Martedì 19 maggio 2020
Romualdo era nato in un paesino della valle d’Illasi, Selva di Progno, 90 anni fa. In Mozambico ha lavorato 50 anni. Romualdo ha fatto parte di quella schiera di grandi missionari che hanno marcato la storia della Chiesa del Mozambico, e, per anni, in quella tormentata terra hanno saputo rischiare e perdere la vita per amore di Gesù.

P. Anselmi Romualdo

(07.02.1930-14.05.2020)

P. Romualdo ha esalato l’ultimo respiro a 90 anni. Aveva lavorato in Mozambico più di 50 anni, dal 1959 al 2014, con una breve interruzione di 5 anni a Padova, come animatore missionario. Visitandolo verso la fine della sua vita, a Castel d’Azzano, l’ho trovato sempre molto sereno e contento, ricordando con nostalgia (‘saudade’) il suo Mozambico. P. Romualdo è uno di qui missionari, quasi tutti già ritornati alla casa del Padre, che ha vissuto in Mozambico in tempi di grandi cambiamenti: durante il governo coloniale portoghese, l’indipendenza e la presa del potere di un governo marxista-leninista (FRELIMO), la guerra civile per 16 anni e la fine della guerra. Tempi difficili, che richiedevano un forte spirito missionario e una vocazione con radici profonde nel Signore della Storia.

Dopo un paio d’anni in Portogallo per imparare il portoghese e dare una mano alla nuova presenza comboniana a Lisbona, partì per il Mozambico dove fu assegnato alla prima missione comboniana in quel Paese, Mossuril, sulla spiaggia dell’oceano Indiano, vicino all’isola del Mozambico. P. Romualdo parlava fluentemente il portoghese e la lingua locale, il macua.

Dopo l’indipendenza del Mozambico nel luglio del 1975, P. Romualdo si inserì nella scuola del governo, nella missione di Netia, dove tutto era stato nazionalizzato: scuola, chiesa, casa dei missionari e tutti gli edifici della missione. Ricordo di averlo trovato in quella missione, da solo come missionario comboniano, insieme alla comunità delle suore comboniane. Era il tempo delle “equipas missionárias”, ossia delle comunità di missionari comboniani che insieme alle suore comboniane o di altri Istituti, ad esempio delle primitive comunità cristiane, mettevano i beni in comune, pregavano e programmavano insieme il lavoro pastorale.

P. Romualdo ha lavorato in questa missione per 12 anni ininterrotti, in piena guerra civile. La scuola era diventata la sua passione e la sua missione principale. Si trovava bene con gli studenti ai quali, oltre all’insegnamento, cercava di insegnare i valori del vangelo, attraverso dei film formativi che proiettava durante il fine settimana all’aria aperta, sulla grande parete esterna della chiesa, allora usata anche come dormitorio. Trasferito in un’altra missione, Alua, lavorò anche lì nella scuola del governo continuando a portare avanti il suo sistema di educazione integrale, trasmettendo agli studenti i valori evangelici, anche se il sistema governativo era marxista-leninista.

Durante il periodo in cui era impegnato nella scuola, dedicava il fine settimana al lavoro pastorale diretto, visitando le comunità cristiane, insieme alle suore, rimanendo con la gente e celebrando con loro la gioia della fede.

P. Romualdo era uomo di poche parole, ma era una persona serena, obbediente, che accettava volentieri i servizi che gli venivano chiesti e svolgendoli con dedizione e competenza. Era molto simile a sua sorella, suora missionaria comboniana che lavorava in Mozambico nello stesso periodo. Era anche un uomo molto pratico. In momenti in cui non c’erano tante risorse, in particolare in tempo di guerra, la missione spingeva i missionari a “cavarsela” e a fare tanti servizi di manutenzione: macchine, luce, acqua, riparazioni, costruzioni, ecc. P. Romualdo era bravo in questi servizi e anche come aiuto nelle costruzioni di scuole e cappelle che si portavano avanti nella missione. E li faceva con passione e accuratezza.

Pensando alla vita di P. Romualdo mi è venuta in mente la poesia di D. Tonino Bello “Maria, donna feriale”, ispirata alla frase del Vaticano II su Maria: Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro (AA 1). Queste parole possono sintetizzare la sua vita, vissuta con naturalezza e molta sollecitudine per il bene della gente e di quelli che vivevano intorno a lui, ispirando fiducia e perseveranza, anche in tempi veramente avversi.
P. Jeremias dos Santos Martins, mccj

Funerale del P. Romualdo Anselmi

Romualdo era nato in un paesino della valle d’Illasi, Selva di Progno, 90 anni fa. Paese di origine cimbra, come di origine cimbra è il suo cognome, Anselmi. I libri di storia dicono che le popolazioni che per prime occuparono queste zone erano di origine bavaro-tirolese che alla fine del XII secolo, per concessione di un vescovo, poterono colonizzare le montagne. Vi hanno portato lo loro fede cristallina e con costanza e determinazione, in mezzo a enormi difficoltà seppero trasformare i terreni montani incolti in luoghi abitabili e coltivabili. Un cimbro illustre di queste zone fu il P. Carcereri, dal carattere forte e volitivo a cui Comboni scrisse: “Vi amo sempre come vi ho amato perché siete sempre cimbro primogenito”. “Cimbro” si definì anche il Comboni quando volle mostrare la sua inflessibilità e la sua fermezza nelle decisioni. “Ricordi, ché io son Cimbro: Indrio ti e anca muro”, scrisse al card. Franchi.

Mi sembra che alcune caratteristiche proprie di queste popolazioni siano state ben presenti nel modo di essere missionario del P. Romualdo: determinazione, costanza, testardaggine e continuità nel fare il bene, una fede “profonda, antica, straordinaria”, che ha manifestato fino agli ultimi giorni della sua vita. Se nel lavoro missionario dei suoi 50 anni di Mozambico ha mostrato capacità di lavoro notevoli e continuità di impegno nelle attività pastorali, anche a Castel d’Azzano non è stato da meno. Le ultime “litigate” con il personale sanitario sono state di pochi giorni fa, quando volevano tenerlo in stanza e impedirgli di andare in chiesa a pregare, visto che anche lui era uno dei tredici positivi al test sierologico e doveva fare due settimane di isolamento. Fiato sprecato: appena l’infermiere si allontanava, con le poche forze e il poco fiato che gli erano rimasti, si dirigeva imperterrito alla cappella. Non poteva stare lontano dal Signore. Poco importava se poi lo si trovava addormentato sulla carrozzina: l’importante era essere là, davanti al Signore che ha amato e servito tutta la vita. 

Nel dialogo con lui, più di una volta abbiamo parlato dell’imminente incontro con Dio. “Romualdo, hai servito il Signore tutta la vita. Pensi che il Signore sarà contento di te?” “Non lo so, rispondeva, però quando ero in missione in Mozambico, tutti i giorni andavo fuori per visitare le comunità, formare i catechisti, celebrare la liturgia, visitare I malati … Tutti i giorni, tutti i giorni…” ripeteva. Si può dire che ha amato i fratelli e ha servito il Signore.

Il giorno in cui è passato da questo mondo al Padre, il libro degli Atti degli apostoli parlava dei “nostri carissimi Paolo e Barnaba, uomini che hanno rischiato la loro vita, per il nome del nostro Signore Gesù Cristo”. 

Romualdo ha fatto parte di quella schiera di grandi missionari che hanno marcato la storia della Chiesa del Mozambico, e, per anni, in quella tormentata terra hanno saputo rischiare e perdere la vita per amore di Gesù. Vedendo arrivare il lupo, non sono fuggiti: sono rimasti accanto al gregge, sempre. Pensiamo a Fr. Alfredo Fiorini a cui è dedicato questo Centro, a Sr. Teresa Dalle Pezze, anche lei veronese e quindi a quel gruppo unitissimo, solidale e fraterno di missionari “mozambicani” che hanno trascorso gli ultimi anni della loro vita in questa casa: Fr. Giovanni Tomas, P. Graziano Castellari, P. Francesco Antonini, P. Gino Centis, P. Romualdo Anselmi. A questi possiamo aggiungere P. Cornelio Prandina, P. Bruno Tonolli, deceduto da poco, che vi ha trascorso i primi 6 anni della sua vita missionaria, P. Firmino Cusini, spentosi da poco a Milano, che vi è rimasto ininterrottamente dal 71 fino a pochi mesi fa. E non dimentichiamo il P. Jacob Sodokin, beninese, che vi ha trascorso le primizie del suo sacerdozio, prima di spegnersi, quarantenne, nel paese natio, il Benin.

Questi confratelli sono patrimonio prezioso dell’Istituto e il suo orgoglio. Lo Spirito che Gesù ha consegnato morendo sulla croce, è stato raccolto da loro che hanno disprezzato la vita fino a perderla per amore, come il Maestro e il Signore. Hanno raccolto anche la sua sete, trasformandola in zelo missionario, in passione verso i più “necessitosi e derelitti”, come amava ripetere Comboni.

Abbiamo scelto il Vangelo di Giovanni perché sotto la croce di Gesù era presente Maria, sua madre e Madre della Chiesa. Pensiamo che Maria è stata vicina al P. Romualdo sempre, fino agli ultimi istanti della sua vita. La devozione alla Madonna è stata una delle caratteristiche della vita di P. Romualdo. Quanti pellegrinaggi a Medjugorje, quante persone confessate, quanti rosari recitati, quante immagini di Maria con cui aveva tappezzato la sua stanza e quante polemiche attorno alle apparizioni… Ha sostenuto la giusta causa della presenza di Maria nella vita della Chiesa, come compagna di viaggio del missionario, come madre a cui si può e si deve ricorrere nelle difficoltà. Non dimentichiamo che ci ha lasciati nel tempo di pasqua, il tempo della risurrezione; durante il mese di maggio, dedicato al Rosario e il giorno successivo alla Madonna di Fatima. Il tredici maggio è stata una giornata vissuta serenamente, con le forze che gli erano tornate, in cui ha pronunciato probabilmente le ultime parole, e in cui ha recitato l’Ave Maria con l’ultimo filo di voce.

Grazie, P. Romualdo. Ci dispiace darti l’ultimo addio con la cappella vuota… Ci dispiace soprattutto perché con te se ne va “l’ultimo dei mozambicani”, l’ultimo di un gruppo che ci ha evangelizzato per l’unione, la fraternità, l’amicizia, la gioia di ritrovarsi associati dalla missione. Lo sai che i confratelli ti hanno voluto bene e ti hanno stimato. Hanno visto in te il missionario vero, un pastore secondo il cuore di Dio e non ti dimenticheranno. Continua a essere cimbro e testardo nella preghiera e ricordati di noi perché le forze non vengano meno in questa assenza forzata dalla vita comune e dall’incontro con il Signore. E che, anche grazie la tua intercessione, questo virus sia sconfitto e possiamo continuare a servire il Signore in serenità. E visto la tua confidenza con la Madre del Signore, chiedi per noi la sua preghiera e la sua consolazione per questo tempo di “fitta oscurità”. Amen. 
[Combonianum]