La solennità di Cristo Re è la più recente festa di idea in onore del Signore. Fu istituita nel 1925 da Pio XI, nell’ enciclica Quas primas, all’occasione del 1600° anniversario del primo concilio ecumenico di Nicea, il cui insegnamento sulla uguaglianza di natura del Cristo col Padre è la base di riconoscimento della sua regalità.

Pecore o capre?

In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me!

Matteo 25,31-46

Con la domenica di Cristo Re concludiamo questo anno liturgico (ciclo A) durante il quale ci ha accompagnati il vangelo di San Matteo. È una buona occasione per fare un bilancio di questo percorso con Gesù: se siamo stati del numero dei suoi discepoli nell'ascolto della sua parola o se, invece, siamo stati dei semplici simpatizzanti saltuari. Alla fine di questo cammino possiamo dire di conoscere meglio Gesù?

Il brano del vangelo è la conclusione dell'ultimo discorso di Gesù (Matteo 24-25) sulla fine dei tempi e il ritorno del Signore. Si tratta dell'ultimo suo insegnamento, prima di avviarsi verso la sua passione. Gesù che sta per essere giudicato dalle autorità politiche e religiose si proclama il Giudice di tutta la terra: “Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli”!

1. Il senso profondo di questa Festa

La solennità di “Gesù Cristo Re dell'universo” è una festa recente, istituita da Pio XI nel 1925 e posteriormente fissata nell'ultima domenica dell'anno liturgico. Che senso ha questa festa? Essa indica l'orientamento dell'anno liturgico e di tutta la storia, “orientati” verso la glorificazione di Cristo e della “ricapitolazione di tutte le cose” in lui (vedi prima lettura ed Efesini 1,10). Cristo è “l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine” (Apocalisse 22,13). Questa festa ci presenta, dunque, il fine, il punto d'arrivo della storia e del nostro pellegrinaggio. È ben il caso di domandarsi: verso dove va la mia storia? Verso la ricapitolazione in Cristo o verso l'annichilamento?

2. Uno schiaffo a tutti i re!

L'uso della terminologia Re, Regno, Regnare usata dalla liturgia (vedi vangelo e seconda lettura) può suscitare perplessità, anche se sappiamo che si tratta di un linguaggio biblico di cui non possiamo fare a meno. Tanto più che tanti ne fanno un uso trionfalista! Il “Re” è roba di altri tempi che ha un sapore di assolutismo, arbitrarietà e sopruso che vorremmo dimenticare. Io penso che, invece, proclamare Gesù come “Re” è un atto rivoluzionario e provocatorio perché Cristo è l'esatto opposto di qualsiasi re. È un re intronizzato sulla croce che diventa uno schiaffo ad ogni “re”, politico o religioso. Ogni “potestà” politica, religiosa, sociale o familiare che non sia di servizio è votata all'annichilamento perché egli “ridurrà al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza” (seconda lettura).

3. Un Re, un Signore per tutti!

“Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli”. Chi sono questi “popoli”? Il vocabolo in greco (ethnos) veniva impiegato per riferirsi alle nazioni pagane, cioè coloro che non appartenevano al “popolo” (laos) di Dio. Le parabole precedenti riguardavano, invece, il giudizio dei credenti. Questo non li esclude dai criteri del giudizio usati qui da Gesù, anzi ne accresce la responsabilità: “Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse” (Luca 12,47-48).

4. Le sei opere di misericordia

Quale è il criterio seguito dal Signore per separare i “benedetti” (alla sua destra) dai “maledetti” (alla sinistra)? L'esercizio delle sei opere di misericordia! “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Gesù non parla in astratto, di “giustizia”, di “solidarietà” o di “amore”, ma di gesti molto concreti di assistenza ai bisognosi! Gesù non richiede da noi grandi azioni clamorose, ma la fedeltà quotidiana alla nostra stessa “umanità”!
Questa lista di opere viene ripetuta quattro volte, due in positivo e due in negativo. La ripetizione ha uno scopo mnemonico, oltre a sottolinearne l'importanza.

Lo stupore accomuna tutti, sia quelli a destra come quelli a sinistra: “Signore, quando ti abbiamo visto...?” La risposta del Signore è inaudita: “In verità io vi dico: tutto quello che (non) avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, (non) l'avete fatto a me". Mai una divinità si era identificata con la persona bisognosa!

Il discorso di Gesù non intende intimidirci con la minaccia del castigo, ma aiutarci a rileggere la nostra vita dal punto di vista della fine. Il vero giudizio si opera nella storia: il nostro è già un cammino di benedizione o di maledizione, di vita o di morte! Il linguaggio forte e profetico di Gesù vuole scuoterci per non correre il pericolo di rovinare la nostra vita!

Mi domando: perché “sei” (incompletezza) e non “sette” opere di misericordia? Mi viene da rispondere: la settima è il servizio della fede reso dai credenti (vedi parabole dei talenti e delle dieci vergini).

5. Il mistero dell'Incarnazione non è concluso!

L'identificazione di Gesù con i più piccoli ci fa pensare che il mistero dell'Incarnazione non sia ancora concluso. Gesù non solo è diventato un uomo, ma continua ad incarnarsi in ogni uomo e donna, assumendo ogni sofferenza umana.
Questo ci porta a pensare che anche il mistero eucaristico si prolunga nel povero: “Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue!”

Esercizio spirituale per la settimana

- Invoca la venuta del Regno di Dio nelle diverse situazioni e luoghi che frequenti in giornata: “Venga [qui] il tuo Regno!”
- “Non distogliere lo sguardo dal povero” (Tobia 4,7, Giornata Mondiale dei Poveri).
- Facciamoci un serio esame di coscienza per vedere se non siamo per caso influenzati anche noi dalla “globalizzazione dell'indifferenza” (Papa Francesco).

P. Manuel João Pereira Correia, mccj
Verona, novembre 2023

Scommettere sulla carità:
“l’avete fatto a me!”

Ez 34,11-12.15-17; Sl 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

Riflessioni
La festa di Cristo Re, ultima domenica dell’anno liturgico, contiene un chiaro messaggio unitario, che si proietta sul passato, il presente e il futuro della vita umana. In essa è sempre presente Cristo Salvatore, l’Emmanuele, (Dio con noi): è venuto a Betlemme in carne umana (Mt 1,23), cammina con noi nella vita quotidiana (Mt 28,20), verrà nella tappa finale come re-pastore e giudice (Vangelo). La Sua presenza è sempre scandita dall’amore: è portatrice di conforto nella sofferenza ed è motivo di speranza nell’attesa del giudizio finale. Quell’ultimo momento è descritto nel Vangelo con parole severe (v. 41-46), che, però, non sono in contraddizione con il Gesù buono, “amico dei pubblicani e dei peccatori” (Lc 7,34), fattosi uomo per “cercare ciò che era perduto” (Lc 19,10). Emblematicamente, subito dopo la scena del giudizio, Matteo presenta Gesù che “sarà consegnato per essere crocifisso” (Mt 26,2).

Gesù, il Pastore buono che dà la vita per le pecore (Gv 10), incarna il progetto di Dio, re-pastore, del quale Ezechiele (I lettura) esalta l’amore premuroso per le pecore: le cerca, ne ha cura, le passa in rassegna, le raduna, le conduce, le pasce… Il salmista canta la sua sicurezza e felicità, perché il pastore gli è vicino (Salmo). Per San Paolo (II lettura) tutto il male, compresa la morte, sarà superato e sottomesso a Cristo e al Padre, perché “Dio sia tutto in tutti” (v. 28).

Secondo la letteratura biblica (Dn 7) ed extrabiblica, le scene di giudizio non hanno lo scopo di descrivere ciò che avverrà, ma di insegnare come comportarsi oggi. Più che informare sul futuro, indicano un programma da vivere oggi. Alla luce del giudizio finale, Gesù svela la qualità che devono avere le nostre azioni; ci insegna come impostare la vita in modo da non sbagliare tutto, ma indovinare la strada. L’unica strada è la Sua: l’amore e il servizio ai bisognosi. Infatti, “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore” (S. Giovanni della Croce). Il Vangelo di oggi ci dice già quale sarà il test d’esame nel giudizio finale.

L’amore per gli ultimi apre le porte del Regno di Dio: “Venite, benedetti del Padre mio…” (Vangelo, v. 34). Gesù indica la strada per arrivarci. Per ben quattro volte enumera sei opere d’amore verso persone bisognose: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati… Aiutare tali persone è compito di ogni cristiano ed è parte del lavoro quotidiano dei missionari. E lo è anche per i seguaci di tutte le religioni. Queste opere d’amore costituiscono un terreno d’incontro con tutte le persone di buona volontà. Una lista di tali opere è presente in Is 58,6-7. Ma già nell’antico Egitto (2° millennio a. C.), il Libro dei morti (cap. 125) metteva in bocca al defunto queste parole: “Io ho fatto ciò che fa gioire gli dèi. Ho dato pane all’affamato, ho dato acqua all’assetato, ho vestito chi era nudo, ho offerto un passaggio a chi non aveva una barca”.

A queste opere di grande valore umano Gesù apporta una novità decisiva: Egli si identifica con i più deboli e piccoli, fino a dire: “l’avete fatto a me” (v. 40). Gli ultimi sono davvero i destinatari privilegiati delle scelte del Signore. Pertanto, l’opzione preferenziale per i poveri non è un’alternativa di libera scelta, ma un obbligo per la Chiesa, come affermava energicamente San Giovanni Paolo II verso la fine della sua vita, invitando i cristiani a “scommettere sulla carità”. È un’opzione in cui è in gioco la fedeltà stessa della Chiesa al suo Signore! (*) La Giornata mondiale dei Poveri, creata recentemente da Papa Francesco, che abbiamo celebrato domenica scorsa, è un nuovo stimolo a mettere in pratica tale opzione.

Forte è la testimonianza missionaria del B. Carlo de Foucauld (festa il 1° dic.), che visse intensamente la presenza di Cristo nei poveri fra i quali scelse di vivere, i beduini del deserto, tutti musulmani. Qualche mese prima della morte, scriveva: «Credo che non ci sia altra parola del Vangelo che abbia talmente colpito e trasformato la mia vita, come questa: ‘quello che fate a uno di questi piccoli, lo fate a me’. Se si pensa che queste parole sono della Verità increata, le parole della bocca che ha detto: ‘Questo è il mio Corpo… Questo è il mio Sangue’, con che forza si è portati a cercare e ad amare Gesù in questi piccoli, peccatori, poveri». Carlo de Foucauld, il fratello universale, seppe riconoscere la presenza di Cristo, alla pari, sia nell’Eucaristia che nei poveri, compresi i non cristiani. Un vero testimone missionario! Prossimamente sarà proclamato santo.

Parola del Papa

(*) “Dovremo saper scorgere Cristo soprattutto nel volto di coloro con i quali Egli stesso ha voluto identificarsi: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete… ero forestiero… nudo… malato… carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Questa pagina non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo. Su questa pagina, non meno che sul versante dell'ortodossia, la Chiesa misura la sua fedeltà di Sposa di Cristo… Stando alle inequivocabili parole del Vangelo, nella persona dei poveri c’è una Sua presenza speciale, che impone alla Chiesa un’opzione preferenziale per loro” (i poveri).
San Giovanni Paolo II
Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte (6.1.2001), n. 49

P. Romeo Ballan, MCCJ

Prendersi cura delle povertà vicine
Matteo 25, 31-46

«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…» (Mt 25, 34-35). Un aspetto sorprendente della descrizione del giudizio finale fatta da Gesù del capitolo 25 del Vangelo di Matteo è che sia i “buoni” sia i “cattivi” non sembrano essere stati consapevoli delle proprie azioni: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?». Il primo scopo delle parole del Maestro è proprio quello di risvegliare l’attenzione di ognuno di noi. Nelle persone che hai intorno — sembra dirci il Signore — sono misteriosamente presente anch’io: nelle loro necessità c’è una mia chiamata personale rivolta a te.

«Ieri mi sono comportata male nel cosmo / Ho passato tutto il giorno senza fare domande… Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro» (W. Szymborska). Se esiste il pericolo reale di non rendermi conto del bene che sono chiamato a fare ogni giorno, è urgente esercitare quotidianamente la mia capacità di accorgermi, di prestare attenzione alla realtà: il primo peccato di omissione è proprio la disattenzione. E visto che «l’amore è attenzione» (Susanna Tamaro), il primo passo che siamo chiamati a fare è quello di non fermarci in superficie, pensando che “i poveri” siano una categoria sociologica teorica, qualcuno di cui si devono occupare solo alcune agenzie specializzate.

Ci troviamo invece di fronte a quello che Papa Francesco ha chiamato il «criterio-chiave di autenticità cristiana»: prendersi cura delle povertà di chi incontriamo. Queste povertà si manifestano innanzitutto nelle persone che incontriamo più spesso, in piccole cose come i limiti caratteriali di un genitore, le ribellioni di un figlio adolescente, la solitudine di un vicino di casa, le crisi piccole e grandi che costellano le età della vita di ciascuno. Percepire e prestare attenzione ai bisogni degli altri, con una disponibilità sincera a farcene carico giorno per giorno, è quindi il secondo passo che siamo chiamati a fare. Il brano di Matteo 25 viene proclamato nella grande solennità di Cristo Re. Questo è infatti il modo concreto con cui Dio chiede a ciascuno dei suoi figli di costruire il suo regno: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così… Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 25-27).

Stare in mezzo alle situazioni e alle persone col desiderio e il proposito di servire è un atteggiamento che cambia il mondo. E il regno di Dio non riguarda solo un imprecisato futuro, ma comincia qui e adesso, ogni volta che una persona ascolta e cerca di mettere in pratica il comandamento di Gesù.

«I seguaci di Gesù — dice ancora Papa Francesco — si riconoscono dalla loro vicinanza ai poveri, ai piccoli, ai malati e ai carcerati, agli esclusi, ai dimenticati, a chi è privo del cibo e dei vestiti». A cominciare da quei poveri che si trovano dentro le pareti di casa nostra.
[Carlo De Marchi - L'Osservatore Romano]

N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo

Quello strano re che serve i suoi sudditi

La solennità di Cristo Re è la più recente festa di idea in onore del Signore. Fu istituita nel 1925 da Pio XI, nell’ enciclica Quas primas, all’occasione del 1600° anniversario del primo concilio ecumenico di Nicea, il cui insegnamento sulla uguaglianza di natura del Cristo col Padre è la base di riconoscimento della sua regalità.

Il pontefice dichiara che questa festività vuol affermare la sovrana autorità di Cristo sulle istituzioni davanti ai progressi del laicismo nella società moderna. Egli afferma inoltre che il rimedio più potente ed efficace contro questa Forza distruttrice dell’epoca è il riconoscimento della regalità di Cristo. I suoi frutti sono “giusta libertà, ordine, tranquillità, concordia e pace”.

La propagazione il più ampiamente possibile della dignità regale del nostro Redentore doveva passare assolutamente attraverso l’istituzione di una festa propria e particolare di Cristo Re, poiché le celebrazioni liturgiche hanno un’efficacia più grande di qualsiasi documento del Magistero: istruiscono infatti i fedeli non una volta sola, ma tutti gli anni, e raggiungono n on solo lo spirito, ma anche e soprattutto i cuori. Non è questione di strumentalizzazione di una festa cristiana, perché si tratta in realtà di proclamare altamente la gloria di Cristo e di sviluppare le ricchezze della sua figura sotto nuovi aspetti: e questo corrisponde bene con l’idea cristiana della festa.

Come data di celebrazione, all’inizio, il papa stabilì l’ultima domenica di ottobre, con riguardo specialmente alla seguente festa di tutti i santi, affinché venga proclamata la gloria di colui, il quale trionfa su tutti i santi e gli eletti. Ma più tardi, La solennità del nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo spostò di data e cominciò ad essere celebrata all’ultima domenica dell’anno liturgico, quando il corso dell’anno cristiano si è compiuto e i misteri cristiani per così dire si sono conclusi. Così essa è più felicemente e saldamente collocata nel contesto escatologico che già da sempre è delle ultime domeniche dell’anno liturgico. Infatti, con questa nuova impostazione è più chiaro che il Cristo e Re glorificato è non solo il punto cui mira l’anno liturgico, ma tutto il nostro pellegrinaggio terreno. Il Signore della gloria è quindi il fine della storia umana, il punto focale dei desideri del genere umano, il centro e la pienezza delle loro più profonde aspirazioni. Egli è “l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine” (Ap 22, 13). Egli costituisce la finale perfezione della storia dell’umanità, secondo il disegno del suo amore e del Padre: “Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1, 10). La sua esaltazione nel mistero pasquale sta alla base del suo insediamento a capo dell’intera creazione.

La tematica della solennità del Cristo Re la si trova in altre celebrazioni dell’anno liturgico (Natale, Epifania, Pasqua, Ascensione…); e anzi in ogni domenica, “giorno del Signore” o giorno di festa del Kyrios-Cristo, si proclama la sua sovrana signoria. Da questa prospettiva, si potrebbe dire che l’ultima domenica dell’anno liturgico vuol celebrare in modo più organico ciò che costituisce il nocciolo di ogni celebrazione domenicale.

Il regno eterno e universale di Cristo è “regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace” (cf. il prefazio del Cristo Re). L’amore soprattutto, che è la carta d’identità del Re divino Cristo, deve essere pure il distintivo qualificante di ogni suo seguace. Egli sarà tale solo se praticherà le opere di misericordia, ricordate nel vangelo odierno. Questo brano presenta Gesù come giudice glorioso di tutti gli uomini e sottolinea come l’amore fattivo del prossimo sarà un criterio decisivo del giudizio finale, poiché Cristo si identifica con tutti gli uomini bisognosi: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Non siamo di fronte ad una sublime finzione divina, ma a una realtà: Gesù si identifica veramente con i poveri, gli ultimi, i più piccoli, i più abbandonati. Non basta conoscere il Cristo, bisogna anche riconoscerlo. Si tratta di un invito ad avere occhi nuovi per vederlo e riconoscerlo (che ha l’abitudine di viaggiare incognito) nei volti dei più bisognosi che incrociamo sul nostro cammino.

Conosciamo già la materia su cui saremmo giudicati. Non in base a titoli di merito o circa la regolarità delle pratiche religiose., ma sulla base dell’amore, della carità. Non illudersi di riuscire a fare la figura dei “primi della classe” in altre materie. Il tema dell’esame porta sul comandamento nuovo, quello appunto che dovrebbe caratterizzare ogni cristiano: l’AMORE.
Don Joseph Ndoum