P. Christian Carlassare, in Sud Sudan: “La situazione è difficile. Il lavoro da farsi è enorme”

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Giovedì 4 giugno 2020
“I bisogni sono tanti – scrive dal Sud Sudan Padre Christian Carlassare, missionario comboniano –. La situazione è difficile. Il lavoro da farsi è enorme e va ben oltre le possibilità di questo piccolo gruppo. Ma ciascuno può dare un contributo importante. In quanto a me, mi è stato dato un tempo di tre anni per essere d’aiuto in questo processo. Sono un po’ trepidante ma anche persuaso che il Signore misericordioso che mi ha condotto fino a qui, mi accompagnerà anche per il resto del cammino. Confido nella vostra preghiera e amicizia”.

Carissimi, nell’ultimo mese di maggio in Sud Sudan il numero di contagiati si è moltiplicato. I casi confermati sono già più di un migliaio. Ma si pensa possano essere molti di più se si considera che solo pochi possono avere accesso ai test. La possibilità di cure adeguate a chi avesse sintomi o avesse bisogno di una terapia intensiva è molto limitata: solo 12 posti. Le autorità invitano i malati a rimanere a casa cercando di offrire un monitoraggio. Alla popolazione vengono insegnate le norme più semplici per limitare il contagio: mascherina, distanza, igiene. Le scuole sono state chiuse così come i luoghi di culto. In vigore c’è il coprifuoco dalla sera alla mattina, ma durante il giorno tutto scorre normalmente: il lavoro e il mercato. Norme più restrittive sarebbero molto difficili da far rispettare. La maggior parte delle famiglie conta sul lavoro di ogni giorno per approvvigionarsi. È necessaria dunque la responsabilità di tutti. E c’è bisogno di agire insieme nella solidarietà. Nessuno può salvarsi da solo.

L’inaspettata emergenza dell’epidemia ha spostato l’attenzione dal processo di riconciliazione e pace che era appena cominciato dopo sei anni di conflitto interno. Il nuovo governo di transizione è infatti chiamato a prendere delle decisioni molto delicate per poter imboccare la strada delle riforme e della ristrutturazione di questa nazione. Il percorso è lungo e difficile. È necessario cominciare dal superamento di tanti rancori etnici, garantire pari opportunità a tutti i gruppi, combattere corruzione e nepotismo nel gruppo di potere, stabilire uno stato di diritto facendo rispettare la legge a tutti e soprattutto a chi al governo, promuovere un paese dove la dignità di ogni persona sia inalienabile, un paese dove le ricchezze naturali siano destinate ad uno sviluppo accessibile a tutti, privilegiando la formazione di un sistema scolastico adeguato e un sistema sanitario che risponda alle esigenze della gente. I giovani hanno grandi speranze, ma la realtà sembra tradire le loro aspettative.

Oggi, il Vangelo della Pentecoste (Gv 20,19-23) mostra una connessione importante tra il dono dello Spirito Santo e la remissione dei peccati. Gesù risorto mostra ai discepoli le ferite delle mani e del costato e dona lo Spirito Santo e la pace. Perdonare è donare attraverso le ferite ricevute. Perdonare è fare del male subìto l’occasione di un gesto di amore. Perdonare è creare pace con una sovrabbondanza di amore che vince l’odio e la violenza sofferti. Il perdono è il primo passo verso la libertà e la pace. Il perdono conferma che lo Spirito di Dio è all’opera nella nostra vita.

Questa Pentecoste porta per me delle novità. A Pasqua ho infatti terminato con l’ultimo gruppo di giovani in orientamento vocazionale. Quest’anno erano solo tre e ad agosto cominceranno il corso di filosofia in Kenya. Ma negli anni ne ho seguiti trenta e ricordo ciascuno con gioia e soddisfazione per il percorso fatto insieme. Ho passato le consegne e mi sono spostato in casa provinciale. Ora ho ricevuto la nuova assegnazione che risponde alla richiesta del nuovo vescovo di Malakal: mons. Stephen Nyodho. Lui si trova la responsabilità di rimettere la diocesi in sesto. Con i sei anni di conflitto tutto è andato perduto, con la sola eccezione della fede di molte persone che vogliono tornare a vivere. Molte parrocchie erano state chiuse. La pastorale era stata ridotta alla sola possibilità di accompagnare, dove possibile, le persone sfollate. Nella speranza che la pace rimanga stabile, c’è la necessità di riattivare la struttura diocesana, soprattutto i programmi pastorali sostenendo l’impegno dei preti locali e di tanti laici impegnati: i catechisti, soprattutto, sono le colonne portanti di questa chiesa. La diocesi copre un territorio vastissimo grande più di mezza Italia (236 mila kmq) popolata da 4 milioni di abitanti. Al momento ci sono 15 parrocchie attive. C’è la speranza di riaprirne delle altre. I preti diocesani sono 15 oltre a un diacono e al vescovo. In diocesi noi missionari comboniani siamo 8 (7 preti e un fratello) e serviamo due delle parrocchie pur essendo divisi in tre missioni. È in arrivo un missionario ugandese della congregazione di San Giuseppe (Mill Hill) che riaprirà la loro missione lasciata nel 2014 a causa del conflitto. Le suore comboniane sono presenti in due missioni e le suore del Sacro Cuore in una con i rifugiati in Sudan.

I bisogni sono tanti. La situazione è difficile. Il lavoro da farsi è enorme e va ben oltre le possibilità di questo piccolo gruppo. Ma ciascuno può dare un contributo importante. In quanto a me, mi è stato dato un tempo di tre anni per essere d’aiuto in questo processo. Sono un po’ trepidante ma anche persuaso che il Signore misericordioso che mi ha condotto fino a qui, mi accompagnerà anche per il resto del cammino. Confido nella vostra preghiera e amicizia. Coltivo anche il sogno che possiate promuovere iniziative di solidarietà con questo popolo e questa chiesa ferita ma desiderosa di testimoniare Cristo Risorto.

Buona Pentecoste perché lo Spirito di Dio infonda coraggio, responsabilità e solidarietà nel cuore di ciascuno.
Padre Christian Carlassare