Giovedì 17 marzo 2016
Il 28 febbraio 2016, all'età di 94 anni, concludeva la sua vita terrena Fratel Valentino Fabris [nella foto], missionario comboniano che spese la vita in Sudan e in Sud Sudan. Se volessimo riassumere in poche parole l'essenza della sua vita, mi sembra che si possa dire che Valentino Fabris ebbe una salute di ferro, una fede capace di vedere oltre le miserie della vita, e una squisita carità che abbracciava tutti, ma il tutto sempre con un pizzico di pepe per quando le cose non andavano proprio come lui si sarebbe aspettato.

Nei suoi tre anni di vita da pensionato, nella Casa Madre di Verona prima, e nella casa di Castel D'Azzano poi, si era sempre sentito bene, aveva letto tutti i libri che trovava in giro, ed ogni mattina leggeva con attenzione i giornali disponibili nella sala di lettura. Ma quella mattina del 27 febbraio 2016 si sentiva un po' diverso, come se una forza strana volesse confonderlo: si sentiva debole come non mai; le gambe gli tremavano un po'; e sentiva un dolore lancinante alla testa. Poi improvvisamente si sentì come sorretto dai confratelli. Gli sembrava che gli chiedessero qualcosa, che lui non riusciva ad afferrare. E lui cercava di dir loro qualcosa che loro non capivano: loro chiedevano cose che per lui non avevano più senso; e lui cercava di parlare con loro, ma era una lingua nuova che confondeva i confratelli. Poi, in un lampo, tutto  cambiò: i confratelli non c'erano più; Fratel Valentino si trovò come in una grande sala piena di gente. Tutta la gente che lui aveva conosciuto nella sua lunga vita missionaria sembrava essersi radunata in quella sala per aspettarlo. C'erano i Lebbrosi di Rumbek, ma erano tutti sani. C'erano i suoi operai, ma non eran più vestiti di stracci, anzi, sembravano signori. E poi c'erano i mendicanti, ma adesso eran loro che avevano delle cose da offrire. Valentino li ascoltava e si rendeva conto pian piano di cosa stava succedendo.

Lui e tutte le persone che aveva conosciuto in Sudan e Sud Sudan, si trovavano ora nell'anticamera del Paradiso, pronti per entrare nella gloria dei santi per sempre. Aspettavano soltanto l'Angelo Portinaio che aprisse loro la porta d'oro. Poi improvvisamente l'Angelo arrivò e disse che, prima di aprire la Porta della Vita, bisognava leggere un passo del Vangelo. Tutti allora si alzarono in piedi e l'Angelo cominciò a leggere una parabola, una storia che era vera, anche se nel Vangelo non c'era:

"Qualche tempo fa c'eran molte scuole da costruire in Sudan. E Dio mandò un uomo buono e preciso che le costruì per i figli dei poveri, e gliele costruì tutte bene, belle e spaziose, perché quei figli dei poveri erano anche i suoi figli.

"Qualche tempo fa c'eran pure molti lebbrosi in Sudan. Ma anche loro volevano vivere dignitosamente. E allora Dio mandò loro un uomo buono e col cuore grande, che sentiva le piaghe dei lebbrosi come se fossero sulla sua pelle. E allora la medicina e la bontà, fecero ancora miracoli: risanò le loro piaghe e fece rifiorire il loro sorriso.

"Qualche tempo fa c'eran molti che cercavano lavoro in Sudan. Dio mandò loro un uomo buono, che era meccanico, falegname, carpentiere ed elettricista. E quanti lo incontrarono impararono da lui che colla buona volontà si possono sempre fare tante cose. Ma soprattutto si può sempre imparare qualcosa di nuovo. E quest'uomo buono si chiedeva sempre cos'avrebbe fatto lui, se fosse stato senza lavoro, e colla famiglia da mantenere.

" Quest'uomo mandato da Dio amò così tanto la gente che adesso Dio glieli mandò tutti, insieme con lui, nella casa del Padre. E questo perchè chi ama tanto la gente diventa come una cosa sola con coloro che ama."

Mentre l'Angelo chiudeva il libro, Fratel Valentino osservò che questa parabola gli sembrava nuova, e che lui non l'aveva mai sentita. Ma la gente in coro gridò: "Questa è la tua parabola, Valentino. La parabola che tu hai scritto colla tua vita. Una pagina di Vangelo che tu hai scritto nella nostra vita."

Poi tutti insieme entrarono, in un colpo solo, dove esiste soltanto la vita, la nostra vita trasfigurata dalla fede che illumina, dalla speranza che vede oltre la realtà, e dalla carità che trasforma ogni cosa. Entrarono là dove anche le debolezze umane, trasformate dall'amore, diventano una vita nuova.

Non sembri strano che per parlare di una vita ci si aggrappi anche alla fantasia, per cercare di vedere anche oltre l'esperienza umana, e per cercare di intuire anche oltre le apparenze, là dove una fede semplice può trasformare tutto. Spesso la vita di Fratel Valentino mi sembra essere stata come una poesia: la poesia delle anime semplici, che non si lasciano confondere dai sapienti e dagli intelligenti; la poesia dei poveri, che sa scoprire riflessi di bontà evangelica anche oltre i nostri stereotipi religiosi.

La poesia di un bicchier d'acqua

Nel 2012, subito dopo l'indipendenza del Sud Sudan, stavamo sviluppando la missione di Agangrial, e Fratel Valentino vi era stato destinato per sorvegliare i lavori di costruzione della nuova chiesa. Mentre eravamo nella città di Rumbek, in attesa di un mezzo di trasporto per raggiungere Agangrial, un giorno andammo a visitare le Suore di Madre Teresa.

Io ero stato più volte in visita presso di loro. Mentre Fratel Valentino non le conosceva affatto. Appena entrati nel cortile delle suore Fratel Valentino si fermò ad osservare la casa dov'erano ospitati i poveri. Osservava a destra, poi a sinistra, e quindi si concentrò su qualcosa che doveva attirare la sua attenzione in modo particolare. Io lo chiamai dicendogli che le suore ci stavano aspettando. E lui, come distratto da una visione mi disse: "Sai, nel 1950 io qui a Rumbek costruii la casa delle suore Comboniane, e mi ricordo che vi costruii delle mensoline precise identiche a quelle lì, che vedi lì in alto."

Io gli spiegai che quella che era stata un tempo la casa delle suore Comboniane era in seguito diventata la casa delle suore di Madre Teresa, e che quindi le mensoline che tanto avevano attirato la sua attenzione dovevano essere le stesse che lui aveva costruito più di mezzo secolo prima.

E mentre eravamo ancora intenti a considerare le mensoline di una vecchia casa, arrivò una donna che, tutta trafelata ci stava osservando, concentrando la sua attenzione su Fratel Valentino. Finché, tutta sorpresa e con un po' d'incertezza, mi chiese: "Ma questo è veramente Valentino, il nostro Valentino che ci dava l'acqua". E poi, senza attendere la mia risposta, cominciò a danzargli intorno cantando: "Che Dio ti benedica, Valentino, che ci davi sempre l'acqua! Il Signore si ricorda di te, perché ci davi sempre l'acqua". Poi altre donne si aggiunsero alla prima, divennero un coro che continuò le lodi di Valentino, finché non chiesi loro di lasciarci andare, perché Valentino doveva riposare. E così ci lasciarono andare, ma il loro ritornello ci seguì finché entrammo la casa delle suore di Madre Teresa.

E fu qui che chiesi a Fratel Valentino di raccontarmi a cosa si riferiva la storia che lui dava l'acqua alle donne. E lui cominciò a raccontare:

Prima di costruire la casa delle suore, feci trivellare un pozzo per l'acqua. Ne avevo bisogno per la costruzione, perchè l'acqua nel paese era scarsa, e le donne dovevano camminare per ore per provvedere al fabbisogno delle loro famiglie. Così molte donne venivano a chiederci di poter prendere l'acqua da noi. Ma non si poteva, perché questo portava confusione. E così ci accordammo che ogni giorno avremmo dato l'acqua alle donne dopo il nostro lavoro.

Il lavoro terminava alle 2 del pomeriggio. Poi io lasciavo che il generatore facesse funzionare la pompa dell'acqua, in modo che le donne potessero prendere tutta l'acqua di cui avevano bisogno. E questo ogni giorno, anche la Domenica. Perché la gente beve anche la Domunica. E le donne devono cucinare e lavare anche quando gli uomini non lavorano.

La poesia della sapienza e del buonsenso

Sappiamo che in passato molti missionari sono stati un po' troppo preoccupati per la Salvezza delle Anime. Una salvezza che in pratica si poteva raggiungere solo passando attraverso la porta del Battesimo. E così ci si chiedeva come si potevano salvare coloro che non potevano ricevere il Battesimo. Particolarmente complicati sembravano i casi di coloro che erano poligami.

Tra le diverse soluzioni escogitate per solvere le difficoltà di questi ultimi c'era anche la proposta che il marito avrebbe dovuto congedare tutte le mogli eccetto una, con la quale eventualmente avrebbe potuto ricevere il matrimonio, e così essere accolto tra il gruppo dei salvati.

Non so se simili teorie siano mai state stampate, o se erano semplicemente ciclostilate in privato, per uso interno delle singole stazione missionarie. Ma erano senz'altro motivo di discussione e dibattito tra i missionari, almeno fino al Concilio Vaticano II.

Fratel Valentino Fabris mi raccontò che se ne discuteva, e in qualche caso animatamente, anche nella diocesi di Wau, in Sud Sudan, dove lui lavorò per diversi anni. Si ricordava chiaramente un incontro di tutti i missionari, esperto di Diritto Canonico e Vescovo compresi, nel quale tutti sembravano d'accordo che, per amore della salvezza, gli uomini avrebbero dovuto licenziare tutte le loro mogli, eccetto una. Fratel Valentino obiettò che una simile proposta gli sembrava un obbrobrio e una cosa non cristiana. Ma la sua obiezione fu subito squalificata con le parole: "Taci, tu, che sei un fratello e non hai studiato!" Ricordava con un pizzico di amarezza l'umiliazione ricevuta, ma ricordava e continuava a ripetere anche tutta la sua riprovazione per quello che lui definiva una barbarie cristina, e una ingiustizia contro ledonne:

Come si può, Padre, mandar via una moglie che ti ha dato tanti anni della sua vita? Come si può disporre della vita di una persona in un modo simile, in nome di quale salvezza?

Io non ho mai capito come facevano quelli che avevano studiato a non capire? Cos'avevano studiato? Cos'avevano capito?

Poverette, queste mogli mandate via! Dove potevano andare? Come potevano risistemarsi nella comunità? E la loro salvezza non contava?

Io queste cose le avevo capite, anche se non avevo studiato. Ma loro, che avevano studiato, come facevano a non capirle?

La poesia della semplicità

Un giorno, quand'era ancora a Juba, andai nella sua stanza per aiutarlo a spostare uno scaffale. Sul comodino, di fianco al suo letto c'era un libro, di cui mi colpì il titolo, Sorella Morte. Pensavo che anche un anziano, prima di addormentarsi, avrebbe potuto leggere qualcosa di più allegro, e così gli dissi: "Ma, Valentino, perché non leggi qualcosa di più simpatico prima di dormire?" E la sua risposta fu:

Vedi, Padre, io vedo che ormai cominciano ad andarsene quelli che sono stati miei allievi quando ero vicerettore della scuola apostolica dei fratelli. Ed i miei allievi erano tutti più giovani di me. Quindi...  Io, già da tempo, alla sera non chiudo più la porta a chiave, così, se succede, non dovrete forzare la porta. Eh, ormai ho 90 anni compiuti. Fin qui tutto è andato bene. per il resto ci penserà il Signore.

Eh si! Tutta la sua vita mi sembra sia stata vissuta nel segno della fiducia e della semplicità, come una poesia dei poveri che si accontenta di parole semplici. Un capolavoro fatto di doni offerti e ricevuti: acqua per i poveri che avevano sete; mensoline decorate per le suore con le quali condivideva la missione; le danze grate e gentili delle donne Sudanesi che lo ricordavano e lo ricordano con un amore puro come le loro foreste; e la gratitudine dei confratelli che l'hanno apprezzato e lo ricordano come il più umile dei maestri, che ha insegnato loro tante cose, senza mai dire una parola in più.
P Luciano Perina
Talì, 8 marzo 2016