Padre Bedin, comboniano in Sudan: “Cosa significa per noi Chiesa celebrare la Pasqua?”

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Sabato 30 marzo 2024
L’attesa della Pasqua di Resurrezione in un Paese al centro dei tropi conflitti dimenticati perché alimentati da interessi economici sovrastanti. La consapevolezza di essere seme sparso che porterà frutto a suo tempo. [Nella foto, una delle case dei Comboniani in Sudan]

Ecco alcune foto arrivate dalla parrocchia comboniana a Omdurman, in Sudan. In questi giorni le milizie hanno lasciato l’area. Le foto della chiesa parrocchiale e della casa dei missionari parlano da sé:

Il futuro del Sudan è ancora incerto. Il Paese è in una situazione di conflitto dal 1958; governato da una dittatura militare dal 1989 e da una visione politica in cui i diritti e la dignità della persona non dipendono dalla Costituzione ma dalla legge Islamica.

Ad oggi è passato ormai un anno da quando è iniziata la guerra  tra l’esercito e le Forze di Intervento Rapido (FIR). Uno scontro che ha causato morte e distruzione assieme a milioni di sfollati, profughi e migranti. Le persone fuggite dalla guerra si sono ammassate chi a El Genena città frontiera tra Sudan e Ciad che accoglie oltre un milione di profughi; altri sono a Wadi Alfa confine tra Sudan ed Egitto, e altri sono andati a Juba o nel confine tra Sudan ed Etiopia, altri si sono ammucchiati nella città di Port Sudan.

L’organizzazione per l’unità dei Paesi Africani sta cercando di trovare un compromesso per la pace. Ma lo scenario è molto più complesso perché la speranza della gente che soffre deve fare i conti con le forze di un sistema tecnocratico internazionale, che non riesce a cambiare i suoi paradigmi finanziari ed economici di riferimento che causano morte e distruzione.

Cosa significa per noi Chiesa celebrare la Pasqua? Ce lo chiediamo ogni giorno noi missionari, religiosi e religiose rimasti qui a El Obeid.

Il conflitto sta smantellando le infrastrutture più importanti del Paese: comunicazioni, educazione, ospedali, servizi bancari, rete imprenditoriale ed economia. Tutto funziona ma monitorato dall’esercito o dalle FIR con pagamento aggiuntivo di denaro, il che rende la vita estremamente difficile.

Manca il pane, bene di prima necessità. Oltre al pane, l’acqua. La stagione delle piogge arriva nel mese di luglio ed è quindi ancora lontana, ma l’acqua non viene distribuita alla gente. Solo la zona nord di El Obeid, cioè i quartieri di Arafat e Regheba, hanno beneficiato dell’acqua pubblica sempre in funzione perché proveniente dalla Città oasi di Bara rimasta sotto il controllo dell’esercito.

Non sappiamo quante sono le persone che hanno perso la vita perché vittime del conflitto o morte a causa della situazione di miseria o precarietà presente nel Paese. Negli ospedali di El Obeid non si ha informazione della situazione dei malati, dei feriti, della gente in grave situazione di salute. La situazione peggiorerà ulteriormente con la stagione delle piogge perché le vie di comunicazioni principali saranno impraticabili.

Con l’arrivo del mese di Ramadan, l’esercito ha fatto un grande sforzo per mettere un po’ di ordine in città. Ha chiesto di mantenere pulite le strade principali e ai venditori ambulanti, che riempivano tutte le principali vie di comunicazione di El Obeid, di spostarsi nella zona del mercato centrale. L’esercito qui a El Obeid sta cercando di chiamare alle armi più gente possibile consegnando loro un fucile e chiedendo di agire da polizia urbana.

Purtroppo questa soluzione è valida nella zona centrale ed est di El Obeid; la zona ad ovest, Hay Salam che comprende il nostro centro pastorale S. Daniele Comboni è ancora non sicura. Le FIR o bande armate fanno delle incursioni continue.

Tutto è consegnato alla Provvidenza. Celebrare la Pasqua ha un significato molto denso e profondo.

La speranza dell’oggi è che siamo riusciti a ravvivare i nostri centri pastorali: S. Daniele Comboni – Rokab, Madre Teresa di Calcutta – Tayba e S. Giuseppina Bakhita – Regheba.

Nella cattedrale abbiamo assicurato ai fedeli presenti nelle vicinanze la liturgia settimanale e domenicale, la catechesi e la preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana.

Nei Centri di Tayba e Regheba si riesce pure a celebrare qualche momento di festa e gioia. Forse quest’anno, grazie alla calma provvisoria dovuta al Ramadan, riusciamo a celebrare la veglia Pasquale tutti assieme nella cattedrale.

Cristo Risorto ha vinto la morte e il male ed è venuto ad annunciare la Pace.

Pasqua significa passaggio. Passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, dalla tristezza alla gioia, passaggio alla vita dei Figli di Dio chiamati ad essere operatori di pace e di giustizia là dove vivono.

Anche per noi qui a El Obeid questa guerra ci ha come trasformati. Ormai sappiamo che la pace sarà possibile solo se come cristiani e musulmani ci aiuteremo reciprocamente per ricostruire il Paese. Dobbiamo andare al di là degli interessi di parte. Il senso di appartenenza alla nazione come cittadini senza fare distinzione tra etnie o religione è ancora un cammino in avvenire, ma le circostanze lo hanno accelerato. Lo slogan “un popolo, una lingua, una religione per tutti” ha fatto il suo tempo.

La gente vuole vivere in uno stato democratico in cui ci siano elezioni politiche, eppure il futuro del Sudan non dipende solo dai suoi cittadini, ma dalle decisioni che saranno prese dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Ci sono, poi, le grandi imprese che finanziano la politica e l’economia delle grandi potenze, che chiedono la loro parte nello sfruttamento delle immense risorse di questo Paese. Queste imprese sono disposte a finanziare milizie armate pur di garantirsi gli introiti abusivi delle risorse del Sudan.

Davanti a tale realtà siamo chiamati a vivere la forza del granellino di senape della parabola evangelica. Siamo consapevoli di essere come la vitalità dinamica del chicco di grano che porta frutto se muore. Siamo semente sparsa, semente che porterà frutto a suo tempo. Quando non lo sappiamo perché i tempi e i momenti li conosce solo Dio nostro Padre. A noi missionari la responsabilità di non desistere, anche se affaticati, stanchi e a volte scoraggiati.

Cristo è Risorto. Questa è la certezza che portiamo nel nostro cuore. Siamo qui per essere testimoni di un evento che ha cambiato la storia dell’umanità, consapevoli che siamo protagonisti, assieme alla nostra gente e a questo popolo amato da Dio, della pace e della giustizia di questo Paese.

Buona Pasqua!

Un grande abbraccio di amicizia!
El Obeid 17 marzo 2024

Fonte: Città Nuova