Al momento della falciatura e della battitura, i chicchi dell’erbaccia si mescolano con quelli buoni, parte dei quali diverrà seme per la stagione successiva. Per non diffondere la gramigna nella prossima coltura, è necessaria la monda del raccolto, eliminando la semenza dal parassita. Proprio sulla qualità della semente s’interrogano i contadini protagonisti della parabola della “zizzania”: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo?». Il proprietario è convinto d’aver usato seme mondo. È stato un nemico invidioso a spargere la gramigna.

Tre parabole scandalose!

Matteo 13,24-43:
le parabole della zizzania, del grano di senape e del lievito

“Il regno dei cieli è simile a…”. Il vangelo di questa domenica, dopo la parabola del seminatore di domenica scorsa, ci offre altre tre parabole di rivelazione sul mistero della presenza del Regno di Dio in mezzo a noi (Matteo 13, dal discorso delle parabole). Gesù conclude il suo racconto con l’invito: “Chi ha orecchi, ascolti!”. Che lo Spirito, presente nelle profondità del nostro essere, “Colui che scruta i cuori” e “intercede (per noi) con gemiti inesprimibili” (Romani 8,26-27) ci ottenga orecchi capaci di ascoltare questa Parola che è sì una buona notizia, ma che rischia di urtare la nostra sensibilità e di disattendere le nostre aspettative.

Gesù continua a parlare attraverso la sapienza delle parabole, accessibile a tutti, perché il Regno di Dio non è una cosa astratta racchiusa in concetti filosofici o in formulazioni teologiche, ma una realtà viva, vicina a chiunque abbia “occhi per vedere” e “orecchie per ascoltare”.

1. La parabola del grano e della zizzania: lo scandalo del male!

Un campo, la semina del grano e la brutta sorpresa della zizzania! La zizzania è una pianta simile al frumento, i cui grani nerastri però sono tossici e narcotizzanti. Da notare che il termine zizzania, in ebraico, deriva dalla stessa radice di Satana. Inoltre, il testo parla di “zizzanie”, al plurale, perché sono tante le modalità della presenza del male nel campo del mondo!
Questa brutta sorpresa la conosciamo bene anche noi, nella realtà del mondo, della Chiesa, della famiglia, nella nostra propria esistenza. La nostra prima reazione è questionare il Padrone: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?” Non sei tu il Creatore di un mondo bello e buono, da dove viene il male? Dio è quasi sempre il primo imputato nelle nostre lamentele.

La nostra seconda reazione: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. Vogliamo un campo pulito da ogni erbacea e gramigna! Ma risposta del Padrone è sconcertante: “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura”. Ma come?! Non dice il profeta che “il tuo popolo sarà tutto di giusti” (Isaia 60,21)?! Non ha detto Giovanni che la scure era già pronta alla radice dell’albero e che il messia veniva a battezzare con il fuoco, a raccogliere il frumento e a bruciare la paglia con un fuoco inestinguibile?! (Matteo 3,10-12). E allora gli apostoli chiedono delle spiegazioni sulla parabola, non perché non l’abbiano capita, ma perché non sono affatto d’accordo. E non siamo d’accordo nemmeno noi!

Il nostro sogno, in un certo qual modo, è quello del profeta Elia e di Giovanni Battista: incenerire subito la zizzania e la pula. Anzi, ci vorrebbe un altro diluvio universale! Ma siamo sicuri che saremmo tra gli otto eletti rifugiati nell’arca di Noè? Solo Dio conosce i suoi, dice Sant’Agostino. In realtà, Dio non può estirpare il malvagio perché esso è insediato nel cuore del buono: il bene e il male convivono dentro ciascuno di noi.

I “zeloti” non sono mai mancati nella storia della Chiesa. Quanti “anathema sit” hanno fatto di ogni erba un fascio, con conseguenze drammatiche! Ecco perché Dio richiama a sé il ruolo del Giudice. Il giudizio di Dio giustifica e salva, il nostro condanna e uccide!

2. La parabola del grano di senape: lo scandalo della piccolezza!

Subito dopo Gesù aggiunge un’altra parabola: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, … il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero…”. La senapa nera palestinese, da cui si ottiene una mostarda molto saporita, da arbusto può diventare un vero albero, fino a raggiungere tre o quattro metri di altezza, specie nella zona del lago di Tiberiade. Con il contrasto tra “il più piccolo di tutti i semi” e “la più grande delle piante dell’orto” Gesù vuole sottolineare lo straordinario sviluppo del Regno di Dio.

C’è qualcosa di insolito, però, in questo paragone. In primo luogo, la senape è una pianta infestante: i suoi semi microscopici, trasportati dal vento, arrivano dappertutto. Inoltre, nella Bibbia non troviamo mai un riferimento alla senape, ma solo in questa parabola e nel detto di Gesù sulla fede (Matteo 17,20). Infine, forse Gesù fa un riferimento indiretto alla profezia di Ezechiele 17,22-23: Dio che prende un ramoscello di cedro e lo pianta su un monte alto d’Israele e diventa un cedro magnifico, sotto il quale vengono dimorare tutti i popoli (gli uccelli). La piccolezza della senape, però, non può soddisfare le aspettative dei suoi ascoltatori, di un regno messianico ben visibile e imponente. Questa piccolezza scandalizza anche noi che vorremmo dei segni più eclatanti della presenza di Dio.

3. La parabola del lievito: lo scandalo della discrezione!

“Disse loro un’altra parabola: Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata”.

Tre misure di farina, cioè 40 chili, una quantità enorme, capace di sfamare centinaia di persone, fermentata tuttavia da un po’ di lievito, che agisce e sparisce dentro la pasta! Il Regno, nascosto nella storia, sta levitando il mondo! Una presenza discreta, umile, delicata, misteriosa… che contrasta con la nostra voglia di appariscenza, di vistosità, di essere riconosciuti, di contare nello spazio pubblico! Il Regno, al contrario, non fa rumore! Questo è Dio! Questo è l’amore!

Per la nostra riflessione settimanale

Sono davvero riconciliato con un “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore” (Salmo 85), che “fa piovere sui buoni e sui cattivi” (Matteo 5,45)?

Sono disposto ad incarnare la pazienza di Dio, ad amare la sua piccolezza e ad accettare la sua presenza umile nella mia vita e di quelli che mi stanno accanto, così come nella realtà del mondo e della Chiesa?

P. Manuel João Pereira, comboniano
Castel d’Azzano (Verona), luglio 2023

Il frumento, alla fine, avrà la meglio sulla zizzania

Sapienza 12,13.16-19; Salmo 85; Romani 8,26-27; Matteo 13,24-43

Riflessioni
Proibito mettere steccati e fare separazioni fra buoni e cattivi, fra santi e malvagi! Perché c’è il male nel mondo? Da dove viene la zizzania? Ce lo insegna Gesù. Nelle tre parabole del Vangelo (zizzania, granello di sènape e lievito), emergono gli insegnamenti della parabola del seminatore (vedi domenica XV): l’insignificante piccolezza del seme a confronto con la sua intima forza prorompente; il padrone che sparge nel campo grano buono, mentre il nemico vi semina zizzania; l’impazienza vendicativa dei servi e la tollerante pazienza del padrone… (v. 25.28-29). Alla fine, al tempo della mietitura, arriva il momento del bilancio definitivo: i risultati sono vagliati, con il conseguente premio o castigo (v. 30). Ancora una volta, Gesù ci da la chiave di interpretazione della sua parabola, applicata ora alla vita di ciascuno (siamo un po’ buono e un po’ meno), alla vita e alla storia della Chiesa, chiamata a vivere immersa in un mondo di violenze e ingiustizie, ma sempre animata dalla speranza e dalla pazienza di Dio. In ogni tempo e luogo la Chiesa missionaria “deve proseguire il suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” (S. Agostino, De civitate Dei).

Il Santo Papa Karol Wojtyla, in uno dei suoi ultimi libri, ci ha lasciato un commento autorevole sul mysterium iniquitatis che imperversa nel mondo e nella storia, e sulla coesistenza del bene e del male, con un riferimento esplicito alla parabola odierna: “Il modo in cui il male cresce e si sviluppa sul terreno sano del bene costituisce un mistero. Mistero è anche quella parte di bene che il male non è riuscito a distruggere e che si propaga nonostante il male, avanzando anzi sullo stesso terreno. È immediato il richiamo alla parabola evangelica del buon grano e della zizzania… In effetti, questa parabola può essere assunta a chiave di lettura di tutta la storia dell’uomo. Nelle varie epoche e in varia misura il grano cresce insieme alla zizzania, e la zizzania insieme al grano. La storia dell’umanità è il teatro della coesistenza del bene e del male. Questo vuol dire che, se il male esiste accanto al bene, il bene però persevera accanto al male e cresce, per così dire, sullo stesso terreno, che è la natura umana” (cfr. Memoria e Identità, p. 14).

La ricaduta di questo messaggio sul mondo missionario è immediata. Davanti al male che dilaga o alla chiusura e cattiveria di tante persone, il missionario e l’educatore sono tentati con frequenza di assumere il ruolo dei servi della parabola, che vorrebbero sradicare subito la zizzania (v. 28). Spesso ostentano il coltello dello ‘zelo’ per applicare l’aut-aut (o-o). Gesù, il divino seminatore del buon grano, invita ad aver pazienza e misericordia, concede tempo per la maturazione, rispettando i tempi di Dio, l’unico giudice che sa che cosa c’è nel cuore umano.

La missione, pur avendo la forza incontenibile del Vangelo (v. 31-32), inizia sempre in situazioni di piccolezza e di fragilità rispetto ai dinamismi poderosi del maligno. Il missionario è certamente portatore di un lievito che è capace di rinnovare il mondo dal di dentro (v. 33), ma che opera sui tempi lunghi della pazienza, della scarsa rilevanza, della momentanea sconfitta e della tolleranza. Lo aveva già prefigurato il libro della Sapienza (I lettura): o Dio, “il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti” (v. 16). A differenza dei potenti della terra, che spesso eccedono e abusano del potere, Dio è sempre “padrone della forza”, giudica “con mitezza”, ci governa “con molta indulgenza” (v. 18). Anzi il Dio cristiano manifesta la sua onnipotenza soprattutto perdonando e usando misericordia. Infatti, Egli dà ai suoi figli “la buona speranza” che, dopo i peccati, concede il pentimento (v. 19). Tale è lo stile di Gesù, che il discepolo e il missionario assumono come programma di vita e di azione. (*)

Il cuore umano è un campo di buon grano misto a zizzania, sotto la pressione del maligno e i furori dell’intolleranza. Proprio come dice una canzone, “dentro a tutti quanti c’è del bene e c’è del mal; ma in fondo ad ogni cuor è nascosto un capital”. C’è bisogno che lo Spirito (II lettura) venga in aiuto alla nostra debolezza (v. 26), ci sostenga nel tempo della coesistenza del bene e del male, dia animo alla nostra speranza, e ci educhi secondo il cuore misericordioso di Dio (v. 27).

Parola del Papa

(*) “Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini”.
Benedetto XVI
Omelia nell’inizio solenne del Pontificato, Roma, 24 aprile 2005

P. Romeo Ballan, MCCJ

Davanti alla sfida della zizzania
il lento e faticoso discernimento di Dio

Mt 13,24-43

“Buon Pastore” è tra le più consuete e belle immagini per descrivere Gesù. Tuttavia le pagine evangeliche si soffermano più diffusamente sulla padronanza del Signore in ambito agricolo. Nelle parabole Cristo racconta sentimenti e pratiche contadine in maniera puntuale ed esperta; difficilmente sono solo frutto del sentito dire. Parla della semina mostrando precisa conoscenza della morfologia del terreno lavorato dagli agricoltori galilei del suo tempo. Quanto è attento al mondo concreto il Figlio dell’Altissimo! Il Signore conosce perfino la dimensione dei vari semi in uso, assegnando con sicurezza alla senape il posto del “più piccolo di tutti”. Come tanti agricoltori, egli prevede l’arrivo dell’estate scrutando i segni della campagna, quale l’intenerirsi del ramo di fico.

Tra i nemici giurati dei contadini sono gli infestanti che, impoverendo le risorse del terreno, limitano la crescita della piantagione. Non solo: al momento della falciatura e della battitura, i chicchi dell’erbaccia si mescolano con quelli buoni, parte dei quali diverrà seme per la stagione successiva. Per non diffondere la gramigna nella prossima coltura, è necessaria la monda del raccolto, eliminando la semenza dal parassita. Proprio sulla qualità della semente s’interrogano i contadini protagonisti della parabola della “zizzania”: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo?». Il proprietario è convinto d’aver usato seme mondo. È stato un nemico invidioso a spargere la gramigna.

Che fare? Non si tratta di scegliere tra un’opzione giusta e una sbagliata, ma tra due giuste. Questo è il difficile. I contadini hanno ragione: l’immediata monda del terreno favorirebbe la crescita rigogliosa del grano. Ma ha ragione anche il proprietario, permettendo a frumento e zizzania di crescere insieme; infatti: meglio un raccolto sporco che nessun raccolto. L’agricoltura di cui il Signore è esperto è luogo di discernimento faticoso; non sempre la strada giusta è diritta (a dirla tutta: quasi mai).

Non è complicato capire cosa il Signore ci chiede, quando la scelta è tra bene e male. Diviene complesso quando, onestamente, entrambe le alternative sono buone. Conviene cominciare adottando la tattica del padrone del campo: tenere alla larga la fretta.
[Giovanni Cesare Pagazzi – L’Osservatore Romano]

Contro il demone della divisione 

Sap 12,13.16-19; Salmo 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43

Continua questa domenica la lettura del discorso di Gesù in parabole del Vangelo di Matteo. La parabola del grano e della zizzania occupa il primo posto. Essa viene raccontata alla folla e poi spiegata ai discepoli in casa. Tra questo racconto e la sua spiegazione sono inserite due altre parabole: quella del granello di senapa e del lievito. L’accento viene messo sullo stile dell’agire di Dio nel mondo e nella storia. Questo tema è presente anche nella prima lettura dal libro della Sapienza: Dio agisce con pazienza, mitezza e misericordia verso tutti. Egli ci governa con molta indulgenza, proprio perché onnipotente.

Questo modo di agire di Dio viene ripreso nel ritornello del salmo responsoriale: “Tu sei buono, Signore, e ci perdoni”. Il brano della lettera di Paolo ai Romani, nella seconda lettura, sembra non inserirsi in questa tematica. Esso presenta piuttosto l’azione dello Spirito Santo che ispira e sostiene la preghiera dei credenti. Egli è realmente in noi, prega dentro di noi e ci suggerisce le intenzioni giuste nella preghiera. Infatti, l’intercessione interiore ed efficace dello Spirito ci mette in sintonia con il progetto salvifico universale di Dio.

La parabola del grano e della zizzania è tutta costruita sui contrasti: di personaggi, di gesti e di mentalità. Solo lo sfondo è unico: un campo. Il padrone vi semina il grano. Ma il nemico approfitta delle tenebre, del sonno dei contadini, per spandere zizzania in mezzo al grano, e poi sparisce. I servi del padrone del campo vorrebbero sradicare immediatamente la zizzania, ed egli non si lascia afferrare dalla impazienza. Oltre ad essere padrone del campo, è padrone anche del tempo: Dio dà tempo, ha bisogno di tempo e sa aspettare. Non è che la vista della zizzania in mezzo al campo gli faccia piacere, ma giudica prematuro raccogliere ora la zizzania. Si corre soprattutto il rischio di sradicare anche il buon seme. Quindi il padrone, che ci tiene troppo al grano, rimanda la separazione dei due al tempo della mietitura. I mietitori devono raccogliere prima a zizzania e legarla in fastelli per bruciarla; il grano invece deve essere riposto nel granaio. Le immagini di questa parabola sono assai trasparenti nella loro valenza pedagogica. L’agire di Dio nella storia è rappresentato dal padrone che semina del buon seme nel suo campo. Nella parabola, colui che semina il buon grano (con l’annuncio della Parola di Dio) è il Figlio dell’uomo, e nello stesso contesto l’azione del Maligno impedisce al Vangelo di portare frutto. Però, il problema fondamentale è l’atteggiamento da tenere di fronte alla presenza del male nella storia umana. La presenza del male non sembra rappresentare un fatto eccezionale. Non c’è da meravigliarsi che il male sia mescolato insieme al bene, e che i due crescano insieme nello stesso campo. Dio non interviene subito clamorosamente nella storia dell’uomo. Egli è paziente, misericordioso ed aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato. Il regno di Dio non va concepito come un avvenimento invadente, che subito si impone. Il Vangelo, che si identifica con questo regno, cresce poco a poco silenziosamente ma efficacemente nei cuori. Solo alla fine Dio interviene per attuare il suo giudizio che porta allo scoperto il male e lo condanna in modo irreversibile.
Don Joseph Ndoum

Riflessione sul Vangelo
Mt 13,24-43

di Enzo Bianchi

Gesù continua a parlare attraverso parabole, ama parlare attraverso parabole, perché in questo modo non rinchiude il messaggio in formule, non deve ricorrere ad affermazioni apodittiche, non consegna verità munite di uno splendore che abbaglia chi le ascolta… Le parabole sono frutto di un attento vedere da parte di Gesù, di un profondo pensare, di un puntuale discernimento, di un vero esercizio di intelligenza delle realtà più umili, semplici e quotidiane. Solo una grande attenzione alle cose e ai fatti forniva a Gesù la sapienza delle parabole.

Per questo chi le ascolta giunge a discernere realtà che gli sono abitualmente nascoste, le quali causano in lui una semplice constatazione: ciò che Gesù dice è così umano, così terreno, eppure io non ci avevo mai pensato! Ma se questa comprensione delle parabole da parte dell’ascoltatore è così facile, ascoltando Gesù è altrettanto facile, forse per la semplicità intrinseca alle parabole, lasciar cadere le sue parole e non tenerne conto. Ne è un caso esemplare la parabola più lunga tra quelle contenute nel brano evangelico odierno, una parabola che conosciamo a memoria e che facilmente smentiamo con il nostro comportamento. Accade per il regno dei cieli come per un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ora, mentre egli stesso e tutti dormivano, “venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò.

Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania”. Terribile sorpresa: se era stato seminato del buon grano, come mai accanto agli steli del grano ci sono quelli della zizzania, un’erba malefica infestante che sottrae alimento al grano, rischia di farlo deperire e rende il raccolto non puro? Forse bisogna passare nel campo e strapparla via, in modo che il grano possa crescere meglio: questo è il ragionevole pensiero dei servi, che lo manifestano al padrone. Quest’ultimo, però, la pensa diversamente.

Dice loro di lasciare che grano e zizzania crescano insieme, “perché non accada che, raccogliendo la zizzania, con essa si sradichi anche il grano”. Sì, è accaduto così, il male ormai è stato fatto, ma non si deve causare un male peggiore. Verrà l’ora della mietitura, e allora si farà la cernita: da una parte la zizzania, per essere bruciata; dall’altra il grano, per essere deposto nei granai. Che cosa comprendiamo come ascoltatori? Che c’è un contadino, Gesù, che semina la sua parola, il buon seme, ma che c’è contemporaneamente l’avversario, il nemico, il diavolo, che di nascosto, quando regnano le tenebre, semina il male. Quel campo è ognuno di noi, è il nostro cuore; quel campo è la comunità cristiana; quel campo è la chiesa…

Se i cristiani sono stati chiamati e distinti dal mondo (cf. 1Pt 1,15-16; Lv 19,2), com’è possibile che annoverino in loro e tra di loro la zizzania? La presenza della zizzania significa debilitazione del grano, significa scandalo per chi guarda il campo, significa insidia per chi fatica a vivere nella perseveranza, cercando di dare frutto buono. E poi la chiesa non è forse minacciata nella sua vita da questa presenza, a volte così folta che non si sa più se il campo è un campo di grano o di erba infestante? Ne va di mezzo la vita il futuro della comunità cristiana, sovente già fragile di per sé… Questi ragionamenti sono tutti razionali e umani, ma non sono i ragionamenti, i pensieri di Dio (cf. Is 55,8-9).

Il Signore non fa di ogni erba un fascio: vede e giudica che la zizzania è zizzania e che il grano è buon grano, e lo stesso devono fare i credenti in lui. Ma il giudizio appartiene a Dio, perché qui sulla terra il male e il bene si intrecciano in un modo tale che solo Dio, nell’ultimo giorno, potrà districare e distinguere. La separazione tra giusti e ingiusti, tra credenti e non credenti esiste, ma è visibile solo agli occhi di Dio, non ai nostri occhi. Solo “il Signore conosce i suoi” (2Tm 2,19; Nm 16,5), solo lui può operare il giudizio. Dunque Gesù ci chiede pazienza, virtù che è attesa e che impedisce di operare prima ciò che deve avvenire dopo; virtù che non permette che siamo noi a operare ciò che spetta a Dio.

Purtroppo tutta la storia delle chiese e della comunità cristiane è costellata di proclami da parte di concili, papi, vescovi che si sentono in dovere di strappare la zizzania che minaccia le chiese stesse: quale fraintendimento delle parole di Gesù! Occorre certamente criticare, denunciare, anche minacciare – come hanno fatto i profeti – di fronte al crescere della zizzania, e tacere è vigliaccheria, comodo, irresponsabilità: ma poi si lasci a Dio e a lui solo il giudizio! Troppa gente ha amato più la teologia e le idee che le persone, ma oggi troppa gente non ama né la fede né le persone: ama il quieto vivere. È così che la barca della chiesa se ne va per mari diversi e attraverso stagioni differenti…
http://www.monasterodibose.it

Il discepolo e l’incompiuto

Portiamo tutti nel nostro cuore il desiderio recondito di un tempo e di un luogo in cui fiorisca soltanto del buon grano, un tempo e un luogo in cui, finalmente, cessi quella strana mescolanza di bene e di male che è la nostra vita.

Se solo potessimo ritornare a un agognato paradiso terrestre… che nel nostro immaginario suona come il tempo e il luogo in cui non c’erano inconvenienti e magagne di ogni genere. Lo desideriamo a livello sociale, in ambito ecclesiale, lo desideriamo sul piano relazionale e – perché no? – anche su quello più strettamente personale. E, invece, è come se giorno dopo giorno vedessimo svanire ogni prospettiva di miglioramento e quei brevi tentativi di tregua che talvolta abbiamo assaporato, sfumano come una bolla di sapone.

Perché tutto deve essere così complicato e difficile quando – a nostro dire – le nostre intenzioni attingono alla migliore rettitudine? Che cos’è quel mio continuo sbagliare quando con onestà mi sembra di voler realizzare il meglio per me e per chi mi sta attorno? Come giustificare quella continua incoerenza nella quale cado ogni volta di nuovo senza neppure accorgermene? E perché quella malignità che traspare anche nelle buone intenzioni o quelle distorsioni interpretative che non poche volte finiscono per accendere conflitti relazionali che altrimenti non conosceremmo? Perché sono fatto così male? Ci sarà mai un tempo in cui vedere trionfare il bene sul male?

Come stare di fronte all’incompiuto? È a questa domanda che risponde la pagina della parabola del grano e della zizzania.

Come stare di fronte all’incompiuto? Così come fa Dio: con pazienza. La pazienza, infatti, è la capacità di vivere l’incompiuto nella fiducia che si tratta di un non-ancora-compiuto, è la disponibilità a rispettare e attendere i tempi dell’altro. La pazienza è un frutto di quella fede che è capace di rimettersi completamente nelle mani di Dio e perciò riconosce che non spetta a noi decidere tempi e modi.
Non poche volte ci scopriamo abitati da uno zelo non equilibrato che indica un rapporto malsano con il tempo: il tempo che ci è donato, infatti, è segno dell’amore di Dio e perciò va vissuto come occasione per esercitare la sua stessa misericordia nei rapporti con gli uomini.

Corriamo tutti il rischio di stare di fronte alla realtà in modo superficiale e sbrigativo, proprio come pretenderebbero i servi della parabola: quanta fretta nel giudicare le scelte altrui, quanta fretta nel vagliare il loro operato, quanta fretta nel decidere cosa accettare e cosa rifiutare, quanta fretta nell’eliminare tutto ciò che non corrisponde alle nostre aspettative!

Che cosa c’è alle radici della mia fretta? Essa, infatti, non è per nulla una dimostrazione di forza: è piuttosto indice di un nostro malessere personale. L’impazienza finisce per allearsi ben presto con l’insipienza di chi sradica tutto. Siamo convinti di conquistare l’onnipotenza mediante delle prove di forza: ma questa è soltanto un’illusione. Troppi nostri metodi sommari finiscono per diventare eccessivamente determinati e per nulla riguardosi. Non poca nostra irruenza, infatti, finisce per celare mali segreti che continuiamo a portarci dentro senza volerli riconoscere.

C’è un nemico dentro e fuori di noi che può essere vinto non già con un odio più intenso bensì con un amore più grande. È necessario, perciò, guardare all’atteggiamento del Padre il quale non ha fretta perché è consapevole che il grano, malgrado tutto, può crescere comunque rigoglioso.

Dio manifesta la sua forza attraverso l’esercizio della pazienza: è la moderazione la prova della sua onnipotenza, consapevole che non c’è peccato che possa tagliare irrimediabilmente i ponti con la misericordia di Dio. La zizzania può diventare buon grano: questo crede Dio e per questo sa attendere. L’Incarnazione del Figlio di Dio non ha provocato come per incanto la trasformazione del mondo. Gesù ha vinto il male proprio riconoscendolo, assumendolo e attraversandolo.
Antonio Savone
http://acasadicornelio.wordpress.com

Matteo 13, 24-43

L’evangelista presenta una serie di tre parabole corrispondenti a tre tentazioni possibili nella comunità:

La tentazione di essere una comunità di eletti – Mt 13,24-30
La tentazione della grandezza – Mt 13,31-32
La tentazione dello scoraggiamento – Mt 13,33

La fedeltà alle beatitudini terrà la comunità al riparo da queste tentazioni.

I tentazione: Una comunità di eletti

[In quel tempo, Gesùespose loro [alla follaun’altra parabola, dicendo: 24 «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25 Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò.

(Attenti al testo greco: inizialmente si tratta di anthrṓpō = un uomo, e anthrṓpous = uomini, dopo si passerà a “padrone” e “servi”).
Con questa parabola, presente soltanto in Matteo, Gesù continua l’insegnamento sulla realtà del “Regno dei cieli”, e risponde allo scandalo di Giovanni Battista che non vede in Gesù il Messia da lui annunziato (Mt 11,3), e a quello dei farisei che lo accusano di non distinguere tra giusti e peccatori (Mt 9,11). Lo scandalo del Battista e dei farisei è motivato dal fatto che in Gesù non riconoscono il Messia inviato da Dio per eliminare i peccatori dalla faccia della terra. Gesù stesso darà la spiegazione di questa parabola che risulterà di difficile comprensione ai suoi stessi discepoli. Il protagonista principale è un “uomo” che semina del buon seme. Secondo le consuetudini dell’epoca la semina era di solito effettuata dal padrone di casa.

Quest’uomo ha un antagonista, facilmente identificabile, dal momento che si dice che non è un nemico, ma il nemico. Costui agisce di notte per non essere riconosciuto né scoperto. Il nemico sa che la sua azione non potrà essere scoperta, se non quando il danno sarà già fatto; infatti nessuno potrà accorgersi della presenza della zizzania (lett. delle zizzanie) fino alla crescita delle spighe. La zizzania (lett. le zizzanie [il loglio]) è una pianta della famiglia delle graminacee che fino al suo sviluppo non è facile distinguere dal frumento. I suoi grani nerastri sono tossici e hanno un effetto narcotizzante. L’apparente somiglianza della zizzania al grano inganna. Sembra seme adatto al nutrimento, ma in realtà è tossico e addormenta.

La zizzania non è un male già pre-esistente, ma successivo alla semina: l’evangelista avverte delle possibili deviazioni all’interno della comunità cristiana, come quelle già denunciate, dei “falsi profeti”, che pur presentandosi in veste di pecore sono in realtà dei lupi rapaci. Come la zizzania anche questi si riconoscono “dai loro frutti” (Mt 7,15-16).

26 Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27 Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”

La zizzania appare quando la spiga produce frutto. Se durante la crescita è difficile anche ad uno esperto distinguere il buon seme dalla zizzania, al momento della fioritura è palese la diversità tra quanto seminato dal padrone di casa e quello seminato dal suo nemico. La domanda che i servi (prima in 13,25 si parlava di uomini v. trad. lett.) rivolgono al padrone (prima in 13,24 un uomo avente seminato v. trad. lett.) di casa sembra voler imputare a lui l’esistenza della zizzania e pongono in dubbio che abbia seminato del buon seme.

28 Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”.29 “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.

Il padrone del campo che ha seminato solo buon grano individua nell’azione ostile di un suo nemico (lett. di un uomo nemico), la causa della semina nociva. Costui viene presentato come un falsario dal momento che imita la stessa azione del padrone (semina), ma con il risultato di rovinarla completamente. Alla domanda dei servitori, il padrone risponde con un chiaro divieto. Poiché le radici della zizzania si mischiano con quelle del frumento, il loro sradicamento comporterebbe un danno irrimediabile per il grano.

Descrivendo l’atteggiamento dei servi zelanti (non più uomini liberi) che si propongono di andare ad estirpare la zizzania, l’evangelista vuol far comprendere che la loro azione è più pericolosa della stessa zizzania. Il rischio è di sradicare pure il grano e impedirgli quindi la maturazione. L’intenzione dei servi, che potrebbe sembrare anche lodevole, può avere effetti disastrosi. La storia ci documenta ampiamente in proposito.

30 Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».

Il momento della verità sarà quello della mietitura e non quello della crescita. Solo a questo punto l’inutile zizzania verrà eliminata. L’ordine di eliminarla non verrà dato dai servi, ma solo dal padrone, l’unico che conosce il grado di maturazione del grano.

II tentazione: La grandezza

31 Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granellino di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

Gesù attira l’attenzione degli uditori con una parabola dal contenuto assurdo. La pianta della senape, che in condizione favorevole può raggiungere i tre metri d’altezza, non viene seminata ma è temuta dai contadini perché è un’erba infestante della quale si fa fatica a liberarsene: i suoi microscopici semi trasportati dal vento fanno sì che questa pianta cresca dappertutto, non solo per terra, ma anche tra le fessure delle mura delle case danneggiandole. La somiglianza del Regno non va limitata al chicco di senape, ma al suo processo di trasformazione e di crescita. In Mt 7,20, il chicco di senape diverrà misura della fede sufficiente affinché nulla sia impossibile a chi crede.

In questa parabola Gesù si rifà alla profezia contenuta nel libro di Ezechiele che veniva interpretata come la promessa del Regno da parte di Dio. In questa profezia Dio stesso avrebbe preso un ramoscello dalla cima del cedro e lo avrebbe piantato sul monte alto di Israele. Il ramoscello “metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico, sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno” (Ez 17,22-24). Gesù capovolge le immagini di Ezechiele e non solo, perché presenta immagini che svelano cose nascoste sin dalla fondazione del mondo: il tanto piccolo (senape- lievito-chicco di grano) non suscita alcun desiderio o tentazione di rivalità mimetica e quindi solo in questo modo può apportare pace e sicurezza.

All’attesa di un regno imponente e straordinario come un cedro posto su un alto monte, Gesù contrappone una realtà modesta e non appariscente come quella del chicco di senape, ritenuto proverbialmente il più piccolo dei semi, che diventa al momento del suo massimo sviluppo un arbusto capace di ospitare gli uccelli del cielo. Il Regno di Gesù, come l’infestante senape, si diffonderà ovunque, ma non attirerà l’attenzione per la sua magnificenza. Gli uccelli del cielo nella tradizione biblica sono immagine di universalità (cfr. Ez 31,6). Mentre nella profezia di Ezechiele si allude ad una visione di grandezza e di dominio, nella parabola di Gesù gli uccelli nidificano sui rami accoglienti dell’alberello di senape e ne fanno il loro habitat naturale in quanto i semi offrono abbondanza di cibo.

Questa tentazione di grandezza e superiorità, era già stata rifiutata da Gesù nel deserto quando il diavolo gli mostrò “tutti i regni del mondo con la loro magnificenza” e si offrì di dargliene (Mt 4,8-9). Ora Gesù avverte che la tentazione di adoperare il potere per diffondere il regno di Dio si ripresenterà sempre puntualmente ad ogni comunità. Quanti adoperano il potere per annunciare il messaggio di Gesù sono coloro che hanno ceduto alla tentazione e al potere divenendo adoratori del satana (Mt 4,9-10).

III tentazione: Lo scoraggiamento

Con le armi e il fascino del potere sarebbe più facile e veloce far aderire gli uomini al Regno di Dio. Ma la via scelta da Gesù, non è quella della strada larga, ma della via angusta che però conduce alla vita (Mt 7,13-14). Rifiutando ogni forma di potere, il Dio, al servizio degli uomini, sa che la sua strada è più lunga e ha bisogno di tanta pazienza. Per questo Gesù sceglie tutti esempi che hanno in comune un processo di crescita (il grano, la senape, il lievito). Questo processo non è possibile affrettarlo. Ogni accelerazione sarebbe nefasta. Il non vedere frutto immediato non deve portare allo scoraggiamento, ma alla certezza del risultato. È quel che Gesù insegna con la parabola seguente:

33 Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Anche per la terza parabola Gesù propone un’immagine paradossale paragonando il Regno dei cieli a un elemento considerato impuro (Es 12,5) e causa di corruzione come il lievito (1Cor 5,6-8). Più avanti sarà Gesù stesso a chiamare lievito le nefaste dottrine che inquinano la comunità cristiana: “guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei” (Mt 16,6.11). La forza del Regno è paragonata a quella del lievito, ma con una differenza: mentre quello dei farisei e sadducei intossica e addormenta, quello del Regno nutre (Gal 5,9).

Il termine che possiamo tradurre con 40 chili, è tre staia-tre misure, un’unità di peso che equivaleva a circa 13 chili. Tre misure sono circa 40 chili di farina, corrispondenti alla misura ebraica efa. Una quantità capace di sfamare centinaia di persone e volutamente sproporzionata all’uso casalingo. Questa quantità rimanda alla storia di Israele. Infatti è la stessa che Abramo chiese a Sara di impastare per i tre misteriosi ospiti che gli annunciano la sua paternità (Gen 18,6), e che Gedeone offrì all’angelo del Signore (Gd 6,19). Infine la quantità è la stessa che Anna, madre di Samuele, offrì al Signore (1Sam 1, 24) in ringraziamento per la nascita del figlio. Nei tre casi la quantità di farina è in relazione con le promesse di Dio al suo popolo e la certezza del loro esaudimento nonostante le apparenze contrarie:

  • Abramo che non crede più possibile una sua paternità a causa dell’età e di sua moglie sterile
  • Gedeone che si sente abbandonato da Dio
  • Anna che non credeva di poter diventare madre a causa della sua sterilità.

Se il regno non sarà una realtà appariscente (arbusto) ciò non toglie che non sia efficace. La realtà del regno sarà come quella del lievito che riesce a fermentare una quantità spropositata di farina. Gesù assicura al piccolo gruppo dei discepoli che la forza del suo messaggio è tale che sarà capace di fermentare il mondo intero.

34 Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35 perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

Matteo cita, interpretandolo, il Salmo 78,2: “Aprirò la mia bocca con una parabola, rievocherò gli enigmi dei tempi antichi”. Il salmo, del veggente Asaf (2Cr 29,30), è una rilettura della storia di Israele, dove viene posta in risalto l’infedeltà del popolo e la fedeltà di Dio al suo disegno.

Le cose nascoste (kekriumména da kriúptō = nascondo) secondo la tradizione giudaica erano quelle che Dio aveva preparato già al momento della Creazione per manifestarle al tempo del Messia quali la manna, il nome del messia, ecc… (ma c’è una storia antropologica universale e profonda, appartenente a tutti i popoli che adesso viene svelata rivelando cose nascoste sin dalla fondazione del mondo). In Gesù, venuto non ad abolire, ma a completare il disegno di Dio sull’umanità, si realizza la volontà del Padre (Mt 5,17).

36 Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».

Gesù parla in parabole alla folla perché non è preparata a ricevere il suo messaggio. Abituata all’immagine del regno di Israele inteso quale predominio e supremazia sugli altri popoli, la folla non può comprendere un regno aperto anche ai pagani, che non devono venire sottomessi ma serviti. Per questo Gesù, attraverso le parabole, propone dei messaggi che, facendo pensare, aiutano la gente a comprendere il vero progetto di Dio sull’umanità.

I discepoli non dovrebbero aver bisogno di parabole per comprendere il disegno del Padre. In realtà sono proprio i discepoli che trovano difficoltà a comprendere le parole di Gesù. L’unica parabola della quale chiedono spiegazione è quella della zizzania. Non perché non l’abbiano compresa, ma proprio perché è l’unica che hanno capito bene e del cui contenuto non sono d’accordo. Per questo i discepoli, tutti concordi, si recano da Gesù e con modo autoritario non gli chiedono, ordinano: diasáfēson= “spiegaci (imperativo) la parabola della zizzania nel campo”. Animati da ideali di supremazia nei confronti degli altri popoli come anche all’interno del loro stesso gruppo, dove scoppiano dispute per sapere chi tra loro è il più grande e il più importante (Mt 18,1; 20, 20-24), non accettano la lezione data da Gesù contro la tentazione dei discepoli di formare gruppo di gente scelta.

37 Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38 Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39 e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.

Mentre nella parabola dei 4 terreni il seme era il messaggio di Gesù, qui il seme sono quanti incarnano questo messaggio: “i figli del Regno”. Le zizzanie sono: “figli del maligno”, quelli che assomigliano nel comportamento al “maligno”, cioè il diavolo, il nemico per eccellenza. Il diavolo era apparso nell’episodio delle seduzioni del deserto (Mt 4, 5-11), dove aveva ripetutamente tentato Gesù di essere un messia potente e dominatore. I “ figli del maligno” sono quanti soggiacciono a queste tentazioni e anziché servire pensano di dominare. Sono coloro che vogliono apparire, emergere. Sono coloro che desiderano essere ammirati (Mt 6,1) e presi ad esempio.

La mietitura, rappresenta il compimento di questa età/epoca. L’evangelista adopera il termine greco aiȭnos da aiṓn che traduce l’ebraico “olam” = età/secolo e non mondo, che in greco sarebbe kósmos. Ricorrendo alle immagini tipiche del linguaggio dell’AT, Gesù corregge la visione di Giovanni il Battista di un giudizio immediato da parte del Messia: “Già la scure è posta alla radice degli alberi” (Mt 3,10). Contrariamente a quanto annunciato da Giovanni il Battista, Gesù non è venuto a emettere un giudizio e a condannare. Il Padre a tutti offre il suo amore, la sua Vita. Sono gli individui che si auto-giudicano da soli scegliendo di essere buon grano o zizzania, pane per la vita o tossico per la morte. Chi produce vita entra nella vita, chi intossica e avvelena entra nella morte.

Nel vangelo avviene un paradosso: quelli che la religione considerava zizzania, come le prostitute e i pubblicani, si rivelano invece grano buono per il Regno: “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31). Quelli che si consideravano gli eletti perché appartenenti all’istituzione religiosa restano esclusi dal regno: “scribi e farisei che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini: di fatto non entrate voi e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare” (Mt 23,13).

Presentando Gesù come il nuovo Mosè, l’evangelista sottolinea continuamente la differenza tra i due liberatori del popolo. Mosè usò la violenza per estirpare la zizzania nel suo popolo e il risultato fu una strage fratricida (“…uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio vicino”. I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo” Es 32,27-28). Gesù si dimostra paziente e ricco di amore. Il modo di agire di Gesù non è in sintonia con quanto annunciato da Is 60,21 dove si attendeva per il tempo del messia una comunità composta da puri: “il tuo popolo sarà tutto di giusti”.

L’insegnamento della parabola riguarda la tentazione, sempre presente all’interno della comunità, di sentirsi gruppo di eletti e di separarsi da quanti non giudicano alla loro altezza, come lo era il movimento farisaico. Gesù si è mostrato aperto a tutti senza alcun tipo di pregiudizio, anziché eliminare i peccatori, Gesù li frequenta (Mt 9, 10-13). Gesù, il “Dio con noi” (Mt 1,23), è il Dio al servizio degli uomini (Mt 20,28), servizio che esclude qualsiasi idea di superiorità.

41 Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

Con operatori di iniquità, Matteo aveva indicato quei discepoli che pur annunciando il vangelo, non si lasciano trasformare dallo stesso (Mt 7,23) sono i costruttori del nulla che ascoltano, annunciano, ma non praticano (Mt 7,26-27). Il loro comportamento è una minaccia per la comunità che rischia di essere coinvolta nella loro rovina.

Lo scandalo, pietra di inciampo, era stato individuato da Gesù nell’ambizione che conduce alla rovina (Mt 5,29-30) e verrà identificato in Simone. Chiamato ad essere pietra per costruire la comunità di Gesù, diventa pietra di inciampo (scandalo) e satana quando insegue sogni di trionfo per il Messia (Mt 16,23).

Nella narrazione della trasfigurazione, l’evangelista descriverà Gesù scrivendo che “il suo volto brillò come il sole” (Mt 17,2). Segno di vita divina, l’immagine dello splendore dei giusti si rifà al profeta Daniele e alla sua descrizione della risurrezione: “Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento: coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre ” (Dn 12,2-3). Mentre il risveglio dei giusti sfocia in una vita senza fine (eterna), per gli altri li attende la morte per sempre.

Anche la fornace di fuoco è un’immagine tratta dal libro di Daniele per indicare il castigo della morte (Dn 3,6.11.15). Il pianto e stridore di denti, è immagine di disperazione (come l’equivalente italiano di strapparsi i capelli o battere la testa nel muro) di chi si accorge di aver sbagliato tutto, immagine già apparsa in Mt 8,12. Questa volta le tenebre, il regno della morte, sono sostituite dalla fornace di fuoco. Il pianto e lo stridore nei salmi indicano un furore incontenibile (cfr. Sal 37,12). Sono immagini con le quali vengono illustrate la rabbia, la frustrazione, il rimorso per aver sciupato un’occasione unica.

Riflessioni…

  • Tra parabole e similitudini, alla folla e ai discepoli, il Maestro narra, interpreta e presenta il Regno, quello dei Cieli e della Terra insieme. Zizzania, senape, lievito: contestualità tra valori e limiti, tra tensioni ed energia di progetti e di impegni, del Regno.
  • Potenzialità e trionfi di vita appagano interrogativi e logiche umane, segnate dai ritmi di semina, di crescita e di sviluppo, di traguardi raggiunti secondo cicli di ogni ragione. Resta sospeso il Bene, tra i mali; richiedono esplicitazioni gli intrecci tra percorsi carichi di ostacoli, tra cadute e sconfitte e albe di buone intenzioni e desideri di vita.
  • Perché il male, le zizzanie devastanti e soffocanti che invadono spazi, alienano linfe di vita, ostacolano espansioni di grano? Perché coevi, bene e male? Perché Dio spettatore inerte di vigorosa zizzania che pregiudica crescite e aneliti di giustizia?
    Una radicale e pronta condanna a sradicamenti ed eliminazioni potrebbe garantire futuri progressi e liberatorie beatificazioni a privilegiati destinatari già pronti con i loro covoni ad accogliere vigoroso e prospero grano.
  • Essi si sentono già gli eletti di una florida stagione, già lodatori del Padre che ha seminato abbondante grano nei loro campi, prossimi a gustare i sapori di ogni bontà. Pretendono pertanto spiegazioni ed interventi per legittimare zizzanie e chiedono di distruggere alla radice possibili commistioni e compromessi.
    Ma la storia inizia e va, pur tra trame opposte o distruttive, ma senza pregiudizi. Perché solo al termine, a maturazione, a completamento, tutto si autovaluterà e si giudicherà. E nella crescita si distinguono zizzanie di potenza e di grandezza che hanno posto tra i regni degli uomini, non in quello dei Cieli. Affiorano tensioni di forza per imporre condizioni e soffocare libertà, tentazioni di corruzioni per legittimare strumenti da piegare a nobili fini. Sono le tentazioni di uomini, di chiese, di comunità.
  • Ma il Regno dei Cieli è connotato da semplicità, mitezza, purezza e povertà di cuore e di spirito: e chi in esso vive ha speranza e fiducia in Dio solo, nel Padrone che ha seminato, nella giustizia sua paterna, nel suo giudizio che valuta e riconosce destinazioni e ultimi tempi.
  • E il male? Ambigua, come il male, la zizzania che, seminata, nasce e cresce nei campi della Terra: essa è là in quei luoghi, e va riconosciuta e tagliata, anche perché nociva e urticante, foriera di scandali e di ingiustizie.
    Ed ogni uomo, ogni comunità impari a trattarla, senza pregiudizi, riciclarla tra i processi di individuazione, di accoglienza e di recupero, perché il Regno dei Cieli è accogliente come l’albero di senape, è ricco di energie come un lievito che traspira e trasfonde ottimismi e speranze di autentici tempi futuri.

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