Mercoledì 6 marzo 2024
Korogocho è una delle 200 baraccopoli che cingono la città di Nairobi. È un insediamento informale nato agli inizi degli anni Settanta per ospitare persone sfollate da baraccopoli più vicine al centro città. [Testo: Fabrizio Floris, L’Osservatore Romano. Foto: Flickr].

Korogocho è una delle 200 baraccopoli che cingono la città di Nairobi. È un insediamento informale nato agli inizi degli anni Settanta per ospitare persone sfollate da baraccopoli più vicine al centro città. Dall’essere lo slum più pericoloso e povero della capitale del Kenya, alla fine degli anni Novanta, oggi ci sono stati dei progressi: telefonia mobile, sistemi dei pagamenti digitali, sicurezza, sviluppo economico della città; ma il problema di fondo, la causa all’origine della povertà degli abitanti dello slum, ossia la proprietà della terra, rimane un problema insoluto.

Il governo italiano a partire dal 2004, in seguito alla Campagna “WNairobiW”, aveva deciso di convertire parte dei sui crediti nei confronti del Kenya in progetti sociali, tra questi vi era il Korogocho Slum Upgrading Programme all’interno del Kenya-Italy Debt for Development Programme (Kiddp). Un intervento del valore complessivo di 46 milioni di euro che avrebbe dovuto anche risanare la baraccopoli di Korogocho: una rigenerazione non solo infrastrutturale, ma anche sociale.

L’attuazione del progetto non è stata agevole, poiché la terra su cui è costruita la baraccopoli è di proprietà del governo, mentre le baracche sono di proprietà di persone che le affittano agli abitanti più poveri. Ne è conseguita una situazione in cui l’80 per cento dei residenti è in affitto, mentre il 20 per cento è proprietario. Il processo di partecipazione messo in atto dal progetto ha rinforzato questi pre-esistenti e sbilanciati rapporti di potere, istituzionalizzandoli a completo danno delle fasce più povere e deboli della popolazione.

Vista la complessità della questione terra e il rischio di una guerra interna, il governo italiano ha quindi indirizzato il finanziamento verso il sostegno alla costruzione di infrastrutture. Il progetto della cooperazione italiana ha permesso infatti la costruzione di una rete di 12 km di strade; sono stati poi realizzati un dispensario, una maternità, due ponti di collegamento con Dandora, una scuola (Comboni Primary School), un campo da calcio e alcuni punti luce.

Ma per quanto riguarda l’assegnazione delle terre permangono molti problemi. Ad oggi sono stati assegnati 628 plot di terra di (33x33 mq) e il «processo va a rilento», spiega uno dei responsabili del progetto: «Molti proprietari sono morti, vi sono stati degli errori, molte persone si sono aggiunte in modo indebito grazie alla corruzione». Ci sono, secondo il dottor Ooko della Fondazione Restoration Korogocho, pezzi di terreno che hanno più di otto intestatari. I progetti di sviluppo non hanno realizzato il sistema fognario e questo incrementa i costi di costruzione. La realizzazione delle strade viene ritenuta, da un lato, un elemento positivo, dall’altro ha generato espulsioni. Nel frattempo il finanziamento italiano è terminato, servirebbero altri fondi del governo keniano.

Ma con l’insediamento di William Ruto alla presidenza più che le costruzioni, quelle che sono aumentate sono state le demolizioni, cui i gruppi di difesa dei diritti come il Korogocho Justice Centre si stanno opponendo. «Non c’è trasparenza — dice Michael Odhiambo —, la vita è diventata carissima, lo scellino ha perso in un anno il 35 per cento del suo potere di acquisto. Se uno è solo ed è anziano viene mandato via senza tanti complimenti». Secondo Peter Ochieng di Saint John, inoltre, «il governo cerca di nascondere le informazioni sulla povertà per non mostrare la sua inefficienza».

Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano che ha lavorato a Korogocho in Kenya.

Si potrebbe dire che la remissione del debito italiano sia stata un’occasione perduta, ma sarebbe un giudizio troppo affrettato: ha sì realizzato iniziative importanti, ma non è stato in grado di incidere sulle cause dei problemi dello slum, in particolare la questione della terra. È mancata una leadership locale affidabile, qualcuno che intrecciasse il suo destino personale e umano a quello dei poveri. «Potrei dire — spiega uno dei più vecchi abitanti — che il governo del Kenya non è stato chiaro: ha accettato il progetto perché gli italiani mettevano i soldi, ma di fatto non era interessato alla situazione di Korogocho, non c’è stata una visione sul problema degli slums in generale. Si è dato spazio solo ai privati e, in prospettiva, alla speculazione. Sarebbe servito qualcuno come padre Alex Zanotelli, ma questo degli slums è un problema che non vede la fine». I progetti, infatti, continuano a vedere la povertà come una questione economica. Ma in realtà essa è un effetto della compressione dei diritti, in primis quello alla terra. E finché non si affronta questo tema, Korogocho continuerà ad essere una baraccopoli.

[Fabrizio FlorisL’Osservatore Romano]