Missione come servizio: I ministeri nell’Istituto comboniano

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Sabato 19 giugno 2021
Il modello della Missione Cristiana come Servizio, ispirato al Concilio Vaticano II, suggerisce un approfondimento della riflessione sui Ministeri nella Chiesa e sulla trasformazione sociale, e offre il contesto in cui collocare l’attuale dibattito sui ministeri nell’Istituto comboniano. [P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj]

1. Introduzione

In un primo momento, mi è venuto spontaneo aggiungere, come sottotitolo a questo testo, La Ministerialità nell’Istituto Comboniano, aggiungere, cioè, una parola adesso in uso che spiegasse il motivo di questa riflessione: il desiderio di dare un contributo al “dibattito” in corso, tra noi, sui ministeri e, in particolare, sui ministeri cosiddetti “sociali”.

Ma, di immediato, la parola mi è apparsa inadeguata, troppo teorica, ideologica. Da quando è cominciata ad apparire, nei nostri testi, mi ha incuriosito: che cosa si vuol dire con la parola ministerialità? Di quale “quinta essenza” vogliamo parlare, con questa sostantivazione dell’aggettivo ministeriale? Quale qualità vogliamo affermare? Nella mia lingua originaria, la parola non esiste. Ho cercato nei dizionari d’italiano e non l’ho trovata. I dizionari riportano la parola ministero, che definiscono come “ufficio di grande responsabilità morale e sociale, svolto con senso del dovere a favore della collettività; missione” ([1]).

Poi, mi sono accorto che forse cercavo la parola nel luogo sbagliato. E sono andato a vedere nei vari dizionari di Teologia, dizionari Biblici e Pastorali, di Spiritualità e Missiologia ([2]). Anche qui ho trovato la parola ministero, ministeri, elaborazioni sui ministeri ordinati e non-ordinati nella Chiesa, approfondimenti sui ministeri pastorali ([3]), sui ministeri laicali ([4]), ma non ministerialità.

Per ultimo, ho cercato su internet, da dove avrei dovuto cominciare… Ho “googlato” ministerialità, ma non è venuto fuori niente; poi ministerialità nella Chiesa ed è venuto fuori qualcosa, anche i testi circolati nei nostri siti e preparati da comboniani, oltre che un testo della Civiltà Cattolica. Poi, ho cercato sull’autorevole (?) Wikipedia, ma ministerialità non è venuta fuori; come risposta ho avuto l’invito a preparare la pagina sul tema. Qualche giorno fa, avevo letto che l’Accademia dei Lincei ha convalidato alcune parole, neologismi coniati da Papa Francesco, ma neanche qui ho trovato il riconoscimento della parola ministerialità. Allora mi sono deciso per il sottotitolo che trovate all’inizio, “I ministeri nell’Istituto comboniano”, aprendolo alla Chiesa e alla società e cercando d’integrare la prospettiva storica.

2. Di che cosa parliamo?

È importante chiarire di che cosa parliamo quando diciamo ministerialità, per cercare di parlare con concretezza e non solo per usare parole della moda, più o meno corrente. Prendiamo, perciò, una definizione in prestito, che preferiamo per la sua chiarezza ([5]). “Il termine è un neologismo. In parole semplici, esso significa spirito di servizio competente a diversi livelli e in diverse mansioni. (…). Il significato del termine ministerialità si rifà al significato etimologico del termine latino ‘minister (ministro), che richiama la parola ‘manus (mano). Il minister era il servitore a tavola, che rappresentava il signore della casa che aveva indetto e organizzato un convito. Poiché il signore della casa non poteva servire personalmente i molti commensali, i ‘ministri’ o servitori della mensa lo rappresentavano. Essi erano il prolungamento delle sue mani, cioè, il prolungamento della sua generosità, accoglienza e spirito di famiglia”.

Poiché parliamo di ministeri nella Chiesa e nell’Istituto comboniano, bisogna riferirsi a Gesù e al suo movimento. “Gesù ha insegnato ai suoi apostoli a considerare la loro funzione come un servizio (Mc 10, 42 ss)” ([6]). E nella Chiesa primitiva la parola ministero è usata per altri servizi, oltre l’apostolato dei dodici: “Il termine diakonia è applicato innanzitutto a servizi materiali necessari alla comunità, come il servizio delle mense (Atti 6, 1 e 4; 12, 29; Rom 15,31)” ([7]).

Qualsiasi breve ricerca sui ministeri, nei dizionari di teologia biblica, ci fa vedere il cammino che la riflessione sui ministeri ha fatto nella Chiesa: dalla considerazione teologica e ontologica ad una considerazione più pastorale e missionaria; dalla prevalenza del ministeri ordinati alla considerazione dei ministeri non ordinati; dal fondamento Cristologico dei ministeri all’origine carismatica dei medesimi nell’agire dello Spirito Santo; dalla considerazione teologica allo sviluppo ecclesiologico dei ministeri. Ogni cristiano, dunque, per virtù del Battesimo, riceve una chiamata a esercitare i ministeri in tre ambiti: profetico, regale e sacerdotale, a immagine di Cristo ([8]).

Qui non possiamo che accennare a questo cammino, concentrando la nostra attenzione sull’approdo che il Concilio Vaticano II costituisce. La riflessione conciliare rimane per noi il punto di riferimento per la corretta comprensione dei ministeri nella Chiesa oggi. Essa ci offre i riferimenti fondamentali ai quali ci rifacciamo quando parliamo di ministeri: la sua unità, la sua diversità e complementarità. Il Vaticano II “insegna che l’ufficio affidato da Cristo ai pastori del suo popolo è un vero servizio (LG 24)” e che “la chiesa stessa, per sua natura, è diakonia, servizio (LG 8 e GS 21”) ([9]).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea, a conclusione, che “è Cristo stesso l’origine del ministero nella Chiesa” (nº 874), che i ministeri “tendono al bene di tutto il corpo” e che “tutti sono chiamati ad attuare (i ministeri) secondo la condizione di ciascuno” (nº 871); le differenze dei ministeri nella Chiesa “sono in funzione della sua unità e della sua missione” (nº 873).

3. La nostra prospettiva: sintesi e integrazione

La nostra prospettiva è, dunque, quella che brevemente mette in risalto, in primo luogo, la matrice ecclesiale dei ministeri; e, in secondo luogo, la loro integrazione. I ministeri di cui parliamo sono nati nella Chiesa con una duplice origine che si richiama a vicenda: Cristo e lo Spirito Santo, suo dono pasquale. E sono concessi, a tutti e a ciascuno, per un duplice fine: la crescita e la coesione interna della Chiesa, da una parte, e la testimonianza, cioè, la crescita esterna della Chiesa (si veda, ad esempio, la prima lettera ai Corinzi, capitoli 12 e 14), dall’altra.

Questa prospettiva, che viene dalle Scritture del Nuovo Testamento, è assunta anche dalla visione del Concilio Vaticano II, che distingue e allo stesso tempo integra “il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico”: “quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all'offerta dell'Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e la carità operosa” ([10]).

Il Vaticano II afferma anche che ci sono altri ministeri, oltre quelli ordinati e trasmessi per l’imposizione delle mani: “Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma «distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui» (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: «A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio» (1 Cor 12,7). E questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione” ([11]).

Il Vaticano II riconosce l’autonomia della scienza, della tecnica e il carattere secolare della società ([12]) e afferma che “ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione” ([13]).

Il Concilio vede i fedeli laici inseriti nella società secolare, poiché “l’indole secolare è propria e peculiare dei laici” ([14]) e recupera l’immagine che la Lettera a Diogneto usa per parlare e presentare i cristiani nel mondo: “ciò che l’anima è nel corpo, questo siano nel mondo i cristiani” ([15]). I cristiani laici “sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando la propria professione sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità”; mentre i (laici) consacrati “col loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini” ([16]).

È interessante notare che in questi due documenti, finora citati, espressione della coscienza che la Chiesa del Vaticano II ha di sé (Lumen Gentium) e della sua missione nel mondo attuale (Gaudium et Spes), il Concilio non usa i termini ministero/ministeri per parlare dell’essere e dell’agire dei laici cristiani nella società. Usa, come abbiamo visto, i termini di attività, impegno, professione, competenza, cooperazione, e i fedeli laici sono visti, come d’altronde tutta la Chiesa, a servizio dell’uomo integrale ([17]).

Sappiamo, che questi due documenti non sono la sola parola che il Vaticano II ha detto sui laici. Abbiamo, ancora, il decreto conciliare Apostolicam Actuositatem sull’apostolato dei laici. Questo documento recupera il termine ministero/ministeri per parlare dell’apostolato dei laici. Per l’esercizio di questo apostolato “lo Spirito Santo elargisce ai fedeli anche dei doni particolari (1 Cor 12,7) «distribuendoli a ciascuno come vuole» (1 Cor 12,11), affinché mettendo «ciascuno a servizio degli altri il suo dono al fine per cui l'ha ricevuto, contribuiscano anch'essi come buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio» (1 Pt 4,10) alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cfr. Ef 4,16) ([18]). Per il Vaticano II “c’è nella Chiesa diversità di ministero, ma unità di missione” ([19]).

L’apostolato dei laici è visto come testimonianza da dare a Gesù Cristo e al Regno di Dio, nella Chiesa e nel mondo: “L'apostolato si esercita nella fede, nella speranza e nella carità: virtù che lo Spirito Santo diffonde nel cuore di tutti i membri della Chiesa (…). A tutti i cristiani, quindi, è imposto il nobile impegno di lavorare affinché il divino messaggio della salvezza sia conosciuto e accettato da tutti gli uomini, su tutta la terra” ([20]).

Il Vaticano II asserisce che “i laici, dunque, svolgendo tale missione, esercitano il loro apostolato nella Chiesa e nel mondo, nell'ordine spirituale e in quello temporale” ([21]); e nel documento offre indicazioni sulle finalità, i campi e le modalità dell’apostolato dei laici, tanto individuale come associativo; e conclude con le indicazioni per la formazione all’apostolato e la necessaria integrazione dei carismi dei laici con gli altri carismi nella Chiesa.

Non possiamo qui soffermarci troppo a lungo su questa presentazione conciliare sui laici, ma prendiamo nota del fatto che essa segnala un percorso nuovo di coscienza e azione del laicato nella vita e missione della Chiesa. Per quanto ci riguarda, come missionari comboniani, la visione conciliare è stata all’origine del rilancio dei centri di formazione dei laici (centri catechetici e altri…), e della promozione dei ministeri nelle comunità cristiane (visione missionaria uscita dal Capitolo Generale del 1969). Lo slancio post conciliare ha tenuto assieme la doppia prospettiva – della Lumen Gentium e Gaudium et Spes, da una parte, e della Apostolicam Actuositatem, dall’altra – cioè, immersione nel mondo secolare e autonomo, come lievito, facendo leva su professione e competenza, e apostolato per la testimonianza a Cristo, facendo leva sui carismi e doni dello Spirito per la missione della Chiesa.

4. La trasformazione sociale

I ministeri sociali stanno in stretto rapporto con la trasformazione sociale: dobbiamo, perciò, aggiungere un accenno alla trasformazione sociale nel Vaticano II. Lo prendiamo dal documento sull’attività missionaria della Chiesa, una parola del concilio intesa particolarmente per noi missionari: “I fedeli debbono impegnarsi alla giusta composizione delle questioni economiche e sociali… Portino i cristiani il loro contributo ai tentativi di quei popoli… che si sforzano per creare migliori condizioni di vita. In queste attività ambiscano i fedeli di collaborare intelligentemente alle iniziative, promosse dagli istituti privati e pubblici, dai governi, dagli organismi internazionali, dalle varie comunità cristiane e dalle religioni non cristiane. La Chiesa non desidera intromettersi nella direzione della società terrena. Essa non rivendica a sé stessa altra sfera di competenza, se non quella di servire gli uomini” ([22]).

Nello sviluppo conciliare successivo, avente come soggetto i cristiani laici, ha preso momentum questa questione del loro coinvolgimento nella trasformazione sociale, cioè, il rapporto tra missione della Chiesa e società, cultura, politica, economia, natura. Nell’America Latina, la Teologia della Liberazione e la promozione delle Comunità Ecclesiali di Base (CEBs) premevano per una nuova visione e sintesi tra missione della Chiesa e società, col coinvolgimento dei cristiani nella liberazione dei popoli. Nell’Africa, i movimenti di liberazione facevano leva sull’identità culturale e politica dei popoli e i missionari ripensavano il rapporto evangelizzazione-società e promuovevano il ruolo dei laici nella Chiesa e nella società. Il magistero ecclesiale del post Concilio (Papa Paolo VI con l’enciclica Populorum Progressio, del 26 marzo 1967, e l’esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, dell’8 dicembre 1975) accompagna questa riflessione ed evoluzione della prassi ecclesiale.

La prospettiva dominante è quella della preparazione dei laici per il coinvolgimento nella trasformazione sociale, nell’ambito politico e sociale, secondo la visione della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes; e per il loro coinvolgimento nella vita della Chiesa, secondo la linea dei ministeri e le indicazioni del decreto Apostolicam Actuositatem. In questo documento, i padri conciliari fanno riferimento all’Azione Cattolica ([23]), che è rimasta paradigmatica di questo coinvolgimento dei laici nella trasformazione sociale e della spiritualità per vivere la fede cristiana nell’ambito della società secolare. Ma, oltre all’Azione Cattolica, altri movimenti hanno spinto i cristiani laici su questa via e arricchito la vita della Chiesa, nell’immediato post concilio, con una stagione ricca di fecondità e iniziative apostoliche, con la comparsa di forti personalità cristiane nell’ambito della politica, dell’economia, e della trasformazione sociale e culturale (particolarmente in Europa, con la generazione dei padri ispiratori della Comunità Europea e la visione di un cristianesimo sociale ispirato al Vaticano II; ma anche in Africa abbiamo esempi, come il presidente della Tanzania Julius Nyerere) ([24]).

5. L’interesse per i ministeri

Per quanto riguarda i ministeri ordinati, il Concilio Vaticano II ha approfondito e chiarito la missione dei vescovi nella Chiesa ([25]) e ha dato indicazioni sulla formazione, sul ministero e la vita dei presbiteri ([26]), omettendo una riflessione approfondita sui presbiteri e sul modello vigente del sacerdozio. In questo ambito dei ministeri ordinati, l’unico sviluppo nell’immediato post concilio è stato la questione della possibile ordinazione dei probi viri (uomini provati), con la considerazione della possibilità di ordinare uomini sposati. Era un tentativo di risposta alla mancanza di ministri ordinati in alcune regioni, più che segnale della crisi che posteriormente si è aperta nell’ambito dei ministeri ordinati, particolarmente del sacerdozio.

L’interesse ai ministeri, specialmente ordinati, da parte dei laici, di uomini e donne, sposati e non sposati, nella Chiesa, è uno sviluppo successivo, più vicino ai nostri giorni. Questo interesse può essere visto, e valutato, da vari punti di vista: da un punto di vista ecclesiologico, come conseguenza di una riflessione che richiede la revisione dei modelli dei ministeri, ordinati e non ordinati, per rispondere ai bisogni di crescita e coesione della Chiesa; da un punto di vista sociologico, come conseguenza dell’adozione, nella vita della Chiesa, di criteri e valori della società attuale (come la parità di genere, uguaglianza uomo donna, e i diritti nella società democratica).

Questo interesse dei cristiani laici per i ministeri ordinati che emerge nel nostro tempo, in forme anche sorprendenti (come quella del gruppo di donne cattoliche francesi che si sono offerte al nunzio apostolico a Parigi come candidate al ministero episcopale in una diocesi vacante), può essere anche considerato dal punto di vista dello sviluppo storico nel post concilio Vaticano II ([27]) e dell’evoluzione della società secolare. Questo interesse dei laici cristiani, uomini e donne, sposati e no, per i ministeri ecclesiali, particolarmente per quelli ordinati, può essere visto come sintomo del ripiego dei laici nell’ambito ecclesiale e dell’abbandono (withdrawal) della società secolare.

Questo ripiego ha permesso alla Chiesa di gestire la crisi della mancanza di ministri ordinati, particolarmente di sacerdoti, aprendo ai laici alcuni ministeri finora in mano ai presbiteri. Ma ha avuto una ricaduta negativa e ha messo a nudo una situazione che è molto lontana dal sogno conciliare: i laici cattolici hanno disertato la società secolare, rinunciando alla sfida di calare in essa, come lievito, il Vangelo di Cristo.

Si può discordare da questa interpretazione, ma non ignorare la situazione attuale: oggi siamo senza laici cristiani, impegnati come tali nella politica, nella cultura e nell’economia, negli ambiti in cui si concepisce e gestisce la società postmoderna attuale (in Europa, ma anche in Africa e negli altri continenti…). Più che vivere come lievito nella società secolare, e così evangelizzare la società, come aveva sognato il Vaticano II, i laici si trovano adesso, in un movimento di ripiego, a secolarizzare la Chiesa; cioè, a trasformare la Chiesa secondo i valori e i parametri della società secolare ([28]).

Si pensi quello che si pensi su questa questione dei ministeri e della missione dei laici nella Chiesa, una cosa è oggi chiara: il ruolo dei laici nella trasformazione sociale, per dirla con parole del passato, o la questione dei ministeri sociali, per dirla coi neologismi di oggi, è aperta alla discussione, con la Chiesa in alto mare, per entrambi gli ambiti, ministeri e presenza nella società attuale ([29]). In questo contesto, il pontificato di Papa Francesco appare come sorpresa propositiva, col suo richiamo alla Chiesa d’oggi a riallacciarsi al sogno del Concilio Vaticano II, assumendo la sua condizione di “Chiesa in uscita” e “ospedale da campo” ([30]) e riposizionandoci nelle nuove frontiere (esistenziali, etiche, culturali e sociali, oltre che geografiche) nella fedeltà al Vangelo di Cristo ([31]). Cioè, con la sua proposta di una ecclesiologia di comunione e ministerialità, che vede la Chiesa come comunità di discepoli-missionari, in uscita per un servizio al mondo, con la testimonianza e l’offerta del Vangelo, e che scommette molto sui laici ([32]).

6. I ministeri nell’Istituto Comboniano

In un modo necessariamente breve, con quanto detto fin qui si è cercato di delineare lo sfondo sul quale collocare la questione della trasformazione sociale e dei ministeri nell’Istituto comboniano, integrandoli con una prospettiva storica.

Il movimento missionario dell’Ottocento, l’humus ecclesiale in cui è nato e si è affermato l’Istituto comboniano (1872) è stato fortemente segnato “dall’idealismo della trasformazione sociale ispirata al Vangelo. Nell’Ottocento, si partiva dall’esperienza cristiana, dalla liturgia e dalla vita sacramentale, per portare il Vangelo alla società e innescare la trasformazione sociale e culturale ad esso ispirata” ([33]). Una prospettiva e una sfida vincente se guardiamo all’ottimismo che ha spinto tanti cristiani in Europa ad appassionarsi alla trasformazione sociale ispirata al Vangelo e a portare il Vangelo di Cristo in Africa e Asia.

Daniele Comboni (1831-1881) vede le sue iniziative missionarie, e gli istituti da lui fondati ([34]), alla luce di un piano missionario ([35]) che cerca la rigenerazione dell’Africa con l’Africa; cioè, una trasformazione della società africana per mano degli stessi africani e ispirata al Vangelo e alla vita cristiana. Comboni cerca l’incontro con questi popoli: fa la mappatura del territorio del Vicariato che gli è affidato, della geografia e delle etnie, dei popoli e delle loro lingue ([36]). Delle sue spedizioni missionarie fanno parte in numero significativo, talvolta maggioritario, i laici artigiani e maestri di professioni, oltre ai preti; come anche le donne, le suore missionarie, per rispondere alle sfide della trasformazione sociale, declinata al femminile. E il modello di stazione missionaria che organizza, prevede residenze per i sacerdoti, i laici e le suore, scuole e officine, la chiesa e il catecumenato. La personalità del Fondatore e questo modello del “tutto in uno stesso spazio fisico” favorisce l’integrazione tra evangelizzazione e trasformazione sociale ma, dopo la sua scomparsa, non elimina le naturali tensioni tra i due impeti della missione, evangelizzazione e promozione umana e, di conseguenza, tra ministeri ordinati e non ordinati.

Questa polarità ministeriale, tra ministeri ordinati (sacerdoti) e non ordinati (fratelli), accompagna la storia comboniana fin dai suoi inizi, coi sacerdoti a tendere per il “battezzare prima” e i laici (fratelli, maestri) a spingere per il “civilizzare prima”. Si tratta di una polarità che segna i momenti di svolta, di configurazione dell’Istituto, come la trasformazione in Congregazione Religiosa (nel 1895) e il duplicarsi dell’eredità comboniana in due congregazioni religiose (nel 1922-1923: Figli del Sacro Cuore di Gesù, FSCJ, e Missionari Figli del Sacro Cuore, MFSC). Mentre i MFSC promuovono una missione più laicale, secolare, con un ruolo incisivo dei fratelli che vengono più curati nella loro preparazione secolare, professionale e maggiormente coinvolti nella gestione materiale della missione (e meno curati nella preparazione religiosa spirituale), i FSCJ promuovono una missione più incentrata sul ministero ordinato e più conformata alla dimensione spirituale, dove i sacerdoti sono protagonisti e si “accaparrano” la direzione di centri di formazione e scuole (la formazione spirituale dei fratelli laici è assicurata, ma la loro preparazione professionale lo è meno).

Questa situazione, per quanto riguarda i ministeri, viene capovolta con la riforma conciliare (Capitolo Generale del 1969) che apre ai fratelli nuovi orizzonti di coinvolgimento nella missione, abbracciando l’idea della ministerialità e della promozione dei ministeri laicali (catechisti, leader laici, anziani… ), facendoci arrivare alla situazione nella quale ci troviamo oggi, che vede i ministeri ordinati e non ordinati ugualmente coinvolti nella missione ed evangelizzazione, ognuno secondo le proprie specificità.

È opportuno concludere questa brevissima sintesi sui ministeri nell’Istituto comboniano con tre osservazioni. Prima: fino al Capitolo del 1969 il coinvolgimento dei fratelli nella trasformazione sociale era svolto prevalentemente in un contesto che possiamo chiamare “istituzionale”, cioè, nel contesto delle scuole, collegi, scuole tecniche, cliniche e ospedali, città dei ragazzi e centri per la formazione dei leader… Col passare degli anni dopo il Capitolo del 1969, però, si è aperta la strada ad un coinvolgimento più immediato e incentrato sui progetti, su forme d’intervento a misura più personale e di risultati più immediati; e si è persa, a livello d’Istituto, la capacità di sostenere queste strutture, che richiedono tempi lunghi e preparazione specializzata.

Seconda osservazione; mentre fino al Capitolo del 1969 i laici coinvolti nella missione comboniana erano prevalentemente i fratelli (laici consacrati), nel dopo concilio si apre strada al coinvolgimento di volontari e laici (non consacrati), un’apertura approdata alla nascita dei Laici Missionari Comboniani. Inoltre, e poi, il coinvolgimento delle donne nella missione ha cambiato paradigma dopo il Vaticano II; e, per noi comboniani dopo il capitolo del 1969, il rapporto con le Suore Missionarie Comboniane ha cambiato paradigma, sotto il segno della collaborazione e dell’affermazione del femminismo, del crescente maggior coinvolgimento delle donne nella vita e missione della Chiesa.

Terza osservazione: mentre fino al Capitolo del 1969 e al testo attuale della Regola di Vita ([37]), si parla di lavoro, professione, ufficio e competenze, testimonianza per indicare il coinvolgimento dei fratelli nella missione e nella trasformazione sociale, oggi si parla di ministeri sociali, favorendosi così il trend corrente, rispecchiando (almeno nel linguaggio, ma non solo… come abbiamo visto sopra) una certa clericalizzazione del ruolo dei laici (dei fratelli) nella vita e missione dell’Istituto.

Questi tre cambiamenti hanno alterato il contesto del coinvolgimento dei laici nella missione comboniana e arricchito la riflessione sui ministeri.

7. Missione come servizio

Il modello della missione come servizio ci invita a vedere i ministeri, tanto ordinati come non ordinati, come doni di Cristo e del Suo Spirito per la crescita della Chiesa e per il suo “servizio alla persona e alla famiglia umana” come tale (Gaudium et Spes, 92). Richiamiamo il Concilio Vaticano II perché il modello della missione come servizio si è imposto soprattutto nel dopo concilio, sia in campo cattolico come tra le chiese separate dalla comunione cattolica ([38]): i cristiani danno il loro contributo alla trasformazione sociale e vivono la loro missione di servizio all’umanità “esercitando le loro professioni con competenza e fedeltà” e operando “come lievito del mondo nell’ambito familiare, professionale, sociale, culturale e politico” ([39]).

Inoltre, il modello della missione come servizio ha ricevuto una spinta col pontificato di Papa Francesco che, particolarmente nell’enciclica Fratelli Tutti vede la Chiesa e le Religioni al servizio dell’aspirazione universale alla fraternità ([40]) e, dopo aver descritto le ombre di un mondo chiuso, i sogni che sono andati in frantumi, propone l’amore che si fa concreto nel servizio, secondo la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37).

Questo modello di missione, infatti, affonda le sue radici nel movimento di Gesù e nei Vangeli, che ci fanno vedere Gesù molto vicino alla gente e attento alle loro situazioni e storie, ai loro bisogni. Gesù fa un annuncio e compie dei gesti, dei segni, che vanno incontro ai bisogni delle persone e testimoniamo un’esperienza nuova della sovranità di Dio, come sogno di Dio, di ispirare ogni forma di società. “Il figlio dell’uomo, infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45) dice Gesù di sé stesso; e affida ai suoi apostoli e discepoli, come testamento, il comandamento dell’amore che si manifesta nel servizio: “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica” ([41]).

La prima comunità di Gerusalemme si organizza secondo questi criteri di Gesù e stabilisce i diaconi per servire alle tavole e andare incontro ai bisogni dei poveri, degli orfani e delle vedove. C’è certamente una parte di progettualità e ideale nella descrizione delle prime comunità che ci offrono gli Atti, ma è evidente che l’attenzione ai poveri e il servizio sono parte del “DNA” delle comunità cristiane primitive e della concezione dei ministeri. Paolo parla della sua missione al servizio del Vangelo e, nello stabilire e organizzare le comunità cristiane nel mondo ellenico, non dimentica quelle più povere e i poveri di Gerusalemme (1 Corinzi, 16). L’apostolo delle genti offre, poi, la prima visione teologica dei ministeri nelle comunità cristiane e delle esigenze della testimonianza cristiana nel mondo (1 Corinzi, 12-14).

La storia della Chiesa e della missione cristiana nel mondo (che qui possiamo solo menzionare) testimoniano quest’attenzione ai poveri e questa concezione di una missione come servizio all’umanità. Con alti e bassi, con dei limiti e aspetti controversi, una catena di ospedali, scuole di ogni tipo, officine ed università hanno dato corpo ad un coinvolgimento dei cristiani nella trasformazione delle società secondo i valori del Vangelo, dal medioevo all’età moderna, fino ai nostri giorni, dall’Africa all’Asia e alle Americhe.

Il modello della missione come servizio si è rivelato particolarmente ricco dal punto di visto carismatico, facendo sorgere nella Chiesa un grande varietà di carismi e ministeri, nell’ambito della salute, dell’insegnamento e della scuola, della promozione dello sviluppo umano e della liberazione integrale. Inoltre, ha ravvivato la motivazione vocazionale di tanti cristiani, come fonte d’ispirazione e orizzonte d’impegno nella rigenerazione delle persone e nella trasformazione delle società. Anche nella storia comboniana, questo modello si è rivelato fonte di forte motivazione missionaria, dal Fondatore San Daniele Comboni (come abbiamo visto) ai comboniani che ai giorni nostri hanno incarnato e vissuto in un modo eccellente questo modello della missione come servizio alla vita e all’umanità ([42]).

Per ultimo, il modello della missione come servizio offre la possibilità di sostenere una presenza missionaria in condizioni non favorevoli, quando altri modelli non sono possibili (come le scuole e gli ospedali nel contesto islamico fondamentalista); riscuotendo apprezzamento nelle società in generale, si mostra efficace anche nel favorire il dialogo con altre religioni e culture (particolarmente nel contesto asiatico).

Per quanto detto fin qui, il modello della missione come servizio ha anche ciò che occorre per far cadere nella tentazione che assedia i vari modelli di missione: cioè, isolarsi dagli altri modelli, pensarsi in modo esclusivo e affermarsi come unico o determinante; smettere di dialogare con gli altri modelli e di mantenersi in comunione con essi, perdendo di vista la qualificazione cristiana del servizio e allontanandosi dalla fonte che garantisce la sua autenticità, in termini di testimonianza, e la sua fecondità, in termini di efficacia evangelica. Il risultato di questa situazione è la riduzione della missione ad azione sociale, lo scambio del lavoro missionario con il lavoro umanitario, che apre alla confusione tra l’agire della missione cristiana e l’agire delle organizzazioni non governative e riduce la Chiesa a una ONG ([43]).

8. I nodi da verificare

La raccolta delle iniziative attuali, nell’ambito della ministerialità sociale e in seno alla Famiglia comboniana, con le testimonianze dirette dei loro protagonisti e ispiratori, offre una veduta d’insieme e una panoramica aggiornata sulla ministerialità nella Famiglia comboniana. Il titolo ([44]) e lo spirito della raccolta possono essere considerati non esenti da una certa dose di autoreferenzialità, ma l’opera rimane come punto di riferimento e lettura obbligatoria per una riflessione sui ministeri nell’Istituto comboniano. La lettura teologica, biblica e pastorale, offerta all’inizio della raccolta delle iniziative per continente, aiuta ad abbracciare le varie iniziative con uno sguardo e comprensione d’insieme, doverosa per capire le esperienze individuali e valutarne la portata nel contesto del cammino della Famiglia comboniana e della Chiesa oggi.

La mappatura della ministerialità nella Famiglia comboniana, promossa dalla Commissione Ministerialità della Famiglia comboniana ([45]), completa la raccolta e aggiunge uno strumento per una visione, allo stesso tempo, d’insieme e in profondità sul coinvolgimento nella trasformazione sociale da parte dei membri della Famiglia comboniana, dell’Istituto comboniano in particolare, per stare al titolo che abbiamo adottato all’inizio del nostro testo. Come è stato evidenziato (da parte di qualcuno nella condivisione nei gruppi), s’impone una riflessione più critica riguardo alle motivazioni e agli obiettivi del coinvolgimento (per usare un’immagine menzionata: operiamo solo per insegnare la persona a pescare, invece di darle il pesce? o c’è una motivazione altra e un obiettivo oltre, alla radice del coinvolgimento e dell’esercizio della ministerialità sociale?).

Per contribuire a questa riflessione, offriamo, a mo’ di conclusione di questo articolo, alcuni spunti sui nodi che richiedono una verifica. Il primo sarebbe quello (emerso anche nella presentazione della mappatura) delle competenze. Oggi, per coinvolgersi e intervenire nell’ambito sociale (economia, politica, educazione, ecc.), occorrono competenze. Non solo nell’ambito dell’educazione e della salute, dove sono necessari studi formali e specifici, diploma professionale. Ma anche in ambiti più informali, come potrebbe essere quello dell’educazione popolare, dell’aiuto alla promozione e al miglioramento delle condizioni di vita (pozzi, acqua, sanità, lavoro informale, ecologia integrale, ecc.) si richiedono competenze specifiche e legali e non bastano più il sentimento e la creatività personali, l’impeto più o meno evangelico.

Nel passato, anche recente, si tendeva a considerare il carisma e la sensibilità personali come sufficienti per giustificare l’iniziativa dei singoli nell’ambito della trasformazione sociale. Ma oggi, per un senso di responsabilità verso l’Istituto e verso la società (e le persone a cui si pretende andare incontro), questo non si può più accettare e occorre una istanza di supervisione (l’autorità nell’Istituto e nella Chiesa), che si assuma il compito di verificare e discernere idee, proposte, iniziative individuali e di fiscalizzare l’esecuzione di progetti e l’evolversi d’iniziative, proponendo un codice d’ingaggio e procedimenti da seguire.

Il secondo nodo da chiarire sono le frequenti invasioni di campo, quando parliamo di coinvolgimento nella trasformazione sociale, soprattutto da parte dei ministri ordinati che pensano che l’imposizione delle mani li renda idonei ad ogni tipo d’intervento. I comboniani sacerdoti tendono a invadere il campo dei fratelli, dei laici e dei ministri non ordinati, considerandosi preparati per ogni tipo d’intervento. Ci si aspetta che la presente riflessione sui ministeri nell’Istituto chiarisca anche questo problema dell’invadenza di campi e aiuti a chiarire i diversi ruoli dei ministeri non ordinati e ordinati, sociali e/o altri.

Il terzo nodo da chiarire è la questione del ritorno che si aspetta dagli interventi e dal coinvolgimento nella trasformazione sociale. Mentre con le strutture tradizionali (scuole e collegi, cliniche e ospedali) ci si aspettava un ritorno a medio e lungo termine e si puntava su trasformazioni generazionali, oggi, con i progetti e i piccoli interventi si punta a un ritorno immediato, più soggettivo. Il coinvolgimento diventa più personale e affettivo e ci si aspetta un ritorno emotivamente compensatore e pensato a misura delle motivazioni.

Si impone una verifica a questo livello, anche perché si può arrivare a situazioni in cui le aspettative del promotore e gestore del progetto non sempre coincidono con le aspettative delle persone, per la perdita della capacità di ascolto e di verifica; per quanto lo si neghi, c’è sempre un investimento personale (emotivo e altro) nel coinvolgimento nella trasformazione sociale e nell’apostolato sociale che va verificato di continuo.

Quarto nodo sul quale vigilare sarebbe la (sempre possibile e talvolta evidente) mistificazione delle iniziative, l’assolutizzazione di un’esperienza e la sua affermazione come esperienza padrone o modello. Nel modo di presentarle si tende a assolutizzare, come se l’esperienza, che ha un valore innegabile nel suo contesto, portasse la chiave di soluzione di problemi globali… dimenticando che le problematiche sociali sono complesse, in costante evoluzione, dipendendo da varianti locali e globali, che vanno dalla salute (si veda la situazione attuale col virus) all’economia e finanza, dimenticando che noi cristiani, come la Chiesa ha sempre affermato, non abbiamo una soluzione tecnica alle problematiche dell’ambito sociale, ma solo un Vangelo da calare in esse come lievito trasformatore. Occorre mantenere all’erta lo spirito di vigilanza per riconoscere anche i limiti delle esperienze in atto e poter arrivare, ogni volta e ad ogni svolta, alla conclusione che “il servizio più prezioso che la Chiesa può dare all’umanità è l’offerta del Vangelo di Cristo” ([46]).

Quanto detto qui sopra, lascia l’Istituto Comboniano con il compito di elaborare ed offrire ai suoi membri una spiritualità che sostenga l’esercizio dei ministeri, quale humus e fonte di fecondità; e contrastare, così, la tendenza allo sbandamento spirituale che minaccia particolarmente l’esercizio dei ministeri nell’ambito sociale e politico. Daniele Comboni è fonte d’ispirazione in questa ricerca di una spiritualità per i ministeri, al proporre ai sacerdoti, come alle suore e ai laici, un fondamento spirituale per l’azione apostolica: “Il Missionario, che non avesse un forte sentimento di Dio ed un interesse vivo alla sua gloria ed al bene delle anime, mancherebbe di attitudine ai suoi ministeri, e finirebbe per trovarsi in una specie di vuoto e d'intollerabile isolamento” ([47]). Nella ricerca d’integrazione tra spiritualità e agire apostolico, lui usa due concetti, santità e capacità, che qui occorre ricordare: “… santi e capaci. L'uno senza l'altro vale poco per chi batte la carriera apostolica. (...) Dunque, primo santi, cioè, alieni affatto dal peccato ed offesa di Dio e umili. Ma non basta: ci vuole carità che fa capaci i soggetti” ([48]). Dunque, la carità (l’agape divino) alla radice e ispirazione della capacità e della professionalità.       

9. - Ministeri e la crisi degli abusi

Ho resistito fin qui a includere in questa riflessione sui ministeri una nota sul fenomeno che nel nostro tempo ha sommerso i ministeri nella Chiesa, tanto quelli ordinati come non ordinati, in una tempesta senza fine. Mi riferisco alla crisi degli abusi (sessuali e altri, da parte di sacerdoti e vescovi, cardenali…) che tanta pubblicità ha avuto nei nostri giorni. Pensavo non accennare a questa situazione, perché tutti la conosciamo, nella vergogna e perplessità che a tutti ha provocato. Ma, poi, ho pensato che non si possa fare una riflessione sui ministeri senza accennare a questo tema; cioè, per metterla con parole positive, senza parlare della responsabilità inerente all’esercizio di un ministero, tanto ordinato come non ordinato, nella Chiesa e nell’Istituto, e dei conseguenti abusi e mancanze.

La presente crisi ci ha portato a capire, a nostre spese e sofferenze, tre aspetti che bisogna richiamare: primo, che non basta invocare il carisma, il dono ricevuto per grazia o avuto dalla natura, per esercitare una responsabilità o servizio nella Chiesa e nella società; secondo, che non basta il riconoscimento, da parte dell’autorità nella comunità ecclesiale, o l’approvazione dell’autorità civile, per l’esercizio di un ministero, di un servizio (il discernimento è soggetto ad errore o pressione d’interessi); terzo, occorre anche e sempre il senso di responsabilità personale, verso la Chiesa e la società, di chi si appresta a esercitare un carisma (anche quando riconosciuto e/o accettato).

Oggi nella società ci sono leggi e codici normativi per l’esercizio delle professioni e dei servizi. Anche nella Chiesa, come conseguenza positiva della crisi, sono emersi i codici di condotta per l’esercizio dei ministeri rendendo concreto l’ordinamento generale del Codice di Diritto Canonico.

La risposta della Chiesa alla crisi dei ministeri si è diluita nel tempo ed è ancora in atto, con nuovi tentativi di risposta, come la annunciata realizzazione di un congresso internazionale sul sacerdozio, da parte della Congregazione per i Vescovi (da realizzarsi a Roma dal 17 al 17 febbraio del 2022). Per alcuni osservatori, questa gestione della crisi alla giornata è manifestamente insufficiente e si necessita di più: un sinodo generale sui ministeri (non si è capito perché nel processo di preparazione del sinodo generale del 2018 si era partiti con l’idea di un sinodo sui sacerdoti e poi si è finito per decidersi per un sinodo per i giovani, lasciando, ancora una volta, senza risposta l’attuale crisi dei ministeri nella Chiesa).

A questo punto, s’impone anche uno sguardo agli abusi nell’Istituto comboniano. Due osservazioni sono da fare a questo riguardo. Una prima, chiaramente positiva: al livello dei principi, l’Istituto comboniano ha risposto bene a questa esigenza di responsabilità nell’esercizio del ministero, emersa nel contesto della crisi degli abusi; infatti, l’Istituto è stato tra i primi, in seguito al Capitolo Generale del 1997, a mettere in moto il processo per preparare il Codice di Condotta, oggi approvato e seguito, tanto a livello generale come provinciale.

Una seconda osservazione è doverosa, in rapporto al nostro tema; quando pensiamo agli abusi nella Chiesa pensiamo a quelli perpetrati da ministri ordinati. Ma s’impone affermare che la responsabilità nell’esercizio dei ministeri riguarda tanto quelli ordinati, come quelli non ordinati e quelli, adesso chiamati, sociali. Su questi non impende sigillo di confessione e si può e deve avere un approccio più trasparente e professionale (come si accenna anteriormente, nel numero 8, al quarto punto). Il coinvolgimento di missionari comboniani nell’ambito sociale e politico necessita discernimento e supervisione, per la tendenza che questo coinvolgimento ha a definire il proprio status, blindandosi verso regole e procedimenti comuni nell’Istituto, creando situazioni di eccezioni che possono evolvere verso situazioni di abuso (per esempio, verso le regole comuni e verso il discernimento dell’autorità; ma la situazione può verificarsi anche nell’ambito economico e nell’uso dei soldi, ambito in cui si può verificare la mancanza di responsabilità verso l’istituto e verso altri nella società).

Conclusione: antidoto e promessa

Vorrei richiamare, a modo di conclusione, una parola del Signore Gesù che, per forza delle circostanze, deve essere del suo manifesto programmatico, il Sermone della Montagna: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad essere gettato via (…); Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città sul monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio” (Matteo 5,13-15). E poi aggiunge: “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché il tuo dono resti segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Matteo 6,3-4). Evoco questa parola del Signore come antidoto ad ogni deriva di autoreferenzialità, ad ogni tentazione di manipolare e strumentalizzare le situazioni per ogni fin di bene, in cui possiamo sempre cadere, specialmente nell’ambito del coinvolgimento sociale e politico; evoco, soprattutto questa parola del Signore come promessa di fecondità e pienezza di senso per un ambito ministeriale dei più esigenti e difficili della missione comboniana e cristiana, che è appunto quello sociale.

Roma, Pentecoste 2021
P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj

 

[1] Il Grande Dizionario Italiano, Hoepli, 2008, Milano. Anche Dizionario Enciclopedico Universale, Sansoni, Firenze 1995. Neanche il Dizionario delle Idee, Sansoni, Firenze 1977, la riporta. La parola ministero viene dal latino ministerium, “servizio, ufficio, carica”.

[2] Nuovo Dizionario di Teologia, di G. Barbaglio e S. Dianich, S. Paolo Edizioni, Roma 1988, pp. 902-931. Dizionario Teologico Interdisciplinare, Marietti Editori, 1982, pp. 532-541, testo di S. Dianich. Dicionário Biblico-Teológico, Edições Loyola, pp. 275-296, testo di O. Karrer e J. Gewiess. Dizionario di Teologia Biblica, di Xavier Léon-Dufour, Marietti, 1980, pp. 686-689, testo di P. Grelot.

[3] Nuovo Dizionario di Spiritualità, San Paolo Edizioni, Milano 1999, pp. 954-971, testo di S. Dianich.

[4] Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, Città Nuova, Roma 1990, vol. II, pp. 1599-1605, testo di P. Scabini. Dizionario di Spiritualità dei Laici, Edizioni OR, Milano 1981, vol. II, pp. 31-40, testo di Francesco Marinelli.

[5] Guido Oliana, La teologia e spiritualità di San Giuseppe e la vocazione del fratello missionario comboniano. Paternità, fraternità e ministerialità, pp. 15-16 del testo distribuito dall’autore in formato PDF.

[6] X. Léon-Dufour, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Genova 1994. Ministero, pp. 686-689.

[7] Idem.

[8] Dizionario di Missiologia, PUG, EDB, Bologna 1993. Ministeri, pp. 338-339.

[9] Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano II, UNEDI, Roma, 1969. Ministeri e ministero, pp. 1391-1415.

[10] Documenti del Vaticano II, Lumen Gentium, n. 10; ai laici è dedicato tutto il cap. IV, nn. 30-38.

[11] Documenti del Vaticano II, Lumen Gentium, n. 12.

[12] Documenti del Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 26.

[13] Documenti del Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 43.

[14] Documenti del Vaticano II, Lumen Gentium, n. 31.

[15] Documenti del Vaticano II, Lumen Gentium, n. 38.

[16] Documenti del Vaticano II, Lumen Gentium, n. 31.

[17] Documenti del Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 3.

[18] Documenti del Vaticano II, Apostolicam Actuositatem, n. 3.

[19] Documenti del Vaticano II, Apostolicam Actuositatem, n. 2.

[20] Documenti del Vaticano II, Apostolicam Actuositatem, n. 3.

[21] Documenti del Vaticano II, Apostolicam Actuositatem, n. 5.

[22] Documenti del Vaticano II, Ad Gentes, sull’attività missionaria della Chiesa, n. 12.

[23] Documenti del Vaticano II, Apostolicam Actuositatem, n. 20.

[24] Julius Kambarage Nyerere (13 aprile del 1922 - 14 ottobre del 1999), presidente della Tanzania dal 29 ottobre 1964 al 5 novembre 1985.

[25] Documenti del Vaticano II, Decreto conciliare Christus Dominus, sull’ufficio pastorale dei vescovi.

[26] Documenti del Vaticano II, Decreto conciliare Optatam Totius sulla formazione sacerdotale; e Presbyterorum Ordinis sul ministero e la vita sacerdotale.

[27] Luca Diotallevi, Il Paradosso di Papa Francesco, La secolarizzazione tra boom religioso e crisi del Cristianesimo, Rubbettino, 2019.

[28] La situazione della Chiesa in Germania, per alcuni, sarebbe emblematica di quanto si afferma. In questo paese, dove la Chiesa è il secondo datore di lavoro, dopo lo Stato, i leader laici che segnano il cammino della Chiesa (attualmente nel Der Synodale Weg) sono funzionari della Chiesa, nella quale esercitano una professione, con diritti e in modalità proprie, piuttosto che essere testimoni nel mondo dove vivere un carisma ricevuto come dono dello Spirito.

[29] Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, La scommessa cattolica, Il Mulino, 2019.

[30] In tale senso vanno i documenti significativi del pontificato: Evangelii Gaudium, Laudato Si’, Fratelli Tutti.

[31] Papa Francesco, Senza di Lui non possiamo far nulla; Essere missionari oggi nel mondo”, Libreria Editrice Vaticana, 2019. Sui concetti della proposta del Papa, vedere: Francesc Torralba, Dizionario Bergoglio, le parole chiave di un pontificato, Roma 2019; l’autore prende in considerazione il vocabolario del magistero sociale di Papa Francesco.

[32] Vedere, per esempio, Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, 17 giugno 2016; Evangelii Gaudium, 27-30.

[33] Manuel A. L. Ferreira, Gli Istituti Missionari in Europa, Roma 2019, p. 4 dell’edizione PDF.

[34] Istituto dei Missionari Comboniani, Verona 1867; Istituto delle Suore Missionarie Comboniane, Verona 1872.

[35] Daniele Comboni, Piano per la Rigenerazione della Nigrizia, Roma, 1864.

[36] Esemplare di questa metodologia è la spedizione al Cordofan e ai monti Nuba, compiuta prima della sua morte e descritta nelle lettere scritte nei mesi di aprile e maggio del 1881. Vedi Archivio Comboniano, Anno LI, Roma 2021, pp. 23-192.

[37] Regola di Vita, 11; 11.1 e 11.2; 58.4; 61.

[38] L’ecclesiologia che vede la missione cristiana come servizio al mondo e alla sua trasformazione e liberazione è presente in importanti documenti del dopo concilio, come il Rapporto di Uppsala del Consiglio Ecumenico delle Chiesa (del 1968), le Conclusioni della II Conferenza Generale dei Vescovi latino-americani di Medellin (1968) e il documento uscito dal Sinodo dei Vescovi del 1971, sulla Giustizia nel Mondo (del novembre 1971).

[39] La Giustizia nel Mondo, Sinodo del 1971, capitolo II.

[40] Papa Francesco, Fratelli Tutti, nn. 271-284, 9-55 e 56-86.

[41] Giovanni 13, 13-17 e, in parallelo, Marco 10, 41-45, Matteo 20, 24-28 e Luca 22, 24-27.

[42] Ricordiamo, come esempio, Giuseppe Ambrosoli ed Elio Croce, nell’ambito della salute; Ezechiele Ramin, nell’ambito della liberazione e della giustizia.

[43] Papa Francesco, in varie occasioni, ha richiamato questo rischio. Per esempio: Senza di Lui non possiamo far nulla, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2019, p. 73.

[44] Commissione Ministerialità della Famiglia comboniana, Noi Siamo Missione: Testimoni di Ministerialità Sociale nella Famiglia Comboniana, a cura di Fernando Zolli e Daniele Moschetti, Roma 2020.

[45] Presentata durante la seconda sessione webinar, del 5-6 marzo 2021, e disponibile su www.combonimission-net.

[46] La Conferenza dei Vescovi latinoamericani a Puebla ha affermato che «il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente»; Documenti di Puebla, n. 3760 (1145).

[47] Daniele Comboni, Gli Scritti, 2698

[48] Daniele Comboni, Gli Scritti, 6655, 6656