Roma, venerdì 18 novembre 2011
I laici missionari comboniani italiani Federico e Ilaria, che lavorano ad Açailândia in Brasile, scrivono per dare loro notizie: “Dopo tanto che non ci facciamo sentire, alla fine siamo riusciti a fare un mini album di foto per farvi vedere un po’ come è qui”. Riportiamo, qui di seguito, la lettera in cui Federico e Ilaria ci raccontano come trascorre la loro vita quotidiana nel vasto stato del Maranhão, situato nella parte nordorientale del paese.

 

“Cari tutti,
Noi qui stiamo bene. Oggi a pranzo c'erano da noi cinque ragazzine (15-17 anni), di una comunità vicina alla nostra casa, alle quali avevamo promesso ‘cucina italiana’. Abbiamo fatto la pasta e una frittata, hanno mangiato, ma erano sconvolte dal fatto che non ci fossero il riso e i fagioli. È stato buffo. Stanotte ha piovuto fortissimo e oggi si sta bene; infatti, da poche settimane è ricominciata la stagione delle piogge, dopo 6 mesi di stagione secca.

Oggi pomeriggio Federico è stato a Piquià per seguire un corso di video ed io sto cercando di prendere appuntamento con un'istituzione pubblica che organizza corsi di formazione per poter iniziare, sempre a Piquià, un corso di ‘segreteria’ per i giovani, e uno di ‘cucina per le feste’ per alcune signore, per imparare a preparare salatini e torte da vendere (l'economia informale è la principale fonte di reddito del quartiere).

A parte questo, stiamo accompagnando la comunità di Santa Teresa. La nostra parrocchia è composta da 30 comunità, varie sono le chiese delle frazioni rurali, ci sono poi 4 comunità qui nel centro e tre nel quartiere industriale di Piquià. Santa Teresa è una chiesina dove al momento si celebra solo il giovedì, ma ci sono già varie classi di catechismo e un gruppo di giovani. Ogni comunità ha un suo consiglio di coordinatori; Santa Teresa ancora no e noi dovremmo far sì che se ne costituisca uno.

Federico continua a lavorare con Justiça nos Trilhos, organizzando giornate di formazione giuridica e di visita lungo la linea ferroviaria di Carajas, dove la transnazionale della minerazione Vale sta duplicando i binari (la ferrovia che dalla miniera di ferro di Carajas serve per trasportare il minerale fino al porto di São Luis) e appropriandosi della terra di contadini e quilombolas (i Quilombo sono comunità di afro-discendenti, prevalentemente ex-schiavi, riconosciute da leggi di tutela simili a quelle delle terre indigene, cioè leggi ottime, ma mai rispettate, almeno qui in Maranhão). Obiettivo delle formazioni è cercare di ridurre gli abusi della Vale nei confronti delle comunità locali e incentivare l'organizzazione e la coscientizzazione delle comunità affinché si articolino in contrattazioni collettive.

Tra due settimane si terrà qui in Brasile, prima a San Paolo e poi ad Açailândia, un incontro ‘trinazionale’ di rappresentanti di comunità colpite dalla Vale in Brasile, Canada e Mozambico. L'incontro, finanziato da un sindacato canadese (USW), dovrebbe servire a studiare strategie congiunte di resistenza e, nel caso del Mozambico, dove i grandi progetti della Vale sono ancora all'inizio, ad allertare le comunità affinché non si ripetano gli abusi a cui assistiamo tutti i giorni in Brasile. Come dicono i membri del MST (movimento de trabalhadores rurais sem terra) ‘globalizar a luta, globalizar a esperança!’”.

Ilaria, intanto, continua le attività della ‘pastoral da criança’ (pastorale dell'infanzia) e sabato sarà nell'interno (l'area rurale) per l'ultima tappa di formazione di un nuovo gruppo. Prosegue: “Recentemente ho fatto amicizia con una ragazza della mia età, Lucimar, molto in gamba, molto allegra e, cosa incredibile qui, non sposata e senza gli immancabili 4 o 5 figli. Sta cercando di continuare a studiare e lavora come segretaria, ma quando mi parla della sua infanzia sembra di sentire racconti di prima della guerra (quella del ’15-’18). Undicesima e ultima figlia di una ragazza madre, ha iniziato ad andare a scuola quando è arrivata in ‘città’, cioè a 10 anni. Prima viveva in una comunità agricola senza acqua né luce. La madre lavorava come lavandaia e lei e un fratello poco più grande di lei, tutte le sere, andavano ai macelli pubblici per aiutare nelle pulizie e guadagnarsi qualche scarto di carne da riportare a casa, ormai a notte inoltrata. Tutti i fratelli hanno sempre lavorato, fin da piccoli, per mangiare. Ha perso tre fratellini molto piccoli e, quando aveva 18 anni, sua sorella, di 20, morta di parto (in ospedale!). Qualche sera fa stavamo bevendo una birra e dopo avermi raccontato un po’ del suo passato, con il più sereno e largo dei sorrisi mi ha detto: ‘Eh, amica, tu credevi che la vita fosse facile?’. Vi lascio immaginare come mi sono sentita!

Così se ne vanno veloci i giorni, sono finiti i manghi dell'albero davanti alla casa e adesso è il momento degli avocados (la frutta è meravigliosa, in compenso la verdura a disposizione si limita a carote, cipolle, pomodori e un solo tipo di cavolo).

Siamo un disastro, perché non scriviamo mai, ma vi pensiamo sempre.
Mille baci a tutti,
Ilaria e Federico