Gesù sceglie i suoi discepoli, in particolare coloro sui quali vuole contare come pastori, con un criterio che non è facile da capire. Dopo il grande miracolo della moltiplicazione dei pani, il Signore rimane a terra da solo, mentre i Dodici cominciano una difficile traversata del Mare di Galilea: «La barca distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario» (Mt 14, 24).

Comandami! Comandami!

Matteo 14,22-33

Il vangelo della 18a Domenica del Tempo Ordinario ci raccontava il miracolo della moltiplicazione dei pani per una folla immensa, in un luogo deserto, conclusosi con la raccolta di dodici ceste piene degli avanzi. Ne segue il noto episodio di oggi: Gesù che cammina sul mare. Questi due miracoli – della moltiplicazione dei cinque pani e due pesci e di Gesù che cammina sulle acque – sono una nuova epifania di Gesù, in cui si rivela come il Messia (che, secondo una tradizione, avrebbe realizzato il prodigio della manna!) e Figlio di Dio (camminare sulle acque era una prerogativa divina!). E, nell’intermezzo, il vangelo ci presenta Gesù che prega, solo, tutta la notte, sul monte (forse quello delle beatitudini!).

1. ESCI E FÈRMATI sul monte alla presenza del Signore! (Elia, 1a lettura)

Davanti a questa epifania, che il Signore ci conceda la grazia di uscire dalle caverne dove ci siamo rifugiati, come il profeta Elia, per accogliere la novità del passaggio di Dio nella nostra vita, non più come “un vento impetuoso e gagliardo” – come quello gioioso della GMG di Lisbona – o come il terremoto o il fuoco dei nostri primi anni di impegno cristiano, ma come “il sussurro di una brezza leggera”, percepibile solo nel silenzio del cuore!

2. COMANDAMI di venire verso di te sulle acque! (Pietro, nel vangelo)

a) Spinti verso l’altra riva: “Dopo che la folla ebbe mangiato, subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva”.
È l’unico caso in cui Gesù “costringe” gli apostoli a fare qualcosa. Ci immaginiamo Gesù che fa loro caricare le dodici ceste piene e li spinge a salire sulla barca, tra le proteste dei dodici che replicano che è troppo tardi, che il vento è contrario, che è imprudente andare sull’altra riva del lago, terra pagana e nemica! E perché lasciare solo Gesù? Gli apostoli avrebbero voluto rimanere lì e godere quel momento di euforia con la folla, ma non c’è niente da fare! Partono controvoglia verso l’altra riva per portare anche lì il pane. Così capita anche a noi, Chiesa che Cristo spinge di continuo verso “l’altra riva”!

b) In balia del mare e dei fantasmi! “Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare”. Agli elementi insidiosi del mare, della notte e del vento si aggiunge adesso un fantasma! Impauriti, i dodici gridano dalla paura. “Ma subito Gesù parla loro dicendo: Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. La paura è la nostra compagna permanente e l’invito di Dio a non avere paura è il suo antidoto quotidiano. “Non abbiate paura” perché “Sono io”, anzi “Io Sono”, che nei vangeli evoca il Nome di Dio!

c) Comandami! Pietro prende l’iniziativa – per la prima volta, nel vangelo di Matteo – e dice a Gesù: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. “Se sei tu!…” Si tratta di un dubbio e di una richiesta di prova? O l’effetto dell’emozione fuori controllo dopo la paura? O una reazione infantile entusiasta? O un impulso di fiducia nel Signore? Forse nemmeno Pietro lo sa di preciso, come capita anche a noi tante volte!
Mi colpisce comunque il modo come Pietro formula la domanda: “Comandami di venire verso di te sulle acque”. Comandami! Non dice: “fa che…” o “concedimi…” No, egli chiede di farlo sul comando di Gesù, e Gesù accondiscende. Sarà per metterlo alla prova? O è piuttosto una manifestazione di affetto verso Pietro? Pietro, infatti, è l’amico prediletto di Gesù, non Giovanni. Almeno secondo i vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca)!

Comandami di venire verso di te sulle acque! Secondo me, questa è la richiesta per eccellenza del cristiano! La nostra vita non è quasi mai un viaggio in crociera. Spesso è una navigazione in una insicura barchetta in balia delle onde. Ma talvolta ci sembra che manchi sotto i nostri piedi perfino quella fragile sicurezza. E allora non ci rimane che la nuda fede di camminare sulle acque. Non per il nostro coraggio o iniziativa, ma per la fiducia nel suo comando. Comandami! ed io camminerò sul mare agitato della malattia. Comandami! ed io affronterò le acque minacciose di una crisi matrimoniale o di un rapporto increscioso con un figlio o una figlia! Comandami! ed io affronterò il vento contrario delle mie passioni.

d) Salvami! La fede è qualcosa di tremendamente serio! Preziosa e fragile come la vita. Questo lo sa e lo sperimenta il vero credente. Basta un attimo di distacco dallo sguardo di Cristo e ci sentiamo sprofondare. Povero Pietro e poveri noi! Perché Pietro dubita nel bel mezzo del miracolo? Forse si aspettava che le onde del mare si calmassero, sì da poter camminare in tutta tranquillità. Ma non è così. Le circostanze esterne con cambiano. La fede non ci dispensa dai rischi. E allora non ci rimane che gridare: “Signore, salvami!”. E il pescatore… viene pescato! “Pietro, in pieno miracolo, dubita: ‘Signore, affondo’; però in pieno dubitare, crede: ‘Signore, salvami!’” (Ermes Ronchi).

Oggi pochi gridano: Salvami! Perché Cristo non è più il Salvatore. Salvare da che cosa? È molto eloquente quello che capitò a un sacerdote che presiedeva una Eucaristia di prime comunioni. Avendo suggerito di fare delle preghiere spontanee, restò sorpreso quando una bambina disse: “Ti ringrazio, Gesù, perché mi hai salvata… anche se adesso non mi ricordo da che cosa!” Tutta l’assemblea rise di gusto, ma quanti avrebbero saputo andare oltre la risposta formale imparata a catechismo?

3. IL GRANDE DOLORE (San Paolo, 2a lettura)

Il credente consapevole di cosa vuole dire essere salvato o essere perduto non può che sperimentare nella propria carne quanto oggi dice San Paolo: “Ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua” a causa “dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Romani 9,1-5). Vedere i concittadini, la propria famiglia, gli amici lontani da Cristo è per il credente una spina nel fianco! Pregare per loro non è una semplice “opera buona”, ma una grave responsabilità di risposta alla domanda di Dio: “Dov’è tuo fratello?”
Dice Matta el Meskin, monaco cristiano egiziano (+2006): “Con la preghiera l’uomo diventa sacerdote, nel senso che diventa responsabile della salvezza degli altri (…). Caricandosi del loro peccato e gemendo dal fondo del cuore sotto il suo peso e facendo penitenza, diventa capace, facendosi peccatore al loro posto, di chiedere perdono e di ottenerlo per loro”.

Per riflettere

  • Come mi comporto nel momento della prova: con la rabbia o la pazienza? Con la paura o la fiducia? Con lo scoraggiamento o la speranza?
  • Sono pronto/a a tendere la mano per afferrare chi sta affondando?
  • In mezzo alle tempeste della vita… dirò anch’io come Pietro: Comandami! Salvami!

P. Manuel João Pereira, comboniano
Castel d’Azzano (Verona), agosto 2023

O Dio, dove sei?
Perché possiamo conoscere e rivelare il tuo volto

1Re 19,9.11-13; Salmo 84; Romani 9,1-5; Matteo 14,22-33

Riflessioni
Le letture di oggi ci riportano a un tema di fondo. Com’è Dio? Cosa fa con tutta la sua forza? Cosa c’entra Dio con la mia vita? Come si manifesta? Sono le domande che ogni persona si fa, presto o tardi; in un modo o nell’altro. Inutilmente alcuni ‘atei’ vorrebbero negare questa realtà. Le tappe della manifestazione di Dio e i percorsi dell’uomo alla ricerca del suo Signore e Padre vanno dalla creazione a Cristo, alla testimonianza dei credenti. È questo il filo conduttore che unisce le letture odierne. In modo libero e sorprendente, Dio si manifesta agli uomini: dapprima nella creazione del mondo e di ogni persona; in seguito per mezzo delle alleanze e dei profeti; e, finalmente, nell’evento unico e definitivo di Gesù Cristo, Dio fattosi carne, che accompagna la storia umana.

In mezzo al mare in burrasca e fra le grida dei discepoliper paura di fantasmi (Vangelo), Gesù si rivela prima come orante solitario sul monte (v. 23) e poi come portatore di pace e sicurezza: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” (v. 27).

La pandemia del coronavirus, che abbiamo vissuto e che stiamo ancora soffrendo, con il cumulo di conseguenze per la nostra salute, l’affetto dei nostri cari, l’economia, la crisi sociale, ci ha assalito con la violenza di un mare in burrasca. C’è una coincidenza perfetta fra il brano del Vangelo di questa domenica (Mt 14, 22-33) e quello proclamato in Piazza S. Pietro a Roma, la sera del 27 marzo 2020 (Mc 4, 35-41). A distanza di qualche mese, cogliamo l’opportunitàdi ritornare su alcuni punti della meditazione che Papa Francesco ci offrì, nel mezzo della pandemia, partendo proprio da quella “tempesta inaspettata e furiosa”.

«…Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti… Ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme…La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità…Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.

«Perché avete paura?... Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (cfr. Mt 14,27). Signore, in questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose. Non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. …

È il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari (medici, infermiere, volontari, sacerdoti…), che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita… hanno compreso che nessuno si salva da solo. … Quanta gente ogni giorno infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità… Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.

Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio… perché con Dio la vita non muore mai.Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza…Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare…»

Come in altre epifanie di Gesù, il risultato finale è la fede dei discepoli (v. 33). Più ampiamente, è la comunità missionaria di Matteo che, provata dalle incipienti persecuzioni e dalla “poca fede” (v. 31), rinnova l’adesione al Signore risorto, invocandolo con il titolo pasquale di Kurios (v. 28.30). Oggi è la nostra comunità -in Italia, in Europa, nel mondo intero- ciascuno di noi è interpellato a rinnovarsi nella fede e nell’impegno di solidarietà. Oggi Gesù ci ripete a tutti: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” (v. 27).

P. Romeo Ballan, MCCJ

«Su di voi
costruirò la mia Chiesa domestica»

Gesù sceglie i suoi discepoli, in particolare coloro sui quali vuole contare come pastori, con un criterio che non è facile da capire. Dopo il grande miracolo della moltiplicazione dei pani, il Signore rimane a terra da solo, mentre i Dodici cominciano una difficile traversata del Mare di Galilea: «La barca distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario» (Mt 14, 24). E i discepoli si sentono soli e abbandonati, e cominciano già a dimenticare le grandi cose che hanno visto: sentono soltanto la minaccia delle onde e la lontananza di Gesù.

Le tempeste ci saranno sempre, la pace promessa da Gesù non è la calma piatta di una vita senza imprevisti. Non riuscirete — sembra dire il Signore — a dominare le contrarietà, le persecuzioni, i tanti tsunami che vi troverete ad affrontare personalmente e tutti insieme. Ma «sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare». Non vi insegno a calmare la tempesta ma a navigare nonostante la paura: anche se non avrete sotto controllo la situazione, sapete che non sarete mai soli. Vedendo Gesù che arriva camminando sul mare, i discepoli gridano «È un fantasma!». E il Maestro li rassicura: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E Pietro vince la paura, scavalca il bordo della barca e appoggia un piede dopo l’altro sulla superficie del mare, accorgendosi con grande sorpresa di essere capace di camminare sopra le onde. La sua fede è tuttavia imperfetta, tant’è vero che dopo pochi passi comincia a dubitare e ad affondare. Ma il primo degli Apostoli non viene scelto perché è solido e imperturbabile e neppure perché la sua fiducia nel Maestro, che pure è autentica e generosa, sia perfetta.

Ci vengono in aiuto alcune parole di Chesterton: per porre le basi della sua Chiesa «Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codardo: in una parola, un uomo». Gli imperi umani, costruiti sul mito del Superuomo, sono crollati per «l’intrinseca e costante debolezza di essere fondati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica realtà, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole».

Di solito applichiamo gli insegnamenti di questo episodio soprattutto alle persone che hanno compiti di governo nella Chiesa. Può tuttavia rivelarsi illuminante pensare anche ai genitori, scelti dal Signore per governare, nei limiti del possibile, la chiesa domestica che è ogni famiglia. Non temere, dice Gesù a ogni madre e a ogni padre, se non controlli la situazione: la salute del suocero, i risultati scolastici della figlia, il dialogo con quel ramo della famiglia con il quale c’è una grande tensione… E non temete se i vostri figli si accorgono delle vostre imperfezioni e debolezze, anche Pietro ne aveva e Dio Padre ha scelto lui e voi per affidarvi le sue pecore, che sono proprio quelle creature che avete in casa. Soltanto vi chiedo di non dubitare del mio amore per voi e di andare avanti insieme, anche quando tutto sembra incerto e poco affidabile, anche quando vi chiedo di camminare sulle acque… «Su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Non su un monolite perfetto e senza crepe ma proprio su di voi, così come siete e come vi ho chiamato: voglio costruire la mia Chiesa domestica sul vostro amore coniugale che si rinnova giorno dopo giorno.

«La famiglia — insegna Papa Francesco — è più di ogni altro il luogo in cui, vivendo insieme nella quotidianità, si sperimentano i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza, dell’andare d’accordo. Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità». Non bisogna avere paura di camminare sulle acque della vita quotidiana familiare.
[Carlo De Marchi – L’Osservatore Romano]

Noi, fragili camminatori sull’acqua

1Re 19,9°.11-13°; Salmo 84/85; Romani 9,1-5; Matteo 14,22-33

Il brano evangelico di questa domenica riporta l’episodio della manifestazione di Gesù sul lago. Egli cammina sull’acqua, placa il vento e calma le acque agitate. La sua parola (“Coraggio, sono io, non abbiate paura”) libera i discepoli dalla paura e li fa approdare alla fede.

Questo passaggio dall’angoscia o paura alla fede-fiducia è anche l’itinerario del profeta Elia, nella prima lettura. Dopo il cammino nel deserto per sfuggire alla minaccia di Gezabele, moglie di Acab, re d’Israele, e fortificato dal cibo provvidenzialmente ricevuto, egli giunge sul monte Oreb dell’epifania e dell’incontro con Dio per ritrovare le radici della sua missione profetica.

Il Signore chiama Elia che era in una caverna per passarvi la notte: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Si susseguono tre scene. Dapprima un vento impetuoso e forte, ma il Signore non era nel vento. Dopo ci fu un terremoto, e poi un fuoco, ma il Signore non vi era nel fuoco e nel terremoto. Dopo questi tre grandi ed abituali segni cosmitici della manifestazione di Dio, alla fine si ha un mormorio di un “vento leggero”. Elia scopre un altro volto di Dio, che non si identifica con i grandiosi e terrificanti fenomeni cosmici: il segno della sua presenza può essere anche il mormorio appena percettibile di un vento leggero. Ma Dio non è neppure nella brezza leggera. Questo è solo un invito per prepararsi ad ascoltarlo in tutta la realtà cosmologica o naturale. Infatti, la natura dice qualcosa della potenza di Dio, e tutta la terra è piena della sua gloria o misericordia.

Il brano evangelico e il testo della prima lettura hanno quindi delle convergenze tematiche. Ambedue i testi sono attraversati da una tematica cosmologica (appena accennata ed espressa dal vento, dal terremoto o dal mare); presentano anche una tematica “antropologica” attraverso le angosce e le paure dell’uomo; offrono inoltre una tematica “teologica” di grande rilievo che illumina le altre due prime, cioè fa comprendere queste tematiche (cronologiche ed antropologiche) come luoghi della rivelazione di Dio. Se la natura dice qualcosa sull’onnipotenza del Dio creatore, la sofferenza, le paure ed angosce dell’uomo possono diventare autentica teofonia, che dice qualcosa di un Dio salvatore che non abbandona mai nessuno. In ogni caso, il manifestarsi della potenza divina è in vista di dare una risposta alle inquietudini umane.

Il racconto di Gesù che cammina sulle acque è associato alla moltiplicazione dei pani. I discepoli scoprono gradualmente la vera identità di Gesù: egli non è solo il Messia che dona il pane alle folle, ma il Signore che domina le forze del male, rappresentate dall’acqua agitata e dal vento contrario. Da questa signoria di Gesù sulle onde e sul vento i discepoli avvertono che egli è veramente “Figlio di Dio”. In mezzo tra l’incontro con Gesù e la professione di fede sta l’esperienza singolare di Pietro. Egli chiede di raggiungere Gesù camminando sulle acque. Rassicurato dalla parola di Gesù, egli si mette a camminare sulle acque. Ma poi si impaurì e cominciò ad affondare. Gridò” Signore salvami!” E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: uomo di poca fede, perché hai dubitato?”.

Questa ultima espressione sembra la chiave di tutta la scena: Bisogna avere fede in Gesù, e allora ogni forza del male è domata e non può fare del male. In altre parole: il credente che ha fede in Gesù deve avere fiducia e coraggio anche nel mezzo della notte e sul mare agitato della vita. Forse ognuno di noi si riconosce nella “poca fede” di Pietro e nel suo “impaurirsi”. Ma bisogna anzitutto individuare l’equivoco di fondo che aveva provocato l’incidente di Pietro. Forse egli aveva frainteso il significato del comando di Gesù a venire. Avrebbe pensato che non riguardasse soltanto lui, ma anche le circostanze avverse perché diventassero di colpo favorevoli. Quando si è accorto del contrario, allora ha avuto paura. Infatti, la fede non ci dispensa dai rischi, dai fastidi e dai pericoli, non colloca il credente in una condizione di onnipotenza, poiché egli rimane esposto al limite e alla precarietà. Ma, semplicemente, la fede permette al credente di camminare serenamente e coraggiosamente al buio o in mezzo alle difficoltà di tutte le persone umane, contando su questo la fedeltà del Figlio di Dio che stende la mano per salvarlo. La fede si rivela quindi una situazione da vivere giorno per giorno.
Don Joseph Ndoum

Matteo 14, 22-33

[Dopo che la folla ebbe mangiato], 22 subito dopo Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla.

L’altra riva è un termine tecnico col quale l’evangelista indica il lato orientale del lago di Galilea che era terra pagana (Mt 8,18.28; 16,5). L’evangelista scrive che Gesù deve costringere i suoi ad andarsene via. L’uso di questo verbo (solo qui in Matteo) suppone una resistenza da parte dei discepoli.
L’azione di Gesù tende a separare i discepoli dalle folle (che nella narrazione di Giovanni vogliono proclamare re Gesù; Gv 6,15). La 
barca ha assunto la figura della comunità di Gesù. La resistenza dei discepoli è dovuta al fatto che Gesù li spinge ad andare in terra pagana ed operare la stessa condivisione dei pani a favore dei pagani (Mt 15,32-39).

23 Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.

I discepoli volevano mandar via la folla perché andasse a comprarsi da mangiare (v. 15). Gesù manda via la folla solo dopo che questa si è abbondantemente saziata.
Con l’espressione 
sul monte l’evangelista ha indicato il luogo della proclamazione delle beatitudini (Mt 5,1; 8,1). Il monte che sostituisce il Sinai è il luogo della sfera di Dio, e Gesù per la prima volta nel Vangelo viene presentato in preghiera.
L’indicazione cronologica sembra essere in contraddizione con quanto espresso al v.15 che indicava già venuta la sera. La voluta ripetizione del termine mette ancora una volta in relazione l’episodio con gli avvenimenti dell’ultima cena. Infatti appare il tema della preghiera che segue la cena.
In questo vangelo Gesù viene presentato in preghiera unicamente due volte: qui e nel Getsèmani (Mt 26,36). La ripetizione 
in disparte che in Matteo è sempre indice di incomprensione o di situazione negativa fa ritenere il momento di grave pericolo per il gruppo di Gesù di cadere nella prova (Mt 26,41).
Imbarcati a forza i discepoli e congedata la folla è ovvio che Gesù sia rimasto solo; la sottolineatura della solitudine di Gesù che se ne stava ancora solo lassù vuole essere teologica: sul monte, come al Getsemani, Gesù è solo.

24 La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario.

Il lago di Genèzaret (Tiberiade) è attualmente lungo 21 chilometri e largo 11. Mentre la barca è lontana (1 stadio= m 185-193) sopraggiunge l’ostacolo del vento contrario. La resistenza dei discepoli a distaccarsi dalla folla e di andare verso i pagani viene rappresentata mediante l’azione di un vento che in Matteo è sempre negativa (Mt 7,25.27; 8,26-27).

25 Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare.

La quarta veglia/vigilia (v. trad. letterale) della notte (dalle tre alle sei) indicava il momento dell’alba. Dopo l’oscurità della notte la prima luce del giorno indica la liberazione. Quando si dissipano le tenebre appare l’opera della creazione (Gen 1,2-5). Questa precisa indicazione cronologica serve all’evangelista per sottolineare la condizione divina di Gesù, il Dio che cammina sulle acque.
L’alba è il momento indicato per il soccorso di Dio (
Dio la soccorre allo spuntare dell’alba Sal 46,6) e in Gesù che cammina sul mare (in realtà il lago Tiberiade), si manifesta la pienezza della condizione divina: Dio è l’unico che cammina sulle onde del mare, considerato elemento ostile (Gb 9,8; la LXX aggiunge: come su un terreno).

26 Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura.

Matteo ha presentato Gesù sin dall’inizio come il Dio con noi (Mt 1,23). Ma per i discepoli questo è difficile da comprendere. Seguivano Gesù ritenendolo il Messia inviato da Dio, ma non credevano che Gesù fosse Dio.
La religione giudaica aveva creato un tale abisso tra gli uomini e Dio che era impensabile che un uomo potesse avere la condizione divina. Anche Mosè, il più grande fra tutti i profeti, era semplicemente un 
servo di Dio. Per questo pensano a un fantasma.

27 Ma subito Gesù parlò a loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».

Dal verso 16 l’evangelista aveva evitato il nome di Gesù per poi riproporlo ora, immediatamente accanto al nome divino. Gesù conferma la sua condizione divina. Io sono è la risposta che Dio dà a Mosè quando gli chiede il suo nome. Dio risponde non svelando l’identità, ma un’attività che lo rendere riconoscibile: Io sono (ora vedrete che io sono e nessun’altro è dio accanto a me, Dt 32,39; Es 3,14). Questa espressione verrà sempre usata per indicare il nome di Dio (io sono il Dio di Abramo, Mt 22,32).

28 Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque».

Questo episodio è esclusivo di Matteo. Simone viene presentato solo col suo soprannome, Pietro, che indica incomprensione del messaggio di Gesù. È la prima volta che questo discepolo, finora semplicemente nominato (Mt 4,18; 8,14; 10,2), si distacca dal gruppo prendendo un’iniziativa che denoterà la sua incomprensione di Gesù e che lo porterà al rinnegamento. Simone vuole accedere anche lui alla condizione divina che ritiene possibile per un intervento da parte di Gesù che riconosce come Signore e del quale si dichiara disposto a obbedire ai comandi (comandami). Gesù ha rassicurato i discepoli della sua condizione divina (Coraggio, Io sono) e Pietro lo sfida e si rivolge al Signore con un’espressione simile a quella pronunciata dal diavolo nel deserto per tentare Gesù: Se tu sei (giacché sei) Figlio di Dio (Mt 4,3.6).

29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.

La condizione divina non è prerogativa esclusiva di Gesù ma possibilità estendibile a quanti lo seguono. Gesù invita Pietro a raggiungerla.

30 Ma, vedendo che il vento era forte, si impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».

Pietro vede il vento, elemento già usato dall’evangelista per indicare la persecuzione (Mt 7,25). Questa visione gli causa paura e conseguentemente inizia ad affondare. Pietro pensava di poter ottenere la condizione divina per un intervento divino (Comandami). Quando si rende conto che questa condizione non nasce senza difficoltà anche gravi come la persecuzione, la calunnia e gli insulti (Mt 5,10-11; 10,16-39) si spaventa e cede. Chi non costruisce sulla roccia della parola di Gesù, quando soffiano i venti, cade (Mt 7,27). L’evangelista anticipa in questa scena il comportamento di Pietro alla cattura di Gesù: anziché seguire il suo maestro sulla via della croce per conseguire la condizione divina, Pietro lo rinnegherà tra imprecazioni e spergiuri (Mt 26,69-75).

31 E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

 Ancora una volta l’evangelista opera una trasposizione comparativa tra l’azione di Gesù e quella di Mosè: Mosè stese la mano sulle acque del Nilo e queste si trasformarono in sangue (Es 7,19). Gesù stende la mano per salvare dalle acque. Gesù soccorre Pietro ma allo stesso tempo lo rimprovera per la sua poca fede e per aver dubitato. Pietro è l’unico discepolo al quale Gesù ha dovuto ripetere il rimprovero di essere senza fede (Mt 8,26), il solo che, invitato a essere pescatore d’uomini (Mt 4,19) deve essere pescato.
Il verbo 
dubitare l’evangelista lo adopererà soltanto ancora una volta al momento dell’incontro tra Gesù risuscitato e gli Undici. Costoro pur vedendolo e adorandolo, dubitavano (Mt 28,17). I discepoli non dubitano della resurrezione di Gesù, ma della loro capacità di raggiungere la stessa condizione del Cristo passando anch’essi attraverso la croce.

32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò.

Con Gesù di nuovo nella barca/comunità la resistenza/vento cessa.

33 Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio?».

Al contrario di Pietro (se sei tu v.28), quelli che erano sulla barca riconoscono in Gesù la condizione divina. L’evangelista omette l’articolo il Figlio di Dio perché avrebbe richiamato al concetto di figliolanza divina espresso dalla tradizione religiosa. Gesù non è il Figlio di Dio, ma Figlio di Dio, una figliolanza nuova che spetta ora ai discepoli scoprire e fare propria e che verrà riconosciuta anche dai soldati pagani posti a guardia di Gesù: Davvero costui era Figlio di Dio! (27,54). Esclamazione che anticipa il fatto della resurrezione quando Dio salverà suo figlio dalla morte: se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari (Sap 2,18). Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà (Sap 2,20).

Riflessioni…

  • Si era ritirato in barca Gesù, per vivere l’esperienza dell’umana solitudine, in compagnia solo del Padre, ed aveva incontrato gente affamata e malata. È questa la sera della barca, la notte e l’alba della barca. La sera dell’incontro, la notte del distacco, l’alba della vita. E la storia inizia con lui che accomuna a sé gli amici, e insieme donano momenti di gioia, condivisioni di vita.
  • L’avventura prende un percorso senza di lui. Gli amici vanno, perché invitati, mandati oltre i confini, verso terre non amiche. E nella traversata hanno anche i venti contrari. Anche dopo avranno in compagnia venti di persecuzioni. Non è mai agevole concludere mandati, sperimentare percorsi additati da Dio, perché sempre in agguato imperterriti fantasmi, acque agitate, bui traguardi.
  • E Gesù, anima della barca e di quanto n’è simbolo, sperimenta tensioni paterne, e dialoga col Padre, come dopo ogni solenne banchetto di salvezza, pensando a giorni di grazie e a gesti di amore per viandanti, pescatori, viaggiatori di mare, erranti, ricercatori, inviati che sopportano pene e disagi.
  • Ma l’amico sente la nostalgia degli amici, e va oltre il buio della notte, anticipa barlumi di luce. E va in cerca della barca e dei suoi naviganti, della sua comunità che sta vivendo smarrimenti senza indicazioni di approdo: sembra il loro, un cammino senza meta, senza bussola, anzi in pericolo. Ora avvertono pertanto anch’essi nostalgie dell’amico inviante.
  • E tra Dov’è, Perché, Si è dimenticato di noi, avvertono la loro missione già fallita, sanno vedere solo Fantasmi, ed hanno paura.
  • Non riescono a riconoscere ancora l’amico, Figlio di Dio. E scambiano e trasformano ruoli e persone, ancorati solo alla tradizione dei padri, additando fantasmi tra venti avversi ed assenze di luce e di vita. L’Amico, Figlio di Dio, cammina sulle acque del lago, come in altra alba, quella degli inizi, il Padre posava il suo Spirito su acque primordiali. Egli ha fretta, vuole recuperare tempi perduti, avverte disagi ed angosce degli amici suoi. E divinamente risponde ad urli carichi di terrore per fatue e deboli energie, Sono Io: proclama il suo essere, presente e soccorrente, a due passi da uomini in cerca di salvezza, dichiarando la fine di ogni terrore ed offrendo coraggio.
  • È pronto a salvare dalle acque, come fece con Mosè, come fece col popolo amato, pronto a placare avversi venti, a farsi alba di luce nell’identità con la Natura che genera vita e con l’Amore divino che risorge anche da morte, e va e chiama oltre la morte. E al dubbio di Pietro, degli amici, di tutti, rassicura e propone progetti di salvezza. Con lui non occorrono sfide, ma fiducia in rischi comuni, scommesse saldate sulla sua presenza, sulla sua parola. Ed egli va, con tutta la comunità, per anticipare naufragi, allora come ora, a cominciare dai Mari che fasciano terre in tragedie e in lutti, per mancate libertà e negate felicità. E la barca non si sentirà sola, non tornerà mai sola.

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