In Pace Christi

Battistata Emilio

Battistata Emilio
Date de naissance : 11/03/1900
Lieu de naissance : Villazzano TN/I
Premiers vœux : 03/05/1925
Vœux perpétuels : 05/04/1931
Date du décès : 08/10/1980
Lieu du décès : Kalongo/UG

Emilio Battistata, unico figlio maschio di Benedetto e Angela Stenech, nacque a Villazzano (Trento) l’11 marzo 1900. Quando a 22 anni chiese al Superiore Generale, P. Paolo Meroni, di essere ammesso all'Istituto, il suo parroco Don G. Mosna lo raccomandò con queste significative parole: «Di professione è carpentiere; lavora però anche da contadino a casa sua. Di umore gioviale, è un'avanguardia preziosa per i miei giovani, dai quali è stimato e seguito. Da tutto questo intenderà, M.R. Padre, con quanto dolore mi veda sfuggire un giovane di così belle speranze, uno dei migliori della mia parrocchia».

In quindici missioni

Entrò in noviziato a Venegono Superiore nel 1923 e fece la prima professione il 3 maggio 1925. Dopo pochi mesi spesi in lavori domestici nella casa madre di Verona, Fr. Battistata fu mandato in Africa dove rimase, salvo tre vacanze in patria, fino alla morte, e cioè per circa 53 anni. Durante tutto questo tempo egli cambiò residenza più di 25 volte, svolgendo il suo lavoro in ben 15 missioni. Ecco la lista dei suoi trasferimenti. Torit e Isoke (1926-27), Arua (1927-29), Angal (1929-32), Nyapea (1932-35), Arua (1935-36), Verona e Trento (1937-38), Lodonga (1939-45), Aber (1945-50), Angal (1950-53), Pakwach (1953-57), Arco e Napoli (1957-58), Lacor e Pakele (1958), Kalongo, per intervento chirurgico (1958), Aboke (1959-62), Aber (1962-63), Aboke (1963-69), Aliwang (1969-72), Lacor (1972-76), Trento (1976), Opit (1976-79), Kalongo (1979-80).

Contrariamente a quei missionari che devono di continuo cambiare posto per difficoltà personali o comunitarie, Fr. Battistata era sempre in movimento a motivo della sua disponibilità e delle sue capacità che lo rendevano indispensabile dovunque c'era un lavoro urgente. Era un grande lavoratore, infaticabile, intelligente e industrioso. Avendo iniziato la sua vita missionaria nel periodo post-bellico, quando le nostre opere venivano fondate in povertà di mezzi ma con ricchezza di iniziative, Fr. Emilio venne subito a contatto con un gruppo di Fratelli meravigliosi (Pietro Poloniato, Attilio Consolaro, Simone Fanti, Faustino Cosner, Emilio Betti, Egidio Romanò e altri) dai quali apprese l'arte di applicarsi ad ogni mestiere.

Non aveva fatto nessuna specializzazione, non possedeva diplomi, ma aveva un desiderio immenso di rendersi utile ed una invidiabile industriosità. Così, l'umile carpentiere di Villazzano apprese a disegnare e a costruire case, chiese e campanili (chi non ammira quello della cattedrale di Arua, e per altri motivi, quello di Aber?); imparò ad ammobiliare scuole e ospedali, a fare e disfare telai di autocarri, preparare giostre per gli asili d'infanzia, riparare trattori, pompe e carrozzelle per poliomielitici, inventare strumenti di metallo e di legno per ogni necessità.

È difficile anche solo enumerare i fabbricati da lui costruiti o iniziati o completati o riparati nelle tre diocesi di Arua, Gulu e Lira, o contare i milioni di mattoni da lui cotti al sole o al fuoco. I diari delle varie missioni riportati sul Bollettino, pur così avari di dettagli sui lavori dei Fratelli, hanno molti riferimenti a Fr. Battistata. Ne cito solo alcuni. Isoke: «Fr. Battistata parte per Arua dove è richiesto per completare la chiesa» (12.1.1932). Angal: «Fr. Battistata parte per fondare Nyapea» (28.12.32). Nyapea: «I fabbricati cominciano a far capolino tra l'erba alta e sembrano fortezze» (1933). Nyapea: «Si ricostruisce la vecchia casa (fatta di mattoni crudi) dai davanzali in su; lavoro lungo, in gran parte frutto del sudore, oltre che dell’intelligenza, di Fr. Battistata» (1952).

«Il gatto»

Fr. Battistata faceva le cose per bene. Era famoso per la solidità delle fondamenta delle sue costruzioni, come pure per il suo spirito di risparmio. Utilizzava tutto. Cercava di riparare tutto. Non perdeva tempo in svaghi. Era specializzato costruttore di tetti (sono famose le capriate della chiesa di Nyapea con le corde d'acciaio intrecciate con le sue mani). Per la sua agilità nel salire sulle impalcature era chiamato «il gatto»! Quando non era sulle impalcature era in officina dove, tra il ferro vecchio, campeggiavano sempre un'immagine sacra, la forgia e l'incudine.

Non si pensi che tutto gli fosse facile e che il sorriso che quasi sempre gli illuminava il volto fosse il risultato del successo. Difficilmente quelli che oggi ammirano le sue numerose opere possono immaginare le fatiche, le contrarietà e le delusioni da lui sofferte. La scarsità d'acqua ad Angal, la mancanza di materiali a Pakwach, l'indolenza degli operai di Aber, la scabrosità del terreno a Nyapea, il fulmine che distrusse il bel campanile di Arua, la pioggia improvvisa che gli scioglieva migliaia di mattoni, l'interferenza dei Padri nei lavori, la sua precaria salute fisica e la sua tormentosa esigenza di perfezione... erano altrettante sofferenze, che però non lo abbatterono mai.

La forza segreta

Il segreto stava nel suo spirito di unione con Dio. Un Fratello disse di lui: «La sua laboriosità non era la febbre del fare o un’evasione, ma la manifestazione del suo spirito missionario di servizio. La sua pietà era l'espressione di un profondo spirito di dedizione a Dio che animava tutte le sue azioni. Nella sua piccolezza sentiva di essere anche lui parte della grande opera di Dio che è piantare la Chiesa dove non esiste ancora».

«Fr. Emilio - scrive un Padre che l'ha visto morire - era umile, semplice e povero. Dopo la sua morte, nella sua cameretta si trovò solo qualche indumento e qualche strumento di lavoro».

«Non solo si dedicò al lavoro - scrive un altro Padre - ma si preoccupò anche della vita cristiana degli operai. Cominciavano il lavoro con la preghiera, e non dovevano mancare alla Messa festiva. Lavorò finché poté. Quando si accorse di non poter più essere di valido aiuto, chiese di ritirarsi a Kalongo».

A Kalongo si riprese abbastanza bene e si mise a lavorare nel giardino e nell'officina meccanica. Il lavoro era la sua vita. Tirò avanti così, con qualche disturbo di tanto in tanto, sino alla fine di settembre. Poi cominciò a sentirsi molto debole e a perdere completamente l'appetito. Domenica 5 ottobre ricevette il sacramento degli infermi alla presenza dei Padri e delle Suore della missione. La sera del martedì seguente s'intrattenne ancora a lungo con i Padri e il Fratello. Spirò prima dell'alba del giorno dopo. Terminava così la sua laboriosa giornata nella vigna del Signore. Possa il suo sacrificio giovare alla travagliata Uganda, alla quale egli donò 53 anni della sua vita.      P. felice centis, mccj

Una testimonianza

E ora riportiamo fedelmente la testimonianza che di lui ci ha mandato P. David Glenday dall'Inghilterra.

I found myself in the same community as Emilio when I was at Lacor as a scholastic. There was much to make us different: he was almost fifty years older than me; I was having my first contact with the reality of the missions and he was nearing the end of a long campaign in Uganda. Yet we always got on very well together and this was a great credit to his open friendliness. He accepted me as a much younger brother and we were happy to be in the same community and Society together.

The Brother Battistata I knew was an austere man, whose life had been honed down to the essentials of deep, loving and very regular prayer and very hard work. The former was very definitely the nourishment of the latter. His work was quite remarkable for a man of his years and of his state of health. He used to recount with glee how his life had only been saved a few years before by the skilled surgery of Dr. Lucilie Corti and how "Protestant" blood had been used to keep him alive.

My memories of him are many and they amount to a man who put his very considerable talents as a craftsman - especially in metal - happily at the service of the Lord in the missions. On Christmas Eve far too many parishioners turned up at Lacor far too early for the Mid-night Mass. Nihil desperandum: Emilio had me get the land rover out, and with wire and metal bars rigged it up as a screen on which Father Ambrogio could show his slides. The day after - Christmas Day - he was busy all morning decorating our humble dining-room with greenery.

I counted it a great pleasure to have known him, and a great privilege, too. His old age made him irritable at times: he used to get quite cross with me if I didn't finish any food that he and the others didn't want...! But I loved and respected him and am sure that now he is in heaven showing St. Peter how most ingeniously to use up all the «ferri vecchi» he has lying around. I am sure one of his specialities will still be children's swings and roundabouts: a speciality that while he was alive betrayed his own tenderness that sometimes he tried to keep hidden. May he rest in a well-earned peace.  David Glenday

Da Mccj Bulletin n. 131, marzo 1981, pp.72-75