In Pace Christi

Fiorante Antonio

Fiorante Antonio
Date de naissance : 12/10/1925
Lieu de naissance : Civitanova d. Sannio CB/I
Premiers vœux : 07/10/1944
Vœux perpétuels : 23/09/1949
Date de l’ordination : 03/06/1950
Date du décès : 03/05/1979
Lieu du décès : Pakwach/UG

LE DUE VITTIME DI PAKWACH

            Breve relazione sulla morte dei Padri Antonio Fiorante e Silvio Dal Maso

            (Scritta da P. R. Dellagiacoma su indicazioni di P. Dall'Amico, 14.5.1979)

            Sr. Paola, della comunità delle Suore di Maria Immacolata di Pakwach, ha riferito ad Angal quanto segue.

            Giovedì 3 maggio verso le 4 pomeridiane dei soldati si presentarono in missione a Pakwach e chiesero benzina. Il Padre fece presente che non ce n'era più e allora vollero controllare i magazzini. Trovarono della nafta e rotolarono il fusto verso la strada principale.

            Alla sera verso le 21-21.30 le Suore sentirono abbaiare i cani e gente che parlava ad alta voce nella casa dei Padri. Non si mossero. Subito dopo si presentò qualcuno al cancello delle suore, cercarono di aprire il lucchetto e poi si allontanarono senza forzarlo, dicendo in swahili che sarebbero tornati.

            Venerdì 4 maggio la Teresa, incaricata dei catecumeni e Sr. Paola, la superiora delle suore, trovarono la chiesa chiusa ancora alle 7 circa. Si portarono alla casa dei Padri e trovarono la porta d'ingresso spalancata, e così pure tutte le porte interne. Entrate nella stanza di P. Fiorante trovarono il Padre Fiorante supino a terra, nudo, con una corda legata (non stretta) al collo, e una ferita all'orecchio e una sulla tempia opposta (una pallottola entrata dall'orecchio e uscita dall'altra parte). La faccia era nera, senza segni di sangue fuori. Sulla schiena vi erano anche segni di colpi, presumibilmente era stato colpito con scarponi o fucile, il ventre gonfio. Non vi erano altri segni di battiture. La corda era legata ad una gamba del letto.

            P. Silvio era sdraiato a terra, con la faccia rivolta in alto, coperto solo di una canottiera o maglietta. Gli avevano legato i piedi insieme con uno spago. Aveva una ferita (di arma da fuoco) che attraversava il collo da un lato all'altro; aveva perso molto sangue e non aveva altre ferite. Nella mano sinistra stringeva il rosario.

            La casa era svaligiata, bottiglie di birra vuote per terra.

            Vista la scena la Suora fece uscire la donna, rivestì alla meglio i padri. Subito si adunò altra gente; 4 soldati locali tennero la gente lontana dalla casa. Cercarono altri soldati locali (sfuggiti dalle varie caserme e a casa loro). Decisero di seppellirli ad Angal dove c'erano ancora i Padri e Suore. Cercarono benzina e verso le 11 antimeridiane con una landrover dei soldati e un pick-up, misero i 2 cadaveri su due materassi sul pick-up, vi salì qualche soldato armato, mentre altri soldati armati di scorta salirono sulla landrover con le Suore.

            Arrivarono ad Angal verso mezzogiorno e un quarto. P. Bono era a dir messa fuori e li accolse P. Dall'Amico. I 2 cadaveri furono portati davanti all'altare in chiesa sui materassi, le Suore Pie Madri li lavarono, fasciarono le ferite. Nel frattempo scavarono un'unica fossa dove furono deposte le 2 bare una vicina all'altra. Fr. Magistrelli preparò 2 casse da morto. Dopo il suono del tamburo incominciò ad arrivare la gente che incominciò a pregare. Alle ore 17 concelebrazione con Mons. Paolo Jalcebo e i Padri Dall'Amico, Bono, Negrini che era lì da Orussi per caso. Ci saranno state circa 500 persone. Portate a spalle dalla gente furono sepolte, finendo verso le 18.30.

            Sr. Paola e la sua compagna restarono ad Angal, lasciando Pakwach vuota.

            La bara di P. Silvio era lunga 2 metri, quella di P. Fiorante 1.80. Furono seppelliti vicino alla tomba di Fr. Cò.

            Il sabato P. Dall'Amico e Fr. Gilli e alcune suore si portarono in Zaire. Rimasero Mons. Jalcebo, P. Bono, Fr. Magistrelli e 3 Pie Madri.

***

            P. Antonio Fiorante è, insieme con P. Silvio Dal Maso e P. Giuseppe Santi, una delle tre vittime comboniane degli ultimi giorni del regime di Amin. Non vi furono testimoni della barbara uccisione dei due Padri di Pakwach, ma il fatto che nel pomeriggio essi avevano avuto visite dai soldati di Amin e che furono uccisi con armi da fuoco che solo i militari potevano possedere, indica in alcuni di questi gli autori dell'assassinio. Sui motivi precisi che hanno indotto ad uccidere due missionari, dopo aver ottenuto tutto ciò che chiedevano in denaro, benzina e macchine, si può soltanto fare delle ipotesi: rapacità, stizza, arbitrio o odio contro la fede?

            Queste supposizioni, e in particolare il motivo religioso, sembrano essere confermate dalle voci che corrono tra la gente di Pakwach.

            P. Antonio Fiorante morì a 53 anni. Era nato a Civitanova del Sannio, provincia di Campobasso (ora Isernia). Terminate le elementari entrò nella Scuola Apostolica di Sulmona (nel 1937) e poi a Brescia.

            Nel 1942 entrò in noviziato a Firenze, che completò sotto P. Stefano Patroni con la professione religiosa il 7 ottobre 1944. Per la seconda e terza liceo fu a Rebbio, dove si trovava lo Scolasticato alla fine della guerra. Per la teologia fu a Verona e a Venegono Superiore. Fu ordinato sacerdote dal Card. Schuster nel Duomo di Milano il 3 giugno 1950.

            Giovane sacerdote, gli fu chiesto di aiutare come «propagandista» (predicazione, Giornate missionarie, ministero) a Crema e a Brescia, in attesa del permesso governativo per entrare nel Sudan. Giunto il permesso, con una conoscenza elementare dell'inglese, nel quale tuttavia si destreggiava, partiva per il Bahr el Ghazal nel febbraio 1954. Imparò bene il giur e un po' il denka e per quasi otto anni fu coadiutore a Kayango e, successivamente a Gordhiim e Mbili; in quest'ultima stazione ebbe bisogno anche di un po' di lingua ndogo.

            Nel novembre 1962 fu tra i primi espulsi, su semplice notifica da parte della polizia che il permesso di residenza sarebbe scaduto entro quindici giorni. Di lui, P. Bono che lo ebbe compagno «per alcuni mesi a Mboro per lo studio dello Ndogo» dice: «Fu sempre un uomo disponibile alla volontà dei Superiori, zelante e schivo di ogni forma di apparenza; allegro, amava trovarsi in compagnia dei confratelli, sempre generoso e pronto ad aiutare tutti; aveva il cuore distaccato dai beni della terra ed aiutava volentieri i poveri e sofferenti».

            Dopo circa un anno come «propagandista» a Sulmona, chiese e ottenne di partire per l'Uganda; per l'affinità della lingua alur col denka e il giur, la scelta cadde nella zona alur della diocesi di Arua. Fu dapprima coadiutore ad Angal per due anni, poi fu incaricato di aprire la nuova stazione di Parombo, smembrata dalla stessa Angal, ma più vicina al lago Alberto. Come tutti gli inizi, ci fu un periodo assai duro, aggravato dal clima assai più afoso e umido del resto della zona collinosa degli Alur. Mentre attendeva alla comunità cristiana - e si compiaceva di avere 200 catecumeni in missione, di fronte ai 20-30 cui era abituato nel Bahr el Ghazal - si diede da fare per trovare i mezzi materiali per la costruzione della chiesa, che fu eseguita sotto la direzione di Fr. Andrea Ferrari e poi decorata dalle pitture di Fr. Fanti. Negli ultimi anni si preoccupò anche di fornire di una chiesa decente la zona di Panyimur sul lago Alberto.

            Sia Parombo che Pakwach erano parrocchie immense e difficili sotto molti aspetti, tanto da mettere a dura prova la fibra fisica e morale del missionario. P. Fiorante seppe avere pazienza, forza, costanza e molto zelo. Curò la formazione dei catechisti, istituì ovunque i consigli dei laici, diede impulso alla devozione mariana specialmente con la Crociata del Rosario, si profuse nella carità verso i poveri.

            Nel 1976 fu trasferito come Superiore e parroco a Pakwach. Qui chiuse la sua giornata terrena in circostanze oscure, che potrebbero rivelarsi caratterizzate dalle note del martirio, la tarda sera del 3 maggio. Nella vita di P. Fiorante, passata in un’ombra deliberata, non mancarono le sofferenze e i contrasti. La trepidazione davanti agli impegni dei voti e degli ordini sacri fu sospettata come crisi di vocazione; il desiderio di una macchina fotografica in missione fu giudicata mancanza di povertà; la sua franchezza nelle discussioni fu tacciata di ostinazione e stranezza. Ciononostante tutti notarono il suo costante sorriso, il suo amore alla compagnia dei confratelli, il suo impegno nel ministero, la sua disponibilità per tutti. La sua unica aspirazione era l'apostolato e fu accontentato. Scriveva dopo le sue ultime vacanze, durante le quali aveva visitato i fratelli in Canada: «Sono felice di essere qui. L'Italia è bella, bello è anche il Canada, ma per noi l'Africa, senza voler offendere nessuno, è più bella. Sarà forse una nostra malattia, ma non possiamo parlare diversamente: non cambierei l'Africa né con l'Italia, né con il Canada». Negli ultimi mesi scriveva: «Voi (a Civitanova del Sannio) celebrerete il Bicentenario della venuta delle reliquie di S. Felice a Civitanova; noi invece celebreremo nello stesso anno e precisamente il 17 febbraio 1979 il centenario dell'arrivo del primo missionario, P. Lourdel, in terra ugandese. Non abbiamo né pavimento, né organi o altro da restaurare, perché molte chiese sono di paglia e fango. Ci siamo impegnati invece con un programma di restaurazione spirituale: rinnovare la fede nel cuore dei cristiani e accenderla in coloro che sono ancora pagani. Da parte nostra cerchiamo di seminare più che possiamo: qualche cosa germoglierà».

            Forse non pensava che il seme che deve morire perché il chicco di grano germogli e fiorisca, questa volta, era lui.

Da Bollettino n. 125, luglio 1979, pp.75-76 e 79-80

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Il figlio del fuoco, erede di quei sanniti che avevano umiliato i romani, facendoli passare sotto le Forche Caudine, non riuscì a debellare l’irascibilità del suo carattere, ma non smise mai di combatterla, con tutte le sue forze.

Terminate le elementari, Antonio entra nel seminario dei Comboniani a Sulmona (L’Aquila) nel 1937, per passare poi in quello di Brescia. Nel 1942 inizia il noviziato a Firenze, che completa sotto la guida di p. Stefano Patroni, con la professione religiosa il 7 ottobre 1944.

Per la seconda e terza liceo è a Rebbio di Como, dove alla fine della guerra è stato spostato lo studentato.

Frequenta i corsi di teologia a Verona e a Venegono Sup. (Varese). Viene ordinato sacerdote dal card. Ildefonso Schuster nel duomo di Milano il 3 giugno 1950.

È destinato al Sudan, ma, in attesa del permesso del governo di Khartoum, gli viene chiesto di aiutare come “animatore-propagandista” (predicazione, giornate missionarie, ministero) a Crema e a Brescia. Finalmente arriva da Khartoum il visto d’entrata. Con una conoscenza dell’inglese poco più che elementare – si destreggia a malapena – nel febbraio 1954 parte per il Bahr el-Ghazal.

Impara molto bene la lingua giur e discretamente anche il denka. Per quasi otto anni è coadiutore a Kayango, poi a Gordhiim e Mbili. In quest’ultima missione ha bisogno anche di un po’ di lingua ndogo.

Nel novembre 1962 è tra i primi a venire espulsi. Lui lo è su semplice notifica da parte della polizia che il suo permesso di residenza è scaduto e non verrà rinnovato.

Arrivato in Italia, è per circa un anno “propagandista” a Sulmona. Poi chiede e ottiene di partire per l’Uganda. Poiché conosce il giur, che ha affinità con la lingua alur, la scelta cade sulla diocesi di Arua, presso il gruppo etnico alur.

Dopo due anni come coadiutore ad Angal, riceve l’incarico di aprire la nuova stazione missionaria di Parombo, vicina al Lago Alberto, smembrandola dalla parrocchia di Angal.

È un periodo molto duro, aggravato dal clima afoso e umido. Attende alla comunità cristiana con zelo e si compiace di avere, di media, 200 catecumeni in missione. Abituato com’è ai 20-30 catecumeni avuti nel Bahr el Ghazal, si dice entusiasta e si dà da fare per trovare i mezzi materiali per la costruzione della chiesa. A costruirla chiama fratel Andrea Ferrari; per decorarla si serve dell’arte di fratel Vittorio Fanti. Poco dopo vuole costruire la chiesa anche a Panyimur, sul Lago Alberto.

Parombo è una parrocchia immensa e difficile sotto molti aspetti. Ma padre Antonio ha pazienza, forza, costanza e zelo da vendere. Cura la formazione dei catechisti, istituisce ovunque i consigli dei laici, dà impulso alla devozione mariana (specialmente con la Crociata del Rosario) e si profonde nella carità verso i poveri.

Nel 1976 è trasferito a Pakwach come parroco: tre anni dopo, la notte del 3 maggio 1979, termina la sua giornata terrena in circostanze oscure (vedi pagine seguenti).

Nella vita di padre Fiorante non sono mancate le sofferenze e i contrasti. La sua trepidazione davanti agli impegni dei voti e degli ordini sacri è stata interpretata con sospetto, come crisi di vocazione. Il suo desiderio di avere una macchina fotografica in missione è stato giudicato mancanza di povertà. La sua franchezza nelle discussioni, tacciata di ostinazione e stranezza. Nonostante tutto ciò, tutti hanno potuto notare il suo costante sorriso, il suo amore alla compagnia dei confratelli, il suo impegno nel ministero, la sua disponibilità per tutti. La sua unica aspirazione è stata l’apostolato ed è stato accontentato.

Dopo le ultime vacanze, durante le quali ha visitato i fratelli in Canada, torna in missione e scrive: «Sono felice di essere di nuovo qui. L’Italia è bella. Bello è anche il Canada. Ma per me, senza voler offendere nessuno, l’Africa è più bella».

Tre mesi prima di morire, scrive: «Il 17 febbraio 1979 celebreremo il centenario dell’arrivo del primo missionario, padre Lourdel, in terra ugandese. Tutti sembrano impegnati a fare qualcosa per marcare la ricorrenza. Noi, invece, non abbiamo né pavimenti da rifare, né organi da restaurare: molte nostre chiese sono di paglia e fango. Ci siamo impegnati, invece, con un programma di restaurazione spirituale: rinnovare la fede nel cuore dei cristiani e accenderla in coloro che non l’hanno ancora. Cerchiamo di seminare più che possiamo: qualche cosa germoglierà».

Ma il chicco di grano deve morire prima di germogliare e dare frutti. Questa volta, il seme scelto è lui stesso.

(Dalla serie “I Martiri” preparata a Verona da P. Romeo Ballan, 14.9.2010)