Quando il 30 settembre 1954 Giovanni, 27 anni suonati, varcò la porta del noviziato di Gozzano, non era ancora sicuro se si sarebbe fatto missionario. Lo attestano un paio di lettere. La prima è del suo parroco, don Fortunato Rossi, e la seconda di p. Leonzio Bano.
Scrive il primo da Fassa al superiore dei Comboniani in data 4 luglio 1954: "Il giovane Giovanni Vian, disceso da lei la scorsa settimana, è un giovane di formazione spirituale che raramente si può incontrare fra i laici. Mio desiderio ed anche suo, e questo fin dai vent'anni, sarebbe stato quello di formarsi una famiglia. Io l'ho fatto tentare, ma senza nessun risultato. Oppure, se risultato c'è stato, è stato quello di far entrare il giovane in un profondo avvilimento. Per conto mio soprassederei ancora e pregherei per quest'anima bella, come io faccio sempre con paterno sacerdotale affetto. Una decisione la prenderemo senz'altro. Osservo, però, che Giovanni, per la sua formazione e per la sua intelligenza, potrebbe diventare sacerdote.
Io penso che il Signore voglia risparmiare il giovane dalle miserie di una famiglia sua propria, per affidargliene una più grande come coadiutore. Non sarebbe male s'ella gli procurasse la possibilità di fare gli Esercizi spirituali, ciò che farò pure io se mi sarà data l'occasione. Io la ringrazio di quanto ha fatto e detto al giovane, e per il momento aspettiamo che passi l'avvilimento e poi Dio ci aiuterà senz'altro a prendere una decisione".
Come si vede, un po' in contrasto con il suo parroco che lo voleva sposato, Giovanni era sceso a Verona per parlare della propria vocazione ai superiori dell'Istituto.
Senza tanti preamboli, disse al p. Leonzio Bano che lo ricevette: "Ho letto più volte la vita di fr. Giori e di fr. Dei Cas, quello morto di lebbra in Africa, e ho deciso di andare in missione anch'io".
Era proprio così Giovanni: aveva letto molto sulle missioni e manteneva una fitta corrispondenza col fratello p. Mario, da 4 anni sacerdote comboniano, già missionario in Brasile e più vecchio di lui di due anni. In un primo momento anzi, Giovanni aveva chiesto di andare in missione con il fratello p. Mario come aiutante, senza essere religioso. La lettera del parroco che abbiamo appena riportata era una risposta ad un'altra di p. Leonzio Bano il quale avrebbe sì accettato il giovane come "semplice aggregato", tuttavia preferiva che fosse religioso a tutti gli effetti.
Appena tornato a casa dal colloquio con p. Bano, Giovanni scrisse una lettera che merita di essere, in parte, riportata perché fa vedere con quanta serietà e senso di responsabilità affrontava il problema della sua vocazione.
"Tomion 14 luglio 1914... Per me è stato un viaggio bello, ma terribile. Non so quante volte ho cambiato idea. Il pensiero era sempre lì, sulla mia decisione. Non so se lei si è accorto: ero così agitato che non so nemmeno se mi sono spiegato. Pensi caro padre che, venendo in giù, quando giunsi a Trento volevo tornare indietro. Non sapevo decidermi. Allora scesi dal treno e andai in Duomo e mi inginocchiai davanti al tabernacolo supplicando il Signore che mi dicesse cosa dovevo fare. Quando mi sono alzato, andai diritto alla stazione e venni a Verona con animo rasserenato. Sono venuto e ora sono molto contento di esserci stato, anche se non ho ancora deciso... Tutto il complesso mi è piaciuto, anche la cappella (dove pure ho cambiato idea diverse volte), ma mi ha fatto anche paura. Paura in questo senso: o venire sul serio o restare a casa. Io queste cose le penso sul serio, alle volte forse anche troppo. Ed è proprio per questo che mi riservo di pensarci ancora prima di entrare in noviziato. So che sarebbe un'ottima cosa, ma se poi dovessi per qualche motivo tornare indietro? Ciò non lo vorrei mai. E' per questo che la mia idea sarebbe di venire come semplice aggregato, magari anche per cinque anni, e poi se mi sento, e se me lo merito, fare il noviziato. Non dico questo per potermene tornare a casa dopo pochi anni, perché potrei starmene qui anche adesso, soprattutto ora che ci stiamo costruendo la casa..."
Una fitta corrispondenza
Vian si dimostrò giovane dalla penna facile. In questo periodo, infatti, scrisse molte lettere a p. Bano, tutte ben scritte, senza un errore. Parla della sua moto, una Sertum 250, con la quale era disposto ad andare a Verona per ulteriori colloqui; della sua mamma, Sopperra Giuseppina, che ha accolto il suo desiderio di partire per la missione con le lacrime agli occhi; di papà Battista che ha detto: "purché sia la sua strada"; del parroco "che sembra si diverta a tormentarmi parlandomi di matrimonio e tira in campo ragazze, ecc... Anzi una volta ho pensato che fosse il demonio a farmi venire in mente la missione per poi far del male, anziché del bene. Ma finalmente il parroco ha cambiato registro assicurandomi che era voce di Dio, così mi sono tranquillizzato".
In altre lettere si rammarica che le chiacchiere sulla sua partenza per l'Istituto siano già uscite in paese a causa di qualche altro comboniano che sapeva. E apostrofa p. Bano con queste parole: "Mi dispiace che anche in Istituto non vi possiate fidare e diventi difficile parlare tra di voi di cose un po' delicate", ma la sicurezza sulla sua vocazione non arrivava ancora. Forse non sapeva che in queste cose bisogna rischiare un poco, affidandosi completamente al Signore, dopo che si è fatto tutto da parte nostra.
Per tagliar la testa al toro e dissipare ogni dubbio, p. Leonzio Bano suggerì al giovane di trascorrere un mese di prova a Carraia. Cosa che Giovanni fece, senza, tuttavia, risolvere completamente il problema della sua vocazione.
In data 28 settembre 1954, p. Bano scrisse a p. Pietro Rossi, superiore e p. maestro a Gozzano: "Ecco, le mando Vian Giovanni Battista, del quale le parlai a voce. Veda come si presenta e lo provi. Anche se lui dice che è venuto per fare gli Esercizi, è bene che si comporti di fronte agli altri come un postulante fratello, pur restando libero - si capisce - di decidere in seguito. Credo soddisferà. Poi mi faccia sapere come si trova e cosa ne pensa". Dopo gli Esercizi, Vian capì chiaramente che il Signore lo voleva missionario nella congregazione dei Comboniani, e s'incamminò deciso su quella strada. Ma le sofferenze interiori non erano finite.
Fu una lotta dura
Giovanni aveva terminato le elementari nel 1941. La sua pagella portava un unico "buono" in canto. Accanto alle altre 13 materie c'era un bel "lodevole". Non solo, ma dopo le elementari frequentò la Scuola d'Arte di Valle di Fassa, sezione falegnami. Anche qui i risultati furono ottimi.
I novizi di Gozzano si resero presto conto delle doti eccezionali di questo confratello. Non c'era avvenimento particolare, o festa, che non fossero sottolineati da una bella poesia di fr. Vian. Alle volte ai versi aggiungeva la musica e il canto. Oggi si direbbe che era un cantautore. Possedeva uno spiccato spirito di osservazione e un'altrettanta abilità nel capire il punto debole o il "particolare" di ognuno, e non c'era dubbio che nelle sue composizioni queste cose venissero fuori con un piacevole tono umoristico che suscitava ilarità, applausi e risate in tutta la comunità, p. maestro compreso.
Eppure, a guardarlo in faccia, non gli si sarebbe dato un soldo bucato. Egli si dichiarava contadino, lavoratore della terra e abile falciatore di fieno. A Gozzano, in quel tempo, c'erano anche le mucche, per cui i novizi, nella stagione adatta, partivano alle quattro del mattino per andare a falciare il fieno che la gente offriva ai missionari. Vian divenne subito il "capo" dei falciatori. E come sapeva sorridere, e far sorridere, commentando alla sera gli sforzetti che gli studenti di quinta ginnasio venuti da Brescia facevano per tenergli dietro!
Non si deve pensare che la vita di noviziato sia stata tutta rose e fiori per il nostro giovanotto. Ebbe le sue lotte e le sue difficoltà. "Vi dico la verità - scriveva a p. Bano - che venerdì primo ottobre mi veniva voglia di scappare via, eppure sono convinto che non mi manca niente qui. Sarà duro per tutti, ma per me è duro assai. Mi veniva da piangere tutti i momenti, ma poi il p. maestro riusciva a darmi tanta calma e serenità. Sento, tuttavia, che questa è la mia strada e qui il Signore mi vuole. Vi ricordo che quando sono venuto a trovarvi a Verona il giorno di san Pietro, mi avete detto che il postulante deve aspettare sei mesi prima di fare la vestizione. Io, però, avendo fatto un mese a Carraia prima di venire a Gozzano, potrei anticipare quella data. Non voglio con questo essere io a comandare, ma solamente ricordarvi quanto mi avete promesso". Tale dichiarazione ci fa capire che fr. Giovanni aveva ormai superato ogni incertezza riguardo la sua vocazione, anche se ne percepiva il sacrificio per seguirla. Per la vestizione, tuttavia, dovette attendere i sei mesi di regola.
La prima professione ebbe luogo il 25 marzo 1957. Il p. maestro scrisse di lui: "Mi pare che abbia fatto bene il suo noviziato. L'ha preso con serietà ed è riuscito a dominare il suo carattere. Ho notato in lui il costante desiderio di migliorarsi. Ora è diverso da quando è entrato, ma anche prima era un bravo giovane. Ha avuto le sue lotte, le sue difficoltà, qualche tentennamento, ma tutto ha superato. Ha buon criterio e altrettanto buona esperienza della vita. Tipo allegro e scherzoso, anche se qualche volta duretto nelle sue opinioni, mi sembra adatto alla vita comunitaria. Si arrangia bene in molti lavori. Ha fatto buona esperienza in muratura. Salute, forte".
In Mozambico via Portogallo
Dopo otto mesi trascorsi a Carraia come aiutante in casa e in campagna, ricevette l'ordine di partire per il Portogallo. Si sarebbe fermato qualche anno per apprendere la lingua e per dare una mano nei lavori di muratura e nell'orto, poi sarebbe partito per il Mozambico.
Rimase tre anni a Faleiro portando il suo contributo di braccia, di cuore e di buon umore poi, finalmente, poté imbarcarsi per la missione.
Fu a Nacaroa (1960-1963) come addetto alla parrocchia; e dal 1963 al 1968 a Lunga, sempre addetto alla chiesa e alle opere parrocchiali.
Dice un confratello che fu con lui: "Fr. Giovanni aveva la stoffa e le capacità di un attore. E ciò che maggiormente conta è il fatto che tirava fuori questi suoi talenti nei momenti in cui ce n'era maggiormente bisogno per sollevare lo spirito e l'umore della comunità. Quanto bene ha fatto!".
Col suo furgoncino andava nei villaggi a proiettare film catechistici e diapositive. Naturalmente questa operazione aveva luogo quando faceva buio. Quando la pellicola era terminata, si metteva davanti al fascio di luce e continuava facendo versi e pantomime che scatenavano l'ilarità generale. Molta gente andava alla lezione di catechismo all'aperto proprio per godersi, dopo, le esibizioni del Fratello. Anche i musulmani non riuscivano a sottrarsi al suo fascino, così erano costretti a sentir parlare di Gesù e del Vangelo.
In caso di necessità sapeva usare anche il fucile, sia per trovare un po' di carne per i ragazzi della scuola, sia per difenderli in caso di pericolo, come fece una notte quando riuscì a colpire un leopardo che si avvicinava minaccioso al dormitorio dei catecumeni. Da quel giorno Giovanni divenne l'eroe della zona".
Costruttore ed amico
Dopo un anno di vacanza trascorso a Firenze tra il 1968 e il 1969, tornò nuovamente in Mozambico. Lunga, Memba, Iapala e Mogiunqual, videro la sua presenza dal 1969 al 1978. In questo tempo costruì anche il convento-monastero delle Suore Contemplative Serve di Maria. Erano gli anni duri della persecuzione, della guerriglia, delle restrizioni per i missionari. Eppure quest'uomo bonario e di buon senso riuscì sempre a cavarsela e a lavorare molto per le missioni. Ma la salute cominciò a risentirne. Nel 1978, infatti, dovette venire in Italia "per controlli al cuore, alla schiena, e per una revisione generale. Le vacanze - precisa p. Cimitan - non dovevano superare i 75 giorni pena la scadenza del permesso di rientrare".
Rimessosi sommariamente in sesto, fr. Vian tornò al suo lavoro. Oltre che come catechista, si distinse anche come costruttore. Di questo fanno testimonianza le case, le chiese, le scuole e le cappelle costruite qua e là. E sotto di lui non c'era da dormire, perché era sempre in posizione di tiro.
Delle sue capacità come costruttore si accorsero anche le autorità civili che gli chiesero spesso di dirigere i lavori di strade, ponti, uffici pubblici e scuole. Il Fratello eseguiva questi lavori non solo con competenza e scrupolosità, ma anche attirandosi la simpatia degli operai. Non volle mai essere pagato per i lavori che faceva per il governo, ma in questo modo otteneva ciò che più gli stava a cuore per il bene della missione e della gente. Per esempio, ottenne la liberazione di qualche prigioniero ingiustamente incarcerato e, soprattutto, riuscì a rendere più soffice l'atteggiamento del Frelimo verso i missionari.
Gli fu perfino chiesto di mettersi alla direzione di una scuola superiore a Nampula, il che è tutto dire per chi conosce i rapporti esistenti tra politica e religione nel Mozambico in quei giorni.
Una cosa altrettanto rara era l'amicizia che Giovanni seppe coltivare con i musulmani e con i soldati stessi del Frelimo.
Economo e procuratore
Nel 1982 fr. Vian era nuovamente in Italia per un po' di vacanza e per fare il corso di aggiornamento a Roma. Lì ricevette una lettera dal p. generale con un ampio riconoscimento di quanto aveva fatto in Mozambico e con la nuova destinazione: Portogallo. Fr. Vian rispose: "La ringrazio della destinazione e della lettera. Fa bene al cuore e mi fa sentire più unito alla Congregazione. Grazie". E poi aggiunse: "Le chiederei solo di non lasciar mancare personale al Mozambico". L'anelito per la missione gli bruciava dentro. A Famalicao, in Portogallo, (1983-1985) fu incaricato dell'economia, ma insieme doveva anche attendere alla casa. Fece una breve esperienza a Coimbra, in segreteria, e poi, all'inizio del 1986, poté tornare nuovamente in Mozambico per dedicarsi alla Procura di Maputo.
Il p. generale, dandogli la destinazione per il Mozambico, aggiunse: "Dopo il prezioso lavoro in Portogallo, eccoti di nuovo pronto ad andare a confortare, incoraggiare, e arricchire la Congregazione con la tua disponibilità che è di esempio ai confratelli. Oltre alla tua gentilezza espressa negli auguri per il mio onomastico, ho notato il tuo attaccamento alla missione e il grande amore che porti ai confratelli".
Giunto a destinazione, scrisse al p. generale: "Sono contento di essere qui nonostante le note difficoltà. Dove i superiori mi collocano, per me va sempre bene. Non sarò certo io a voler cambiare. Però sono sempre disponibile. Qui sparano spesso... sarà per far festa..."(10 giugno 1986).
Il lungo calvario
Neanche un mese dopo aver scritto questa lettera, fr. Vian dovette lasciare il Mozambico (primo luglio 1986) per violenti attacchi di dolore alla testa con pressione sanguigna molto alta.
Venne immediatamente ricoverato all'ospedale di Negrar per accertamenti. La diagnosi fu di "idrocefalo" e venne operato ai primi di febbraio del 1987. Sembrò riprendersi, tanto che poté andare al suo paese per un po' di vacanza ma, durante il mese di ottobre, su segnalazione della famiglia, dovette rientrare a Verona per essere ricoverato all'ospedale di Borgo Trento per emicrania e ipertensione .
Dopo le cure, risultando stazionarie le condizioni di salute, fu inviato nella comunità di Arco da dove, di tanto in tanto, andava a Verona per i necessari controlli. Faceva veramente pena vederlo con i suoi occhi buoni e con tanto male addosso. Eppure non si lamentava, non protestava, anzi, a coloro che andavano a trovarlo, si sforzava di sorridere.
Nel marzo del 1988 suo fratello p. Mario, che prestava il suo servizio presso la Curia dei Comboniani a Roma, morì improvvisamente. Fu un duro colpo anche per fr. Giovanni che a quel suo fratello era particolarmente legato. Tuttavia incassò il colpo con quello spirito di fede che gli era ormai connaturale.
Il primo luglio 1988 venne definitivamente assegnato alla provincia italiana. Per questa circostanza il p. generale gli scrisse: "Durante il mio recente viaggio in Mozambico ho potuto vedere i segni della tua attività e della tua grande dedizione missionaria. Devi ringraziare il Signore di quanto hai potuto fare insieme agli altri confratelli... I semi che hai piantato ora sono alberi; questi alberi ora hanno bisogno di acqua e di aria. Con la tua preghiera e la tua sofferenza tu puoi dar loro e acqua e aria... Spero che non prenderai a male l'assegnazione alla provincia italiana. Non è una chiusura alla missione, se la salute dovesse migliorare. Per ora mettiti nelle mani di Dio con grande serenità e accetta di far parte della provincia di origine, che ha bisogno anch'essa di preghiera e di intercessione... Prega per il Mozambico e per il Portogallo, soprattutto perché aumentino le vocazioni di Fratelli. Ti affido questa missione come un compito particolare".
Giovanni, dalla casa di Arco dove ormai si trovava, rispose in data 20 giugno 1988: "Ringrazio della destinazione che mi hai dato anche se non è proprio come pensavo io, ma l'accetto come volontà del Signore e dei superiori della nostra Congregazione che tanto amo. Non dico niente di quanto sento in questo momento, ma con tanta fiducia lascio fare a te che, col tuo Consiglio, certamente hai fatto ciò che è meglio per me. Ho fiducia e fede anche in questo... Sono contento qui ad Arco e offro tutto al Signore per il Mozambico, per il Portogallo, per le vocazioni specie dei Fratelli. Anche se stento ad esprimermi, ti dico grazie di tutto e ti assicuro la mia preghiera per te".
Questa splendida lettera è l'ultimo documento scritto dal nostro Fratello, e testimonia egregiamente quanto il Signore aveva operato in lui. Nella pazienza, nella sofferenza e nella preghiera, attese sorella morte che venne a prenderlo il 22 aprile 1991 mentre si trovava ricoverato all'ospedale di Arco dove veniva portato nei momenti in cui il suo male si riacutizzava. Il decesso fu causato da uno dei suoi collassi circolatori ai quali sempre più spesso era soggetto.
I solenni funerali ebbero luogo a Vigo di Fassa, suo paese natale, e la salma riposa vicino a quella del fratello p. Mario, nel locale cimitero. Ci auguriamo che questi due fratelli missionari, deceduti a poca distanza di tempo uno dall'altro, siano seme per un nuovo risveglio vocazionale missionario del Trentino. P.L.G.
Da Mccj Bulletin n. 172, ottobre 1991, pp. 41-47