Ricordando P. Luigi Capelli: “Un missionario sul palcoscenico della vita”

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Domenica 7 febbraio 2021
Venti sono i confratelli della nostra comunità che il Covid-19 ha portato via. In questa lunga e drammatica lista spiccano grandi figure di missionari e di uomini di Dio. Ho pensato però di mettere in luce un “profeta minore”, P. Luigi Capelli. P. Luigi non era una persona di “grandi” doti ma si era contraddistinto per una: la GIOVIALITÀ, che si manifestava nel buon umore, la simpatia, la voglia di vivere, lo spirito infantile gioioso e avventuriero, la spontaneità e la semplicità, l’animo cordiale, generoso, pacifico e di buona compagnia. [P. Manuel João – Combonianum]

Quando lo sgridavano perché aveva combinato qualcuna delle sue, disarmava tutti quanti con un sorriso, tanto ingenuo quanto furbo.
Spalancava le braccia e diceva: Quando si perde la mémoire!…
P. Luigi Capelli è deceduto il 17 novembre 2020 a Castel d’Azzano (Verona/Italia).

Un profeta minore

Venti sono i confratelli della nostra comunità che il Covid-19 ha portato via. In questa lunga e drammatica lista spiccano grandi figure di missionari e di uomini di Dio. Ho pensato però di mettere in luce un “profeta minore”, P. Luigi Capelli. Per quattro ragioni: era il più giovane di questo gruppo (76 anni) e il membro più “anziano” di permanenza nella comunità di accoglienza di Verona (dal 1994); era il più conosciuto e popolare, e la sua dipartita ha suscitato viva commozione particolarmente tra i nostri operatori; è stato mio compagno di missione in Ghana; ma soprattutto perché questa figura “minore” dimostra ancora una volta come Dio porta avanti la sua opera con i piccoli, servendosi delle nostre qualità ma anche dei nostri limiti e della nostra povertà.

P. Luigi non era una persona di “grandi” doti ma si era contraddistinto per una: la GIOVIALITÀ, che si manifestava nel buon umore, la simpatia, la voglia di vivere, lo spirito infantile gioioso e avventuriero, la spontaneità e la semplicità, l’animo cordiale, generoso, pacifico e di buona compagnia.

Chi l’ha conosciuto da giovane, come un compagno suo nel seminario di Piacenza, conferma che già allora era un tipo molto simpatico e scherzoso. Era una sua qualità di natura.

Questa giovialità lo accompagnava ovunque e in qualsiasi circostanza. Durante l’apprendistato del francese, la lingua di comunicazione tra i confratelli che lavorano in Togo, Ghana e Benin, la professoressa si portava le mani ai cappelli ogni volta che doveva correggere i suoi compiti. Degli accenti sulle parole non ne azzeccava uno: “Mon père, les accents!” (padre, gli accenti!). Un volta consegnò il compito senza nessun accento. La professoressa lo guardò sorpresa e gli chiese: “P. Luigi, ma dove sono gli accenti?!”. La sua risposta: “Giri il foglio e li trova tutti!”; sul retro del foglio c’erano delle righe di soli accenti: “professoressa, li metta dove occorrono!”.

P. Eugenio Petrogalli che ha vissuto a lungo con P. Luigi in missione, e da chi attingo abbondantemente per questi ricordi, dice: “Ho passato anni belli, gioiosi, a volte un po’ stravaganti, con lui ad Abor e a Liati (Ghana)… Ricordo che il primo giorno a Liati, siamo entrati in chiesa insieme. Lui si è inginocchiato davanti al Tabernacolo e, spalancando le braccia, disse ad alta voce: “Gesù, accettami come sono e fammi come tu vuoi, ma adagio… blewuuuu!“. Dopo di che, visto che eravamo soli in chiesa, mi inginocchiai al suo fianco e gli dissi: “Luigi, vorrei confessarmi”. E lui: “Cosa fai? Alzati, vorrai mica essere più peccatore di me?!”.

Il suo nome d’arte

Tra noi Luigi era conosciuto come P. Bistecca. Ma, come mai era chiamato così? Un giorno di agosto, essendo il clima molto caldo, si era sdraiato in un ruscello e si era addormentato. Così si prese una bella artrite e altre complicazioni. Durante il tempo di ricovero all’ospedale gestito dalle suore veniva curato con frequenti bistecche. Quando la fame si faceva sentire, lui gridava: “Suora… la bisteccaaaa!!!” E così Bistecca divenne il suo “nome d’arte”, come diceva lui.

L’umorismo di Bistecca era la sua arte. Non è stato un missionario di grandi progetti come altri colleghi in Ghana. Questo è stato il suo… successo! A Liati c’era urgente bisogno di gabinetti e Bistecca si è messo a fare il manovale. Di ritorno in Italia a chi gli chiedeva: cosa hai fatto in Africa? rispondeva in dialetto: go fa su’cess (“ho fatto su’ cessi”, cioè gabinetti)!

Il cacciatore

In missione era conosciuto come il Padre Cacciatore. Lui stesso si definiva: “Piccolo Padre, Grande Cacciatore” (Fadavi menye, gake Adela Gaaa!!!). Il fucile e la caccia erano la sua passione. Questo, ben inteso, nei momenti di sollievo, perché era sempre fedele ai suoi doveri religiosi e pastorali. Per lui il fucile rientrava nei mezzi pastorali.

Andando a celebrare la Messa nei villaggi metteva il fucile sul cruscotto della sua pick-up avvolto dalla veste. Andando, se uccideva qualche uccello, lo dava al catechista o ai chierichetti. Se li uccideva nel ritorno, erano per noi suoi confratelli. Un giorno ritornò con 19 uccelli: “Io ho fatto il mio dovere; ora tocca a voi spiumarli”. Un’altra volta portò un avvoltoio ma la pietanza non fu gradita e il fatto scandalizzò la gente del villaggio.

Diceva che le campane della cappella erano inutili, oltre che costose: per lui bastava sparare un colpo in aria davanti alla cappella e tutti i ragazzi accorrevano a vedere quale volatile aveva ucciso e a chi lo dava. E lui concludeva: “Bene, ragazzi, ora tutti in chiesa e cominciamo con le confessioni”.

Padre Bistecca era di una semplicità francescana, ma come cacciatore era un mattacchione. A Liati, al mattino presto, lo si poteva trovare, tutto rannicchiato, seduto sull’erba dell’orto con un fucile sotto il braccio, con la canna puntata in alto. Un giorno P. Eugenio gli chiese: “Ma cosa stai facendo lì, al mattino presto col fucile?” Risposta: “Sto facendo la meditazione e prego il Buon Dio di fare passare sopra la mia testa qualche uccello. Dalla meditazione bisogna sempre cogliere qualche frutto: aliquem fructum capere“!

Caccia minuta e caccia grossa

Se come cacciatore doveva per forza contentarsi della caccia minuta perché di animali non c’erano più, nel campo pastorale missionario ebbe dei colpi di caccia grossa. È lui che battezzò il capo dei feticisti (To boko), Akpalu Agbenyega, col nome di Petro, all’età di 75 anni. Questa conversione contribuì enormemente all’evangelizzazione di Abor e dintorni. Petro Akpalu camminava sempre col suo bastone sul quale aveva fatto scrivere: “I walk with Christ” (Io cammino con Cristo). E diceva: “Un solo giorno con Gesù mi ha dato più gioia che 75 anni nel paganesimo. Ora mi sento libero dentro e, se il Signore mi concede ancora un po’ di vita, la voglio dedicare tutta a predicare Gesù Cristo”. In 4 anni, col suo aiuto, furono aperte ben 48 nuove stazioni missionarie.

Altre passioni e vizi

Un’altra passione di Luigi era il vino di palma, una bevanda locale dolciastra, estratta dalla linfa della palma, che fermentando diventa leggermente alcolica. Si beve dalla calabash (zucca secca tagliata a metà) e sovente in un contesto rituale tradizionale, particolarmente in occasioni di raduni e di socializzazione. Gli piaceva fermarsi a chiacchierare con gli anziani e condividere quel “nettare”. Siccome nella calabash, insieme al vino, c’erano sempre degli insetti, moscerini, api, formiche, ecc…, bisognava filtrare. Lui filtrava coi suoi baffoni. Li tirava giù sulle labbra e succhiava il vino, fino quasi in fondo. Poi sbatteva i baffi con le dita, liberandoli dagli insetti. Infine gettava per terra gli ultimi sgoccioli di quel liquido, poco limpido, una libazione agli antenati, ringraziandoli di aver saputo estrarre del buon vino dal tronco di una palma.

Gli piaceva bere un bicchierino in buona compagnia, con P. Eugenio. Una volta era arrivata una bottiglia di whisky, da degustare in occasioni particolari naturalmente. Quando stava per arrivare agli sgoccioli, P. Eugenio voleva conservarla per un’altra occasione ancora, ma Luigi insisteva di finirla: “Eugenio, dobbiamo avere fiducia nella Provvidenza. Appena finiamo questa ne arriverà un’altra”. Eugenio dovette cedere. Scolato il bicchierino qualcuno bussò alla porta ed entrò portando loro una bottiglia di whisky!

Dobbiamo aggiungere che nemmeno l’acqua abbondava. Durante la stagione asciutta, una volta svuotata la cisterna dell’acqua piovana, bisognava andare a prendere quella giallastra di un fiumiciattolo come la gente. Mi hanno raccontato (ma non ne sono sicuro) che, durante una sua visita, il superiore generale abbia richiamato l’attenzione sulle precauzioni da tenere con l’acqua. P. Luigi gli avrebbe risposto: “Padre, non si preoccupi! Noi prendiamo tutte le precauzioni: prima filtriamo l’acqua, poi la facciamo bollire ed infine, per evitare di prenderci qualche parassita, la buttiamo via e ci beviamo una birra!”.

P. Bistecca era anche un buon fumatore di sigarette, specialmente quando doveva aggiustare la macchina ed era stanco. La sigaretta lo aiutava a rilassarsi. Con il mozzicone della prima sigaretta accendeva la seconda… per risparmiare i soldi del fiammifero!

Usava dire: Bacco, Tabacco e Venere sono tre vizi. Bacco, se si beve solo un calabash alla volta non è male, anzi fa bene. Tabacco, se si fuma solo una sigaretta alla volta, aiuta a rilassarsi. Venere… ah, questo niente. Tolleranza zero!!!

L’uomo, la sua macchina e le avventure

Luigi indossava abitualmente la canottiera e i pantaloncini corti, al bisogno coperti dalla veste bianca che noi usavamo di solito, in testa un cappellino verde dell’uniforme dell’organizzazione della gioventù cattolica del Ghana (CYO) e i sandaletti ai piedi. Per spostarsi e visitare i villaggi aveva una vecchia pick-up Toyota un po’ grossa e robusta che lui chiamava Toyota-untsu che voleva dire Toyota maschio. Col suo Toyotuntsu amava andare per strade impervie, attraversare ruscelli, salire su strade di montagna… diceva che era così forte da andare ovunque.

Un giorno fece un viaggio straordinario, che nessuno si era mai sognato di fare. Andando verso il Togo c’era una grande laguna, che però quell’estate si era essiccata. P. Luigi ebbe l’ardire di attraversarla e raggiungere per direttissima la città di Ketà. Un’impresa spericolata: se gli capitava di incontrare una polla d’acqua poteva sprofondare; ma lui arrivò a destinazione. Gli piaceva fare ciò che nessun altro aveva fatto prima di lui.

Un altro esempio: a Liati, c’era il pericolo che un grande albero secco cadesse sulla casa. Allora lui si arrampicò fin sulla cima a legare una corda. Poi appiccò il fuoco alla base dell’albero e tirò la corda, facendolo cadere su un terreno libero. Questa fu una delle tante sue avventure spericolate.

Dalla missione in Ghana alla missione a Verona e in Paradiso

P. Luigi ha fatto diciassette anni di missione in Ghana, ad Abor e Liati (1976-1993). Nel ’93 dovette rientrare in Italia per problemi di salute. Dopo un intervento chirurgico con complicanze perse la memoria. Dal ’94 fu assegnato alla nostra comunità di assistenza agli anziani e malati a Verona. Non perse però la sua proverbiale giovialità.

Ogni cosa e ogni circostanza diventavano per lui un momento singolare. Mi stupivo a guardarlo mentre mangiava, gustando lentamente ogni boccone e con una ritualità sorprendente. Nel tratto con le persone era simpaticissimo e nessuno riusciva a rimanere serio davanti alle sue smorfie e battute. In chiesa magari si girava e faceva il “direttore di coro”; o accompagnava la proclamazione del vangelo gesticolando quasi rendendolo vivo; o durante l’omelia faceva risuonare un yesss! o bravo! in assenso a qualche affermazione del predicatore…

La sua occupazione principale era… la caccia di caramelle e dolci nelle stanze dei confratelli! Era diabetico. Diceva scherzando: Io vado in giro cercando la mia mémoire (memoria) e trovo le caramelle!… Riusciva facilmente ad eludere la vigilanza degli operatori per prendersi qualche frutto o dolciume. Quando lo sgridavano perché aveva combinato qualcuna delle sue, disarmava tutti quanti con un sorriso, tanto ingenuo quanto furbo. Spalancava le braccia e diceva: Quando si perde la mémoire!…

Quando si perde la mémoire!…

Uno dei suoi luoghi preferiti era la saletta della macchina del caffè, aspettando al varco qualche confratello che veniva a prendersi una bevanda. A tutti chiedeva un cappuccino, sollevando l’indice implorante. La consegna era di non offrigli niente, dato il suo elevato tasso glicemico. Ma la sua insistenza riusciva a commuovere qualcheduno. Allora si sedeva comodamente a gustare il suo cappuccino. Capitava così che alla fine della giornata ne avesse presi diversi. Un confratello gli chiese una volta quanti cappuccini aveva bevuto. Rispose come al suo solito: Non lo so, quando si perde la mémoire!… Ne avrai fatto fuori cinque o sei cappuccini!, gli disse il confratello. Al che Luigi esclamò: Mamma mia, allora ho fatto fuori una comunità di cappuccini!

A proposito di cappuccini, una volta lo condussero all’ospedale per una visita. Fr. Giancarlo che faceva da autista lo lasciò all’ingresso dell’ospedale dicendogli di aspettare un momento mentre lui avrebbe parcheggiato la macchina. Quando ritornò Luigi non c’era più. Finalmente lo trovò in un bar vicino dove si era preso una brioche e un cappuccino. Al momento di pagare disse candidamente di non avere soldi. Il confratello saldò il conto e si scusò con il barista. Questo era Luigi, sempre imprevedibile!

Ho nostalgia di Luigi, della sua giovialità, della sua voglia di vivere. Ci manca! Era un vero artista della vita, che sapeva dare una colorazione particolare ad ogni suo momento. Dio ce l’ha dato per la gioia di tutti. Me lo immagino ora sul palcoscenico del Paradiso, circondato dagli angioletti che ridono alle sue battute e alle sue smorfie rivolte a qualche santo troppo serio che passa nei paraggi, un po’ guardingo. “Se non diventerete come bambini…”.
Castel D’Azzano, 3 Febbraio 2021
[
P. Manuel João Pereira Correia – Combonianum]

P. Luigi Capelli:
Nato il 19/04/1944 a Piacenza; noviziato a Gozzano 64-66; prima professione il 09/09/1966; Venegono 66-67; Rebbio 67-69; Venegono 69-70; voti perpetui il 09/09/1969 e ordinazione il 19/03/1970; prima destinazione Italia 70-75; destinazione in missione Togo-Ghana 76-93; comunità anziani e ammalati di Verona casa-madre 1994-2015; Castel D’Azzano 2015-2020; deceduto il 17/11/2020 a Castel d’Azzano (VR).