In Pace Christi

Mattanza Virginio

Mattanza Virginio
Date de naissance : 18/04/1913
Lieu de naissance : Brescia/I
Premiers vœux : 02/02/1936
Vœux perpétuels : 02/02/1942
Date du décès : 25/03/1980
Lieu du décès : Verona/I

Fr. Virginio Mattanza è uno di quegli uomini semplici e buoni dei quali si vorrebbe dire tante e tante cose, perché ha lasciato di sé un buon ricordo. Eppure non si riesce a mettere insieme che poche parole, spesso anche troppo scialbe ed inespressive, incapaci di dar corpo a quel ricordo. Sembra che scrivendo di lui, invece di fargli un servizio, gli si faccia un torto, perché non si è capaci di esprimere la bellezza della sua vita. Un uomo servizievole, gentile, sempre pronto al sorriso; un uomo con il quale era sempre un piacere incontrarsi e vivere; un uomo che sapeva riempire i cuori di simpatia ed avere il dono di non fare sentire il vuoto nella casa nella quale egli viveva, tanto sapeva farsi trovare sempre sorridente dovunque e per qualunque cosa ci fosse bisogno. Eppure, che cosa dire di lui? La sua vita fu una semplice vita di religioso comboniano, una vita talmente lineare che quando si sono stabilite le date principali, nascita, professione religiosa, partenza per la missione, morte, si è detto quasi tutto.

Ho incontrato Fr. Mattanza per la prima volta nell'agosto 1941, quando entrai novizio. Poi le nostre vite si sono incrociate ancora, perché lo ritrovai in Egitto nel 1958, quando vi andai trasferitovi dal Sudan meridionale. Lo incontrai dopo il Capitolo del 1975, quando ritornai in Egitto come Superiore di Delegazione. Ultimamente lo incontrai a Verona quando ormai la sua vita era quasi spenta, il suo sorriso scomparso: e forse fu proprio questo il segno della sua fine, quando non fu più capace di sorridere.

Virginio Mattanza era nato a Noce di Brescia il 18 aprile 1913. Suo padre, contadino, morì a 44 anni lasciando sette figli di cui Virginio era l'ultimo. Pochi anni dopo morì anche la mamma. A 16 anni Virginio ottenne un buon posto di lavoro presso una Cooperativa di consumo in città di Brescia.

«Di indole pacata e di condotta buona, fedele ai Sacramenti» trovò subito l'appoggio del Parroco dei «Cappuccini» quando a 19 anni gli manifestò il suo desiderio di farsi missionario. Il sacerdote, però, volle «mettere alla prova il buon giovane col dilazionare la domanda» all'Istituto Comboni di Viale Venezia. Seguirono mesi di serrata corrispondenza con Venegono, ma quando tutto sembrava pronto per la partenza, Virginio fu colpito da una pleurite che sembrò mandare a monte il suo ideale.

Finalmente, alla fine del settembre 1933, Virginio, ancora «un po' smunto», fu ammesso al noviziato di Venegono per un periodo di prova. La sua salute non fu mai eccessivamente forte, ma la sua bontà e impegno nella vita spirituale davano ottime garanzie per il suo futuro, e il 2 febbraio 1936 si consacrava a Dio per le missioni.

Avendo durante il noviziato imparato ed esercitato la professione di sarto, fu mandato a Verona ad aiutare Fr. Guglielmo Richly a preparare i corredi dei missionari. Fu poi guardarobiere e portinaio a Venegono (1938-43) dove emise la professione perpetua il 2 febbraio 1942, e poi a Rebbio di Como. Finalmente nell'aprile 1955 poté salpare per l'Africa. La sua vita missionaria la passò tutta al Cairo (Zamalek e Cordi Jesu), dividendo il suo tempo tra casa e chiesa, silenziosamente, pazientemente, fedelmente per quasi 25 anni.

Stralcio da una testimonianza dì Fr. Ferracin: «Non fu mai tanto forte di salute, però il suo ottimo spirito religioso e di bontà gli permise d'essere sempre tanto utile. Non era, come poteva sembrare, ingenuo; era un bel tipo bresciano, intelligente e anche arguto quando occorreva. Lo ricordo ancora tanto buono e paziente con due vecchi Fratelli semi-infermi, Fr. Maccani e Fr. Malacrida. Teneva con cura la casa e la chiesa. Usava bontà con tutti. Ebbe anche a soffrire e non sempre era compreso. Fu un certo tempo quando questo povero Fratellino si trovò tra l'incudine e il martello. Come sagrestano doveva dipendere dal parroco, ma il superiore voleva esercitare il suo potere anche in chiesa. "Io sono il superiore e devi dipendere da me". E il parroco : "In chiesa comando io". E allora il buon Fratello sapeva essere un po' politico e giocare come meglio poteva. Poi venne la ventata rivoluzionaria... e il povero Fratellino non ce la faceva più. Lui però è sempre stato premuroso e diligente edificando quanti frequentavano la chiesa. La sua caratteristica era una pietà direi singolare, ma che non era di peso a nessuno».

E Fr. Benetti aggiunge qualche altro dettaglio: «Amava moltissimo S. Giuseppe e spronava gli altri a questa devozione. Era sempre sereno e aveva anche battute allegre. Al telefono quando non gli veniva la parola nella lingua corrente, continuava con quella che gli capitava: arabo, francese, italiano, ecc., ma non si arrestava. Un animo semplice che faceva trasparire innocenza e bontà; il servo fedele lodato dal Signore anche se sconosciuto dagli uomini».

I primi sintomi della malattia che doveva condurlo prematuramente alla morte furono dei fatti che un po' divertivano la comunità e quanti lo conoscevano: dimenticanze improvvise, atteggiamenti di indecisione, sbagli strani, cose che nella sua vita erano davvero sconosciute prima, perché era stato sommamente diligente, attento, ordinato. Purtroppo la malattia che sembrava una semplice debolezza temporanea, si rivelò una cosa molto seria.

Rimpatriato in Italia per rimettersi, a Verona gli fu diagnosticata una aterosclerosi galoppante, e tutte le cure furono inutili. Quelli che lo avevano conosciuto, incontrandolo nel corridoio del Centro Assistenza Ammalati, rimanevano stupiti dal cambiamento radicale che la malattia aveva operato in lui. Ormai si vedeva che stava perdendo la lucidità dei riflessi; gli rimaneva soltanto, e gli rimase fino alla fine, una delicatezza di sentimenti che lo portava, almeno al primo incontro, al saluto cordiale, al sorriso sempre dolce e a quella tenerezza che lo faceva tanto apprezzare. Credo che anche i suoi ultimi giorni hanno lasciato a Verona un ricordo della sua vita, per cui nonostante la devastazione che una malattia può fare in un uomo, si può dire che si è realizzato in lui quel detto “come si vive, così si muore”. Com’era vissuto nella bontà, così nella bontà è morto. Per cui pensiamo che il Signore, a lui più che ad ogni altro, abbia potuto dire quella parola promessa ai giusti: «Vieni, servo buono e fedele».

Fr. Virginio Mattanza si spense serenamente il 25 marzo 1980, festa dell'annunciazione. È sepolto nel cimitero di Verona.                     P. salvatore Calvia

Da Mccj Bulletin n. 128, giugno 1980, pp. 78-80