Tutto ciò lo portava ad una visione positiva degli altri, a sottolineare il bene, gli aspetti positivi piuttosto che i limiti e i difetti. Voleva fidarsi degli altri anche quando tutto ciò poteva comportare qualche rischio, come quando per esempio era economo generale. Poteva capitare che qualcuno se ne approfittasse causando poi a lui e ad altri non poche sofferenze. Forse qui si trova anche la causa dell'esaurimento che lo fece tanto soffrire negli ultimi mesi della sua permanenza a Roma. Vorrei rimarcare che questo atteggiamento di fiducia verso gli altri fu una caratteristica anche del nostro fondatore Daniele Comboni; anche lui dovette soffrire a volte per certe delusioni. Anche in questo p. Aldo è stato un fedele discepolo del Comboni.
3) La persona prima della legge.
Di sicuro Aldo non era un fanatico della legge. Anzi se c'era qualche cosa a cui era allergico erano le regole, le leggi. Gli sembrava che minacciassero il rapporto interpersonale, che fossero un segno di mancanza di fiducia negli altri. Pensava che la bontà e la umanità di Dio diventassero appannate quando la religione e la nostra vita missionaria erano incapsulate in tante leggi. Se ricordo bene, negli incontri che ebbi con lui al tempo della formazione e del servizio a Roma, le sue proposte e iniziative erano spesso finalizzate a ridurre il numero e la complessità delle regole esistenti. Non che non accettasse la necessità di alcune leggi, ma in genere ad Aldo sembrava che ce ne fossero già fin troppe. Contava più nella forza del rapporto interpersonale e dell'amicizia che nella forza della legge. Sono sicuro che ora in Paradiso, dove l'unica legge è l'amore, Aldo si troverà meravigliosamente a casa sua.
4) La gioia di stare con la gente.
Di sicuro Aldo non era amante dei cancelli per tenere lontana la gente. La sua traboccante umanità, il suo carattere, la sua spiritualità e la sua mentalità missionaria lo spingevano verso la gente. Trovava difficile capire quei confratelli che, a nome della vita religiosa, insistevano sulla separazione dalla gente, che volevano aumentare sempre cancelli e lucchetti. Credo che il Brasile, con la ricchissima umanità della sua gente, abbia accentuato questa gioia e desiderio di stare con il popolo, di condividere, di allacciare ponti e contatti. Questo 'stare con' è senz'altro una delle caratteristiche della metodologia missionaria che oggi sta emergendo sempre più. In fondo è il desiderio di Dio che vuole diventare 'Emmanuele', cioè 'Dio con noi'. Aldo si era totalmente identificato con questo grandissimo e bellissimo desiderio del Cuore di Gesù.
5) Conclusione
Aldo mi sta accompagnando con le sopraccennate caratteristiche della sua persona e della sua vita. Confido sulla sua intercessione in Paradiso; che preghi per tutti noi e per me, perché riusciamo a vivere la sua eredità in profondità e serenità.
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P. Baresi, suo collaboratore nella formazione, dice: "Certamente p. Aldo non era fatto per vivere in clausura. Era l'uomo dell'aria libera, del sole, del dinamismo, delle relazioni interpersonali, dell'azione concreta ed efficace. E tutto nella maggior semplicità. Tutti sono testimoni della sua avversione alle complicazioni, ai raggiri. Preferiva il cammino retto, il più corto; gli bastavano poche parole.
Come formatore ripeteva sempre ai giovani che la cosa più importante era l'autenticità, la coerenza, la vita concreta. Come parroco predicava senza mezze parole ciò in cui credeva, senza curarsi delle reazioni. Come economo manifestava uno dei tratti caratteristici della sua personalità: la dignità nel tratto. Si sentiva libero di fronte al denaro.
Aveva fatto la scelta chiara dei poveri ma non aveva la posa del profeta; riconosceva anche di non essere uno di loro. Chi lo aveva conosciuto da giovane ricorda che fu sempre molto vivace. Questo 'matrimonio con la vita' mai è venuto meno, anche quando fu più difficile mantenerlo a causa dell'esaurimento che lo aveva scosso e che diventava una tentazione di 'divorzio'. La fede lo aveva sostenuto anche in quei momenti".
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P. Andrea Pazzaglia, che lo aveva accolto al suo arrivo a Ibiraçu, afferma: "Io e Aldo eravamo come due fratelli. Anche qui in Brasile, a tremila km di distanza, ci sentivamo per telefono quasi tutte le settimane, l'ultima volta è stato il 30 aprile. Invitato ad accompagnare la salma in Italia, ho dovuto rinunciare per mantenere fede ai numerosi impegni che avevo in parrocchia, anche perché mi era sembrato di ascoltare l'invito di Aldo: 'Ritorna a Cacoal, per i tuoi impegni... Io so quanto ami la tua parrocchia, hai già fatto tutto quello che potevi fare per me, ti sarò vicino".
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P. Domenico Cibei ricorda che la sua mamma diceva sempre: "Aldo è per me come un secondo figlio". Lui stesso lo ricorda come un fratello: "ci univano idee, vocazione, lavoro, missione, spontanei rapporti nei momenti sereni e in quelli più difficili. Ne ammiravo il buon senso, le capacità lavorative ed efficienti, la sempre grande disponibilità a servire tutti. Ne ho ammirato anche lo sforzo fatto per non arrendersi nei giorni più sofferti della malattia, e l'energia messa per risalire la china".
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Anche i parrocchiani di Caxinguì hanno voluto scrivere la loro testimonianza: "P. Aldo, nostro parroco per molti anni, fu sempre fratello amico e padre. Abbiamo imparato da lui il cammino di fede, la nozione di giustizia e di umanità. Ultimamente la nostra comunità ha passato momenti difficili per la definizione di valori che dovevano dare un nuovo volto alla pastorale. In questi momenti p. Aldo ci è stato presente, sostenendoci, e forse è stato anche questo per lui un colpo mortale".
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Il giornale "Gazzetta de Pinehiros" riassume nel titolo i contenuti: "Abbiamo perso p. Aldo in terra, ma lo abbiamo come dono in cielo. Dietro la semplicità che manifestava, c'era la volontà altruista di accogliere tutti, non solo come ministro di Dio, ma anche come essere umano che sapeva ascoltare e comprendere i problemi di tutti".
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P. Bracelli afferma: "P. Aldo è tra le persone che posso definire con il titolo di amico. Prima di tutto era per me una persona di totale trasparenza. Abbiamo passato insieme quattro bellissimi anni a Ibiraçu nella direzione del seminario minore. Mi è stato successore a San Paolo con gli studenti del postulato, e come superiore della casa provincializia. Anche in seguito i nostri contatti sono stati di amici che si ritrovano volentieri e che hanno molto da dirsi. Quando ero provinciale potevo sempre contare su Aldo per momenti di svago, suggeriti da lui stesso per aiutare ad alleggerire tensioni o momenti di stanchezza. Voglio ricordare alcune caratteristiche di Aldo: 1. Lasciava sempre trasparire la certezza che non nascondeva nulla, anche a costo di usare delle espressioni che a prima vista potevano suonare poco riguardose. 2. Per il lavoro preferiva la città, perché, diceva lui stesso, è lì che c'è gente, e dove l'incontro è reso possibile da una base culturale sufficiente che facilita la comunicazione. 3. Diceva anche che i poveri devono essere aiutati a uscire dalla miseria. Si nel fare scuola a Ibiraçu per 5 anni nel ginnasio pubblico, come nel trattare con la gente semplice, insisteva sulla necessità che ognuno faccia il proprio sforzo per imparare a migliorare la propria condizione di vita. 4. Nella preghiera emanava lo stesso spirito di semplicità, di trasparenza nel Dio che ci conosce e non ama le complicazioni. In lui Dio faceva trasparire il senso della serenità e fiducia nella vita: religiosità e vita dovevano avere le stesse connotazioni. Amava le celebrazioni semplici e corte".
P. Aldo Lampetti ci ha fatto capire che il missionario deve essere l'uomo per gli altri, l'amico di tutti, colui che fa della sua esistenza un dono capace di superare le fredde leggi e i formalismi per andare subito all'uomo, specialmente all'uomo più "necessitoso", e in questo - come ha sottolineato p. Pierli - p. Aldo è stato un autentico comboniano.
P. Lorenzo Gaiga, mccj
Da Mccj Bulletin n. 181, gennaio 1994, pp.97-104