Mercoledì 24 marzo 2021
Le vicende di tre missionari italiani, recenti vittime dalla pandemia, mentre cercavano di portare aiuto ai più poveri in Mozambico, Malawi e Uganda. Figure emblematiche per non dimenticare il servizio alla missione ad gentes: vite interamente spese con generosità per amore del prossimo e del Vangelo. Padre Giocondo aveva subito un attentato nel 1983; l'indimenticabile sorriso di padre Giuseppe; fratel Elio era sopravvissuto a Ebola. Oggi la Chiesa celebra la Giornata missionari martiri. (Nella foto: P. Giuseppe Giannini, comboniano in Malawi)

Missionari che hanno combattuto a fianco dei malati e sono morti di Covid: sono tra i martiri di oggi, come più volte li ha definiti Papa Francesco. La strage silenziosa di missionari si allunga ogni giorno con nomi che non vogliamo dimenticare perché è sul solco delle loro vite che il Vangelo continua a camminare in mezzo alla gente. Anche quando la terra di missione diventa la loro tomba. Oggi la Chiesa celebra la Giornata missionari martiri, una giornata di preghiera e digiuno promossa dal servizio Giovani della Fondazione Missio, organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana.

P. Giocondo Pendin, comboniano in Mozambico.

Da Vicenza al Mozambico. Padre Giocondo Pendin, comboniano di Villaverla in provincia di Vicenza, è stato sepolto a Matola in Mozambico dove è morto il 9 marzo scorso a causa del Covid. Figlio di una famiglia numerosa, con sette fratelli (di cui tre comboniani come lui: Celina e i gemelli Rinaldo e Sergio), padre Giocondo era in Mozambico nei difficili anni della transizione da ex colonia portoghese all’indipendenza. Dopo una vita in Africa in mezzo a mille difficoltà, non è riuscito a sconfiggere il virus, lui che era riuscito a sopravvivere a un attentato, come racconta la sorella Flavia: “È stato un ‘martire mancato’.

Nel 1983, dopo la messa, entrarono alcuni rapinatori in cappella. Uno gli sparò una pallottola che gli attraversò il collo. Cadde a terra in un lago di sangue. Il rapinatore spogliò la missione, e credendolo morto, gli tolse l’orologio dal polso. Ma lui non era morto». Per fortuna la pallottola non aveva toccato il midollo spinale e dopo una lunga riabilitazione era tornato alle sue attività, completando in cinque anni la traduzione in lingua cindau della Bibbia.

In Malawi, esposti al virus… Il virus obbliga al distanziamento sociale, ma l’amore richiede vicinanza anche quando questa significa rischio continuo di essere infettati e di morire. Fedeli al servizio al Vangelo, come padre Giuseppe Giannini, che tutti chiamavano Pino, comboniano, 73 anni, da 40 in Malawi, morto Lusaka il 2 febbraio scorso.

Era un uomo buono, amato dalla gente, con un grande sorriso che gli illuminava il viso, anche quando condivideva fino in fondo le difficoltà dei sofferenti: così lo ricorda il confratello Antonio Guarino in un video pubblicato dalla Fondazione Missio. “Era un grande missionario, molto conosciuto e amato dal clero locale – ricorda padre Guarino –. Nell’ultimo mese ci mandavamo messaggi ogni giorno. La missione chiede anche questi martiri: i più esposti siamo noi che stiamo con la gente. Non stiamo a guardare, la gente ci sta a cuore”. Padre Guarino, che parla dalla capitale Lusaka, epicentro del contagio che nel Paese ha colpito oltre 84mila persone con un bilancio ufficiale di 1.164 vittime, racconta la mancanza di strutture mediche e di mezzi di cura di fronte alla seconda ondata del virus aggravata dalla cosiddetta “variante sudafricana”. “Noi missionari siamo esposti al virus tanto quanto le persone che vivono qui… Possiamo solo stare vicini alla gente, non siamo avviliti né scoraggiati”.

Fratel Elio Croce, comboniano in Uganda.

In Uganda con il popolo Acholi. Anche per fratel Elio Croce, missionario trentino in Uganda, il contagio da Covid è stato fatale. Aveva 74 anni ed è morto a Kampala lo scorso 12 novembre, dopo essere sopravvissuto all’epidemia di Ebola del 2000. In Africa era arrivato nel 1971, dopo avere sentito fin da bambino un forte richiamo per le missioni ad gentes, ascoltando le storie dei sacerdoti che arrivavano da terre lontane fino a Moena, nel cuore delle Dolomiti innevate. Dopo il diploma di perito meccanico e un corso presso i Comboniani, brother Elio era approdato nel Paese chiamato “la perla d’Africa” all’indomani del colpo di Stato del sanguinario dittatore Idi Amin Dada. La prima tappa dei suoi 45 anni ugandesi è stata presso il piccolo ospedale di Kitgum dove era responsabile tecnico; nel 1985 era passato alla struttura medica di Lacor e poi nel 1986 nella piccola città settentrionale di Gulu. Dovunque si è dedicato al popolo Acholi, girando per i sentieri della savana per realizzare ospedali, pozzi, attività tecniche e colture agricole.

Portava sempre con sé gli attrezzi essenziali per cavarsela in ogni emergenza: la sua passione era costruire e farlo bene. Niente lo ha fermato, nemmeno negli anni più difficili della guerriglia, quando ribelli di Joseph Kony, leader dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra) seminavano il panico tra i villaggi razziando e uccidendo chiunque, anche i bambini che si ribellavano al reclutamento come soldati. Fratel Elio non aveva paura, anzi la sua missione era proprio quella di difendere i deboli, di proteggere i piccoli dai rapimenti, le ragazze dalle violenze dei ribelli, i villaggi dalle incursioni. Caricava i feriti sulla sua vecchia Toyota sempre sporca di terra rossa, dava accoglienza ai piccoli orfani nella casa St Jude, presso la Consolation Home per i piccoli portatori di handicap, la fattoria a Lacor, strutture in buona parte realizzate sotto la sua direzione tecnica, grazie al sostegno che arrivava da benefattori soprattutto italiani.

Qualche mese prima di restare vittima del contagio aveva detto: “i miei ‘figli’ sono ormai cresciuti. Ora, con la pandemia in corso, sono loro ad aiutare l’orfanotrofio”. Di brother Elio, il coraggioso amico degli Acholi, resta una eredità importante che in molti custodiranno nel tempo. Ma soprattutto i segni donati agli altri della sua tenace volontà di costruire il bene, da vero, instancabile missionario innamorato del Vangelo.

Webinar Missio, focus sull’Etiopia. “Vite intrecciate” è lo slogan della Giornata missionari martiri del 24 marzo ed è anche il titolo complessivo di due webinar promossi dalla Fondazione Missio per questa occasione. Dopo l’appuntamento di domenica 21 marzo, che ha posto al centro dell’attenzione una missione cattolica in Brasile, oggi è la volta dell’Etiopia. L’incontro on-line alle ore 19.00 sarà guidato da Giovanni Rocca, segretario nazionale di Missio Giovani. Parteciperanno don Stefano Ferraretto, la laica fidei donum Elisabetta Corà, e don Nicola De Guio dall’Etiopia, e don Giuseppe Ghirelli, della diocesi di Anagni-Alatri, rientrato di recente dall’Etiopia. L’incontro è sulla piattaforma Cisco Webex e in diretta Facebook e Instagram della Fondazione Missio.

Progetto: laboratorio informatico per Robe. Un laboratorio informatico per i giovani di Robe, in Etiopia, uno dei Paesi più poveri al mondo. È il progetto sostenuto dalla Fondazione Missio in occasione della Giornata dei missionari martiri 2021. “L’obiettivo di questa iniziativa – spiega Giovanni Rocca, segretario di Missio Giovani, che cura il progetto – è l’allestimento di un laboratorio informatico e l’attivazione di corsi di computer in collaborazione con i fidei donum di Padova, che lavorano nella zona”. “Il laboratorio che intendiamo allestire negli ambienti della comunità cristiana di Dodola sarà utilizzato per organizzare corsi di informatica a favore dei giovani del luogo di età compresa tra i 16 e i 25 anni”.
[Miela Fagiolo D’Attilia, redazione “Popoli e Missione”, SIR]