In Pace Christi

Castellari Graziano

Castellari Graziano
Data di nascita : 27/11/1931
Luogo di nascita : Castel San Pietro (I)
Voti temporanei : 09/09/1953
Voti perpetui : 09/09/1959
Data ordinazione : 02/04/1960
Data decesso : 08/11/2017
Luogo decesso : Negrar (I)

P. Graziano era nato a Frassineto di Castel S. Pietro Terme, in provincia di Bologna. Ordinato sacerdote il 2 aprile 1960, rimase per qualche anno a Trento, come promotore vocazionale. Nel 1964 fu mandato in Mozambico e vi rimase fino al 2009, quando dovette ritornare in Italia per motivi di salute.

45 anni con il sorriso sulle labbra al servizio della missione
Iniziano così le brevi note biografiche inviate da P. Antonio Bonato alla notizia della morte di P. Graziano.

Assegnato alla missione di Netia (Nampula) vi rimase fino al 1968. Lì intraprese lo studio della lingua macua e seguì le scuole della missione, trovandosi molto bene. Dopo quattro anni, il superiore regionale, P. Ernesto Calderola lo mandò a Mueria. È lo stesso P. Graziano che racconta: “Quando il Regionale mi chiese di andare a riaprire il Centro Catechistico di Mueria, tentai di schivare quell’importante compito, perché non mi piaceva lasciare Netia e non mi sentivo ancora preparato. Ricordo perfino di aver detto a P. Calderola: parlano tanto di dialogo, questo non è dialogo, è un’imposizione! E lui mi rispose: nessuno ti proibisce di dialogare. Dialoga quanto vuoi. Dopo, vai a Mueria!”.

Rimase a Mueria circa un anno come formatore dei catechisti, poi, dal 1969 al 1975 fu mandato al Centro Catechistico di Anchilo, motore della nuova pastorale catechistica, liturgica e sociale, seguendo il carismatico e profeta Mons. Manuel Vieira Pinto che rappresentava il vento della speranza e del cambiamento scaturito dal Concilio Vaticano II per le diocesi del nord del Mozambico. Dal 1975 al 1997 lo troviamo a Corrane, immerso nel mondo della scuola, completamente inserito nella società mozambicana del dopo-indipendenza con i suoi pro e contro. Dal 1998 al 2005 andò nuovamente ad Anchilo come direttore del Centro, dove elaborò la revisione e la pubblicazione dei catechismi per le varie tappe del catecumenato, e come parroco della parrocchia di Momola che in quegli anni vide l’arrivo e l’insediamento di migliaia di rifugiati che trovarono in Castellari un padre e un amico.

Dal 2005 al 2010 rimase a Carapira per il servizio pastorale nella parrocchia e nelle scuole esistenti a Monapo e Namialo.

Nel 2010 dovette rientrare in Italia per motivi di salute: ritornò col corpo ma non con la mente e il cuore! Infatti, possiamo ben dire che P. Graziano è stato il primo membro “virtuale” della provincia mozambicana. Dalla sua stanza a Castel D’Azzano era sempre in comunicazione con il Mozambico, leggendo e trasmettendo notizie, scrivendo e condividendo la vita della Chiesa, della società civile e della provincia comboniana.

In tutti questi anni P. Graziano è stato l’amico di tanta gente, di tanti missionari e di tanti studenti, ha appoggiato la lotta per l’autodeterminazione del popolo mozambicano dal potere coloniale, ha condiviso con la gente le ristrettezze economiche del dopo-indipendenza e ha saputo essere esempio e voce carismatica per la crescita di una Chiesa-comunità partecipativa e solidale con gli ultimi della società. Si è spento all’ospedale di Negrar, l’8 novembre 2017 dopo una lunga vita.

P. Giocondo Pendin ha scritto: “Con P. Graziano ho vissuto poco tempo, ma ho questo ricordo vivo: durante quel mese non abbiamo quasi mai pregato tanto insieme, pochi Padre Nostro, però, a differenza di altri ‘santi’ padri con i quali si diceva un rosario dopo l’altro, con lui si aveva la sensazione di essere alla presenza del Signore”.

Il ricordo di P. Jeremias dos Santos Martins
Mi ha colto come un fulmine a ciel sereno la notizia della morte di P. Castellari mentre ero in Ciad. L’ultima volta che avevo parlato con lui era stato durante la mia visita a Castel d’Azzano, alla fine di agosto. Abbiamo parlato a lungo e l’ho visto abbastanza bene, nessuno avrebbe detto che si sarebbe spento così presto. La mia prima reazione è stata: ma è proprio P. Castellari? Sì, era proprio lui. L’8 novembre il Signore lo chiamava a far parte del gruppo di quelli che possono vederlo come Lui è, come dice S. Giovanni: “noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,2).

Anche quel giorno a Castel d’Azzano, come sempre, avevo visto P. Castellari sorridente, tranquillo, occupato con il suo computer, inviando notizie del Mozambico a tutti e sognando ancora quella missione che gli aveva preso il cuore in gioventù e che ha portato nel cuore fino alla fine dei suoi giorni. Non certo per ritornare, perché la salute e l’età non glielo permettevano, ma per sentirsi utile attraverso la preghiera, vivendo sempre interessato alla situazione del paese e del popolo mozambicano, della Chiesa locale e dei confratelli. Inviava regolarmente notizie a tanti di quelli che avevano lavorato in Mozambico e che si trovavano adesso nella diaspora, tra i quali anch’io.

Dal suo diario di missione, due anni fa, due suoi amici avevano tratto un libro che riassume tutta la sua vita missionaria dal 1964 al 2012, in particolare durante gli anni difficili della rivoluzione e della guerra civile (1976-1992): “Deboli tra deboli”. Sì, non solo “debole”, ma “deboli”, perché per lui la missione si fa e si vive al plurale, anche se era molto indipendente come persona.

Quando arrivai in Mozambico nel 1984, P. Castellari era già un missionario veterano, “antico combattente”, come si diceva a quei tempi, con un’esperienza missionaria vissuta in profondità in mezzo alla gente, sognando prima con la rivoluzione e partecipando alla festa dell’indipendenza (25 giugno 1975) e vivendo, pochi anni dopo, la delusione e la sofferenza della guerra. A lui era affidata la parrocchia di Corrane, 60 km da Nampula, e anche la cura di altre due grandi parrocchie, Mogincual e Liúpo. Questa era una zona di guerra ed era difficile il contatto con altri confratelli. Per molti anni ha vissuto da solo come comboniano, accanto a una comunità di Suore della Presentazione di Maria. Più tardi, P. Gianluca Contini, appena arrivato in Mozambico, lo raggiunse e rimase con lui fino alla fine della guerra, nell’ottobre 1992.

Senza la pretesa di essere esauriente, definirò P. Castellari come l’uomo di Dio, in cammino (perché sempre sulla strada) incontro alla gente, in particolare ai giovani e ai più abbandonati. Mi sono reso conto di questo quando gli feci visita nel 1994, dopo la fine della guerra, un periodo in cui si cercava di recuperare le persone scomparse durante il conflitto, soprattutto bambini e donne che vivevano nella zona della Renamo. Erano persone senza riferimenti. A volte non sapevano niente dei loro familiari, non sapevano bene neanche il nome del loro villaggio d’origine, ma si cercava in tutti i modi di ritrovare la loro famiglia. Abbiamo visitato insieme per due giorni i tre centri parrocchiali, fermandoci tante volte sulla strada per salutare, per avere notizie della comunità cristiana, dei giovani, di persone concrete di cui conosceva i nomi. Cercava di informarsi sulla vita della gente, su dove si trovavano, su quali erano i loro movimenti in quella zona. Non si stancava di fermare la macchina, di parlare, di dire una parola di conforto e di speranza a tanti sfollati. Tutti lo conoscevano. Infatti, era l’unico bianco e la sua, era l’unica macchina che girava in quella vasta zona abbandonata da tutti, tranne che da Dio e da P. Castellari e le Suore che insieme facevano causa comune con la gente, vivendo giorno dopo giorno, in un futuro incerto e insicuro.

I giovani avevano un posto speciale nel suo cuore. Sapeva che erano il futuro del paese e che la loro formazione umana e spirituale era molto importante per un futuro di pace in Mozambico. Li radunava, li faceva riflettere sui loro problemi e sulle loro speranze. Siccome lavorava da tanti anni alla scuola di Corrane, molti lo conoscevano come il “professor Castellari”. Molte volte i professori e gli alunni fuggivano a causa della guerra. Quando si presentiva il pericolo, la scuola rimaneva deserta, ma lui rimaneva al suo posto, mettendo la sua vita nelle mani di Dio, sapendo che gli era vicino e lo proteggeva. I giovani avevano grande apprezzamento per lui. Con loro organizzava incontri di riflessione e di preghiera, da loro sapeva quello che succedeva un po’ dappertutto, notizie riguardo alla guerra e sulla situazione della gente.

Di queste riflessioni inviava il resoconto alla rivista “Vida Nova”, rivista di formazione e informazione cristiana, unico mezzo indipendente di informazione nel paese. Inviava anche al centro catechistico e al vescovo le relazioni di quello che succedeva nei villaggi, gli attacchi dei ribelli, il numero di morti, la sofferenza della gente in quella zona pastorale a lui affidata. Viveva molto coinvolto in tutto quello che diceva rispetto alla gente e alla Chiesa. Lui e la comunità delle suore erano il punto di riferimento per quanti venivano a parlare dei loro problemi e a sfogarsi della rabbia e delle paure che portavano dentro. Ascoltava tutti pazientemente. Il tempo non contava per lui. Dava valore allo stare insieme, all’ascolto, alla compassione e al sogno di un Mozambico nuovo, di riconciliazione e di pace.

Ricordo di una storia raccontata proprio da P. Castellari, di una coppia che voleva battezzare la bambina appena nata e voleva chiamarla “Miseria”. P. Castellari e le suore chiesero perché volevano dare quel nome alla bambina. Il papà rispose che doveva chiamarsi così per la situazione in cui la bambina era nata e nella quale vivevano in quel momento, perché c’erano la guerra e la fame, perché non potevano abitare nelle loro case, vestirsi decentemente, ecc. Non potevano pensare ad un altro nome. P. Castellari non era contento di quel nome e cercò di convincere la coppia a trovarne un altro che portasse più speranza. E parlando, si dicevano reciprocamente che un giorno la guerra e la situazione di morte si sarebbero trasformate in un tempo di pace e di vita nuova. Alla fine, insieme, decisero di battezzarla chiamandola “Vittoria”. In questo nome c’è la sintesi della vita di P. Castellari: un missionario che ha passato la sua vita lottando per far vincere la vita sulla morte, per rimettere in piedi le persone, perché i mozambicani potessero ricostruire in loro l’immagine di Colui che li aveva creati “a sua immagine e somiglianza”.

La testimonianza di P. Giacomo Palagi
Ciao, Graziano! Ci hai lasciati con la tua risatina, così come eri solito fare accogliendo le persone e mettendole immediatamente a loro agio. Da Castel d’Azzano, e, ancor prima, da Verona Casa Madre, ci hai sempre seguiti, uno per uno, ed eri tu a darci le notizie di quanto succedeva in Mozambico. Hai imparato a usare i moderni mezzi di comunicazione che ti hanno permesso il contatto continuo con il mondo, con la missione, con i confratelli, con gli avvenimenti dell’Africa e del Mozambico. Sono stati i tuoi ultimi anni di missione, e di certo non i meno efficaci. E sappiamo che ad ogni messaggio inviato, a ogni contatto stabilito... hai fatto seguire la tua preghiera e il tuo ricordo amico!

È stato bello conoscerti. Ci siamo incontrati negli anni del dopo-indipendenza, prima della fine degli anni ’70. Ci eravamo appena intravisti in qualche riunione nel Centro catechistico di Anchilo, preparando l’Assemblea Nazionale di Pastorale di Beira del 1977. Tu eri a Corrane, in quella magnifica avventura missionaria e di evangelizzazione che ti ha visto passare attraverso l’esperienza di contadino e poi di maestro nella scuola media locale. In quegli anni il governo marxista leninista accettava la nostra collaborazione, ma sotto stretta vigilanza dei commissari politici.

Nel 1979, mentre ci stavamo preparando al Capitolo Generale che doveva tenersi in quell’anno, con il Provinciale, P. Danilo Cimitan, dovevamo scrivere la relazione finale, seguendo il questionario proposto dalla Direzione Generale. Già i gruppi di Nampula e Beira avevano dato il loro contributo. Si trattava di integrare la nostra parte e di dare poi al tutto una forma omogenea finale. Per l’esperienza di presenza in Mozambico che stavamo facendo, il questionario ci stava stretto, non veniva incontro alla nuova realtà della missione concreta in contesto marxista. Ci risuonavano forti i punti fermi stabiliti nell’Assemblea Nazionale di Pastorale del 1977. E sapevamo che P. Graziano ne era stato il protagonista, con Mons. Manuel Vieira Pinto, Vescovo di Nampula: “Una Chiesa fatta di piccole Comunità ministeriali, inserite nel contesto della rivoluzione marxista; non in opposizione, ma in dialogo e nella ricerca di collaborazione. Una Chiesa povera, spogliata di ogni privilegio e delle infrastrutture che ne avevano appesantito il cammino, carica ora solo della Parola di Dio”. Così P. Danilo ci incaricò di stendere la relazione tenendo presente tutto il materiale elaborato nei tre gruppi ma soprattutto ci fece capire che la chiave di lettura di quel materiale doveva essere quanto P. Graziano aveva detto: “Siamo in un momento privilegiato per la Missione e per la Chiesa in Mozambico. Non rimpiangiamo i metodi e i mezzi del passato, spazzati via nel giorno delle nazionalizzazioni, ma guardiamo avanti positivamente, finalmente poveri tra poveri, condividendo con la gente un nuovo cammino, imprevedibile ma provvidenziale per la Chiesa e per noi Missionari”.

Ne venne fuori quella che fu la famosa “Relazione al Capitolo della Provincia del Mozambico”, del 1979, da molti criticata perché non rispondeva alle domande del questionario, ma dai più vista come un cammino nuovo di missione, contributo reale al cammino di tutto l’Istituto chiamato a vivere in contesti sempre nuovi e sempre più esigenti.

Graziano, grazie per tutto questo, per aver sempre aiutato tutti noi a fare un salto di qualità con quel colpo d’ala che eri capace di dare e che ci indicava il cammino da seguire.

La morte e il funerale
Alla notizia della morte di P. Graziano Castellari, la prof.ssa Patrícia Teixeira Santos (assistente presso il Dipartimento di Storia dell’Università Federale di San Paolo, Brasile, e ricercatrice del Centro di Studi Africani dell’Università di Oporto, CEAUP) che ha curato, assieme al prof. Nuno de Pinho Falcão, la pubblicazione del diario di P. Castellari, “Deboli tra deboli. Memórias de um missionário em Moçambique, 1964-2005”, ha scritto: “Addio, caro amico. Spazio e Tempo non ti tengono più prigioniero. Hai vissuto il Vero Amore. Vola sorridente, come un uccellino libero, verso il bel destino che solo lo Spirito che ha molto amato ha osato conoscere. Va’ in pace. Qui avremo tanta nostalgia fino al giorno in cui saremo liberi per il nostro volo più lungo. Un abbraccio a tutti i tuoi amici e al Mozambico, il grande amore della tua anima missionaria. Con amicizia. Patrícia Teixeira Santos, a nome di tutta l’equipe che ha prodotto l’opera ‘Deboli tra i deboli’”.

Al funerale, diversi confratelli hanno dato la loro testimonianza.

P. Francesco Antonini: “Andava a lavorare nei campi con la gente. Un uomo che non si è mai risparmiato, assolutamente. Ha dato tutto, sempre nella linea dell’evangelizzazione. Nei primi anni è stato in missione e poi lo hanno incaricato di iniziare un centro catechistico... Hanno iniziato il centro catechistico di Anchilo, la rivista Vida Nova, che ancora vive e ha più di 20.000 abbonati. Ha portato avanti tutto questo lavoro alla grande. È una figura missionaria molto bella. Uomo di dialogo, a modo suo, testone: dialogava, ma questo non voleva dire che cambiava idea… tenace nel portare avanti le cose, mai preoccupato di se stesso, un uomo di comunione anche in diocesi, con il clero locale aveva una bellissima relazione. Il rapporto con la gente, la dedizione totale all’evangelizzazione e avere criteri di discernimento nelle cose, questo era forte in lui.

Viveva per il Mozambico. È sempre stato molto legato al centro catechetico e alle traduzioni. Lui direttamente non traduceva, ma creava le condizioni, spingeva. Abbiamo tutti i libri liturgici frutto di quelle traduzioni, fatte da P. Gino.

P. Gino Centis: “La persecuzione, è stata la fonte di tantissime conversioni e di convinzione profonda, perché gli evangelizzatori sono gli stessi catechisti. Si può dire che valgono più i catechisti dei missionari. P. Castellari è stato quello che ha parlato di più con la gente. Andava, trovava un gruppo per strada e si fermava a parlare. Alla sera riuniva un gruppetto e si faceva evangelizzare dalla cultura Macua. Così si sono formati dei catechisti consapevoli di essere apostoli della Parola di Dio. Formava catechisti evangelizzatori. Questo ha fatto radicare la fede nella gente.Voleva che i laici insegnassero e crescessero con la grazia del Signore e con la Parola di Dio. È andato là senza voler fare cose grandi. Le comunità nascevano non per il lavoro del missionario, ma per il lavoro dei laici che erano già cristiani.

Dal suo diario “Deboli tra deboli”

A proposito delle parole precedenti, di P. Centis, riportiamo alcune righe del diario di P. Graziano, che si riferiscono agli ultimi anni del 1970, subito dopo l’inizio della guerra civile fra Renamo e Frelimo, quando, assieme a un sacerdote portoghese e a Fr. Tomas Giovanni, si costruiscono una casetta con un pezzetto di terra: “Era l’ideale! Vivere con la gente – scriveva P. Graziano – come la gente, poveri e deboli come loro”. Presto rimane solo e ‘radicalizza’ ulteriormente il suo inserimento nell’ambiente sociale: rinuncia persino alle scarpe. Trascorrono gli anni e, piano piano, le tre minuscole comunità cristiane si moltiplicano. “Ma non le facevo sorgere io. Capitava che un gruppo di cristiani, dopo un lungo periodo di nascondimento, decideva di riprendere a vivere la propria fede pubblicamente. Venivano da me e mi dicevano: ‘Vieni a riorganizzarci’. Non ho mai ceduto a questa tentazione. Rispondevo: ‘Siete adulti, non più bambini. Cominciate a unirvi, cercate tra di voi i vostri responsabili... Solo dopo aver fatto questo, tornate ad avvisarmi che ormai la comunità cristiana ha ripreso a vivere’. E capivano il discorso. Erano diventati autonomi politicamente; dovevano diventarlo anche ecclesialmente. Cioè imparare a camminare con le loro gambe”.
Da Mccj Bulletin n. 274 suppl. In Memoriam, gennaio 2018, pp. 147-156.